[L’articolo originale qui tradotto è stato pubblicato in inglese su Made in China Journal lo scorso 2 dicembre, ed è compreso nel Volume 7/2 del 2022.
La serie Proteste, biopolitica e riproduzione sociale nella Cina post-Zero Covid nasce da una collaborazione fra Gli Asini e Sinosfere, con la cura di GioGo.]

Il 26 novembre 2022, in seguito a un incendio mortale in un condominio di Ürümqi, capoluogo della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, i manifestanti sono scesi nelle strade e nelle università cinesi chiedendo di porre fine alle restrizioni della politica “Zero Covid” (清零政策, Davidson e Yu 2022). Come ci si aspettava, libertari di destra, no-mask, e no-vax ne hanno subito approfittato per celebrare tali manifestazioni associandole alle loro proteste contro ogni forma di intervento biopolitico dello stato. Il leader dell’organizzazione ultraconservatrice Turning Point USA Charlie Kirk, per esempio, ha twittato: “improvvisamente, la Cina somiglia moltissimo al Canada”, tratteggiando così un parallelo fra le proteste cinesi e quelle dei camionisti di “Freedom Convoy” che all’inizio del 2022 avevano manifestato contro gli obblighi vaccinali (Williams e Paperny 2022).

Pur restii a dare altra visibilità all’estrema destra (che oramai non è più una “frangia” marginale) – con il rischio di normalizzarla nominandola – quel che ci interessa notare è come queste narrazioni facciano ormai parte di un’atmosfera condivisa di rassegnazione sull’inevitabile endemicità del Covid-19, come se la pandemia e la sofferenza da questa provocata fossero state in qualche modo preordinate e ineluttabili. La normalizzazione della morte da Covid, presentata come una parte inevitabile della vita stessa, rappresenta una giustificazione a posteriori delle disastrose conseguenze provocate dalla pandemia in buona parte dell’Occidente, e in particolare del rifiuto del tentativo di eliminare il virus all’inizio del 2020. Essa stabilisce anche una falsa dicotomia sulle possibili risposte pandemiche: o una necropolitica nichilista (il modello “business as usual”), o la spirale infinita della crescente sorveglianza autoritaria. L’interiorizzazione di questa falsa dicotomia nelle narrazioni occidentali rischia di far travisare le proteste cinesi interpretando il loro rifiuto della biopolitica autoritaria della politica Zero Covid cinese come una tacita richiesta della necropolitica statunitense. Nello stesso tempo, questo modo di ragionare limita severamente la nostra capacità di comprendere le lezioni globali della pandemia nel momento in cui entriamo in un’epoca di crisi collettiva.

Poli pandemici

A catalizzare le recenti proteste cinesi sono state delle morti atroci quanto evitabili causate dalle restrizioni pandemiche, delle quali il rogo di Ürümqi, in cui sono morte almeno dieci persone in un condominio sottoposto a quarantena, non è stato che l’ultimo incidente. A settembre a Guiyang, nella provincia del Guizhou, 27 persone erano spirate in un incidente d’autobus mentre si recavano di primo mattino in un centro di quarantena (Thomas e Abdul Jalil 2022), mentre si calcola che un numero imprecisato di persone siano morte per mancate cure mediche relative a malattie diverse dal Covid (HRW 2022); per non parlare dei suicidi avvenuti durante i lunghi periodi di lockdown (Yang 2022). Nel caso di Ürümqi, secondo quanto riportato, pur avendo impiegato non più di trenta minuti per arrivare sul posto, i vigili del fuoco ci hanno messo quasi tre ore per districarsi fra le barriere di sicurezza e le macchine parcheggiate con le batterie scariche (Shepherd e Kuo 2022). Nel solco di una lunga tradizione in cui le manifestazioni di cordoglio si fondono con la protesta politica, a dare il via alle manifestazioni è stato lo sdegno per queste morti tragiche, irrazionali e prevenibili.

