1. Quale cuore antico per il futuro cinese? 
Un problematico rapporto fra modernità e passato.

Come sottolinea Marco Fumian nel suo saggio introduttivo a questo numero di Sinosfere, il tema della costruzione del futuro nella Cina d’oggi include fra gli ingredienti essenziali della sua complessa configurazione un cruciale aspetto di ricostruzione del passato. Si tratta di una grande narrazione che, se è ovunque imprescindibile per qualsiasi progetto di imagined community, per richiamare ben note formulazioni di Benedict Anderson, in Cina assume, mi pare, una pregnanza affatto speciale, in virtù degli strutturali legami fra politica e cultura e dei nessi strettissimi fra memoria storica e progettualità politica che sono caratteristiche peculiari e di lunga durata dell’edificazione di ciò che chiamiamo sinità (zhonghuaxing 中华性) sin dai tempi dell’impero Han, e le cui premesse sono già chiaramente riconoscibili nel confucianesimo pre-imperiale, da Confucio a Xunzi. Il rapporto fra passato e futuro nella Cina contemporanea è dunque un nodo certamente ineludibile, e al contempo rappresenta un ambito densamente problematico, discusso e controverso: non si tratta insomma di un immobile, astratto, univoco dato, metastorico e metafisico, da contemplare sub specie aeternitatis, come piace ai noiosi turiferari di quel dogmatico essenzialismo culturale purtroppo così diffuso, ma – riprendo qui una bella formula di Heiner Roetz – di un multiverso campo di tensioni in cui entrano soggetti e processi multiformi. Esso è irriducibile, a mio avviso, alla schematica contrapposizione dualistica Oriente/Occidente entro la quale viene di solito ricondotto, bensì è sostanziato di una dialettica ambivalente e per certi aspetti paradossale: il legame con il passato, a ben vedere, viene oggi riaffermato sulla base di una sua preliminare negazione, poiché prima di essere solennemente (e selettivamente) monumentalizzato esso è stato a lungo sistematicamente distrutto e fatto oggetto di violenta iconoclastia durante la maggior parte del Novecento, e la fiera rivendicazione di una propria perenne identità da parte della Cina va di pari passo con il pieno dispiegarsi di un suo passaggio a Occidente (riprendo qui una pregnante espressione di Giacomo Marramao) a livello di economia in un orizzonte globalizzato di cui essa è non solo parte integrante, ma a tutti gli effetti protagonista centrale. Lo skyline di Shanghai, la Foxconn di Shenzhen e analoghi scenari alla Blade Runner sono emblemi eloquenti di quest’immane ristrutturazione su scala planetaria, in cui ad essere in gioco non è solo la visione del futuro della Cina, ma di quello dell’intero tianxia 天下, “tutto quanto sta sotto il cielo”. E dunque, chiedersi di quale natura sia il cuore antico che si attribuisce al futuro cinese è tutt’altro che una questione di mera erudizione, ma una domanda che ci riguarda tutti da vicino.
