Liu Xiaobo scriveva anche poesie, e per vent’anni, dal 1990 al 2008, ha affidato ai versi, anno dopo anno, la commemorazione dei fatti tragici del 1989. In questa sezione lasciamo parlare Liu Xiaobo attraverso le sue immagini poetiche, presentando una selezione di poesie tradotte da Nicoletta Pesaro, di cui riportiamo anche la prefazione al volume Elegie del Quattro Giugno (Roma: Lantana, 2013). Pubblichiamo in un’altra pagina anche due poesie di Yi Sha, sempre per la traduzione di Nicoletta Pesaro, dedicate a Liu Xiaobo.

Carcere di Qincheng, giugno 19901)Questa e le seguenti quattro poesie sono tratte da Liu Xiaobo, Elegie del Quattro giugno, trad. a cura di N. Pesaro (Roma: Lantana, 2013).
Esperienza di morte

Commemorando il primo anniversario del Quattro Giugno

1

Il Monumento2)Il Monumento agli Eroi del Popolo sorge sin dal 1958 nel centro di Piazza Tian’an Men. scosso dai singhiozzi
le venature del marmo intrise di sangue
fede e giovinezza riverse sotto
la ruggine di un cingolato
L’antica storia orientale
stilla improvvisa freschezza
L’immensa corrente umana scompare man mano
come un fiume che pian piano inaridisce
E il paesaggio sulle due sponde impietrisce
Tutte le gole soffocate dal terrore
tutti i tremiti si disperdono insieme al fumo della polvere da sparo
Solo l’elmetto d’acciaio del boia
luccica

2

Non riconosco più la bandiera
che come un bambino irragionevole
si getta sul cadavere della mamma
Torno a casa piangendo e non distinguo più il giorno e la notte
Il tempo sbigottito dagli spari
come in stato vegetativo e senza memoria
La bocca del fucile premuta contro la mia schiena
ho perso carta d’identità e passaporto
Nell’alba aizzata dalla baionetta
il mondo un tempo familiare
non trova una manciata di terra
in cui seppellirsi
Un cuore nudo
cozza contro l’acciaio
La grande terra senz’acqua e senza verde
si lascia calpestare dal sole

3

Aspettano, sì
Aspettano che il tempo tessa raffinate menzogne
Aspettano l’attimo in cui diventeranno belve
Fino a che
le dita diverranno artigli
gli occhi canne di fucili
i piedi diverranno cingoli
l’aria diverrà un ordine
È qui
finalmente è qui
l’ordine atteso per cinquemila anni
Fuoco… uccidete
Uccidete… fuoco
Petizioni di pace e indifesi
capelli bianchi con le stampelle e manine afferrate al bavero di una giacca
non potranno mai convincere il boia
Gli occhi ardono rossi
Le canne dei fucili sparano rosse
Le mani si tingono di rosso
Un proiettile
Un empito torbido
Un crimine
Un’impresa eroica
Quanto serenamente
la morte così giunge
Quanto facilmente
la bestia trova soddisfazione
I giovani soldati
forse hanno appena indossato l’uniforme
Non hanno ancor mai provato
l’ebbrezza d’esser baciati da una ragazza
Eppure in un batter d’occhio
hanno gustato sete di sangue
uccidendo han dato inizio alla loro giovinezza
Loro
non vedono il sangue che intride le gonne
non sentono le grida di chi lotta
La durezza degli elmetti non sente la fragilità della vita
Loro non sanno
che un vecchio stolto
sta trasformando l’antica capitale
in una nuova Auschwitz
Crudeltà e male sorgono da terra
splendenti come piramidi
Mentre la vita sprofonda nell’abisso
non si sente alcun’eco
Il massacro scolpisce la tradizione di un popolo
lunga come l’eternità, come una lingua abbandonata
dà il suo ultimo addio

