I decenni che finiscono in nove sono sempre gravidi di commemorazioni per chiunque si occupi di Cina: la manifestazione studentesca anti-imperialista del 4 maggio 1919 segna l’inizio della storia moderna in tutti i libri di testo; Mao proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese il primo ottobre 1949; nella primavera del 1989, le proteste in Piazza Tian’anmen inaugurarono tragicamente le rivoluzioni dei paesi (post-)socialisti. A cent’anni dal Quattro Maggio, trenta dal Quattro Giugno, e settanta dalla fondazione della RPC, sembra ovvio, quasi dovuto, ritornare a quegli avvenimenti, ricordarne l’importanza, offrirne, se possibile, una valutazione aggiornata, alla luce di nuove fonti e di diverse contingenze politiche. Ma è davvero necessario o utile commemorare quegli eventi più o meno ogni dieci anni? E perché dovrebbe esserlo? Che spazio occupano nella memoria, e nella memoria di chi? Mettiamo da parte il primo ottobre, una data inscritta nel funzionamento dell’apparato governativo, celebrata ufficialmente in Cina con parate e giorni di vacanza, la cui centralità è garantita dalla persistenza del partito-stato nato appunto nel 1949. Gli eventi del 1989 sono soggetti a censura feroce e continua in Cina, censura che ha prodotto una forma di amnesia generalizzata, in parte sostenuta da una popolazione che sa quanto pericoloso sia ricordare e ha accettato la convenienza della dimenticanza.1)Louisa Lim, The People’s Republic of Amnesia: Tiananmen Revisited (Oxford: Oxford University Press, 2015). E il silenzio forzato sull’ultima protesta studentesca del Ventesimo secolo non può non riecheggiare il primo caso di attivismo studentesco: il Quattro Maggio, per quanto (o proprio perché) inscritto nella storia ufficiale del Partito Comunista e celebrato come fonte originaria del marxismo in Cina, è un evento lontano, sbiadito, e consunto per la maggioranza dei cinesi – e, almeno nella sua versione ufficiale, per molti intellettuali. Una notizia di qualche settimana fa rende l’idea di quanto vuoto sia il riferimento a questo evento nel discorso burocratico. In un sondaggio su “la situazione dello sviluppo degli studenti universitari”, somministrato in marzo a una parte dei dottorandi dell’università di Pechino, una domanda riguardava proprio il Quattro Maggio: “Il 2019 cadrà il centenario del Quattro Maggio. Il movimento del Quattro Maggio diede forma al patriottismo, alla democrazia, e allo spirito scientifico tipici del Quattro Maggio. Indica la tua opinione sulle seguenti affermazioni (completamente d’accordo, d’accordo, non so, non d’accordo, per nulla d’accordo).” Queste le frasi con cui si chiedeva agli studenti di esprimere la loro opinione:

  1. Patriottismo, progresso, democrazia e scienza sono valori fondamentali che bisogna sostenere e praticare.
  2. Lo spirito del Quattro Maggio incarna la ricerca di un sistema di valori avanzato da parte del popolo e della nazione cinese.
  3. Gli ideali, l’entusiasmo, e la lotta dei giovani costituiscono la fonte vitale della forza e dello spirito della Cina.
  4. I giovani devono dare sfogo alle loro passioni nella lotta e nella ricerca di ideali giovanili.
  5. Il patriottismo non può essere solo uno slogan.
  6. La cosa più importante nel diventare adulti è saper amare il proprio paese.2)Eddie Park, “Students At China’s Top University Administered ‘Political Loyalty’ Surveys”, Supchina, 13/3/2019.

Dunque, oggi, in Cina, non è per nulla ovvio o chiaro cosa si commemori quando si commemora il Quattro Maggio.
