Un secolo esatto è trascorso dal 4 Maggio del 1919 e nelle ricostruzioni a posteriori della storiografia ufficiale la prima mobilitazione studentesca avvenuta in Cina passa ora per essere stata essenzialmente e soprattutto la culla del moderno patriottismo. È indubbio che l’amor patrio (aiguo 爱国) abbia fornito il propellente al movimento, attirando in Piazza Tian’anmen circa tremila giovani universitari, che sfilarono sino al quartiere delle legazioni straniere e fin sotto il Ministero degli Affari Esteri gridando slogan quali: “la Cina appartiene ai cinesi”, “restituiteci Qingdao”, “proteggiamo la nostra sovranità”, “boicottiamo le merci giapponesi”. In assoluta sintonia con questo registro retorico, anche il “Manifesto di tutti gli studenti di Pechino”, l’unico documento circolante nel corteo, stilato il 4 maggio stesso dal redattore della rivista Xin Chao 新潮 Luo Jialun 罗家伦, si chiudeva con i due seguenti enunciati: “1) Il territorio cinese può essere conquistato, ma non deve essere ceduto; 2) il popolo cinese può accettare il massacro, ma non la resa”.1)Il documento tradotto in inglese è riportato per intero in Chow Tse-tsung, The May 4th Movement. Intellectual Revolution in Modern China (Cambridge: Harvard University Press, 1960), 106-107: si tratta di uno studio classico a cui qui si rimanda anche per la puntualissima ricostruzione, quasi minuto per minuto, di quella giornata di mobilitazione.
Tali proclami non lasciano certo adito a fraintendimenti; tuttavia, se li si inscrive nel loro contesto, indagandone il senso originario e riconnettendoli con il più ampio Movimento di Nuova Cultura degli anni ’10 del Novecento, si osserverà come lo spirito patriottico allora all’opera non coincida, se non in modo superficiale e parziale, con ciò che oggi ricade sotto il nome di nazionalismo e nello specifico con l’attuale ideologia nazionale cinese, ossia con quell’‘apparato ideologico di stato’ atto a garantire la tenuta del paese, nonostante le molteplici contraddizioni e le sempre più drammatiche diseguaglianze.
Difatti, per quanto alla dirigenza odierna convenga riportare il Quattro Maggio nell’alveo del discorso sulla nazione, il succitato concetto di aiguo 爱国 non si lascia imbrigliare così facilmente da quello di minzu 民族, poiché comunque sussiste un elemento irriducibile che pertiene all’evento in sé: ad esempio, come giustifichiamo la massiccia presenza di anarchici fra i patrioti? È ben nota l’inconciliabilità fra anarchismo e culto della nazione. Inoltre, anticipando qui un punto ancor più essenziale che verrà sviluppato nella seconda parte di questo testo, come potrebbero mai collimare il nazionalismo, che sempre presuppone un’identità forte elevata a oggetto di fede, e la tendenza, così tipica del movimento del Quattro Maggio, a mettere radicalmente in discussione ogni idea aprioristica e ogni dogma identitario?
Per rispondere a questi quesiti e tentare il recupero del senso originario di aiguo 爱国, al di là e al di sotto delle interpretazioni successive che si sono sedimentate nei decenni, uno strato dopo l’altro, dovremo ritornare ora a quel fatidico giorno del 1919, immergendoci nei resoconti di chi c’era, nelle fonti primarie, sperando che esse ancora ci parlino a partire dal loro ‘orizzonte interno’.2)Si fa riferimento al concetto sviluppato da Wang Hui di “orizzonte interno” o “visione interna” (neizai shiye 内在视野), con cui si designa un approccio allo studio della storia delle idee e della storia sociale che, a partire dal close reading delle fonti primarie, cerca di liberarle dalla loro posizione di oggetto inerte dell’indagine, facendone direttamente il metodo. In breve, per Wang Hui è il testo stesso a offrire gli strumenti e le chiavi interpretative per essere letto. Chi scrive ovviamente non pretende di ottenere gli stessi risultati raggiunti da questo noto intellettuale cinese nelle sue opere. In italiano si veda Wang Hui, “Colloquio su ‘il sorgere del pensiero cinese moderno’: la liberazione dell’oggetto e l’interrogazione della modernità,” in Impero o Stato-Nazione? La modernità intellettuale in Cina (Milano: Academia Universa Press, 2009), 185-206. In cinese, a parte le opere stesse di Wang Hui, vedi Yu Zhizhong 于治中: “Xiandaixing de beilun yu kaizhan: Wang Hui de sixiang shijie” 现代性的悖论与开展:汪晖的思想视界(I paradossi e le manifestazioni della modernità: Wang Hui e la sua visione intellettuale), in A Radical Quarterly in Social Studies, 72, dicembre 2008.