Un modo per cercare di rispondervi è riaprire le antiche fonti confuciane e porle a confronto con le loro attuali reinterpretazioni nell’odierno dibattito interculturale. È quanto ho tentato di fare già qualche anno fa in un mio saggio, “Idee di futuro nelle tradizioni di pensiero cinesi” apparso nel 2010 sul Giornale critico di storia delle idee,1)Amina Crisma, “Idee di futuro nelle tradizioni di pensiero cinesi”, Giornale critico di storia delle idee, 2, 3, 2010, 191-206 (www.giornalecritico.it). e anche tramite alcune recenti iniziative di confronto interdisciplinare che ho promosso, come quello che si è sviluppato nel 2016 sulla rivista Inchiesta a partire da Ritorno a Confucio di Maurizio Scarpari;2)“Dove sta andando la Cina d’oggi? Dibattito su Ritorno a Confucio”, a cura di Amina Crisma, www.inchiestaonline.it, gennaio/aprile 2016 (con interventi di Umberto Bresciani, Marco Fumian, Ester Bianchi, Attilio Andreini, Giangiorgio Pasqualotto, Paola Paderni, Luigi Moccia, Ignazio Musu, Guido Samarani, Chiara Ghidini e Paolo Scarpi); Dossier “Passato e presente nella Cina d’oggi”, a cura di Amina Crisma (con contributi della curatrice e di Maurizio Scarpari, Guido Samarani, Davide Cucino, Inchiesta, 43, 181, luglio/settembre 2013, 64-96), che ha dato luogo a un seminario all’Università di Venezia il 20 novembre 2013, a cui oltre alle persone già citate hanno partecipato Vittorio Capecchi, Renzo Cavalieri, Laura De Giorgi. sono perciò molto grata agli amici di Sinosfere per il loro invito a intervenire su tale argomento in questo bello spazio da loro aperto, e di cui condivido gli intenti. Le brevi considerazioni che qui proporrò costituiscono un tentativo di sintesi parziale e provvisoria di un percorso di riflessione che si è alimentato durante gli anni e tuttora si alimenta delle molteplici sollecitazioni provenienti dalle conversazioni con vari interlocutori: sinologi, ma anche filosofi, antropologi, sociologi, storici, e altri ancora.3)Per un elenco dettagliato rinvio al mio sito www.aminacrisma.it . Si veda inoltre Amina Crisma, “Sinologia e filosofia, confronto con la Cina e riflessione interculturale”, in Emanuela Magno, Marcello Ghilardi (a cura di), La filosofia e l’altrove (Milano: Mimesis, 2016), 189-205. In questo mio discorso farò in particolare riferimento a spunti di riflessione che mi sono venuti da due maestri e amici purtroppo scomparsi: Paolo Prodi e PierCesare Bori.4)Amina Crisma, “In ricordo di Paolo Prodiwww.inchiestaonline.it , 18 dicembre 2016; ead., “Il silenzio e le parole: in memoria di PierCesare Bori”, Inchiesta, 42, 178, ottobre/dicembre 2012, 40/44 (anche in www.inchiestaonline.it  e www.cosmopolisonline.it dicembre 2012). Entrambi da angolature differenti ci sollecitano a serbare memoria di un’idea di futuro che oggi appare quanto mai desueta, che sembra anzi pressoché svanita dai nostri orizzonti di pensiero e di parole: è quella che si sostanzia di tensione trasformatrice e di utopia, della capacità di immaginare e progettare un mondo diverso da quello presente. Un’idea di futuro, insomma, che si lega alla “libertà di poter immaginare un nuovo inizio”, come diceva Hannah Arendt: un’idea di futuro che nei nostri attuali scenari di passioni tristi sembra essere la grande assente.