4

Avrei voluto unirmi sotto il sole
al corteo dei martiri
con l’unico sottile osso rimasto
sostenere la loro fede devota,
Eppure, il Cielo non poteva certo
rivestire d’oro le vittime sacrificali
Un branco di lupi sazi di cadaveri
nel tepore meridiano
colmi di gioia festeggiano
Lontano
ho esiliato la vita
in un luogo senza sole
Fuggendo l’era di Cristo
non oso incontrare lo sguardo sopra la croce
Da una sigaretta a un piccolo cumulo di ceneri
mi sono inebriato del vino dei martiri
credendo da questa primavera
sbocciasse un broccato di fiori colorati
Notte fonda, vastità della strada deserta
Tornando a casa in bicicletta
sosto al chiosco delle sigarette
La bicicletta travolta dalla macchina che mi segue
Certi energumeni m’hanno bloccato
ammanettato, bendato gli occhi, tappato la bocca
gettandomi in un furgone diretto chissà dove
Dopo un tremito istantaneo,
mi risveglio all’improvviso
Al telegiornale della televisione di stato
il mio nome è divenuto “l’oscuro manipolatore arrestato”
Mentre le bianche ossa di anonimi
svettano nell’oblio
sono stato sollevato in alto da menzogne autofabbricate
A chiunque incontro, racconto d’aver sperimentato la morte
Come se “oscuro manipolatore” fosse una medaglia al valore
Sebbene sappia
che la morte è una misteriosa incognita
e che da vivi non è possibile sperimentarla
mentre da morti
non ci è più dato di sperimentarla
tuttavia
volteggio ancora nella morte
volteggio sprofondando
Infinite notti dietro finestre sbarrate
E tombe sotto la luce delle stelle
svelate dai miei incubi
Oltre alle menzogne
non possiedo nulla

 

Pechino, 1 giugno 1991, notte fonda,
Ai diciassette anni

Commemorando il secondo anniversario del Quattro giugno

Premessa: senz’ascoltare le raccomandazioni dei genitori sei scappato dalla finestra del bagno; quando sei caduto stringendo in pugno la bandiera avevi solo diciassette anni. Io invece sono ancora vivo, e ne ho già trentasei. Davanti alla tua anima volata via, sopravvivere è un crimine, scriverti una poesia è ancor più ragione di vergogna. Tacciano i vivi, ascoltando il racconto delle tombe. Non son degno di scriverti una poesia. I tuoi diciassette anni superano ogni creazione del linguaggio e dell’artificio umano.

Son vivo
E godo d’una certa notorietà
ma non ho il coraggio né le qualifiche
per presentarmi innanzi al sorriso dei diciassette anni
stringendo fra le mani un mazzo di fiori o una poesia
Lo so
a diciassette anni non c’è nulla di cui lamentarsi
I diciassette anni mi dicono
che la vita è semplice e disadorna
come un deserto sconfinato
Si può sopportare la ferocia del sole
senza bisogno d’alberi o d’acqua
senza bisogno di fiori con cui ornarsi
Diciassette anni cadono sulla via
e la via scompare
Diciassette anni assopiti
per sempre nel fango
quieti come un libro
Diciassette anni venuti al mondo
senza nessun desiderio se non
un’età immacolata
Quando i diciassette anni cessano di respirare
miracolosamente non c’è disperazione
il proiettile trafigge le montagne
lo spasmo conduce alla pazzia il mare
Quando tutti i fiori hanno solo
un unico colore
diciassette anni non disperano
non possono disperare
Diciassette anni consegnano l’amore incompiuto alla madre incanutita
Quella madre che aveva rinchiuso
i tuoi diciassette anni dentro casa
Quella madre che sotto la bandiera rossa a cinque stelle
ha visto spezzarsi la sua preziosa discendenza
si è riscossa davanti al tuo sguardo morente
Con il testamento dei diciassette anni
ha visitato tutte le tombe
e ogni volta che stava per cadere
i diciassette anni
la sorreggevanole indicavano la strada
con il respiro di un’anima volata via
Superata l’età
superata la morte
diciassette anni
sono già eternità

 

