1 Il potere è un tema importante della tua opera e una forza centrale che guida l’azione umana nelle tue storie. Come definisci il potere, cos’è il potere per te?
Dunque, diciamo anzitutto che io non definisco il potere, io definisco la vita. La vita, per me, deve essere lasciata nel suo stato originario, restare esattamente com’è, lo scrittore non deve selezionarla o filtrarla troppo, perché la vita una volta filtrata non è più vita, ma un “distillato” della vita. Per esempio, i cinesi fin dai tempi antichi sono sempre stati disciplinati dal potere, attraverso i metodi di controllo amministrati dall’alto dal potere imperiale e dagli apparati burocratici e attraverso la cultura del controllo che questi hanno formato; gli scrittori non possono, non importa quale sia la loro ragione, fingere di non vedere o nascondere questa “cultura del potere” filtrandola.
Da secoli e secoli la vita dei cinesi è costituita attraverso forme di controllo e di governo che non sono i cinesi a scegliere; questo è il dato da cui parto per riflettere su come la vita si costituisce, indagandola nella sua forma originaria. Da qui nasce la tua domanda sul significato del potere. Ma il potere, per me, in realtà coincide con la vita, è la sostanza della vita stessa. La ragione per cui possiamo dire che molte mie opere toccano il problema del potere è che queste stesse opere toccano i problemi fondamentali della vita dei cinesi.
2 Puoi descrivere come opera il potere nella Cina rurale e quali schemi di comportamento produce?
Il potere, inteso come il rapporto fra governanti e governati nella società, nella Cina rurale presenta le seguenti peculiarità:
1 I governanti non sono il frutto delle scelte fatte dai governati, ma degli incarichi attribuiti dai governanti di livello superiore.
2 Date le origini millenarie del sistema feudale, i governati accettano il fatto di essere governati come una cosa naturale.
3 I governanti sono simultaneamente anche dei governati, così come i loro superiori che a loro volta hanno sopra di sé chi li governa (pur non sorvegliandoli). Ciò ha trasformato il potere in una piramide, facendo sì che ogni persona e ogni strato sociale abbia dei governanti sopra di sé e dei governati al di sotto. Solo l’autorità suprema, composta da una persona o da un gruppo dominante, non ha chi la governa o la controlla. Così, i cosiddetti governanti delle campagne sono in realtà dei governati, del tutto privi di potere assoluto, che agiscono per lo più applicando le istruzioni, le direttive e le politiche venute dall’alto, con pochissimo o nessuno spazio per operare in modo indipendente. Rispetto alla Cina urbana, il modello di governo nella Cina rurale si limita tutt’al più a conservare qualche residuo del retaggio etico contadino e dell’organizzazione familistico-patriarcale tipico della Cina prerepubblicana; esso non è, pertanto, in senso stretto un modello di governo tipico della moderna civiltà urbana.
Il modello di potere della Cina rurale, da come la vedo io, è in larga parte un ibrido che mette assieme i modelli del potere imperiale, del partito e della famiglia. Su questo si potrebbe scrivere un libro, ma detto in due parole tale modello può essere considerato come la combinazione triplice del potere imperiale, del partito e del clan.
3 Quali sono le principali origini di queste strutture? La cultura tradizionale cinese? L’attuale sistema politico? La modernizzazione di tipo capitalista?
Per quanto riguarda la struttura del potere nella Cina rurale non parlerei quasi di modernizzazione capitalista, le sue origini si ritrovano nel potere di stampo imperiale e nella cultura tradizionale, a cui si è aggiunta dal 1949 l’ideologia socialista.
4 Qual è la relazione fra la Cina urbana e la Cina rurale in termini di potere, oggi? Pensi che capire la Cina rurale di oggi possa aiutare a capire l’odierna Cina urbana?
La Cina urbana e la Cina rurale sono entrambe guidate dalla leadership del Partito Comunista, e in termini di potere funzionano più o meno allo stesso modo. Di diverso c’è solo che nella civiltà rurale ci sono più elementi agricoli mentre nella civiltà urbana ci sono un certo numero di elementi culturali tipici del capitalismo occidentale.