2.  Fine della rivoluzione e tramonto dell’Occidente. 

È precisamente da tale istanza di futuro che muove Paolo Prodi in uno dei suoi ultimi libri, Il tramonto della rivoluzione (2015), interrogandosi sulle ragioni del fenomeno che altrove Anne Cheng ha efficacemente definito come “la stanchezza dell’Occidente” (la lassitude de l’Occident):5)Anne Cheng, La Chine pense-t-elle? (Paris: Fayard, 2009), 30.

Il mito della rivoluzione è finito. Ma l’Europa, l’Occidente sono nati e cresciuti come “rivoluzione permanente”, cioè come capacità nel corso dei secoli di progettare una società alternativa rispetto a quella presente: ora questa capacità di progettare un futuro diverso sembra essere venuta meno. (…) Credo che l’innegabile declino dell’Europa non possa essere compreso soltanto sul piano geopolitico o geoeconomico (…) ma debba essere spiegato con il venir meno della capacità rivoluzionaria dell’Europa nelle sue coordinate antropologiche di fondo.6)Paolo Prodi, Il tramonto della rivoluzione, (Bologna: Il Mulino, 2015), 8.

Insomma, la capacità di immaginare e progettare un mondo diverso da quello presente, che ha così a lungo animato tante pagine importanti di storia dell’Occidente e dell’Europa, sembra oggi perduta, e “la parola rivoluzione è entrata tanto in disuso da diventare quasi soltanto oggetto d’antiquariato o di vignetta satirica”.7)7.
Non si può, mi sembra, che constatare l’esattezza di queste osservazioni, che hanno fra l’altro trovato puntuale riscontro nella ricorrenza del centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. D’altra parte non è solo da noi che la parola “rivoluzione” è diventata desueta: è più che mai tale anche nella Repubblica Popolare Cinese – il paese che ha rappresentato l’ultima grande incarnazione del mito della rivoluzione, come ben sanno quelli della mia generazione (era solo poco più di quarant’anni fa, ma sembra trascorsa da allora un’intera era geologica) – e dove si è da un paio di mesi chiuso il congresso del PCC, con i discorsi ufficiali volti a celebrare una conclamata conciliazione di tradizione e modernità, e con il linguaggio delle élites accademiche proclive prevalentemente a stigmatizzare in termini negativi tutto il cosiddetto “radicalismo novecentesco”, categoria nella quale sono surrettiziamente inglobate realtà fra loro alquanto diverse, dalle Guardie Rosse della Rivoluzione Culturale agli anarchici, alle femministe, ai liberali e ai democratici del primo Novecento.8)Chen Lai, Tradition and Modernity, (Leiden: Brill, 2009).

3. Il “Mutamento del Mandato”: pensiero antico e utopia.

Eppure, la parola “rivoluzione” in cinese si dice con un termine pregno di risonanze antiche: geming 革命, ossia “Mutamento del Mandato”. Il Mandato Celeste (Tianming 天命) era, nella tradizione politica cinese, la legittimazione all’esercizio del potere sovrano proveniente dalla suprema divinità, il Cielo, al cui proposito così dichiarava nel IV secolo a.C. un memorabile passo di Mencio, unanimemente reputato, com’è ben noto, il maggior interprete del magistero confuciano:

Il Cielo vede con gli occhi del popolo, ode con le orecchie del popolo. E’ tramite il popolo che il Cielo manifesta il suo Mandato.9)Mengzi 5 a 5, trad. di Amina Crisma, Il Cielo, gli uomini (Venezia: Cafoscarina, 2000), 46.

Il Mandato Celeste in tale concezione si esprime attraverso il consenso popolare, e dunque non è irrevocabile. Come mostrano fra l’altro fondamentali studi di Maurizio Scarpari, ciò che legittima l’esercizio del potere sovrano è la sua adesione al senso dell’umanità e al senso della giustizia (renyi 仁义): il sovrano che vi contravvenga può, anzi deve, essere rovesciato. In nome dell’umanità e della giustizia, Mencio arriva addirittura a dichiarare legittimo il regicidio, se il sovrano sia divenuto un feroce tiranno.10)Maurizio Scarpari, Mencio e l’arte di governo (Venezia: Marsilio, 2013), 39-66. L’etica menciana dunque non è prona acquiescenza, bensì obbedienza a una sovrana norma di giustizia, che sta più in alto di qualsiasi potere costituito, e per la quale si deve essere pronti anche a sacrificare la propria vita. Il discorso di Mencio non è quindi una celebrazione della realtà esistente, come vuole il trito luogo comune per cui il confucianesimo sarebbe perpetuo conformismo: è un’implacabile denuncia dei sovrani del suo tempo, “pastori d’uomini avidi di massacro”, a cui egli oppone, traendone l’immagine dalla leggendaria età dell’oro dei saggi sovrani del buon tempo antico, l’utopia di una futura armonia umana fondata sulla benevolenza, sulla condivisione, sulla mansuetudine, sulla reciproca sollecitudine: un sogno inadempiuto che riemerge dal passato, per consegnarsi al futuro con tutta la sua carica di tensione progettuale e trasformatrice.