Il caso di Kuang Husheng: patriottismo e anarchia
Lasciamo quindi che sia uno dei protagonisti della protesta a ricostruire per noi la sequenza dei fatti e il vissuto soggettivo di chi fu presente quel giorno. Il nostro narratore, lo hunanese Kuang Husheng 匡互生, nel 1919 frequentava il quarto anno della Scuola Normale Superiore di Pechino (la futura Beishida 北师大); nel febbraio di quell’anno entrò a far parte della Società di Studio e Lavoro (Gongxuehui 工学会), uno dei numerosi gruppi anarchici che caldeggiavano l’abolizione della divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Aprendo qui un breve inciso, l’idea – e soprattutto la pratica – della fusione fra studenti e operai si era sviluppata già anni addietro nei circoli libertari cinesi di Parigi, grazie ai programmi educativi sperimentali di Li Shizeng 李石曾 e Wu Zhihui 吴稚晖. Tali programmi, se da un lato consentivano anche ai giovani meno abbienti di potersi formare all’estero, dall’altro, dal punto di vista politico, miravano a divellere alla radice il millenario primato confuciano dell’intelletto sulle braccia. In patria fu Cai Yuanpei 蔡元培 a promuovere queste sperimentazioni, dopo che divenne rettore dell’Università di Pechino.3)A proposito dei programmi anarchici di studio e lavoro, si veda ad esempio Arif Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution (Berkeley: University of California Press, 1991), cap. 3 e 5. Kuang Husheng, a sua volta educatore libertario, nel 1925 fondò a Shanghai l’Istituto Lida (Lida Xueyuan 立达学园), da cui sarebbe poi sorta l’Università del Lavoro (Laodong Daxue 劳动大学).4)Ivi, 22.
Stando alle memorie dello stesso Kuang,5)Il resoconto autobiografico di Kuang venne stilato anni dopo, nel 1925, e pubblicato sulla rivista dell’Istituto Lida, Lida Jinan 立达季刊: Kuang Husheng 匡互生,“Wusi yundong jishi” 五四运动纪实 (Resoconto del Movimento del Quattro Maggio), in Xin Wenxue Shiliao 新文学史料, 3, 1979. nella notte del 3 maggio, alla vigilia della manifestazione, la Gongxuehui si radunò per decidere il piano d’azione per il giorno dopo: si discusse pure dell’opportunità di far ricorso alla violenza e nessuno dei presenti si oppose all’idea, anzi. Il 4 Maggio, tuttavia, il corteo sfilò con ordine e pacificamente per le prime ore del pomeriggio: lasciata Piazza Tian’anmen, verso le due, gli studenti si diressero verso il quartiere delle legazioni straniere, dando voce, oltre agli slogan patriottici già citati, anche ad alcuni assunti di base dell’anarchismo, come ad esempio “combattiamo il potere”. Dato che la folla si limitava a gridare slogan, brandire i loro cartelli e distribuire volantini (il “Manifesto” di Luo Jialun), la polizia non ritenne necessario intervenire, almeno finché non furono raggiunte le ambasciate delle principali potenze occidentali, ove invece alle guardie fu ordinato di sbarrare il passaggio ai manifestanti. Qui – riferisce Kuang – si creò un intoppo di quasi due ore, in cui, come in una pentola a pressione, montarono l’ansia, l’astio, la frustrazione, tanto che, quando qualcuno iniziò a gridare “basta, andiamo al Ministero degli Esteri! Alla casa di Cao Rulin!”, persino i più mansueti e passivi fra gli astanti si misero subito in moto, in preda all’esaltazione. “In quel momento nei singoli elementi di quella folla non esisteva più alcuna individualità”, ricorda Kuang, “tutti insieme si marciava, all’unisono si cantava; non erano ancora scoccate le quattro quando l’intero corteo giunse davanti a Zhaojialou 赵家楼, alla residenza di Cao Rulin 曹汝霖”.6)Ivi, 24.
Cao Rulin, oggi obliato dai più, era il Ministro delle Comunicazioni ed ex Ministro delle Finanze che aveva aiutato il signore della guerra Duan Qirui 段祺瑞 ad accordarsi con i giapponesi, già un anno prima della firma del trattato di Versailles. In cambio della cessione dei diritti territoriali tedeschi sullo Shandong, i giapponesi avevano rimpinguato le casse di Duan Qirui che, in combutta con Cao Rulin, aveva così costituito lo Anfu Club, la sua cricca militare. Arrivati sotto casa di Cao, gli studenti si aspettavano di trovarvi il padrone insieme ai suoi complici, i “traditori” (nel lessico patriottico, maiguo zei 卖国贼) Lu Zongyu 陆宗舆 e Zhang Zongxiang 章宗祥, i quali di loro pugno avevano vergato i quattro caratteri “lieti di impegnarci” (xinran chengnuo 欣然承诺) sul documento segreto dell’accordo con il Giappone.
L’accesso alla dimora ovviamente non fu immediato e cinque dei giovani più intraprendenti, fra cui Kuang Husheng stesso, dovettero rompere i vetri e affrontare le guardie, che però alla vista del corteo saggiamente decisero di non attaccare. Una volta all’interno, la marea dei manifestanti li seguì riversandosi nei corridoi come un fiume in piena; iniziarono a setacciare la casa, dove tuttavia trovarono solo una concubina e il vecchio padre malato di Cao Rulin, che furono risparmiati. Cao, come si seppe in seguito, era riuscito a scappare, mentre un buffo signore con abiti di foggia occidentale, in tutto simile a un giapponese, finì steso sul pavimento dopo le percosse di alcuni studenti, convinti di aver preso Cao Rulin. L’uomo sembrava morto; in realtà, era vivo e vegeto e approfittando della distrazione della folla, fuggì dalla casa per andare a nascondersi in una bottega che vendeva uova dei cent’anni. Sfortunatamente per lui, lì fu ripescato e i manifestanti, essendo privi di armi convenzionali, “usarono le uova dei cent’anni come arma, rompendone a decine sulla testa dell’uomo che già era stato picchiato”.7)Ivi, 25. Poco dopo si scoprì che il finto morto altri non era che Zhang Zongxiang! Nel frattempo, Kuang Husheng e altri giovani patrioti si erano recati in cucina e avevano appiccato fuoco alla casa. Alle cinque e tre quarti, infine, quando ormai il grosso del corteo si era già ritirato, arrivarono le forze dell’ordine che, persa l’iniziale bonomia, arrestarono 32 persone.8)Oltre al resoconto in prima persona di Kuang Husheng, il lettore può consultare il già citato Chow Tse-tsung, The May 4th Movement, cap. 4 e in particolare le pagine 99-116.