Pechino, 6 giugno 1992
La piazza soffocata

Commemorando il terzo anniversario del Quattro giugno

Questa piazza, la più grande del mondo
trabocca di uomini e grida
Solo un istantee la fuga si spande come mercurio riversato a terra
oltre al terrore
c’è solo lo spazio aperto
Nel pallore dei martiri
gli elmetti di ferro danzano con la luce del mattino
gli uomini giudicati da dio
attraverso una finestra
apprezzano il calice dell’alba
colmo d’un liquido violaceo
Gli uomini che arditi attraversano la piazza
potrebbero attraversare a piedi il sistema solare
Una volta arse, le ceneri
diventano tiepide parole
frutti acerbi
maturati nella morte
donati
A una donna che non ha bisogno di rose
La cui voce illumina l’inferno
Affronta l’assalto del cingolato
in piedi immobile
agitando il morbido braccio
come un rosso ombrello in un giorno di pioggia
Nell’attimo in cui cade
tutt’attorno una distesa vuota
una cartaccia gettata da chissà chi
piove sul suo seno sporgente
poi, sollevata da un colpo di vento
ricopre le sue snelle braccia
Anche se lei non aveva mai letto la Bibbia
Dio non avrebbe dovuto abbandonarla
sul bordo di una strada ingombra di rifiuti
Nei sogni dei ragazzi
i suoi capelli svolazzanti
non meritavano d’esser impiastricciati dal sangue
Se fosse un’altra primavera
lei e il fidanzato passeggerebbero
per la piazza mano nella mano
Lei forse non si sarebbe
meravigliata
dell’insetto calpestato per caso
In quest’attimo, le sue labbra sanguinanti
sbigottiscono gli insetti sotto terra
che esitanti protendono le tenaglie
ma afferrano solo odore di sangue
La piazza svuotata dalla morte
per un potere assoluto
ha soffocato tutte le vite
La ragazza plasmata dalla morte
per un solo verso di pura poesia
ha rinunciato a ogni scrittura

 

A casa, a Pechino, 18 maggio 2005
Ricordare le anime dei defunti

Commemorando il sedicesimo anniversario del Quattro giugno

1

Una notte di sedici anni dopo
i gigli della cerimonia diventano incubi
le ferite come un pensiero lacerato
raccontano balbettando la storia della tomba
Quell’attimo di sedici anni fa
il mondo era un agnello
ha permesso una folle carneficina
il Cielo senza parole per lo sgomento
si limitava a piangere sospiri silenziosi
Non riesco più a sentire
slogan e giuramenti che si riverberano in cielo
Le voci sembrano sordomuti dalla nascita
Non riesco a sentire il fischio delle pallottole
né a esprimere il terrore davanti ai cingolati
Non riconosco più
quei giovani volti
anime afflitte dalla sete e dalla fame si gettano sul petto materno
ma non riescono a succhiarne il latte
Non conosco più il tempo
Non distinguo la notte dal giorno
Nella storia millenaria
una stella cadente non riesce a trovare la propria tomba

2

Nel mercimonio tra potere, mercato e anime
le tracce di sangue ripulite dal denaro
sterminio spirituale
La celebrazione che agghinda il boia
inizia con un bagno di sangue
e finisce con i resti del banchetto di carne umana
Sincerità e dignità
amore materno e compassione
sono cadaveri scuoiati
Le luminose vie del centro e la folla spensierata
una vergogna sempre più raffinata
Spruzzi di SARS
pervadono l’aria
Un popolo asmatico
non riesce a respirare in primavera
Crimini e oltraggio a cavallo del secolo
fioriscono come broccato
gridano alto lo slogan “rinascita della nazione”
levano alto lo striscione “boicottate le merci giapponesi”
Canticchiano l’adolescenza fichissima degli F43)Popolare gruppo musicale di giovanissimi ragazzi taiwanesi.
mista ai sassi e alle bottiglie lanciati contro i pirati giapponesi
d’un tratto si servono di studentelli smorfiosi
diretti del Primo Imperatore dei Qin
Per cantare in coro: “Lien Chan, sei tornato!”4)Lien Chan è stato premier della Repubblica di Cina (Taiwan) nel 1993-97. Il verso si riferisce a una canzone cantata in una scuola elementare in occasione della sua visita in Cina nel 2005.
La crudele primavera di sedici anni fa Rivestita di patriottismo
perpetua la sua crudeltà

