1. “Il sogno cinese è anche il sogno del buddhismo”

Già nel novembre del 2013, in occasione della sesta Assemblea dell’Associazione buddhista dello Hunan, Shenghui 聖輝 (1951-), l’influente abate del monastero Nanputuo 南普陀寺, teneva un discorso dal titolo “Il sogno cinese è anche il sogno del buddhismo” (Zhongguo meng ye shi fojiao de meng 中國夢也是佛教的夢), auspicando un impegno concreto degli ambienti buddhisti per la realizzazione dell’agognato sogno nazionale.1)Shenghui 聖輝, “Zhongguo meng ye shi fojiao de meng” 中國夢也是佛教的夢 (Il sogno cinese è anche il sogno del buddhismo), Xianggang wenhuibao 香港文匯報, 12, 2013. Non erano trascorsi che pochi mesi dalla proclamazione della linea politica del sogno da parte di Xi Jinping 習近平. Analogamente, nel giorno stesso della propria elezione (aprile 2015) il Presidente dell’Associazione buddhista della Cina Xuecheng 學誠 (1966-) ribadiva la profonda consonanza tra i valori buddhisti e i principi del “sogno cinese” e invitava tutti i buddhisti a contribuire alla sua realizzazione, legandola al grande risorgimento della Cina e allo sviluppo del soft power culturale del paese.2)“Xuecheng fashi dangxuan Zhongguo fojiao xiehui huizhang” 學誠法師當選中國佛教協會會長(Il Maestro Xuecheng è stato eletto Presidente della Associazione buddhista della Cina), Zhongguo xinwen wang 中國新聞網, 21/4/ 2015.
Anche il buddhismo, quindi, almeno nelle sue espressioni ufficiali, raffigura oggi il futuro nei termini politici e propagandistici del “sogno cinese”, di cui Marco Fumian ci fornisce un’approfondita analisi in queste stesse pagine. Come dimostrano i casi di Shenghui e Xuecheng, gli esponenti più in vista dell’Associazione buddhista cinese non hanno tardato a fare proprio lo slogan del sogno, nell’ennesimo dichiarato tentativo di porsi sulla scia delle politiche governative per trarne il massimo possibile beneficio ribadendo la consonanza di intenti e vedute con le autorità dello stato.3)Sul buddhismo di tradizione cinese, il suo spirito collaborativo con le autorità statali e il suo potenziale utilizzo come strumento di soft power culturale, si veda in particolare Zhe Ji, “Chinese Buddhism as a Social Force. Reality and Potential of Thirty Years of Revival”, Chinese Sociological Review, 45, 2, 2012, 8-26, e André Laliberté, “Buddhist Revival under State Watch”, Journal of Current Affairs, 40, 2, 2011, 107-134. È nella stessa ottica che va letta, a mio avviso, l’entusiastica adesione di una parte del mondo buddhista all’idea della ‘nuova via della seta’ nell’ambito della politica One Belt One Road, di cui mi sono già occupata altrove.4)Ester Bianchi, “Itinerari buddhisti lungo la Via della Seta dal I secolo ai giorni nostri”, in Louis Godart e Maurizio Scarpari (a cura di), Dall’antica alla nuova Via della Seta (Loreto: s.e., 2016), 115-127.
A ben vedere, tuttavia, l’appropriazione del concetto del sogno da parte del mondo buddhista non è poi così priva di fondamento. Essa si ricollega invece a una visione del buddhismo sviluppatasi durante la prima metà del secolo e imperniata sulla necessità di un coinvolgimento del clero nelle questioni mondane.
La nostra immagine di apertura, in cui sono raffigurati dei monaci che si incamminano verso un futuro radioso, è la copertina dell’episodio “Sogno cinese” nel fumetto “Le parole del cuore del Maestro Xuecheng”, un’iniziativa editoriale di soft power culturale promossa dal monastero Longquan 龍泉寺 di Pechino.5)“Xuecheng 學誠, “Zhongguo meng” 中國夢 (Il sogno cinese), in Xuecheng fashi xinyu 學誠法師心語 [Le parole del cuore del Maestro Xuecheng] (Beijing: Longquansi, 2015). Video disponibile alla pagina web: http://fo.sina.com.cn/video/2015-11-02/doc-ifxkhqea2958218.shtml Il testo del dialogo riporta lo scambio di battute tra cinque monaci confratelli:

Xian Primo: “Con il nuovo anno voglio approfondire ulteriormente lo studio del canone buddhista”;
Xian Terzo: “Io continuerò a promuovere opere di beneficienza”;
Xian Quarto: “Io voglio amare ogni singolo essere umano del mondo”;
Xian Quinto: “… e anche ogni piccolo animale, formiche incluse”.
Xian Primo: “E tu, Xian Secondo, quali sono i tuoi propositi per il nuovo anno?”
Xian Secondo: “Lanciare sul mercato il gelato di Xian Secondo”.
Uno dopo l’altro i confratelli cadono a terra increduli.
Xian Secondo: “Com’è che vi sorprendete tanto? Desidero solo essere più vicino alla gente sulla terra!”

Il messaggio è chiaro: per contribuire alla realizzazione del “sogno cinese” i religiosi devono avvicinarsi alla società esterna. Occorre precisare, tuttavia, che – come suggerisce assai chiaramente la nostra immagine – l’obiettivo da raggiungere non è esclusivamente il concreto impegno sociale di monache e monaci. Se questo vale per il presente, il futuro si delinea come qualcosa di più ambizioso, in cui per i buddhisti cinesi il ‘sogno’ sembra fondersi con l’ideale della “terra pura tra gli uomini” (renjian jingtu 人間淨土).

2. Un buddhismo per il mondo per la costruzione di un futuro migliore

La consonanza di intenti e ideali fra il sogno nazionale e il “buddhismo per il mondo” (renjian fojiao 人間佛教)6)Renjian fojiao è stato reso variamente in lingua inglese come “Humanistic Buddhism”, “Engaged Buddhism”, “This-Worldly Buddhism”, or “Buddhism in/for this World”. è stata presto riconosciuta da buddhisti e studiosi del buddhismo in Cina.7)Per un’analisi, non priva di una coloritura ideologica, della vicinanza tra il “sogno cinese” di Xi Jinping e il buddhismo cinese, si vedano gli studi di Fang Litian 方立天, “Zhongguo fojiao yu Zhongguo meng” 中國佛教與中國夢 (Il buddhismo cinese e il sogno cinese),Zhongguo zongjiao 中國宗教, 12, 2013, 30-33, e di Li Hujiang 李湖江, “Fojiao meng yu Zhongguo meng” 佛教夢與中國夢 (Il sogno buddhista e il sogno cinese), Fayin 法音, 7, 2014, 41-43. Tra i convinti sostenitori di questa idea spicca il nome di Xingyun 星雲 (1927-), abate del noto Foguanshan 佛光山 di Taiwan. In occasione della sua visita a Pechino nel febbraio del 2014, l’influente monaco taiwanese ha rimarcato quanto questo buddhismo impegnato “che ha lasciato i monasteri per entrare nella società e nelle famiglie” possa essere un utile sostegno alla realizzazione del “sogno cinese”.8)Xingyun 星雲, “Zhongguo meng yu renjian fojiao” 中國夢與人間佛教 (Il sogno cinese e il buddhismo tra gli uomini), Zhongguo zongjiao 中國宗教, 4, 2014, 56-57. Le sue parole sono state riprese dai media e riproposte in siti web e blog buddhisti, e sono divenute presto una visione condivisa nella Cina buddhista.
Il ruolo concesso a Xingyun in questa vicenda non è casuale. Impegnato nel riavvicinamento con la Cina continentale, egli è uno dei legittimi eredi di questa forma di modernismo buddhista che, nata in epoca repubblicana, fu in seguito bandita dalla Cina maoista ma poté continuare a svilupparsi a Taiwan. Oggi il “buddhismo per il mondo” è tornato alla ribalta anche a Pechino, sostenuto e privilegiato dalle autorità politiche e religiose del paese.
Negli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo Taixu 太虛 (1890-1947) e i suoi seguaci si fecero promotori di riforme del buddhismo più o meno radicali. Secondo la loro visione, i religiosi avrebbero dovuto ridurre i margini del proprio ritiro dal mondo per mettersi al servizio delle esigenze e dei bisogni della società esterna:9)Don A. Pittman, Toward a Modern Chinese Buddhism. Taixu’s Reforms (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2001).