Oggi, fra i pastori d’uomini del mondo, non v’è nessuno che non sia avido di massacro. Se vi sarà qualcuno che non ama uccidere, allora i popoli del mondo guarderanno a lui, con fiducia e con speranza; si volgeranno a lui, come acqua che scorre a valle – e a tale fiumana travolgente, chi mai potrà resistere?11)Mengzi 1 a 6, trad. di Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress, 2004), 49-50.

4. Un “futuro confuciano” come mero adattamento alla realtà esistente?

Al Mandato Celeste fa riferimento Paolo Prodi, ma in un’accezione diversa da quella che si è dianzi evocata: nei termini di “continuità dell’ordine universale naturale”, ossia in una prospettiva memore di un grande tema della riflessione di Max Weber, a cui ha fra l’altro dedicato un bellissimo saggio uscito nel 2005 Dimitri D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini.12)Dimitri D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber (Roma: Carocci, 2005). Questo vi è definito come “l’incubo confuciano”, cioè come l’avvento di un tipo di soggettività che fa dell’adattamento al mondo il principio ispiratore del proprio agire: è la forma estrema del rischio che incombe sulla tarda modernità. Ne Il tramonto della rivoluzione esso è così delineato:

Al di fuori delle grandi religioni monoteiste si rinnova e si afferma l’etica confuciana dell’identificazione dell’ordine morale con l’ordine politico e con l’ordine cosmico (…). La Cina non soltanto è vicina, non soltanto è una potenza che ci sovrasta sul piano geopolitico ed economico, ma sta entrando dentro di noi insieme alle nuove tecnologie. Una nuova religione economico-politica per la civiltà del capitalismo finanziario e dei consumi? Sono fermamente convinto che ci troviamo di fronte a una svolta antropologica.13)Prodi, Il tramonto della rivoluzione, 87.

Una svolta in cui si ravvisa l’incombere di un grande pericolo: “l’annullamento dell’individuo in un ordine cosmico”.14)113. In termini analoghi un libro famoso di molti anni fa, La bureaucratie céleste di Étienne Balasz (1968) riflettendo sugli orizzonti di lunga durata della storia istituzionale cinese vi coglieva elementi di prefigurazione di un futuro spersonalizzato, in cui si sarebbero compiutamente dispiegate le tendenze totalitarie e uniformanti di un mondo pulsante tutto a uno stesso ritmo.15)Étienne Balasz, La bureaucratie céleste, (Paris: Gallimard, 1968). Trad. it. La burocrazia celeste (Milano: Il Saggiatore, 1971), 18-22.
Certo questo genere di prospettiva è per molti versi già presente e operante sotto i nostri occhi. E tuttavia, dubito che l’aggettivo “confuciano” vi pertenga davvero, per motivi di ordine diverso che ho già in precedenza evocato: da un lato perché nell’attuale orizzonte globale, che destruttura da cima a fondo le nostre convenzionali rappresentazioni, si può riconoscere nell’Oriente Estremo il compimento di un “estremo Occidente”, dall’altro perché, come ho già cercato di dire, le fonti confuciane antiche ci manifestano un pensiero irriducibile a “mero adattamento al mondo”. Il progetto di umanità futura che Confucio e Mencio avevano in mente non era certo quello di creare un mondo di “gaudenti senza cuore, e specialisti senz’anima”, per riprendere la celebre espressione con cui Max Weber rappresentava un paventato avvenire di cui presagiva l’imminenza,16)Se si vuol trovare in un libro appena uscito una sferzante rappresentazione di tale genere di paesaggio umano da parte di un uomo che ne rappresentava un’antitesi vivente si leggano, ad esempio, i Diari 1988-1993 di Bruno Trentin ora pubblicati (Roma: Ediesse, 2017). e rispetto al quale non sono mancate, non mancano, e credo non mancheranno mai significative forme di resistenza.