Fuori dalla Cina, nell’occidente che guarda a oriente, la questione di perché ricordare da qui, oggi, il Quattro Maggio (o il Quattro Giugno) non mi pare meno complicata. In fondo, come mi redarguì un professore quando dissi, molti anni fa, che volevo scrivere la mia tesi di dottorato su quegli eventi, “nel 1919 non successe nulla”. E a voler fare l’avvocato del diavolo, le manifestazioni del maggio e del giugno di quell’anno contro il trattato di Versailles non ebbero alcun effetto “reale” sulla scena geopolitica: le colonie tedesche passarono al Giappone, e la morsa dell’imperialismo non si allentò. Si può fare una simile valutazione anche sui fatti dell’89: il massacro del 4 giugno cancellò le aspirazioni politiche espresse nel corso della primavera di quell’anno e il successo delle riforme nei decenni successivi sembrò cinicamente confermare la saggezza del Partito. Il consumismo capitalista dimostrò di non necessitare alcuna trasformazione democratica per sopravvivere e prosperare. Come scrive il poeta Yang Lian, il 1989 forse fu “davvero un anno qualsiasi”.3)Yang Lian, “1989”, traduzione di Claudia Pozzana, Un’altra Cina. Poeti e narratori degli anni Novanta, a cura di Claudia Pozzana e Alessandro Russo, In forma di parole, 1999, 37.
C’è forse una ragione soggettiva e personale per cui noi – quelli che di Cina si occupano di mestiere – dedichiamo particolare attenzione specificamente a questi eventi. Sono eventi in cui gli attori principali sembrano essere persone “come noi”, intellettuali e studenti, e nello specifico intellettuali e studenti “in opposizione”: contro lo stato, il colonialismo, la burocrazia, la corruzione del potere. Raccontare e commemorare il 1919 o il 1989 conferma preconcetti difficili sia da ammettere che da sradicare: l’idea che gli intellettuali siano il motore del cambiamento, che rappresentino le aspirazioni più elevate, che siano (siamo?) potenzialmente capaci di gesta eroiche. Nella situazione cinese attuale, ricordare questi eventi ispira speranza non solo che un cambiamento politico sia possibile, ma anche che la scintilla di quel cambiamento risieda fra quei cinesi che meglio conosciamo e frequentiamo, altri intellettuali. Questa è evidentemente, come ha sottolineato con chiarezza Timothy Cheek, una visione distorta. Il secolo di attivismo studentesco che oggi celebriamo ci conferma che sì, gli intellettuali cinesi sono stati e sono tuttora coraggiosi e ribelli, ma non più né più frequentemente dei cittadini, operai, e contadini che animarono rivoluzioni di proporzioni inimmaginabili. Ma la storia del secolo scorso ci conferma anche che, nella maggioranza dei casi, gli intellettuali cinesi sono (come noi?) generalmente poco ribelli, che non occupano con regolarità strade e piazze, e che più frequentemente lavorano all’interno o in prossimità dello stato e del potere: come burocrati, pianificatori, insegnanti, parte integrante degli apparati ideologici.4)Timothy Cheek, The Intellectual in Modern Chinese History (Cambridge: Cambridge University Press, 2015). Celebrare gli eroismi del passato è consolatorio, ma può essere fuorviante.
Avendo dedicato anni della mia vita allo studio dell’attivismo studentesco e una bella fetta della mia produzione intellettuale al movimento del Quattro Maggio (e alla primavera di Pechino) non penso certo che nel 1919 (e nel 1989) non sia successo nulla: quel professore si sbagliava di grosso e il verso di Yang Lian va letto come un’ironia triste e poetica. Ma dopo aver a lungo lavorato sul Quattro Maggio, anni fa decisi di passare ad altri argomenti e di spostare la mia attenzione ad altre decadi della storia cinese. Un po’ fu per l’ovvia stanchezza che l’eccessiva frequentazione con un certo soggetto provoca, ma la stanchezza fu di certo esacerbata dal fatto che il Quattro Maggio, proprio per il suo stato identificato come un movimento “originario” – sia nella narrativa che porta al partito-stato che a quella che ne giustifica l’opposizione – è davvero avvolto in un bozzolo di “incrostazioni storiografiche”  di vario tipo, sia in Cina che in occidente. Per cercare di produrre interpretazioni convincenti di quell’evento è necessario dunque scavare attraverso quelle stratificazioni, ora centenarie, e confrontarsi con caratterizzazioni stantie ma pervicacemente riprodotte. Ma forse gli anniversari, soprattutto quelli importanti, a cifra tonda, a questo servono, a riproporre domande spesso evase, a focalizzare lo sguardo, in questo caso, sull’eredità politica che il movimento del Quattro Maggio ha lasciato al secolo successivo e potenzialmente alla Cina odierna.