Renjian Buddhism is … the Buddhism that, based on Buddhist principles, tries to reform society, so as to bring progress to humankind and advance the world.10)Taixu (1933), translated by Zhe Ji, “Zhao Puchu and His Renjian Buddhism”, The Eastern Buddhist, 44, 2, 2013, 35-58: 36. 

Un buddhismo impegnato, quindi, a cui Taixu si riferiva come “buddhismo per il mondo” o “buddhismo per la vita umana” (rensheng fojiao 人生佛教) e che avrebbe dovuto condurre alla costruzione di una “terra pura tra gli uomini”. Quest’ultimo concetto, che sarà ulteriormente sviluppato nella Taiwan della seconda metà del ventesimo secolo, era già teorizzata da Taixu come il risultato di una profonda riforma della società da realizzarsi attraverso l’applicazione dei principi morali buddhisti.
Il concetto della “terra pura tra gli uomini” sarà ripreso, subito dopo l’epoca maoista, anche nella Cina continentale, dove questa rappresentazione buddhista di un futuro prossimo tanto glorioso quanto concreto finirà con il legarsi a istanze politiche e obiettivi governativi. Nelle parole di Zhao Puchu 趙檏初 (1907-2000), all’epoca Presidente dell’Associazione buddhista di Cina:11)Zhao Puchu 趙檏初, “Zhongguo fojiao xiehui sanshinian” 中國佛教協會三十年 (Trent’anni di Associazione buddhista di Cina), 5/12/1983.  Per l’utilizzo del concetto di renjian fojiao e renjian jingtu nel buddhismo cinese dopo l’epoca maoista, vedi Ji, “Zhao Puchu”.

Il Buddha è nato in questo mondo e ha predicato il dharma per la salvezza degli esseri su questo mondo. Il dharma buddhista ha avuto origine su questo mondo ed è pertanto a esso che deve recare beneficio. Noi promuoviamo il “buddhismo per il mondo” … e ci assumiamo consapevolmente il compito di realizzare una “terra pura tra gli uomini”, contribuendo con la nostra luce e il nostro calore alla modernizzazione socialista, sublime impresa per adornare la terra nazionale e beneficiare gli esseri senzienti. 