5. Promesse inadempiute che il passato ci consegna, e altre visioni di un futuro possibile.

Così nonostante tutto, sono convinta che ci ostineremo sommessamente a coltivare, mantenendoci a qualche distanza dal fragore delle grandi narrazioni, altre visioni di futuro possibile, magari anche solo per frammenti, come ci invita a fare il bel saggio postumo di Carlo Donolo “Da Solaris a Blade Runner e ritorno” uscito ora su Parolechiave.17)Carlo Donolo “Da Solaris a Blade Runner e ritorno”, Parolechiave, 57, 2017, 77-98. È proprio Blade Runner a offrirne una vivida immagine che non di rado capita di scorgere oggi in Cina: nella megalopoli futuribile e ipertecnologica dove Orienti e Occidenti Estremi sembrano magmaticamente fondersi e confondersi esiste e resiste, quasi invisibile, la figura minuscola del venditore ambulante, che sembra uscita da un’antichità immemoriale, e che è emblema concreto e tangibile di un’umanità tenacemente irriducibile e indisponibile a farsi cosa.

In un certo senso, l’una e l’altra idea di futuro – il progetto di un ordinamento impersonale del mondo in cui l’essere umano divenga pura funzione strumentale, e quello di un futuro che del senso dell’umanità (ren 仁) faccia la sua parola chiave – hanno abitato entrambe l’antichità cinese: l’una si può ascrivere al Dao totalitario dello Han Feizi, il grande pensatore legista, l’altra si riconduce al magistero di Confucio e di Mencio. L’una e l’altra hanno concorso alla costruzione dell’impero millenario, convergendo e ibridandosi reciprocamente nelle sue istituzioni, ma anche lasciando il campo aperto a una dialettica conflittuale che si è significativamente espressa, nel corso di tutta la storia imperiale, nel coraggioso esercizio della rimostranza nei confronti del potere sovrano da parte dei funzionari-letterati, gli “uomini di valore” (junzi 君子), secondo il  paradigmatico esempio di critica dei re suoi contemporanei che Mencio aveva offerto in memorabili pagine.18)Amina Crisma, “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi, Parolechiave, 57, 2017, 109-130.
Il sogno di un’umana ecumene ventura fondata sul senso dell’umanità, sul senso della giustizia, sul senso della compassione intesa “come attitudine tendenzialmente universale a partecipare al bisogno e alla sofferenza dell’altro” (riprendo qui parole di PierCesare Bori tratte da un suo fondamentale saggio del 1991 oggi più che mai attuale): è questa l’istanza perennemente inadempiuta, e perciò perennemente e tenacemente presente, che consegnano al nostro oggi e al nostro domani le fonti confuciane antiche in alcuni dei loro passi più intensi.19)PierCesare Bori, Per un consenso etico fra culture (Genova-Milano: Marietti, 1991), cap. VII. Sono convinta che della loro ispirazione sorgiva non potremo fare a meno, se vorremo dar corso al progetto di un consenso etico fra culture. Fra le loro parole che ci giungono da un remoto passato e un futuro da costruire c’è un pregnante legame di cui credo si possa considerare efficace emblema l’angelus novus di Walter Benjamin: nel suo sguardo volto al passato, c’è la memoria di un antico e inestinguibile annuncio di un futuro redento.

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Immagine: colori del bund all’alba, foto di Sharron Lovell

Amina Crisma (www.aminacrisma.it) ha studiato all’Università di Venezia dove ha conseguito le lauree in Filosofia e in Lingua e Letteratura cinese, e il PhD in Studi sull’Asia orientale. Dal 2007/8 insegna Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Bologna, dopo aver insegnato per un decennio Sinologia all’Università di Padova, e Storia delle Religioni della Cina all’Università di Urbino. Oltre a numerosi contributi in opere collettanee, fra cui Réformes (Berlin 2007), Per una filosofia interculturale (Milano 2007), La Cina (Torino 2009), In the Image of God (Berlin 2010), La filosofia e l’altrove (Milano 2016), ha pubblicato i volumi Il Cielo, gli uomini (Venezia 2000), Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova 2004), Neiye, il Tao dell’armonia interiore (Milano 2015), Confucianesimo e taoismo (Bologna 2016). Fra le riviste a cui collabora, vi sono Inchiesta (www.inchiestaonline.it), Cosmopolis (www.cosmopolisonline.it),  Giornale critico di storia delle idee (www.giornalecritico.it), Parolechiave, Prometeo, Études interculturelles. Fra le sue traduzioni e curatele vi è Storia del pensiero cinese di Anne Cheng (Torino 2000).