Per ritrovare il senso di quell’eredità, al di là delle mitologie statali o anti-statali, bisogna cominciare col mettere in discussione idee e termini che appaiono a prima vista trasparenti e che sembrano tracciare una linea di continuità nell’ultimo secolo: innanzitutto “democrazia,” ma anche “intellettuale” e “studente”. Lungi dall’essere concetti stabili, la storia dell’attivismo studentesco in Cina è stata proprio la storia di una continua lotta (pratica e teorica) sul significato di quei termini, sulla natura, il carattere, la stessa soggettività degli studenti come attori politici, e sulla loro relazione con il resto della società. Questa tensione è costitutiva del  movimento del Quattro Maggio, la cui eredità è molteplice e polisemica.
Il movimento coincide con la creazione della categoria di “studente” come categoria della politica. Il cosiddetto Movimento di Nuova Cultura, che precede e comprende il Quattro Maggio, fu un tentativo da parte di alcuni giovani intellettuali di avviare un radicale ripensamento e una radicale ristrutturazione dell’intera eredità culturale cinese, di cosa fosse davvero “la Cina,” di quale relazione  avesse con il mondo, e della figura stessa dell’intellettuale – una figura moderna, inesistente nel passato imperiale. Gli studenti – e gli studenti sono intellettuali in Cina – furono parte integrante di quel movimento, come soggetti e oggetti del ripensamento. Per quanto ci sia sempre stata in Cina gente che studiava, la moderna figura dello studente emerse solo con l’introduzione di una moderna struttura scolastica e con la fondazione delle prime università. Furono appunto questi studenti moderni, educati presso nuove istituzioni – prima fra tutte l’Università di Pechino – che per la prima volta marciarono per le strade di Pechino il 4 maggio 1919, per protestare contro le condizioni del trattato di Versailles: fu questo il momento in cui gli “studenti” diventarono una figura della politica cinese moderna.
Come ha sottolineato Dai Jinhua, il Quattro Maggio “creò il modello di base per i moderni movimenti di massa e per la disobbedienza civile nella sfera pubblica”, un modello schematizzato nella storia ufficiale in questi termini: gli studenti universitari protestano nelle strade di Pechino, radunandosi in massa in Piazza Tian’anmen; i cittadini di Pechino li sostengono; il movimento si espande ad altre città; i lavoratori di Shanghai si uniscono al movimento, espandendone la portata rivoluzionaria.5)Dai Jinhua, “‘Wusi’ hongliu Zhong de yi jing: Zhongguo dianying de chuchuang” “‘五四’ 洪流中的一泾: 中国电影的初创” (Un rivolo nel grande fiume del Quattro Maggio: l’inizio del cinema cinese), Dianying yishu 电影艺术, 3, 2009, 5. Questo modello – schematico ma continuamente riprodotto – identifica una serie di figure e di luoghi privilegiati, caricandoli di significato storico e politico. Innanzitutto gli stessi studenti, patriottici e altruisti, coscienza della nazione, scintilla iniziale della rivoluzione, predicatori, maestri devoti a “risvegliare le masse”. Poi Piazza Tian’anmen, che nel maggio 1919 non aveva ancora le dimensioni odierne, viene segnata come luogo privilegiato per la storia rivoluzionaria, sempre conteso fra celebrazione del passato e protesta del presente. E infine alcune università, e in particolare l’Università di Pechino, la prima università cinese, continuamente e contraddittoriamente celebrata (e autocelebrata) sia per il suo ruolo centrale nello sviluppo dello stato, della nazione e del partito che per una tradizione di indomita critica verso i poteri costituiti. Questo è il modello che è stato di fatto assorbito nella storia ufficiale del partito-stato. La prima associazione di ricerca sul marxismo, creata nel 1920 all’Università di Pechino, viene identificata come antecedente primario alla fondazione del PCC, l’anno successivo. La storiografia di partito interpreta il movimento degli studenti fuori dalle scuole e nelle strade come un ravvicinamento degli intellettuali alle masse proletarie – operai, cittadini e contadini – cruciale per il futuro successo della rivoluzione. Uno dei bassorilievi del Monumento agli Eroi del Popolo in Piazza Tian’anmen sintetizza questo modello nell’immagine di studenti (in lunghe tuniche) che arringano una folla di operai, contadini e donne; nella pietra del monumento l’eredità del Quattro Maggio viene letteralmente inscritta come parte integrante della costituzione del partito-stato.6)Sulla costruzione del monumento, vedi Wu Hung, Remaking Beijing. Tiananmen Square and the Creation of a Political Space  (Chicago: The University of Chicago Press, 2005).