3. La retorica del revival: guardare al passato per affrontare il futuro

Un discorso sulla visione del futuro da parte del buddhismo cinese moderno non può prescindere da un accenno al tema del “revival” o “rinascimento” (fuxing 復興), perché esso, attraverso la retorica del ritorno a modelli del passato, apre interessanti prospettive sul futuro. Per farlo, torneremo a interrogarci, per quanto concerne il buddhismo, sul rapporto fra modernità e passato già indagato in questo numero di Sinosfere da Amina Crisma.
I cosiddetti “due revival del buddhismo” dell’epoca moderna12)Ji Zhe 汲喆, Daniela Campo, Wang Qiyuan 王啟元 (a cura di), Ershi shiji Zhongguo Fojiao de liangci fuxing 二十世紀中國佛教的兩次復興 (I due revival del buddhismo nel ventesimo secolo) (Shanghai: Fudandaxue chubanshe, 2016). hanno comportato non solo la rivitalizzazione di un passato splendore, ma anche forme di rinnovamento e adattamento alle nuove circostanze storiche e sociali. Nel caso del restauro di templi e monasteri e del recupero del patrimonio materiale andato perduto durante le devastazioni della rivolta dei Taiping (1849-64) e della Rivoluzione culturale (1966-76) è possibile parlare di un vero e proprio ritorno al passato, ma questo sembra meno appropriato quando ci si vuole riferire in generale ai movimenti di rinascimento e riforma della prima metà del Ventesimo secolo e a quelli in atto nell’epoca contemporanea, considerata la portata dell’innovazione al loro interno.13)Raoul Birnbaum, “Buddhist China at the Century’s Turn”, China Quarterly, 174, 2003, 451-467.
Si noti inoltre che l’idea stessa di revival implica un precedente stato di sostanziale declino morale e spirituale della religione, un fatto che è stato messo in discussione dagli studi più recenti, almeno per quanto concerne la prima metà del Ventesimo secolo. Si è oggi propensi a credere che l’idea del presunto declino sia emersa dagli stessi membri del clero buddhista, che in questo modo potevano giustificare l’introduzione di riforme concepite per adattarsi alla modernità.14)Si vedano in particolare T. H. Barrett, “Rewriting the History of Modern and Contemporary Chinese-language Buddhism: Revivals and Renaissances Reconsidered” (paper presentato alla conferenza “The Vinaya Revival in 20th Century China and Taiwan”, Fu Jen Catholic University, Taipei, 21-22 Dicembre 2017) e Gregory Adam Scott, “Buddhist Building and the Buddhist Revival in the Work of Holmes Welch”, Studies in Chinese Religions, 3, 3, 2017, 204-219. Sul tema retorico del declino, vedi Erik Schicketanz, “Narratives of Buddhist Decline and the Concept of the Sect (zong) in Modern Chinese Buddhist Thought”, Studies in Chinese Religions, 3, 3, 2017, 281-300. In altri termini, come è spesso accaduto nella storia del buddhismo dell’Asia orientale, la nozione di declino è servita ancora una volta da incentivo a un processo di ammodernamento e riforma.
Per il buddhismo, declino e corruzione non sono altro che fasi inevitabili all’interno di una sequenza infinita di cicli di creazione e distruzione cosmica. Nell’epoca della “fine del dharma” (mofa 末法) in cui si trova il mondo è necessario dedicarsi con maggiore assiduità alla coltivazione spirituale, con una preferenza nel buddhismo cinese per la pratica della terra pura, che garantisce una sicura via di uscita e la rinascita nel paradiso di Amitābha.15)Charles Brewer Jones, “Foundations of Ethics and Practice in Chinese Pure Land”, Journal of Buddhist Ethics, 10, 2003, 2-20.
Ma se il futuro remoto si prefigura nei termini di un’ineluttabile catastrofe, è ammessa la possibilità di interrompere momentaneamente il processo di degenerazione, ripristinando lo splendore passato allo stesso modo che avveniva con le restaurazioni dinastiche (zhongxing 中興).16)Scott, “Buddhist building”, 212. Per quanto zhongxing implichi unicamente un ritorno a quanto è andato perduto, è proprio questa visione che apre la possibilità all’idea del revival (fuxing) così come alla creazione di utopie in terra.

4. “Once upon a future time”