Per capire la Cina e le città cinesi occorre prima di tutto capire le campagne, e questo non solo perché la Cina è stata in origine un antico paese contadino – quasi tutte le civiltà affondano le loro radici nell’agricoltura – ma anche perché tutte le città, in Cina, sono di fatto circondate dalle campagne. Perfino oggi, se escludiamo le megalopoli come Pechino, Shanghai, Nanchino, Canton o Shenzhen, la maggior parte dei capoluoghi di provincia tuttora stentano a liberarsi dal loro imprinting culturale di borghi agricoli in versione allargata. Oggi assistiamo a uno sviluppo enorme delle città, vediamo innumerevoli nuovi centri urbani e nuovi cittadini. Tuttavia, per la maggior parte, questi ultimi non sono altro che dei “contadini che abitano in palazzotti”.
Balzac ha detto che per formare un vero nobile ci vogliono tre generazioni: è una frase con cui possiamo comprendere la nuova Cina urbana. Anche per formare un vero cittadino, un uomo con idee moderne e cosmopolite, ci vogliono tre generazioni. Le nuove città cinesi sono sorte tutt’al più una ventina di anni fa, come potrebbero i loro abitanti essere dei “cittadini”?
5 Potresti parlare, prendendo come esempio la tua novella “Setola nera setola bianca”, di come la cultura “funzionariocentrica”, in Cina, influenza la psicologia del “culto del potere”?
“Setola nera setola bianca”, in realtà, è più che altro un racconto sulla tragica perdita della dignità umana dinanzi al potere. Quanto al culto del potere, esso costituisce la condizione psicologica più retriva, tenace, potente ed efficace con cui il potere domina culturalmente le persone da tremila anni. È coltivando il culto del potere che le élites di un paese si garantiscono perpetuamente il governo e il dominio sullo stato, la nazione e la gente comune. In altre parole, il paese più facile da governare e dominare è quello in cui non si distrugge e non si critica la mentalità servile, né si promuove il pensiero illuminista. Proprio come nel caso della Cina. È esattamente da qui che scaturisce la perdita della dignità umana in “Setola nera setola bianca”.
Per me il funzionariocentrismo, per usare un’immagine letteraria, è lo scranno prezioso del potere portato in alto dal servilismo. Se il servilismo scompare, lo scranno diventa soltanto una comune sedia di legno, ma più invece questo permane, più lo scranno appare prezioso e scintillante. Perciò il problema fondamentale del funzionariocentrismo non sono solo il potere, i soldi, lo status e l’onore; la cosa più grave, semmai, è che la nostra società ha istituito una grande scuola eternamente indistruttibile per educare al servilismo.
6 Nelle tue storie, come ad esempio “Risveglio di primavera” e “La pischella va al mercato”, la violenza sembra onnipresente. Potresti parlare del rapporto fra violenza e potere in Cina?
Le mie opere presentano tre situazioni di violenza: 1) la violenza che viene dalla rivoluzione, come per esempio nel romanzo Jianying rushui 坚硬如水; 2) la violenza che viene dal potere, come nei romanzi Shouhuo 受活 e Zhaliezhi 炸裂志; 3) la violenza che viene dalla natura umana e dalla cultura tradizionale. In opere come quelle che hai menzionato, e in particolare in Rixi 日熄, romanzo recentemente pubblicato in inglese, i comportamenti violenti sono per lo più il frutto della stessa natura umana. Se però vogliamo parlare del rapporto fra potere e violenza, allora devo dire che per me tutto il potere è violenza. I capisaldi della civiltà moderna – come democrazia, libertà, diritti umani e via dicendo – d’altra parte servono proprio a limitare la violenza del potere. Ma la violenza non è solo quella visibile, quella fisica che percuote e uccide, ma è anche quella invisibile, la violenza del potere simile a una “brezza e a una pioggerellina” che si subisce di buon grado, come in “Setola nera setola bianca”. Senza parlare della violenza rivoluzionaria e limitandoci solo al rapporto fra violenza e potere, è indubbio che il potere sia una fonte di violenza, il terreno fertile che genera e alimenta un certo tipo di violenza. Perciò limitare il potere vuol dire arginare la violenza – laddove per potere non intendo solo quello nelle mani dei governanti, ma anche il potere della tradizione, degli uomini nei confronti delle donne, dei padri nei confronti dei figli, degli insegnanti nei confronti degli allievi. Se questo potere non scompare non verrà mai l’uguaglianza. E se non verrà l’uguaglianza questi tipi di violenza non potranno scomparire mai. Parlando nello specifico della Cina rurale, la cosa più tremenda, come dico sempre, non è tanto il proliferare del potere e della violenza, quanto piuttosto il fatto che le persone vi si siano assuefatte e li accettino come cosa normale, il fatto che potere e violenza abbiano attecchito sotto forma di cultura nel terreno sociale e nel pensiero della gente. Se possiamo dire che i miei romanzi contengono una critica del potere e della violenza, occorre precisare che ciò che mi interessa è soprattutto criticarne gli aspetti “culturali” invisibili.