Il resoconto in prima persona di Kuang Husheng non si ferma qui, ma a noi già basta per mettere a fuoco due punti fondamentali: innanzitutto, che il patriottismo espresso dal movimento non si limitava al perentorio rifiuto dell’ingerenza straniera e alla sete di revanche nazionale, ma sfociò in una contestazione attiva, con esiti persino incendiari, delle scelte del governo. Tale forma di patriottismo richiedeva quindi l’opposizione allo stato e alla politica ufficiale, dato che quest’ultima in realtà della politica costituiva una negazione, non essendo altro che una diplomazia segreta ridotta alla mera tutela degli interessi personali dei signori della guerra. Da qui, peraltro, discendono sia il tema cruciale della “nuova cultura” intesa come reinvenzione della politica dal basso, a distanza dalle decisioni governative,9)Di nuovo si rimanda a Wang Hui e al suo studio “Wenhua yu zhengzhi de bianzou” 文化与政治的变奏 (Variazioni fra cultura e politica) (Shanghai: Shanghai Renmin Chubanshe 上海人民出版社, 2014) e nello specifico alla sezione “Shenme shi Wusi wenhua yundong de zhengzhi” 什么是五四文化运动的政治 (Che cos’è la politica del movimento di cultura del QuattroMaggio?), 112-139. sia l’enfasi posta sull’educazione, che ai tempi del Quattro Maggio non poteva che fare rima con rivoluzione.10)Il nesso esistente fra educazione e rivoluzione, in particolare per gli anarchici cinesi, è una costante negli scritti degli anni ’10 e ’20. In merito si veda Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution, 90-91, 99-100; soprattutto, 165-166.
Questo è un primo punto. Poi, in seconda istanza, l’iter personale di Kuang Husheng, da anarchico a fervente patriota e poi di nuovo anarchico, parrebbe smentire la narrazione classica, fatta propria ad esempio da Scalapino e Yu,11)R. Scalapino, G. T. Yu, The Chinese Anarchist Movement (Berkeley: Center for Chinese Studies, 1961). secondo cui i moti patriottici di autodeterminazione nazionale causarono, in Cina e in Asia, il declino definitivo dell’anarchismo. Tale tesi è in parte sostenuta pure da Arif Dirlik, quando afferma che l’ondata patriottica del Quattro Maggio mise ai margini il pensiero libertario che fino a poco prima aveva occupato il centro della scena; la trattazione di Dirlik è però complessa e sfumata: non vi troviamo una contrapposizione così netta fra aiguo 爱国 e wuzhengfu 无政府 (“anarchismo”) così come del resto non la troviamo nei testi dell’epoca. Ora, quindi, torneremo al nostro dialogo con le fonti primarie, per comprendere più da vicino che cosa significasse il termine aiguo 爱国 fra gli anni ’10 e ’20.
La Cina è una “pagina bianca”
A luglio, appena due mesi dopo i fatti narrati da Kuang Husheng, a Pechino vennero fondate la Società di Studio “Giovane Cina” (Shaonian Zhongguo Xuehui 少年中国学会) e l’omonima rivista, attorno a cui si radunarono alcuni dei personaggi chiave del futuro movimento comunista, fra cui il padre del marxismo cinese Li Dazhao 李大钊, Mao Zedong 毛泽东 e Deng Zhongxia 邓中夏. A dirigere il gruppo però era Wang Guangqi 王光祈, di chiare tendenze libertarie. Le vedute anche diametralmente differenti dei vari membri dell’associazione comunque non provocarono né aspri dibattiti interni, né tantomeno scissioni almeno sino al 1925, anno in cui fu chiusa la rivista. Il gruppo insomma si divise molto tempo dopo quel confronto fra Chen Duxiu 陈独秀 e Ou Shengbai 区声白, che fra il 1921 e il 1922 portò alla fatale, definitiva spaccatura fra anarchici e comunisti all’interno di “Gioventù Nuova” e del Movimento di Nuova Cultura. La pluralità di voci diverse all’interno di “Shaonian Zhongguo” era anzi vista come un punto di forza, in quanto garantiva l’apertura di pensiero necessaria alla reinvenzione del concetto stesso di Cina, una Cina “giovane”, in grado di rinascere come una fenice dalla tabula rasa della finta repubblica dei signori della guerra. Scriveva nel 1919 Li Dazhao:
“Il mio ideale di ‘Giovane Cina’ non per forza coincide con il tuo, ma, al di là delle differenze, tutte le nostre ‘Giovani Cine’ possono convergere fondendosi in una medesima luce, divenendo un cristallo, che sarebbe la ‘Giovane Cina’ frutto della nostra comune creazione (chuangzao 创造). Come sul libro immacolato della nostra storia, ove nessun carattere è ancora apparso, tu scriverai una pagina, io ne scriverò un’altra e solo così si comporrà la storia della nostra ‘Giovane Cina’ . (…) Ciò a cui ambiamo è la creazione della ‘Giovane Cina’. Che essa possa o meno essere creata, dipende dal movimento dei giovani. Giacché la nostra idea non aderisce a un rigido modello prestabilito, ma è qualcosa che va inventato in libertà; non è un’icona (ouxiang 偶像) che viene plasmata utilizzando uno stampo già pronto, ma è la vita stessa in movimento”.12)Li Dazhao, “Shaonian Zhongguo de shaonian yundong”少年中国的少年运动 (Il movimento dei giovani della giovane Cina), in Shaondan Zhongguo 少年中国, (Beijing: Shaonian Zhongguo Chubanshe 少年中国出版社, 1919), 3, vol.1; oppure si veda Li Dazhao quanji 李大钊全集 (Opere complete di Li Dazhao), (Shijiazhuang: Hebei Jiaoyu Chubanshe 河北教育出版社, vol. 3, 1999), 318.