Come recita il titolo del celebre volume di Jan Nattier, il primo studio esaustivo sulle profezie del declino del mondo e del dharma, la visione buddhista del futuro prevede un processo di inesorabile decadenza, destinata a culminare nella fine dei tempi, ma che è anche preludio di rinascita.17)Jan Nattier, Once upon a Future Time. Studies in a Buddhist Prophecy of Decline (Berkeley: Asian Humanities Press, 1991). Il tema è strettamente legato alla figura di Maitreya, il Buddha che risiede sulla terra pura di Tuṣita e che scenderà sul mondo durante la futura era cosmica. Il suo culto è tornato in auge in epoca moderna.
Va precisato che, nelle fonti canoniche, il declino del dharma comporta un lento e inesorabile tramonto della civiltà umana sino alla scomparsa della presente era, mentre l’avvento di Maitreya si ha non all’inizio bensì nel momento di maggior prosperità dell’era successiva. Tuttavia, le due visioni, scandite in origine da cronologie distinte, finirono col convergere nella Cina medievale, andando a riproporre la trama, già sviluppata in testi daoisti coevi,18)Erik Zürcher, “’Prince Moonlight”. Messianism and Eschatology in Early Medieval Chinese Buddhism”, T’oung Pao, 68, 1-3, 1982, 1-75. per cui la degenerazione dei tempi condurrebbe alla fine del mondo e al conseguente e immediato avvento di un salvatore instauratore di un ordine nuovo.
È su questa base che si svilupparono in Cina profezie sul prossimo avvento di Maitreya, che andarono a innestarsi, con varie tonalità millenaristiche ed escatologiche, su analoghe teorie cinesi per la fondazione di un’utopia in terra.19)Sulle tradizioni messianiche legate alla figura di Maitreya, vedi Max Deeg, “Das Ende des Dharma und die Ankunft des Maitreya. Endzeit- und Neue-Zeit-Vorstellungen im Buddhismus mit einem Exkurs zur Kāśyapa-Legende”, Zeitschrift für Religionswissenschaft, 7, 1999, 7, 145-169. Vedi anche Ester Bianchi, “La fine dei tempi nel Buddhismo cinese medievale: declino del dharma, avvento di Maitreya e salvezza degli eletti in Faxian e in altre fonti coeve”, in Stefano Beggiora (a cura di), Pralaya. La fine dei Tempi nelle tradizioni d’Oriente e d’Occidente (Aprilia: Novalogos Edizioni, 2014), 137-150.
Con queste premesse, non sorprenderà troppo scoprire che Taixu, il principale ideatore delle riforme moderniste, era anche un convinto devoto di Maitreya. Riprendendo una tradizione che era stata particolarmente in voga durante l’epoca medievale per essere poi oscurata dal culto di Amitābha, Taixu stabilì all’interno della propria comunità un rituale volto ad agevolare una rinascita sulla terra pura di Maitreya, in attesa di ridiscendere con lui sulla terra nell’era futura.
Questa “concessione alla tradizione” da parte di Taixu va piuttosto intesa secondo Justin Ritzinger come una “reinvenzione” del culto del Buddha futuro in chiave moderna.20)Justin Ritzinger, Anarchy in the Pure Land: Reinventing the Cult of Maitreya in Modern Chinese Buddhism (New York: Oxford University Press, 2017).  Taixu, che aveva militato in ambienti anarchici e socialisti, allo stesso modo di altri suoi contemporanei trovò nella tradizione legata al culto di Maitreya una consonanza con i valori morali socialisti appresi durante la giovinezza e che continuò a coltivare anche dopo avere preso le distanze dall’ideologia anarchica più radicale.
L’adozione del culto di Maitreya va quindi intesa come il riflesso di una scelta politica da parte di certi ambienti buddhisti a favore di un’etica attivista e rivoluzionaria. D’altro lato, il culto di Amitābha era privilegiato da monaci intenzionati a evitare forme di coinvolgimento politico e che ponevano l’accento sulla contemplazione, sui riti e sulla coltivazione, evitando per quanto possibile gli affari mondani.21)La linea di demarcazione fra i due gruppi non va enfatizzata eccessivamente, perché per la maggior parte i sedicenti modernisti erano inclini anche a pratiche tradizionali e monaci ritenuti più conservatori attuarono spesso riforme significative. Zhe Ji, “Buddhist Institutional Innovations”, in Goossaert, Vincent, Kiely, Jan e Lagerwey, John (a cura di), Modern Chinese Religion II: 1850-2015 (Leiden: Brill, 2015), 729-766. In entrambi i casi si presuppone la possibilità di una rinascita futura su una terra pura collocata in una dimensione altra, ma i primi, più vicini alle ideologie secolari, seppero sviluppare l’idea del revival sino a teorizzare la creazione di una terra pura su questo mondo.