3

L’oscurità è acqua
senza un minimo spiraglio
un mare di menzogne
Le anime dei defunti sono luce
che ogni tanto illumina
ma può anche trafiggere
Quando il terrore e l’oblio devastano
una folla di madri che hanno perduto i figli
in un’epoca sconvolta
eseguono un testamento sconvolto
Capelli canuti con l’espressione dei capelli neri in punto di morte
cercano tutte le tombe
Ogni volta che stanno per cadere
le giovani anime nere dei defunti
sorreggono le donne dai capelli bianchi
lungo la strada dove anche le lacrime sono pedinate

4

Ricorda le anime dei defunti dai capelli neri
che sorreggono le madri dai capelli bianchi
Se mi incatenano i piedi, striscerò verso di te con le dieci dita
Se mi legano le mani, striscerò verso di te sui ginocchi e il mento
Se mi spezzano le gambe, ti sosterrò con le ossa spezzate
Se mi stringono la gola, ti chiamerò col fiato mozzo
Se mi sigillano le labbra, ti bacerò con la punta del naso
Se mi spaccano i denti, ti morderò con le gengive
Se mi strappano i capelli, ti ecciterò con la mia calvizie
Se mi cavano gli occhi, ti fisserò dalle orbite vuote
Se mi corrodono il corpo, ti abbraccerò col mio odore
Se mi stritolano il cuore, ti ricorderò con le mie fibre

 

A casa, a Pechino 18 maggio 2009
Il Quattro giugno nel mio corpo

Commemorando il ventesimo anniversario del Quattro giugno

Questa data
sembra sempre più lontana
ma per me
è un ago nel mio corpo
è un gruppo di madri che hanno perduto i figli
Nel ricucire l’oblio di un sogno reciso
cerca da sempre un paio di mani
per sostituire il lavoro delle madri
Quest’ago
ha frugato in tutto il mio corpo
spesso navigando ai margini del mio cuore
Ascolta attentamente i suoi battiti
Ogni tanto
con la punta l’ago ne prova a toccare la superficie
trafigge un’infinità di impulsi e desideri troppo ingenui
Quest’ago
A lungo rimasto ai margini del mio cuore
ha deciso di trafiggerlo con tutte le forze
porre fine a tutti i crimini
Nell’attimo prima d’agire
esita
non osando proseguire
Sa che la vita è fragile
non sa trattenersi dal pungerla leggermente
Deve lasciare un piccolo margine, un piccolo lasso di tempo
in cui il sangue assorba ogni traccia di ruggine
Quest’ago
indugia
solo perché
non ha trovato quel paio di mani
Per suo istinto l’ago è brutale
vorrebbe perforare ogni cosa
nutrire col sangue la sua punta affilata
Le sue tracce di ruggine penetrano nel sangue
La circolazione sanguigna illividisce la pelle
Quest’ago
è rimasto nel mio corpo
per una sola semplice ragione
cercare una mano
Per stabilire la sua eterna moralità
non permette ai deboli nervi di tremare devastati
La sua punta diviene custode della coscienza
Il destino mi ha consegnato a lui
Prima o poi morirò a causa sua
proprio come l’inverno consegna una goccia d’acqua al ghiaccio
o come l’estate consegna un occhio al sole ardente
Adesso, in quest’attimo
sento la sua punta affilata e tagliente
che illumina le mie viscere
penetrando scivola e lava via la debolezza
Quest’ago
È ormai abituato ai miei pensieri sconnessi d’insonne
ai miei discorsi nel sonno
Ieri notte mi sono svegliato
e ho udito il suo nitido rumore
momentaneo e meraviglioso
come un arcobaleno nel corpo
in un cielo addensato di nuvole scure
è più longevo della mia scrittura
E è pieno di vigore
Naviga spensierato nel mio corpo
a ogni inavvertito contatto
più tagliente si fa il suo bagliore
più incrollabile la sua legittimità
Nel mio corpo
vi è un angolo morto assai desolato
Quest’ago
Strappa lamenti ai cadaveri
Fa sì che occhi incapaci d’aprirsi nel buio penetrino ogni cosa,
lo sguardo fisso
Il male dilatato non s’accontenta di quell’angusto angolino
vuole scendere nel cuore delle memorie
Quegli attimi di tradimento
per la falsa eccitazione mascherata da giustizia
La mia anima si separa dal cuore
come il sordido organo riproduttore di un dongiovanni
ha insozzato la purezza di quella notte
Com’è freddo!
L’ago, circola senza una meta
capace di trasformare in ghiaccio il sangue
La morte profanata
come un cimitero saccheggiato
Davanti alle lapidi di marmo la fiamma delle candele balza in fondo agli occhi
Potrà sciogliere l’ago?
La punta acuminata nel corpo può diventare fiamma
e riscaldare la notte ai piedi di ogni lapide?
Attendo che quella mano
con la paziente tenacia di ricucire il sogno reciso
con l’ago trafigga il mio cuore
Il dolore della carne e il grido piangente dei nervi
avvelenano il pensiero
sublimando la poesia