Tuttavia, come ho accennato, questo modello è segnato da contraddizioni e tensioni fin dall’inizio. Durante il movimento del Quattro Maggio, gli studenti si presentarono in opposizione allo stato, ma rifiutarono chiaramente e risolutamente di identificare la loro protesta come una manifestazione di “studenti”, vale a dire come espressione di una categoria sociale specifica. In vari discorsi, articoli e documenti, gli studenti ribadirono costantemente di non protestare in quanto studenti, ma in quanto cittadini, incarnando una preoccupazione per i destini nazionali di fatto universale, dissociata da qualsiasi status o livello di istruzione. Nel 1919 fu invece proprio lo stato (all’epoca sotto il controllo dei signori della guerra) a definire le proteste come un movimento “di studenti” usando quella caratterizzazione per giustificare la repressione: gli studenti erano giovani, impetuosi e ignoranti delle complessità del mondo “adulto”; protestando, si sottraevano al loro obbligo principale, vale a dire studiare e migliorarsi per il bene della nazione. La repressione governativa indi mirava a rimettere gli studenti “al loro posto”, nelle aule scolastiche e nei campus, a tenerli lontani da strade e piazze, dove avrebbero potuto unirsi ad altri gruppi sociali. Il governo cinese, nel contenere e reprimere le proteste mise dunque in atto una strategia di separazione, separando (nella pratica come nella teoria) gli studenti dal resto del popolo, i giovani – ignoranti e non del tutto maturi – dagli adulti, e i luoghi destinati allo studio e alla discussione dallo spazio pubblico della politica come azione organizzata.7)Fabio Lanza, Behind the Gate. Inventing Students in Beijing (New York: Columbia University Press, 2010).
Questa è una delle tensioni cruciali che attraversa un intero secolo di attivismo studentesco in Cina. Da un lato un modello di attivismo incentrato su una mitologica idea dello “studente,” incarnazione del patriottismo illuminato, modello facilmente sussunto nella narrativa dello stato, e che è appunto alla base della legittimità sia del Partito Nazionalista che del PCC. Un modello che è, allo stesso tempo, potenzialmente comodo e utile per gli intellettuali, visto che conferma la loro posizione privilegiata all’interno dell’eredità rivoluzionaria. Dall’altro lato, il Quattro Maggio presenta un caso storico in cui fu proprio il volontario superamento di certe categorie sociali – la volontà degli studenti di non comportarsi da “studenti” e di non agire ed esprimersi politicamente in quanto studenti o a vantaggio degli studenti – a costituire la parte più innovativa, più rivoluzionaria, e più pericolosa per lo stato (qualsiasi stato) del loro attivismo. Non è un caso dunque che, in altri casi di attivismo studentesco, la repressione abbia seguito la stessa strategia di separazione inaugurata nel Quattro Maggio. Ad esempio, nel 1966, gli studenti risposero all’appello di Mao per una “rivoluzione culturale” uscendo dalle aule e dalle scuole, muovendosi nei quartieri di Pechino,  stringendo alleanze con altri studenti e altri gruppi, portando il dibattito nelle strade, e formando organizzazioni politiche indipendenti (le Guardie Rosse), fatte di studenti ma non per studenti. Il governo reagì cercando di ridurre il dibattito politico a una discussione accademica, guidata, riconducendo gli studenti nelle aule, riportando cioè gli studenti a essere solo studenti. Nel 1989, gli studenti sollecitarono e ottennero il sostegno dei cittadini – tassisti, piccoli imprenditori, giornalisti, operai e monaci marciarono al loro fianco – ma mai rinunciarono alla loro connotazione di studenti, guida del movimento,  portavoce del popolo. Ma a spaventare davvero il governo fu