Questi eventi sono stati decisivi nel vanificare il grande sforzo fatto dal Partito-Stato cinese per intessere la sua narrazione di successo pandemico (Repnikova 2020; Zhang 2020). Con la sua politica Zero Covid, il Partito Comunista Cinese (PCC) aveva cercato di posizionarsi al polo opposto dei governi occidentali e in particolare degli Stati Uniti qualificandosi come uno stato biopolitico che “dispiega le sue tecniche di governo nel nome della difesa della sicurezza della vita contro le minacce esterne” (L.G. 2022: 139), presentandosi così come una tecnocrazia centralizzata nettamente distinta dalle politiche rivoluzionarie di classe dell’epoca maoista. Fino all’insorgere della ben più trasmissibile variante Omicron, il governo cinese aveva mobilitato con successo la popolazione, lo stato e l’economia nello sforzo congiunto di sopprimere la trasmissione del virus attraverso nuove tecnologie di sorveglianza finalizzate a mappare, tracciare e contenere in modo sistematico la popolazione. Nel nome della salute pubblica, il Partito-Stato aveva approntato un complesso immuno-apparato che poggiava simultaneamente sulla collaborazione e sulla coercizione pubblica, il quale aveva prodotto bassi livelli di trasmissione, infezione e morte a causa del virus.

In netto contrasto negli Stati Uniti ci sono state più di un milione di morti per Covid, molte delle quali avvenute nel 2020 prima che fossero disponibili i vaccini (Simmons-Duffin e Nakajima 2022). Ancora al 27 novembre del 2022, tuttavia, si continuavano a stimare negli Stati Uniti 330,4 morti giornaliere per Covid (The New York Times 2022). Nel suo libro recente sulla pandemia, What World is This (2022), Judith Butler sostiene che la normalizzazione delle morti per Covid implica l’accettazione che una percentuale della popolazione sia sacrificabile, o che esista una società in cui “la morte di massa fra soggetti meno degni di afflizione svolge un ruolo essenziale nel mantenere il benessere sociale e l’ordine pubblico” (Lincoln 2021: 46). Il fatto che gli Stati Uniti esprimano una cultura necropolitica è innegabile (uno degli autori di questo pezzo scrive dalla sua abitazione a Colorado Springs dove a novembre un uomo armato ha ucciso cinque persone in un locale gay), e non ci sarebbero abbastanza lacrime nel mondo per piangere le morti statunitensi per Covid, armi da fuoco (vedi in particolare la normalizzazione delle sparatorie scolastiche), violenza poliziesca, overdose e suicidio. Non è un’esagerazione dire che l’accettazione di morti e menomazioni crudeli, insensate e prevenibili, soprattutto fra i segmenti più poveri, razzializzati e medicalmente vulnerabili della popolazione sia diventata un tratto centrale della cultura statunitense contemporanea.

La rassegnazione di Trump nel 2020 al fatto che “ci saranno altre morti” (Wilkie 2020) sembra di fatto l’antitesi perfetta dell’impegno cinese a “mettere il popolo e le vite umane sopra ogni cosa” (人民至上,生命至上). Superficialmente, questa sembrerebbe una semplice dicotomia fra necro- e bio-politica radicata negli opposti sistemi ideologici: mentre gli Stati Uniti e molti altri paesi occidentali hanno anteposto alla vita e alla salute dei molti le riaperture economiche e il ritorno a una parvenza di normalità, la Cina ha accettato di subire danni economici per proteggere le vite della propria popolazione. Per un po’, questo confronto è servito a consolidare le narrazioni legittimatrici del PCC. Secondo queste ultime, la biopolitica tecnocratica cinese ritiene il valore della vita sacrosanto, come affermato dallo stesso Xi Jinping: “Le persone hanno una vita sola, e noi dobbiamo proteggerla” (Bram 2022). Di contro c’è la necropolitica dell’inevitabilità statunitense, in cui l’accettazione della morte irrazionale è concepita come un requisito per la vita, la libertà e il fiorire umano.