 

Mattino5)Questa e la poesia successiva sono tratte da Cinque poesie per Liu Xia, la cui traduzione è tratta da Liu Xiaobo, Elegie del Quattro giugno.

Tra l’alto muro grigio
il rumore di verdure tagliate
il mattino affastellato e reciso
sciolto dalla fiacchezza dell’anima
Come può la differenza tra luce e oscurità apparire
attraverso le mie pupille
Seduto tra resti di ruggine non so dire
se sia la luce dei ceppi della prigione
o l’energia della natura oltre il muro
A un sole arrogante il tradimento del giorno provoca
infinito stupore
Nell’inutile vastità del mattino
tu, lontana
custodisci le notti d’amore

30 giugno 1997

 

Un prigioniero bramoso

Un prigioniero
si è indebitamente impossessato della tua vita
così bramoso e crudele
che non ti permette di acquistare
un mazzo di fiori o un pezzo di cioccolato
per te stessa
un bel vestito
Non ti dona il tempo
nemmeno un minuto
Ti considera come la sigaretta che ha tra le dita
e che fuma fino in fondo
Nemmeno la sua cenere ti appartiene
Lui sta in una prigione del Partito comunista
e ha costruito per te un carcere spirituale
senza porte né finestre
senza nemmeno uno spiraglio
Ti ha rinchiuso nella solitudine
ad ammuffire
Ti costringe a sopportare ogni notte
le accuse dei cadaveri
Controlla la tua penna
ti fa scrivere lettere senza sosta
Ti fa cercare disperatamente una speranza
La tua sofferenza è calpestata fino a diventare
l’unico piacere nella sua noia
Il tuo uccellino
si è smarrito tra le linee complicate
del palmo della sua mano
avviluppato da quattro linee
ognuna delle quali
ti ha ingannato
Quest’arrogante tiranno
ha depredato il tuo corpo
t’ha incanutito i capelli in una notte
creando la sua favola e il suo mito
Quando crede di aver compiuto perfette buone azioni
tu sei rimasta a mani vuote
a stringere forte il tuo vuoto futuro
È di nuovo ora
eccolo di nuovo a dare ordini
e tu di nuovo devi avviarti da sola
senza un corpo senza memorie
con la tua vita svuotata
avviarti per strada col peso
dei libri da portargli
Lui abile ad approfittare delle occasioni
non rinuncia mai
a privarti delle tue
Cara
moglie mia
fra tutte le cose meschine
di questo effimero mondo
perché mai
hai scelto di sopportare me