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I diversi scorci aperti in questo saggio (sul sogno cinese, sulla “terra pura tra gli uomini”, sui due presunti revival e sul culto di Maitreya) ci consegnano un quadro piuttosto complesso e disomogeneo della visione del futuro nel buddhismo moderno e contemporaneo. Ad accomunarli è il motivo della convergenza tra una visione tradizionale del futuro e concezioni e ideologie moderne.
La componente potenzialmente sovversiva del culto di Maitreya fu presto oscurata nel buddhismo istituzionale (mentre la si ritrova all’interno delle più popolari “società di redenzione” come la Yiguan dao 一貫道), senza che questo abbia comportato l’oblio anche della visione utopica di un futuro migliore che essa sottendeva. La sua manifestazione più evidente, l’idea della costruzione di una terra pura sulla terra, per quanto innovativa affonda a sua volta le proprie radici in una tradizione ben consolidata del buddhismo cinese. Sopravvissuta e riproposta nella Cina di oggi, essa fornisce il presupposto dottrinale squisitamente buddhista per l’appropriazione di visioni del futuro secolari, siano esse la perfetta società socialista o il “sogno cinese”.

Immagine: “Sogno cinese” (Zhongguo meng 中國夢), da “Le parole del cuore del Maestro Xuecheng” (2015).

Futuro e utopie nel Buddhismo cinese moderno. PDF

Ester Bianchi insegna religioni e filosofia della Cina e società e cultura cinese all’Università degli studi di Perugia. La sua ricerca verte sulle religioni cinesi, che indaga con le modalità della ricerca filologica e storico-religiosa. Nei suoi studi analizza in particolare aspetti del Buddhismo cinese e sino-tibetano, adottando di preferenza una prospettiva diacronica che metta in dialogo il presente (Cina continentale e Taiwan) con il proprio passato (Cina imperiale e Repubblica di Cina).