Tuttavia, questa apparente dicotomia fra bio- e necro-politica va in pezzi nel momento in cui uno realizza che il PCC dà valore sopra ogni cosa alla propria legittimazione, la quale, durante la pandemia, si è imperniata proprio sulla percezione che il PCC dia valore alla vita umana. La conseguente implementazione burocratica della politica Zero Covid ha significato che le statistiche relative ai casi e al loro contenimento – ossia la performance percepita dello stato – contassero più delle vite che venivano salvate. Quando però si comincia a vedere che la gente soffre, o muore, a causa del regime pandemico del PCC, tale logica biopolitica comincia a sgretolarsi. Nulla cattura questa contraddizione in modo più doloroso e straziante quanto l’immagine di alcune persone che vengono bruciate vive in quanto sigillate nei loro appartamenti dall’esterno, mentre i loro vicini vedono e registrano le loro voci morenti che implorano aiuto. Niente è intrinsecamente sbagliato in un impegno biopolitico a preservare la vita durante una pandemia (è infatti la nostra posizione, senza il ricorso a una biopolitica autoritaria); il problema è che la priorità schiacciante del PCC è la propria legittimazione, della quale la narrazione della soppressione del virus durante la pandemia è diventata il fulcro. In questo senso, la biosicurezza incarnata dalla risposta cinese al Covid, più che ad “assicurare la vita collettiva contro il rischio” (Lincoln 2021: 46), è servita ad assicurare la vita del partito.

Vita, libertà, e legittimità di partito

Di conseguenza, il confronto fra la visione rosea della risposta cinese alla pandemia e la tetra gestione statunitense del disastro viene a costituire una falsa dicotomia. Per gli apologeti della Cina, la narrazione si scrive quasi da sola: le risposte iniziali della Cina sono state popolari e hanno salvato vite umane. Quella statunitense invece è stata un’ecatombe nazionale, che continua parzialmente tuttora ai margini dell’attenzione pubblica. Tutto ciò è vero. Tuttavia, si tratta di un quadro parziale. Ciò che viene omesso, in questa narrazione, è il sentimento emergente, fra i dimostranti cinesi, che le loro vite siano rimaste intrappolate nell’apparato di legittimazione del Partito-Stato, la cui validità scientifica e necessità biomedica appaiono sempre più forzati. Il Partito-Stato ha mantenuto la politica Zero Covid perché in essa ha investito la propria legittimazione, e in particolare la reputazione di Xi Jinping. Ciò può essere messo in evidenza mettendo la pandemia in relazione con la gestione da parte del PCC di altri disastri.

Per esempio, dopo il terremoto del Sichuan del 2008, il CPP aveva insistito che le morti erano dovute a un “disastro naturale” (天灾), e non a una “catastrofe umana” (人祸). Un disastro naturale, infatti, voleva dire che il partito  ne risultava come un salvatore, mentre le catastrofi umane, per contro, di solito sollevano questioni di responsabilità e lambiscono problemi sistemici più ampi. Era su questa distinzione che poggiava la legittimazione del partito (Sorace 2017, 2018, 2020, 2021). Stessa logica per la pandemia. L’unica cosa che si è interposta fra il popolo cinese e il virus è il PCC, con le sue quarantene, le enormi tute di protezione bianche, il tracciamento digitale, l’imposizione crescente degli strumenti di sorveglianza che hanno reso tutto ciò possibile. Le proteste attuali comportano la disintegrazione di questa narrazione. La gente comincia infatti a domandarsi se la politica Zero Covid del PCC serve a proteggere le loro vite, o, come sembra essere sempre più evidente, a legittimare se stesso. A livello simbolico, la politica Zero Covid si è trasformata in modo fulmineo da infrastruttura biomedica positiva ad apparato di contenimento e (in senso letterale e metaforico) soffocamento.

La nostra analisi non predice che il PCC sarà incapace di riaffermare il controllo discorsivo sulla cornice pubblica della narrazione; esso, infatti, costituisce un potente “stato discorsivo” abilissimo nel metabolizzare le crisi trasformandole in vittorie (Sorace 2017). Una delle differenze chiave fra il terremoto del Sichuan e la situazione odierna è che mentre il primo era circoscritto nel tempo e nello spazio, limitato a una regione e a un momento preciso, la pandemia è una crisi nazionale tuttora in corso e senza una fine chiara. Anche se le persone in Cina durante la pandemia hanno avuto esperienze diverse a seconda della classe, etnia, genere e altre importanti categorie di appartenenza (Butler 2022; Friedman 2022; Karl 2022), esse hanno avuto modo di identificarsi con le esperienze altrui, per non dire che l’attuale ondata di proteste ha addirittura alimentato, per un attimo, la solidarietà fra gli Han e gli Uiguri (Millward 2022). Si tratta per giunta di una questione globale e mediatizzata, che per tale ragione potrebbe, nel confronto con un mondiale di calcio senza mascherine, esacerbare la sensazione di un eccezionalismo negativo.