23 luglio 1999

 

Poesia e memoria 

In Liu Xiaobo, poeta e intellettuale cinese nato nel 1955, Premio Nobel per la Pace nel 2010, le ombre delle madri alla vana ricerca di una tomba, i volti dei carnefici giovani quanto e più delle loro vittime, «l’odore di polvere» e di sangue, «il vuoto delle memorie» del 4 giugno 1989 hanno lasciato tracce profonde che cospargono lo sguardo di «ferite come un pensiero lacerato». È la testimonianza lucida e disperata, ritualizzata per vent’anni a ogni anniversario del tragico eccidio di studenti e cittadini qualsiasi, raccolta in queste Elegie commosse ma irriducibili nella volontà di memoria. Il poeta si descrive, infatti, come dolorosamente percorso da un ago che, circolando nelle sue vene, tenta attraverso le parole di «ricucire l’oblio di un sogno reciso». È l’urgenza di non dimenticare che lo spinge a denunciare la «solenne menzogna» del potere e una crudele tradizione di violenta sopraffazione che si annida nella millenaria cultura cinese. Come Lu Xun (1881-1936) e il suo accorato appello «salvate i bambini!», a distanza di quasi un secolo anche Liu Xiaobo si interroga sulle ragioni di questo ciclico sacrificio umano, sulla malattia genetica di una civiltà cannibale che divora i propri figli, «giovane erba immatura». Da messaggio politico di resistenza (Liu sta scontando una condanna a otto anni per istigazione alla sovversione del potere dello Stato), la poesia si fa riflessione dolente sulle ragioni della morte e della sofferenza, sul senso di colpa dei sopravvissuti e sulla facile smemoratezza del popolo, barattata al prezzo di un corrosivo benessere economico. A tali sgomente domande sul tradimento delle «anime dei defunti» e sul destino della propria gente, Liu Xiaobo sembra non poter dare risposte definitive, se non la memoria e, sorprendentemente, l’amore, la tenerezza incrollabile per la moglie, Liu Xia, cui offre, unico dono dal carcere, la forza dei sentimenti e delle convinzioni: «Se mi cavano gli occhi, ti fisserò dalle orbite vuote / Se mi corrodono il corpo, ti abbraccerò col mio odore / Se mi stritolano il cuore, ti ricorderò con le mie fibre». Nelle ultime poesie incluse nella raccolta, a lei dedicate, si consustanzia la verità poetica e umana del testo, ode civile di intenso valore storico, ma anche voce limpida di autentica letteratura.
Scritte fra il 1990 e il 2009, le poesie ripercorrono un sentiero desolato e tormentato di analisi già compiute dallo scrittore nei suoi numerosi saggi di carattere letterario, storico, politico e filosofico. Una produzione vasta e di ampio respiro culturale – solo in parte tradotta in una selezione pubblicata in varie lingue, con il titolo No Hatred No Enemies (Monologhi del giorno del giudizio, in italiano) – rispetto alla quale le Elegie del Quattro Giugno costituiscono una sintesi lirica di raro equilibrio tra denuncia e canto. Liu Xiaobo riesce a liberare lo spirito poetico dai pesanti ceppi della lotta politica, superando i limiti spazio-temporali della Primavera di Pechino in una rappresentazione che restituisce a Piazza Tian’an men e alle sue vittime il senso sacro e universale della storia. Il valore delle Elegie risiede proprio nel rendere omaggio ai protagonisti sconosciuti della tragedia, studenti e cittadini colpiti per strada e spesso rimasti senza riconoscimento, madri e parenti cui nessun conforto, nessun risarcimento, nemmeno quello del ricordo è stato concesso, spostando su di loro i riflettori che i media solitamente concentrano invece sulle figure politiche di spicco. L’altro profondo significato del testo è la critica storico-culturale portata da Liu Xiaobo al suo Paese, una pessimistica lettura che riassume, in tono satirico e spesso ruvido, le sue riflessioni sulla conformazione autoritaria e repressiva del potere politico in Cina e sugli effetti negativi di un eccezionale e rapido sviluppo economico nel sostituire una forma di materialismo a un’altra senza soluzione di continuità. Non si sottrae al confronto, anche provocatorio, tra le civiltà, e al tema religioso della morte e del martirio unisce la religione civile della memoria nel tentativo di aprire uno spira- glio di pietas tra le pieghe di una realtà storica e politica cui tale valore sembra estraneo.