comunque la possibilità che il movimento si espandesse ad altre classi sociali – in particolare gli operai –, che diventasse davvero un movimento di massa e non solo un movimento studentesco. Non fu un caso che la repressione di giugno fu molto più severa e crudele nei confronti di operai e non-studenti in genere. Dai Jinhua ha dunque perfettamente ragione quando scrive che la caratteristica principale del secolo a cui il Quattro Maggio dà inizio fu la pratica politica di una continua, estesa mobilitazione sociale;8)Dai Jinhua, “‘Wusi’ hongliu Zhong de yi jing: Zhongguo diang de chuchuang”, 5. si tratta però di una pratica che non si può restringere o sussumere sotto la categoria di “intellettuali” o “studenti” – anche perché quelle categorie sono da sempre oggetto di quella pratica.
Abbiamo finora parlato di un secolo di “attivismo studentesco” in Cina, ma quello che celebriamo è stato un secolo breve. Il massacro e la repressione del 1989 di fatto svuotò di senso politico la categoria degli “studenti” e chiuse ogni possibilità di riattivare il modello ereditato dal 1919. Negli ultimi tre decenni, gli studenti cinesi sono apparsi nella cronaca più che altro come vittime, beneficiari, partecipanti apatici o entusiasti della trasformazione neoliberista della società cinese. E sembrava non ci fosse più alcuna possibilità di vederli ancora apparire sulla scena, non tanto come individuali attori, ma come categoria politica. Almeno fino a poco tempo fa.
L’estate scorsa, un gruppo di studenti è di nuovo diventato protagonista dello scontro politico, mobilitandosi a sostegno di un movimento operaio a Shenzhen, dove i lavoratori di una impresa privata (Jasic) hanno iniziato una coraggiosa e altrettanto sorprendente campagna per organizzarsi in un sindacato. Il movimento, iniziato a Maggio, ha provocato in ultimo la reazione delle autorità, culminata nell’arresto di trenta lavoratori (e dei loro familiari) il 27 luglio. A questo punto, centinaia di studenti delle più prestigiose università cinesi hanno firmato petizioni in sostegno dei lavoratori, e una ventina di loro si sono recati addirittura a Shenzhen per offrire personalmente il loro sostegno. In agosto, alcuni raid della polizia a Shenzhen e Pechino hanno portato all’arresto di circa cinquanta individui, fra lavoratori, studenti e attivisti che avevano organizzato manifestazioni a sostegno degli operai della Jasic. Anche se scarcerati, molti rimangono sotto stretta e assidua sorveglianza.9)Zhang Yueran, “The Jasic Struggle and the Future of the Chinese Labour Movement”, Made In China Journal, 3:3, 2018. Sue-Lin Wong, Christian Shepherd, “China’s student activists cast rare light on brewing labor unrest”, Reuters, 14/8/2018. Si tratta di un gruppo di studenti piuttosto particolare: molti appartengono ad associazioni studentesche marxiste, dimostrando che nella Cina odierna a prendere Marx sul serio si finisce nei guai. Gli studenti nel corso di alcune interviste, discorsi e video parlano un linguaggio derivato direttamente dalla retorica del Partito, ma in cui i riferimenti marxisti a classe, lavoro e uguaglianza riacquistano significato come parole d’ordine contro il governo, accusato di tradire quegli ideali. In novembre, le autorità dell’Università di Pechino hanno accusato gli studenti marxisti di “attività criminali,”10)Eddie Park, “The Red Runners of Peking University”, SupChina, 11/11/2018. e in dicembre hanno posto l’Associazione studentesca marxista sotto controllo di un comitato esterno:11)Mimi Lau, “Peking University Students Clash with Campus Guards over Control of Marxist Society”South China Morning Post, 28/12/2018.  ironicamente, questo proprio nel luogo dove la prima associazione marxista fu fondata nel 1920.