Le dicotomie Stati Uniti-Cina di solito rimangono imprigionate o nell’eterno ritorno della guerra fredda o nella costruzione di alterità orientaliste, e anche questo caso non fa eccezione. A seconda di dove uno punti lo specchio, il riflesso produce o una biopolitica di stato contro una necropolitica anti-stato, o il controllo totalitario contro la libertà; mentre l’estrema destra complottista fonde il governo cinese e quello statunitense come due facce dello stesso autoritarismo sanitario. Invece, secondo noi, gli Stati Uniti e la Cina offrono due modelli di governance pandemica in competizione, dei quali però nessuno promuove il fiorire umano. Come ha di recente twittato l’esperto di lavoro transnazionale Tobita Chow (2022), “i nichilismi in competizione dei governi statunitense e cinese non sono le uniche opzioni possibili nella risposta al Covid”.

Travisare le proteste

Pertanto, anche se oggi i dimostranti cinesi manifestano contro la governance autoritaria della pandemia a cui sono stati soggetti, sarebbe un malinteso profondo concludere che ciò che chiedono sia la necropolitica nichilista degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali. Per dirla nel modo meno equivocabile possibile: i dimostranti cinesi e i dimostranti no-mask e no-vax di Stati Uniti, Canada e Europa non sono la stessa cosa. Le proteste occidentali contro le maschere e i vaccini sono un rifiuto della nostra “interdipendenza condivisa”, per dirla con le parole della politologa Elisabeth Anker. Secondo quest’ultima “i guerrieri del Covid praticano la libertà di esporre gli altri alla morte, così da liberarsi da loro” (2022: 9), in cui “loro” vuol dire chiunque sia al di fuori della loro bolla privata. L’affermazione della libertà individuale come il diritto di esporre gli altri al rischio difendendo una fantasia di invulnerabilità e indifferenza agli estranei è una nozione di libertà che non è né universale né desiderabile. Le richieste di “libertà” (自由) dei manifestanti cinesi sono tanto plurivoche quanto simbolicamente sovradeterminate dal contesto in cui sono inscritte. Vale anche la pena di notare come gli studenti cinesi che hanno partecipato alle proteste abbiano cantato l’internazionale (lo già avevano fatto nel 1989), dimostrando che i valori socialisti non sono monopolio esclusivo dei regimi che si definiscono tali.

Mentre alcune istanze dei manifestanti sono chiaramente mosse da un malcontento politico più ampio – vedi per esempio le richieste di dimissioni a Xi e al PCC –, riguardo alle risposte alla pandemia i manifestanti non chiedono una completa abdicazione dello stato per permettere al virus di decimare la popolazione, quanto piuttosto un ragionevole riaggiustamento biopolitico. Per esempio, le richieste di terminare i continui test molecolari e il trasferimento forzato verso strutture di quarantena centralizzate sono ragionevoli e pragmatiche; ben diverse dal rifiuto categorico di tutte le misure biopolitiche volte a evitare la trasmissione incontrollata del virus. Tutto ciò per dire che le invocazioni di “libertà” non possono essere astratte dal loro contesto, tantomeno per formare una pseudo-solidarietà inconsistente basata su un rifiuto reazionario dello stato. L’impegno di sinistra a una solidarietà transnazionale da noi abbracciato comporta, come minimo, una politica di riconoscimento, ascolto, e traduzione del contesto reciproci.

Esso non va nemmeno confuso con la solidarietà offerta da apologeti nominalmente di sinistra a regimi di capitalismo di stato non occidentali, come quella dell’intellettuale pubblico Vijay Prashad, che il 28 novembre ha postato su Instagram un selfie nel quale teneva in mano un pezzo di carta bianca con su scritto “🖤 Zero Covid”: una chiara manifestazione di sostegno al PCC e una presa in giro delle proteste cinesi dei fogli bianchi/vuoti, in cui la “Z” in grassetto insinuava un provocatorio sostegno per la Russia. L’incoerenza ideologica delle posizioni di Prashad è tenuta insieme da una visione infantile dell’imperialismo per la quale ogni nemico degli Stati Uniti offre alternative desiderabili in virtù della propria opposizione. Questa posizione è del tutto indifferente alle operazioni carcerarie e coloniche/coloniali (e addirittura, nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina, ai crimini di guerra) compiute dagli alleati prediletti di Prashad (che sono chiaramente degli stati, non popoli). Con dei cosiddetti amici di questo tipo a sinistra, chi ha bisogno di nemici?