References
1 Shenghui 聖輝, “Zhongguo meng ye shi fojiao de meng” 中國夢也是佛教的夢 (Il sogno cinese è anche il sogno del buddhismo), Xianggang wenhuibao 香港文匯報, 12, 2013.
2 “Xuecheng fashi dangxuan Zhongguo fojiao xiehui huizhang” 學誠法師當選中國佛教協會會長(Il Maestro Xuecheng è stato eletto Presidente della Associazione buddhista della Cina), Zhongguo xinwen wang 中國新聞網, 21/4/ 2015.
3 Sul buddhismo di tradizione cinese, il suo spirito collaborativo con le autorità statali e il suo potenziale utilizzo come strumento di soft power culturale, si veda in particolare Zhe Ji, “Chinese Buddhism as a Social Force. Reality and Potential of Thirty Years of Revival”, Chinese Sociological Review, 45, 2, 2012, 8-26, e André Laliberté, “Buddhist Revival under State Watch”, Journal of Current Affairs, 40, 2, 2011, 107-134.
4 Ester Bianchi, “Itinerari buddhisti lungo la Via della Seta dal I secolo ai giorni nostri”, in Louis Godart e Maurizio Scarpari (a cura di), Dall’antica alla nuova Via della Seta (Loreto: s.e., 2016), 115-127.
5 “Xuecheng 學誠, “Zhongguo meng” 中國夢 (Il sogno cinese), in Xuecheng fashi xinyu 學誠法師心語 [Le parole del cuore del Maestro Xuecheng] (Beijing: Longquansi, 2015). Video disponibile alla pagina web: http://fo.sina.com.cn/video/2015-11-02/doc-ifxkhqea2958218.shtml
6 Renjian fojiao è stato reso variamente in lingua inglese come “Humanistic Buddhism”, “Engaged Buddhism”, “This-Worldly Buddhism”, or “Buddhism in/for this World”.
7 Per un’analisi, non priva di una coloritura ideologica, della vicinanza tra il “sogno cinese” di Xi Jinping e il buddhismo cinese, si vedano gli studi di Fang Litian 方立天, “Zhongguo fojiao yu Zhongguo meng” 中國佛教與中國夢 (Il buddhismo cinese e il sogno cinese),Zhongguo zongjiao 中國宗教, 12, 2013, 30-33, e di Li Hujiang 李湖江, “Fojiao meng yu Zhongguo meng” 佛教夢與中國夢 (Il sogno buddhista e il sogno cinese), Fayin 法音, 7, 2014, 41-43.
8 Xingyun 星雲, “Zhongguo meng yu renjian fojiao” 中國夢與人間佛教 (Il sogno cinese e il buddhismo tra gli uomini), Zhongguo zongjiao 中國宗教, 4, 2014, 56-57.
9 Don A. Pittman, Toward a Modern Chinese Buddhism. Taixu’s Reforms (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2001).
10 Taixu (1933), translated by Zhe Ji, “Zhao Puchu and His Renjian Buddhism”, The Eastern Buddhist, 44, 2, 2013, 35-58: 36.
11 Zhao Puchu 趙檏初, “Zhongguo fojiao xiehui sanshinian” 中國佛教協會三十年 (Trent’anni di Associazione buddhista di Cina), 5/12/1983.  Per l’utilizzo del concetto di renjian fojiao e renjian jingtu nel buddhismo cinese dopo l’epoca maoista, vedi Ji, “Zhao Puchu”.
12 Ji Zhe 汲喆, Daniela Campo, Wang Qiyuan 王啟元 (a cura di), Ershi shiji Zhongguo Fojiao de liangci fuxing 二十世紀中國佛教的兩次復興 (I due revival del buddhismo nel ventesimo secolo) (Shanghai: Fudandaxue chubanshe, 2016).
13 Raoul Birnbaum, “Buddhist China at the Century’s Turn”, China Quarterly, 174, 2003, 451-467.
14 Si vedano in particolare T. H. Barrett, “Rewriting the History of Modern and Contemporary Chinese-language Buddhism: Revivals and Renaissances Reconsidered” (paper presentato alla conferenza “The Vinaya Revival in 20th Century China and Taiwan”, Fu Jen Catholic University, Taipei, 21-22 Dicembre 2017) e Gregory Adam Scott, “Buddhist Building and the Buddhist Revival in the Work of Holmes Welch”, Studies in Chinese Religions, 3, 3, 2017, 204-219. Sul tema retorico del declino, vedi Erik Schicketanz, “Narratives of Buddhist Decline and the Concept of the Sect (zong) in Modern Chinese Buddhist Thought”, Studies in Chinese Religions, 3, 3, 2017, 281-300.
15 Charles Brewer Jones, “Foundations of Ethics and Practice in Chinese Pure Land”, Journal of Buddhist Ethics, 10, 2003, 2-20.
16 Scott, “Buddhist building”, 212.
17 Jan Nattier, Once upon a Future Time. Studies in a Buddhist Prophecy of Decline (Berkeley: Asian Humanities Press, 1991).
18 Erik Zürcher, “’Prince Moonlight”. Messianism and Eschatology in Early Medieval Chinese Buddhism”, T’oung Pao, 68, 1-3, 1982, 1-75.
19 Sulle tradizioni messianiche legate alla figura di Maitreya, vedi Max Deeg, “Das Ende des Dharma und die Ankunft des Maitreya. Endzeit- und Neue-Zeit-Vorstellungen im Buddhismus mit einem Exkurs zur Kāśyapa-Legende”, Zeitschrift für Religionswissenschaft, 7, 1999, 7, 145-169. Vedi anche Ester Bianchi, “La fine dei tempi nel Buddhismo cinese medievale: declino del dharma, avvento di Maitreya e salvezza degli eletti in Faxian e in altre fonti coeve”, in Stefano Beggiora (a cura di), Pralaya. La fine dei Tempi nelle tradizioni d’Oriente e d’Occidente (Aprilia: Novalogos Edizioni, 2014), 137-150.
20 Justin Ritzinger, Anarchy in the Pure Land: Reinventing the Cult of Maitreya in Modern Chinese Buddhism (New York: Oxford University Press, 2017). 
21 La linea di demarcazione fra i due gruppi non va enfatizzata eccessivamente, perché per la maggior parte i sedicenti modernisti erano inclini anche a pratiche tradizionali e monaci ritenuti più conservatori attuarono spesso riforme significative. Zhe Ji, “Buddhist Institutional Innovations”, in Goossaert, Vincent, Kiely, Jan e Lagerwey, John (a cura di), Modern Chinese Religion II: 1850-2015 (Leiden: Brill, 2015), 729-766.