È difficile dire cosa questa nuova ondata di attivismo studentesco e operaio significhi, ed è ancora più difficile fare previsioni per il futuro. Da un lato la partecipazione degli studenti ha trasformato una protesta tutto sommato locale (per quanto rappresentativa) in un caso nazionale ed internazionale. Ciò ha dato visibilità ai lavoratori della Jasic, ma può anche avere avuto l’effetto indesiderato di inasprire la repressione. Ogni valutazione, a questo punto, sembra pericolosamente provvisoria. Certo si tratta di una protesta che male si adatta alle solite interpretazioni sugli intellettuali e la democrazia: giovani idealisti che parlano la lingua del marxismo, si alleano con gli operai, e denunciano i disagi prodotti dal capitalismo sono ben lontani dall’immaginazione occidentale di una trasformazione liberale della società civile sotto la spinta dell’economia di mercato.  Ma magari, proprio mentre celebriamo un secolo di attivismo, possiamo finalmente abbandonare modelli triti e semplicistici, e considerare le azioni di questi operai e studenti come una forma propria di politica, e non come sbiadite riproduzioni dei sogni immaginari dei loro predecessori. Sarebbe forse il modo migliore per commemorare il Quattro Maggio.

Immagine: la gioventù del Quattro Maggio

Lanza, Cosa ricordiamo quando ricordiamo il Quattro Maggio PDF

Fabio Lanza insegna storia della Cina moderna presso l’Università dell’Arizona. Fra le sue ricerche, incentrate soprattutto sullo studio dell’attivismo politico e dello spazio urbano nella Cina del Novecento, si segnalano i volumi Behind the Gate. Inventing Students in Beijing (New York: Columbia University Press, 2010) e The End of Concern: Maoism, Activism and Asian Studies (Durham: Duke University Press, 2017).

References
1 Louisa Lim, The People’s Republic of Amnesia: Tiananmen Revisited (Oxford: Oxford University Press, 2015).
2 Eddie Park, “Students At China’s Top University Administered ‘Political Loyalty’ Surveys”, Supchina, 13/3/2019.
3 Yang Lian, “1989”, traduzione di Claudia Pozzana, Un’altra Cina. Poeti e narratori degli anni Novanta, a cura di Claudia Pozzana e Alessandro Russo, In forma di parole, 1999, 37.
4 Timothy Cheek, The Intellectual in Modern Chinese History (Cambridge: Cambridge University Press, 2015).
5 Dai Jinhua, “‘Wusi’ hongliu Zhong de yi jing: Zhongguo dianying de chuchuang” “‘五四’ 洪流中的一泾: 中国电影的初创” (Un rivolo nel grande fiume del Quattro Maggio: l’inizio del cinema cinese), Dianying yishu 电影艺术, 3, 2009, 5.
6 Sulla costruzione del monumento, vedi Wu Hung, Remaking Beijing. Tiananmen Square and the Creation of a Political Space  (Chicago: The University of Chicago Press, 2005).
7 Fabio Lanza, Behind the Gate. Inventing Students in Beijing (New York: Columbia University Press, 2010).
8 Dai Jinhua, “‘Wusi’ hongliu Zhong de yi jing: Zhongguo diang de chuchuang”, 5.
9 Zhang Yueran, “The Jasic Struggle and the Future of the Chinese Labour Movement”, Made In China Journal, 3:3, 2018. Sue-Lin Wong, Christian Shepherd, “China’s student activists cast rare light on brewing labor unrest”, Reuters, 14/8/2018.
10 Eddie Park, “The Red Runners of Peking University”, SupChina, 11/11/2018.
11 Mimi Lau, “Peking University Students Clash with Campus Guards over Control of Marxist Society”South China Morning Post, 28/12/2018.