È importante uscire dal pantano dicotomico in cui gente come Vijay Prashad e Charlie Kirk sono assai contenti di sguazzare. Se ci concentriamo soltanto sulla dicotomia Cina contro Stati Uniti, non riusciamo a vedere che ci sono molti altri paesi che hanno cercato di sopprimere il virus e proteggere le popolazioni vulnerabili attraverso misure collettive di natura solidale, riuscendo a mantenere le libertà individuali riducendo la diffusione di massa di infezione e morte. Ma è il focalizzarsi sull’orizzonte limitato degli stati-nazione che è di per se parte del problema.

Verso una biopolitica positiva

Ciò a cui tendiamo è una nuova lingua di sinistra, che comprenda l’articolazione di una biopolitica positiva dotata di una dimensione planetaria (Bratton 2021) e capace di inventare nuove forme politiche indirizzate verso il nostro essere-in-comune (Nancy 2022). Come ha sottolineato Benjamin Bratton, “far finta che il biopotere non dovrebbe esistere, e che le scelte riguardo a ciò che può o non può vivere possano essere evase perché sono difficili e inquietanti, è in ultimo un altro modo di consentire che il biopotere sia esercitato senza che nessuno ne risponda (2021: 5). La visione positiva della biopolitica come sforzo collettivo basato sulla solidarietà è in netto contrasto con la politica nichilista esemplificata dalle salme che hanno intasato le camere ardenti statunitensi, così come con le brutali realtà politiche dell’accumulazione capitalista, stabilità sociale, patriarcato confuciano, chauvinismo Han e regime carcerario offerte oggi dallo stato cinese. Esistono altre progenie, nomi e dibattiti (Sorace et al. 2019). Esistono lingue che non abbiamo ancora imparato a parlare o ad ascoltare. Tra queste, ci sarebbe anche una lingua per ricordare i morti, che cerca di rispondere alla domanda incalzante di Judith Butler: “Qualcuno di noi saprebbe dare un nome a ciò che abbiamo perso?” (2022: 94). Abbiamo perso non solo i nostri cari, ma anche la capacità di immaginare un mondo in cui ognuno di noi possa fiorire. Non siamo sicuri di come procedere, ma almeno abbiamo fiducia che la strada per andare avanti non porta a un mondo in cui le condizioni dell’esistenza collettiva siano decise o dagli Stati Uniti o dalla Cina.