 

References
1 Amina Crisma, “Idee di futuro nelle tradizioni di pensiero cinesi”, Giornale critico di storia delle idee, 2, 3, 2010, 191-206 (www.giornalecritico.it).
2 “Dove sta andando la Cina d’oggi? Dibattito su Ritorno a Confucio”, a cura di Amina Crisma, www.inchiestaonline.it, gennaio/aprile 2016 (con interventi di Umberto Bresciani, Marco Fumian, Ester Bianchi, Attilio Andreini, Giangiorgio Pasqualotto, Paola Paderni, Luigi Moccia, Ignazio Musu, Guido Samarani, Chiara Ghidini e Paolo Scarpi); Dossier “Passato e presente nella Cina d’oggi”, a cura di Amina Crisma (con contributi della curatrice e di Maurizio Scarpari, Guido Samarani, Davide Cucino, Inchiesta, 43, 181, luglio/settembre 2013, 64-96), che ha dato luogo a un seminario all’Università di Venezia il 20 novembre 2013, a cui oltre alle persone già citate hanno partecipato Vittorio Capecchi, Renzo Cavalieri, Laura De Giorgi.
3 Per un elenco dettagliato rinvio al mio sito www.aminacrisma.it . Si veda inoltre Amina Crisma, “Sinologia e filosofia, confronto con la Cina e riflessione interculturale”, in Emanuela Magno, Marcello Ghilardi (a cura di), La filosofia e l’altrove (Milano: Mimesis, 2016), 189-205.
4 Amina Crisma, “In ricordo di Paolo Prodiwww.inchiestaonline.it , 18 dicembre 2016; ead., “Il silenzio e le parole: in memoria di PierCesare Bori”, Inchiesta, 42, 178, ottobre/dicembre 2012, 40/44 (anche in www.inchiestaonline.it  e www.cosmopolisonline.it dicembre 2012).
5 Anne Cheng, La Chine pense-t-elle? (Paris: Fayard, 2009), 30.
6 Paolo Prodi, Il tramonto della rivoluzione, (Bologna: Il Mulino, 2015), 8.
7 7.
8 Chen Lai, Tradition and Modernity, (Leiden: Brill, 2009).
9 Mengzi 5 a 5, trad. di Amina Crisma, Il Cielo, gli uomini (Venezia: Cafoscarina, 2000), 46.
10 Maurizio Scarpari, Mencio e l’arte di governo (Venezia: Marsilio, 2013), 39-66.
11 Mengzi 1 a 6, trad. di Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress, 2004), 49-50.
12 Dimitri D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber (Roma: Carocci, 2005).
13 Prodi, Il tramonto della rivoluzione, 87.
14 113.
15 Étienne Balasz, La bureaucratie céleste, (Paris: Gallimard, 1968). Trad. it. La burocrazia celeste (Milano: Il Saggiatore, 1971), 18-22.
16 Se si vuol trovare in un libro appena uscito una sferzante rappresentazione di tale genere di paesaggio umano da parte di un uomo che ne rappresentava un’antitesi vivente si leggano, ad esempio, i Diari 1988-1993 di Bruno Trentin ora pubblicati (Roma: Ediesse, 2017).
17 Carlo Donolo “Da Solaris a Blade Runner e ritorno”, Parolechiave, 57, 2017, 77-98.
18 Amina Crisma, “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi, Parolechiave, 57, 2017, 109-130.
19 PierCesare Bori, Per un consenso etico fra culture (Genova-Milano: Marietti, 1991), cap. VII.