Queste affermazioni facevano eco al proclama di Wang Guangqi uscito sul secondo numero della rivista, “La Creazione della Giovane Cina” (Shaonian Zhongguo de chuangzao 少年中国的创造),13)Wang Guangqi 王光祈, “Shaonian Zhongguo de chuangzao” 少年中国的创造, in Shaonian Zhongguo 少年中国 (Beijing: Shaonian Zhongguo Chubanshe 少年中国出版社, 1919), 2, vol.1. ove “creazione”, “società”, “scienza”, tutte associate a “vita”, erano appunto le parole chiave di questa sua dichiarazione programmatica. A chiarimento del termine “società”, ad esempio, l’autore scriveva che essa designa innanzitutto un laboratorio aperto alla sperimentazione politica: una pagina bianca, per riprendere la metafora di Li Dazhao, su cui solo la gioventù ha pieno diritto di tracciare un segno. Quanto a “creazione”, nel testo veniva direttamente collegata al concetto di “evoluzione” (jinhua 进化), tanto da divenire quasi un suo sinonimo, poiché, secondo Wang, se i giovani si fossero rifiutati di creare ex novo una Cina all’altezza dei loro desideri, ripiegando su usi e tradizioni preesistenti, ciò avrebbe irrimediabilmente bloccato il progresso storico. Parimenti, rispetto alla categoria di Cina “all’interno della locuzione ‘Giovane Cina’, Young China [in inglese nel testo]”, per l’autore
“i due caratteri, Zhong Guo, indicano solo un toponimo, un luogo, un Place [in inglese nel testo] appartenente all’Asia e non uno Stato-nazione, Nation [sempre in inglese nel testo]. Del resto, io sogno il mondo della Grande Unione (Datong 大同), per cui dal mio punto di vista la Cina è solo un pezzo di un quadro più grande. Se davvero vogliamo trovare una nostra collocazione nel mondo della Grande Unione, allora dobbiamo far sì che la Cina diventi un elemento degno di questa Grande Unione. (…) Nella mia testa, non c’è spazio per i confini nazionali”.14)Ivi, 1.
Tali riflessioni, uscendo dalla penna di un anarchico, non desterebbero alcun stupore, se non fossero state condivise, quasi parola per parola, da Li Dazhao nel testo che abbiamo già citato e che contiene il seguente passaggio:
“La nostra visione della Giovane Cina non fa della Cina una nazione che deve competere con le altre per uscirne vincitrice o al contrario sconfitta, bensì considera quest’area come parte del mondo, una parte che certo dev’essere forgiata dalle mani della gioventù che vi risiede, poiché è nostra responsabilità occuparci della sua creazione. Comunque, il raggio d’azione del nostro ‘movimento giovanile’ non si limita affatto alla Cina”.15)Li Dazhao, “Shaonian Zhongguo de shaonian yundong” 少年中国的少年运动, 321.
L’anno successivo, Li Dazhao pubblicò un altro articolo, ancora più esplicito e radicale riguardo all’idea di patria e al significato politico del movimento cosiddetto patriottico del Quattro Maggio; vale la pena riportarne qui uno stralcio, che andrebbe letto tenendo a mente che il suo autore in quel preciso momento era una delle colonne portanti di “Gioventù Nuova” e un punto di riferimento imprescindibile per gli studenti più progressisti e ‘patrioti’ dell’Università di Pechino – oltre a divenire, da lì a pochissimo, l’uomo che introdusse Marx in Cina ed uno dei fondatori del PCC:
“I giapponesi dicono che il movimento degli studenti cinesi è antigiapponese, ma questo punto di vista non è accettabile; i cinesi dicono che il loro movimento degli studenti è patriottico, ma neanche questo punto di vista è accettabile. (…) Noi non riteniamo che lo Stato possegga qualche ragione per essere amato, riteniamo invece che andare ad ammazzare la gente e appropriarsi del suo territorio per patriottismo sia un atto da briganti, un atto contrario all’umanità ed alla ragione. Noi riconosciamo soltanto che il movimento degli studenti cinesi è un movimento di resistenza alle grandi potenze”.16)Questa volta il testo è disponibile anche in italiano, nell’ottima traduzione di Claudia Pozzana, una delle massime esperte del pensiero e dell’opera di Li Dazhao. Si veda: Li Dazhao, “Il luminoso movimento dei giovani d’Asia”, in Primavera e altri scritti, (Parma: Pratiche Editrice, 1994), 192.
Li Dazhao sempre in questo testo negava che gli studenti e operai nati in Cina fossero diversi da quelli giapponesi, piantando così uno dei primi semi dell’internazionalismo proletario; quanto al nazionalismo, o per meglio dire al patriottismo, Li reiterava un’interpretazione di aiguo 爱国 che già aveva elaborato ed esposto nel 1915, nel corso di uno scambio di testi molto fecondo con Chen Duxiu.