Sul piano squisitamente letterario, le Elegie si presentano non come una teoria retorica di testi poetici collegati tra loro dall’atto commemorativo, ma assumono piuttosto l’intensità e l’unitarietà organica di un piccolo poema; la densità lessicale, il ritmo narrativo e incalzante, la potenza delle immagini concrete e simboliche evocate richiamano esperienze poetiche di diversa origine. Se un riferimento si può convintamente fare alla poesia civica tradizionale, Liu Xiaobo tuttavia si distacca dal motivo antico del funzionario ingiustamente esiliato e che lamenta le sofferenze del popolo; il suo rifiuto dei tradizionali rapporti di potere tra suddito e sovrano è categorico. Suo modello non è il canto romantico di Qu Yuan (340-278 a.C.), poeta esiliato, bensì la voce aspra e inflessibile di Lu Xun: benché di quest’ultimo Liu non condivida la disperata negazione di una risposta religiosa al dolore umano, il suo canto civile sulle anime dei defunti di Tian’an men ne evoca senza dubbio questi versi: «Sì, le anime dei giovani mi si erigono davanti: sono diventate aspre, o lo diventeranno; eppure amo queste anime che sanguinano e soffrono in silenzio, perché mi fanno sentire che sono al mondo, che sono vivo fra gli uomini».
Il corpo dello scrittore e la sua voce, confinati dietro sbarre fisiche e spirituali, sono materia e fonte di poesia, ma soprattutto lo sono gli sguardi e gli affetti: «Lo sguardo era acuto, tagliente più di una falce affilata», scriveva Osip Mandel’štam (1891-1938), anch’egli segregato in una cella per ragioni politiche; sembra fargli eco Liu, il cui «sguardo cosparso di cicatrici», «soffocato dalla benda» diviene lo «sguardo indignato del mondo». E quando nella dedica affettuosa alla compagna sottoposta alla crudele lontananza della prigione, Liu mormora «e tu di nuovo devi avviarti da sola / senza un corpo / senza memorie / con la tua vita svuotata / avviarti per strada col peso / dei libri da portargli», rammentiamo le parole del poeta russo: «Le tue gracili spalle si arrosseranno, sotto fruste e flagelli / …bruceranno nel gelo… /E io per te brucerò come una candela color pece / brucerò come una candela e non oserò dir preghiere», e di nuovo, in questo dialogo impossibile tra poeti, la voce di Liu Xiaobo: «Seduto tra resti di ruggine non so dire / se sia la luce dei ceppi della prigione […] Nell’inutile vastità del mattino / tu, lontana / custodisci le notti d’amore».

Nicoletta Pesaro

Maggio 2013

immagine: Liu Xiaobo, foto di Nicoletta Pesaro

Poesia e memoria PDF

References
1 Questa e le seguenti quattro poesie sono tratte da Liu Xiaobo, Elegie del Quattro giugno, trad. a cura di N. Pesaro (Roma: Lantana, 2013).
2 Il Monumento agli Eroi del Popolo sorge sin dal 1958 nel centro di Piazza Tian’an Men.
3 Popolare gruppo musicale di giovanissimi ragazzi taiwanesi.
4 Lien Chan è stato premier della Repubblica di Cina (Taiwan) nel 1993-97. Il verso si riferisce a una canzone cantata in una scuola elementare in occasione della sua visita in Cina nel 2005.
5 Questa e la poesia successiva sono tratte da Cinque poesie per Liu Xia, la cui traduzione è tratta da Liu Xiaobo, Elegie del Quattro giugno.