Traduzione di Marco Fumian

Bibliografia

Anker, Elisabeth R. 2022. Ugly Freedoms. Durham, NC: Duke University Press.Bram, Barclay. 2022. ‘China in Protest: A ChinaFile Conversation.’ ChinaFile, 29 Novembre. www.chinafile.com/conversation/china-protest.
Bratton, Benjamin. 2021. The Revenge of the Real: Politics for a Post-Pandemic World. London and New York, NY: Verso Books.
Butler, Judith. 2022. What World is This? A Pandemic Phenomenology. New York, NY: Columbia University Press.
Chow, Tobita. 2022. Tweet, 28 November. twitter.com/tobitac/status/1597025095666790400.
Davidson, Helen e Verna Yu. 2022. ‘Clashes in Shanghai as Protests over Zero-Covid Policy Grip China.’ The Guardian, 28 Novembre. www.theguardian.com/world/2022/nov/28/clashes-in-shanghai-as-protests-over-zero-covid-policy-grip-china.
Friedman, Eli. 2022. ‘Escape from the Closed Loop.’ Boston Review, 28 Novembre. www.bostonreview.net/articles/escape-from-the-closed-loop.
Human Rights Watch (HRW). 2022. ‘China: Treatment for Non-Covid Illnesses Denied.’ News, 6 April. New York, NY: Human Rights Watch. www.hrw.org/news/2022/04/06/china-treatment-non-covid-illnesses-denied.
Karl, Rebecca E. 2022. ‘The Social Explosion of China’s Pent-Up Pain.’ The Nation, [New York], 1 Decembre. www.thenation.com/article/world/china-zero-covid-a4-protests.
L.G. 2022. ‘The Shanghai Lockdown as a Chronotope: The Biopolitics of Zero Covid, Auto-Immunisation, and the Security Discourse.’ Made in China Journal 7(1): 134–50.
Lincoln, Martha. 2021. ‘Necrosecurity, Immunosupremacy, and Survivorship in the Political Imagination of COVID-19.’ Open Anthropological Research 1(1): 46–59.
Millward, James A. 2022. ‘China in Protest: A ChinaFile Conversation.’ ChinaFile, 29 Novembre. www.chinafile.com/conversation/china-protest.
Nancy, Jean-Luc. 2022. An All-Too-Human Virus. Translated by Cory Stockwell, David Fernbach, e Sarah Clift. Cambridge, UK: Polity Press.
Repnikova, Maria. 2020. ‘Does China’s Propaganda Work? The Communist Party’s Messaging is Both More Agile and More Fragile Than It Seems.’ The New York Times, 16 Aprile. https://www.nytimes.com/2020/04/16/opinion/china-coronavirus-propaganda.html
Shepherd, Christian and Lily Kuo. 2022. ‘Deadly Xinjiang Fire Stokes Discontent Over China’s Covid Restrictions.’ The Washington Post, 26 Novembre. www.washingtonpost.com/world/2022/11/26/china-xinjiang-fire-urumqi-covid-zero.
Simmons-Duffin, Selena e Koko Nakajima. 2022. ‘This Is How Many Lives Could Have Been Saved with COVID Vaccinations in Each State.’ NPR, 13 Maggio. www.npr.org/sections/health-shots/2022/05/13/1098071284/this-is-how-many-lives-could-have-been-saved-with-covid-vaccinations-in-each-sta.
Sorace, Christian P. 2017. Shaken Authority: China’s Communist Party and the 2008 Sichuan Earthquake. Ithaca, NY: Cornell University Press.Sorace, Christian. 2018. ‘Be Grateful to the Party! How to Behave in the Aftermath of a Disaster.’ Made in China Journal 3(1): 52–55.
Sorace, Christian. 2020. ‘Gratitude: The Ideology of Sovereignty in Crisis.’ Made in China Journal 5(2): 166–69.Sorace, Christian. 2021. ‘The Chinese Communist Party’s Nervous System: Affective Governance from Mao to Xi.’ The China Quarterly 248: 29–51.
Sorace, Christian, Ivan Franceschini, e Nicholas Loubere (a cura di). 2019. Afterlives of Chinese Communism: Political Concepts from Mao to Xi. Canberra and London: ANU Press and Verso Books.
The New York Times. 2022. ‘Coronavirus in the U.S.: Latest Map and Case Count.’ The New York Times, 27 Novembre. www.nytimes.com/interactive/2021/us/covid-cases.html.
Thomas, Merlyn and Zubaidah Abdul Jalil. 2022. ‘China Covid: Quarantine Bus Crash Kills 27 and Injures 20.’ BBC, 19 Septembre. www.bbc.com/news/world-asia-62947897.
Wilkie, Christina. 2020. ‘Trump Says “There’ll be More Death” From Coronavirus, But Reopening is Worth it.’ CNBC, 5 Maggio. www.cnbc.com/2020/05/05/trump-acknowledges-some-coronavirus-deaths-will-result-from-reopening.html.
Williams, Nia e Anna Mehler Paperny. 2022. ‘In Protests and Politics, Canada’s “Freedom Convoy” Reverberates.’ Reuters, 4 Agosto. www.reuters.com/world/americas/protests-politics-canadas-freedom-convoy-reverberates-2022-08-04.
Yang, Caini. 2022. ‘A Woman Dies in China’s COVID Lockdown, Again.’ Sixth Tone, [Shanghai], 7 Novembre. www.sixthtone.com/news/1011588/a-woman-dies-in-chinas-covid-lockdown%2C-again–.
Zhang, Chenchen. 2020. ‘Covid-19 in China: From “Chernobyl Moment” to Impetus for Nationalism.’ Made in China Journal 5(2): 162–65.

Immagine: Libertà, foto di GioGo