Difatti, quando Chen Duxiu in “Patriottismo e Coscienza” con toni a dir poco cupi aveva commentato l’ondata di suicidi allora sempre più frequenti fra i giovani e la depressione che ormai attanagliava il paese intero interpretandole come la conseguenza del vuoto politico e della crisi d’identità nazionale in atto, Li Dazhao aveva risposto scrivendo “Pessimismo e Coscienza”, in cui sin dal titolo sottolineava la necessità di affrontare di petto quella drammatica impasse, ridando un senso allo Stato e all’amore che si può provare per esso. Li Dazhao, in pratica, invertiva il nesso di causa ed effetto fra i due caratteri di aiguo 爱国, arrivando a sostenere che non è lo Stato in sé a essere degno a priori di amore, ma viceversa è solo attraverso l’amore che un popolo attivamente profonde che uno Stato acquista dignità e valore. “Lo Stato, sono gli uomini che lo creano; l’immensità dell’universo, siamo noi che la dominiamo”.17)Li Dazhao, Pessimismo e Coscienza, in Primavera e altri Scritti, 85. “Sono gli uomini che creano le basi dello Stato, la cui costruzione dipende necessariamente dall’amore che il popolo nutre nei suoi confronti”.18)Ivi, 86.
L’inversione dei due termini situava questa forma di ‘amor patrio’ agli antipodi di qualunque nazionalismo classico, ove la ‘nazione’, a partire dal suo etimo, è in primis il luogo in cui si nasce, un luogo che non si sceglie dacché ci preesiste. Qui lo Stato al contrario si dà soltanto a posteriori, discendendo da un ‘amore’ che è passione attiva, creatrice, coincidente con il concetto già più volte citato di chuangzao 创造. Non è possibile coglierne la portata, se non si ricollocano le categorie di aiguo 爱国 e chuangzao 创造 nel contesto specifico degli anni ’10 e ’20 – benché sia forte la tentazione di trovare nei ragionamenti di Li Dazhao – e anche di altri intellettuali del Quattro Maggio, come fra poco vedremo – una postura politica ed esistenziale potenzialmente adattabile anche ai nostri tempi.
Aiguo 爱国 in particolare resta un termine opaco, scivoloso e in definitiva inintelligibile sinché non si considera lo sfondo dal quale emerge: il caos che seguì alla Rivoluzione Xinhai del 1911, quella rivoluzione gattopardiana che cambiò tutto senza cambiare nulla, e che dietro di sé lasciò solo il vuoto, poi magistralmente ritratto nei racconti più caustici di Lu Xun 鲁迅, come ad esempio “I capelli” e soprattutto “La vera Storia di Ah Q”.19)Come edizione italiana di “Chiamata alle Armi”, mi rifaccio a Lu Xun, Diario di un Pazzo, (Roma: Editori Riuniti, 1993). Per l’originale invece: Lu Xun鲁迅, “Nahan” 呐喊 (Beijing: Renmin Wenxue Chubanshe 人民文学出版社, 1979). L’impero collassò su se stesso, mentre la repubblica, che avrebbe dovuto condurre la Cina oltre la soglia della modernità, velocemente passò dalle mani del rivoluzionario anticoloniale Sun Zhongshan 孙中山 a quelle del dittatore Yuan Shikai 袁世凯. Il quale, dopo aver tentato di restaurare la monarchia, morì, consegnando il paese ai ‘signori della guerra’. La Cina era davvero la “pagina bianca” descritta da Wang Guangqi e Li Dazhao: una tabula rasa, in cui l’azzeramento dei riferimenti etici e politici era tale, almeno a mio parere, da fungere tuttora da specchio infallibile per qualsiasi società in crisi, passata e presente, la nostra compresa. Raggiunto il nadir della negazione della politica a opera delle cricche militari, si richiedeva dunque una reinvenzione integrale, in tutti gli ambiti e a 360 gradi, non solo in quello istituzionale e statale.
La lingua, ad esempio. Per ovvie ragioni di spazio non possiamo qui ripercorrere tutte le tappe della rivoluzione linguistica e letteraria che portò all’abbandono del wenyan 文言 (la lingua classica) a favore del baihua 白话 (il moderno vernacolare); tuttavia, è quasi d’obbligo il richiamo al saggio di Hu Shi 胡适, “Sulla rivoluzione letteraria da costruire” (Jianshe de wenxue gemini lun 建设的文学革命论),20)Hu Shi胡适, “Jianshe de wenxue geming lun” 建设的文学革命论 (Sulla rivoluzione letteraria da costruire), in Huimou “Xin Qingnian” – Yuyan wenxue juan 回眸《新青年》– 语言文学卷, a cura di Zhang Baoming 张宝明 e Wang Zhongjiang 王中江 (Zhengzhou: Henan Wenyi Chubanshe 河南文艺出版社, 1997). visto che l’autore in questo testo si serviva esattamente dello stesso procedimento di pensiero collaudato da Li Dazhao in riferimento all’amor patrio. Dopo aver ripreso gli “otto non” (babu zhuyi 八不主义), cuore delle sue “Umili opinioni sulla riforma della letteratura” (Wenxue gailiang chuyi 文学改良刍议), Hu Shi li definiva la pars destruens, che ora andava integrata con la pare construens (jianshe de 建设的). Per chiarire la sostanza di quest’opera di costruzione e reinvenzione linguistica, l’autore offriva la formula a dieci caratteri “la letteratura in lingua nazionale (per la) lingua nazionale della letteratura”, a cui seguiva la spiegazione:
“Una volta che avremo una letteratura in lingua nazionale, allora potremo avere anche una lingua nazionale della letteratura. E solo dopo che esisterà una lingua nazionale della letteratura, avremo una lingua nazionale vera e propria”.21)Ivi, 312. (…) “Per prima cosa, urge creare (zao 造) una letteratura scritta nella lingua nazionale, creata la quale, naturalmente nascerà la lingua nazionale stessa”.22)Ivi, 313.
Di nuovo, come nel caso di aiguo 爱国 per Li Dazhao, si ribadiva che la lingua della nazione (guoyu 国语) non si dava a priori, né poteva precedere le pratiche dei suoi parlanti, o meglio dei suoi scriventi e in particolare degli scrittori di professione. Il baihua, così come la letteratura in baihua, era per Hu Shi e per gli altri esponenti del Movimento di Nuova Cultura un prodotto umano, immanente, ancora in fieri, un work in progress, una creatura nata nel tempo storico e destinata a evolversi in base a una sua temporalità, non certo un’“essenza nazionale” o un’entità metafisica. “La letteratura muta col passare delle epoche”, scriveva Hu Shi in un cinese ancora classicheggiante, nel 1917: perciò, non si potevano più imitare gli antichi, bisognava stare saldi nel momento presente.23)Hu Shi 胡适, “Wenxue gailiang chuyi” 文学改良刍议 (Le mie umili opinioni sulla riforma della letteratura), in Huimou “Xin Qingnian” – Yuyan wenxue juan 回眸《新青年》- 语言文学卷, 261: “文学者,随时代而变迁者也”.
L’esigenza di “costruire” un linguaggio e un pensiero nuovi, pezzo per pezzo, a partire dalla pratica letteraria venne presa decisamente sul serio dal gruppo di “Gioventù Nuova”: basti pensare che l’intervento di Hu Shi uscì nel 1918, sul quarto numero della rivista, mentre il quinto ospitò “Diario di un pazzo” di Lu Xun. Il dibattito sulla lingua nazionale (guoyu 国语) si svolse quindi in questo clima di grande fervore creativo e di assoluta sperimentazione, per cui non sarebbe corretto assimilarlo a una qualche forma di nazionalismo linguistico. Non c’erano identità nazionali consolidate da rivendicare: al contrario, c’era un cantiere aperto, in cui si metteva in campo ogni possibile strategia di resistenza al vuoto dell’epoca.
Infine, ritornando al vuoto (che forse è anche il nostro vuoto) e alla “pagina bianca” che attende che i giovani depongano le proprie parole: l’inversione dei nessi causali che Li Dazhao applicò all’idea di aiguo 爱国 e che Hu Shi, come si è appena visto, riprese all’interno del dibattito intorno alla guoyu 国语, fu poi ulteriormente rielaborata e portata alle estreme conseguenze dal pensatore più complesso e sistematico dell’epoca del Quattro Maggio – il quale, non a caso, fu anche il più implacabile distruttore di idoli e di concetti a priori: Lu Xun.
La “pagina bianca” per Lu Xun porta il nome di xiwang 希望, speranza:
“La speranza, in se stessa, non si può dire che esista o non esista, pensavo. È come per le strade che attraversano la terra. Al principio sulla terra non c’erano strade: le strade si formano quando gli uomini, molti uomini, percorrono insieme lo stesso cammino”.24)Lu Xun,Villaggio Natale, in Diario di un Pazzo, (traduzione di Primerose Gigliesi), 75.
Il passo è così celebre da non richiedere ulteriori commenti; soltanto, è degno di nota il fatto che Lu Xun in questa pagina non esprimesse solo il massimo del suo genio individuale, ma si facesse interprete di un procedimento di pensiero comune anche ad altri intellettuali, che come lui vissero all’epoca del Quattro Maggio.
Dunque, per concludere, se la nazione (guo 国) è conseguenza e non causa dell’amore (ai 爱) del suo popolo, così come la lingua nazionale è il frutto della sua letteratura, non la sua premessa – e la speranza nel futuro, infine, è una pratica che riguarda il tempo presente, perché in se stessa è solo un idolo di cartapesta, una superstizione (mixin 迷信), “un’abietta prostituta”25)Lu Xun, Speranza, in Erbe Selvatiche, (traduzione di Edoarda Masi; Macerata: Quodlibet, 2009), 25. – allora come possiamo definire il patriottismo sin qui descritto, e il concetto di “Cina” che esso implica?
Senza pretendere di trovare una risposta definitiva a una domanda così ampia, proveremo qui di seguito ad abbozzare, molto brevemente, un possibile percorso di ricerca.
La sottile ma necessaria distinzione fra nazionalismo e patriottismo rivoluzionario
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso si è assistito a una fioritura di studi sulla genesi e gli sviluppi delle diverse forme di nazionalismo, tanto che ormai questo è divenuto un filone di ricerca storica a sé. Qui citeremo solo due autori, entrambi fondamentali, che, pur non essendosi mai occupati di Cina o di Quattro Maggio nello specifico, offrono alcune chiavi di lettura utili anche ai sinologi.
Innanzitutto, Eric Hobsbawm: il suo Nazioni e nazionalismi dal 178026)EricHobsbawm, Nazioni e Nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà (Torino: Einaudi, 2002). – ormai un classico – operava un illuminante distinguo fra il nazionalismo degli stati europei, fondato sull’ideale dell’omogeneità linguistica, culturale ed economica all’interno di un territorio dato, e i moti patriottici rivoluzionari che conobbero una diffusione pressoché globale in coda alla prima guerra mondiale, guarda caso negli anni 1917-1919. Questo patriottismo, a detta dell’autore, soprattutto nelle sue prime fasi era assai più legato alla parola d’ordine della rivoluzione sociale che a quella dell’autodeterminazione nazionale. Poi, intanto che in Europa l’‘ordine wilsoniano’ e una troppo rigida adesione al principio di “un’unica lingua per una sola etnia in uno stesso Stato” stavano producendo contraddizioni esplosive sul lungo termine, sino all’ascesa del fascismo e allo scoppio della seconda guerra mondiale, fuori dai confini europei (nel mondo arabo, o in America Latina, ad esempio) si andava affermando una coscienza nazionale con precisi connotati politici, che si identificava in primo luogo con le istanze dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo. In questo quadro, credo, è lecito inscrivere anche il Quattro Maggio cinese.
Riguardo a quest’ultima forma di coscienza nazionale, comunque, forse è più opportuno rivolgerci a un altro storico inglese, che ha dedicato un’intera opera alla disamina del patriottismo progressista, condito di pensiero anarchico e immaginario anticoloniale: mi riferisco a Sotto tre bandiere, di Benedict Anderson.27)Benedict Anderson, Sotto tre bandiere. Anarchia e immaginario anticoloniale, (Roma: manifestolibri, 2008). Anderson scriveva nella sua prefazione che, vista la diffusione capillare e planetaria del fenomeno, sarebbe stata necessaria la creazione di un’“astronomia politica”, capace di “tracciare una mappa della forza gravitazionale esercitata dal movimento anarchico all’interno dei nazionalismi militanti”.28)Ivi, 8. “In linea di principio, si potrebbe iniziare a studiare questa rete rizomatica a partire da un punto qualsiasi – dalla Russia si arriverebbe a Cuba, il Belgio ci porterebbe in Etiopia e Portorico in Cina”.29)Ivi, 12. Il nostro “punto qualsiasi” potrebbe appunto essere il Quattro Maggio. L’indipendentismo e le critiche all’ordine coloniale che lo studioso riscontra nei patrioti dei ‘popoli oppressi’ per molti versi si ritrovano nei testi che abbiamo precedentemente analizzato. E quando Anderson descrive il romanzo dello scrittore filippino José Rizal, El Filibusterismo, il cui protagonista esprime un amor di patria a cui si mescolano l’anelito rivoluzionario e una spiccata passione per la dinamite, pur con tutte le necessarie distinzioni, sarebbe poi così forzato il paragone con Kuang Husheng e i suoi compagni?
Almeno a chi scrive pare meno remota la parentela fra l’immaginario anticoloniale indagato da Anderson e gli studenti cinesi del 1919, che fra questi ultimi e i nazionalisti cinesi di adesso. Fra pochi giorni ricorrerà il centenario del Quattro Maggio e ci si attende di vedere se e come verranno menzionati i nomi di Kuang Husheng e soprattutto di Duan Qirui, di Cao Rulin, dei ‘signori della guerra’. Non è detto che per colloquiare con le voci del passato non servano anche l’oblio e i silenzi del presente, che, se non altro, a loro modo indicano la presenza di una discontinuità forte; in ogni caso, nell’ “astronomia politica” del secolo delle rivoluzioni, le narrazioni possibili sono e restano molteplici.
Immagine: cittadini in piazza
Perini, ‘Aiguo’ ai tempi del Quattro Maggio
Laureata in lingua e letteratura cinese presso l’università di Bologna, Gaia Perini ha vissuto in Cina dal 2003 al 2018 dove ha conseguito un dottorato presso la School of Humanities and Social Sciences dell’Università Tsinghua di Pechino, specializzandosi in letteratura cinese moderna sotto la guida del prof. Wang Hui. Le sue ricerche, pubblicate in inglese, cinese e italiano, hanno come tema centrale l’autore moderno Ba Jin e attraversano i diversi campi della storia della letteratura, della storia del pensiero politico e della teoria della traduzione. Attualmente insegna presso le università di Modena e Reggio Emilia, Bologna, Forlì.
↑1 | Il documento tradotto in inglese è riportato per intero in Chow Tse-tsung, The May 4th Movement. Intellectual Revolution in Modern China (Cambridge: Harvard University Press, 1960), 106-107: si tratta di uno studio classico a cui qui si rimanda anche per la puntualissima ricostruzione, quasi minuto per minuto, di quella giornata di mobilitazione. |
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↑2 | Si fa riferimento al concetto sviluppato da Wang Hui di “orizzonte interno” o “visione interna” (neizai shiye 内在视野), con cui si designa un approccio allo studio della storia delle idee e della storia sociale che, a partire dal close reading delle fonti primarie, cerca di liberarle dalla loro posizione di oggetto inerte dell’indagine, facendone direttamente il metodo. In breve, per Wang Hui è il testo stesso a offrire gli strumenti e le chiavi interpretative per essere letto. Chi scrive ovviamente non pretende di ottenere gli stessi risultati raggiunti da questo noto intellettuale cinese nelle sue opere. In italiano si veda Wang Hui, “Colloquio su ‘il sorgere del pensiero cinese moderno’: la liberazione dell’oggetto e l’interrogazione della modernità,” in Impero o Stato-Nazione? La modernità intellettuale in Cina (Milano: Academia Universa Press, 2009), 185-206. In cinese, a parte le opere stesse di Wang Hui, vedi Yu Zhizhong 于治中: “Xiandaixing de beilun yu kaizhan: Wang Hui de sixiang shijie” 现代性的悖论与开展:汪晖的思想视界(I paradossi e le manifestazioni della modernità: Wang Hui e la sua visione intellettuale), in A Radical Quarterly in Social Studies, 72, dicembre 2008. |
↑3 | A proposito dei programmi anarchici di studio e lavoro, si veda ad esempio Arif Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution (Berkeley: University of California Press, 1991), cap. 3 e 5. |
↑4 | Ivi, 22. |
↑5 | Il resoconto autobiografico di Kuang venne stilato anni dopo, nel 1925, e pubblicato sulla rivista dell’Istituto Lida, Lida Jinan 立达季刊: Kuang Husheng 匡互生,“Wusi yundong jishi” 五四运动纪实 (Resoconto del Movimento del Quattro Maggio), in Xin Wenxue Shiliao 新文学史料, 3, 1979. |
↑6 | Ivi, 24. |
↑7 | Ivi, 25. |
↑8 | Oltre al resoconto in prima persona di Kuang Husheng, il lettore può consultare il già citato Chow Tse-tsung, The May 4th Movement, cap. 4 e in particolare le pagine 99-116. |
↑9 | Di nuovo si rimanda a Wang Hui e al suo studio “Wenhua yu zhengzhi de bianzou” 文化与政治的变奏 (Variazioni fra cultura e politica) (Shanghai: Shanghai Renmin Chubanshe 上海人民出版社, 2014) e nello specifico alla sezione “Shenme shi Wusi wenhua yundong de zhengzhi” 什么是五四文化运动的政治 (Che cos’è la politica del movimento di cultura del QuattroMaggio?), 112-139. |
↑10 | Il nesso esistente fra educazione e rivoluzione, in particolare per gli anarchici cinesi, è una costante negli scritti degli anni ’10 e ’20. In merito si veda Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution, 90-91, 99-100; soprattutto, 165-166. |
↑11 | R. Scalapino, G. T. Yu, The Chinese Anarchist Movement (Berkeley: Center for Chinese Studies, 1961). |
↑12 | Li Dazhao, “Shaonian Zhongguo de shaonian yundong”少年中国的少年运动 (Il movimento dei giovani della giovane Cina), in Shaondan Zhongguo 少年中国, (Beijing: Shaonian Zhongguo Chubanshe 少年中国出版社, 1919), 3, vol.1; oppure si veda Li Dazhao quanji 李大钊全集 (Opere complete di Li Dazhao), (Shijiazhuang: Hebei Jiaoyu Chubanshe 河北教育出版社, vol. 3, 1999), 318. |
↑13 | Wang Guangqi 王光祈, “Shaonian Zhongguo de chuangzao” 少年中国的创造, in Shaonian Zhongguo 少年中国 (Beijing: Shaonian Zhongguo Chubanshe 少年中国出版社, 1919), 2, vol.1. |
↑14 | Ivi, 1. |
↑15 | Li Dazhao, “Shaonian Zhongguo de shaonian yundong” 少年中国的少年运动, 321. |
↑16 | Questa volta il testo è disponibile anche in italiano, nell’ottima traduzione di Claudia Pozzana, una delle massime esperte del pensiero e dell’opera di Li Dazhao. Si veda: Li Dazhao, “Il luminoso movimento dei giovani d’Asia”, in Primavera e altri scritti, (Parma: Pratiche Editrice, 1994), 192. |
↑17 | Li Dazhao, Pessimismo e Coscienza, in Primavera e altri Scritti, 85. |
↑18 | Ivi, 86. |
↑19 | Come edizione italiana di “Chiamata alle Armi”, mi rifaccio a Lu Xun, Diario di un Pazzo, (Roma: Editori Riuniti, 1993). Per l’originale invece: Lu Xun鲁迅, “Nahan” 呐喊 (Beijing: Renmin Wenxue Chubanshe 人民文学出版社, 1979). |
↑20 | Hu Shi胡适, “Jianshe de wenxue geming lun” 建设的文学革命论 (Sulla rivoluzione letteraria da costruire), in Huimou “Xin Qingnian” – Yuyan wenxue juan 回眸《新青年》– 语言文学卷, a cura di Zhang Baoming 张宝明 e Wang Zhongjiang 王中江 (Zhengzhou: Henan Wenyi Chubanshe 河南文艺出版社, 1997). |
↑21 | Ivi, 312. |
↑22 | Ivi, 313. |
↑23 | Hu Shi 胡适, “Wenxue gailiang chuyi” 文学改良刍议 (Le mie umili opinioni sulla riforma della letteratura), in Huimou “Xin Qingnian” – Yuyan wenxue juan 回眸《新青年》- 语言文学卷, 261: “文学者,随时代而变迁者也”. |
↑24 | Lu Xun,Villaggio Natale, in Diario di un Pazzo, (traduzione di Primerose Gigliesi), 75. |
↑25 | Lu Xun, Speranza, in Erbe Selvatiche, (traduzione di Edoarda Masi; Macerata: Quodlibet, 2009), 25. |
↑26 | EricHobsbawm, Nazioni e Nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà (Torino: Einaudi, 2002). |
↑27 | Benedict Anderson, Sotto tre bandiere. Anarchia e immaginario anticoloniale, (Roma: manifestolibri, 2008). |
↑28 | Ivi, 8. |
↑29 | Ivi, 12. |