7 I tuoi personaggi sono per lo più delle “persone sofferenti” (shoukuren 受苦人). Ma queste persone sofferenti di solito non sono delle semplici vittime e spesso sono invece complici del sistema di potere che le rovina. Potresti dire qualcosa al riguardo?
Grazie, dici molto bene. In Cina la stragrande maggioranza delle persone sono nello stesso tempo vittime e complici del potere. Ognuno, manipolato e rovinato dal potere, spera di ottenere un giorno il potere utilizzandolo per rovinare altre persone. Prendiamo come esempio i funzionari di oggi, nell’ambito della spaventosa lotta alla corruzione attualmente in corso. Ciò che vediamo è che quasi tutti, per essere promossi, sono costretti a distribuire mazzette ai dirigenti di livello superiore e agli uffici interessati. Una volta promosse, però, queste stesse persone finiscono a loro volta per pretendere con gli interessi le stesse mazzette, così da riprendersi tutto ciò che hanno elargito. È una “regola nascosta” del funzionariato, una foglia di fico “alla cinese” che nasconde una realtà che nessuno vuole portare allo scoperto.
Eppure i contadini, occupando lo strato più basso della società, senza dubbio sono le vittime più universali del potere. Il punto è che essi raramente mettono in discussione il potere o si oppongono a esso, limitandosi piuttosto ad accettarne in modo tacito la natura corrotta, nell’attesa di godere un giorno a loro volta di un qualche potere – loro o i loro familiari, o i loro figli – diventando delle persone importanti. È tra queste persone “importanti” che troviamo i nuovi corrotti.
Mettiamola così: i cinesi – e in particolare le vittime degli strati subalterni – dinanzi al potere sono degli oppressi che accettano tacitamente l’oppressione e perfino l’approvano, proprio come i funzionari che combattono la corruzione ma nello stesso tempo continuano a farsi corrompere. Quasi tutti, di fronte al potere, sono degli alienati. Secondo me la maggioranza dei cinesi, intellettuali compresi, sono persone alienate dal potere, figuriamoci i contadini che appartengono agli strati più bassi della Cina rurale.
8 La tua narrativa trasmette una visione negativa della natura umana. Che cosa ti interessa di più, esplorare la natura universale del male negli essere umani o mostrare la corruzione del “carattere nazionale” alla luce delle circostanze storiche odierne?
Per parlarne devo partire dallo stato della letteratura cinese odierna. Quest’ultima, a mio avviso, da molto tempo ormai tende a favorire in modo eccessivo la narrazione “del vero, del buono e del bello” (una letteratura edificante e sublimatrice, ndt), la produzione dei cosiddetti leitmotiv (quelle opere letterarie, cinematografiche o televisive atte a veicolare contenuti ideologici ufficiali o valori sociali e morali positivi in linea con i desiderata del governo, ndt), e la diffusione della cosiddetta “energia positiva” (slogan di Xi Jinping, ndt) o della “luce degli ideali”. Così facendo, la letteratura nel suo complesso ha finito per oscurare l’autenticità della vita e la verità del reale. Quando Lu Xun criticava il “carattere nazionale”, egli non faceva solo una critica, ma anche una rappresentazione della verità umana e delle brutture della sua natura. Prendiamo ad esempio La vera storia di AQ: non è forse vero che, proprio mentre criticava il carattere nazionale, Lu Xun finiva anche per mettere a nudo il lato più brutto della natura umana? Come potrebbe la critica di uno scrittore non toccare anche questo aspetto? Per questo dico spesso che metà della mia anima è un dono di Lu Xun. Un dono che non è solo spirito critico, ma anche uno sguardo autentico sull’uomo, la società e la storia.
8 Quale dovrebbe essere secondo te la funzione della letteratura? Pensi che la letteratura abbia un qualche potere? Se sì, qual è il potere della letteratura?
La funzione della letteratura è artistica, è quella di trasmettere al lettore un’“empatia artistica” attraverso la lingua, una storia e le più personali comprensioni e rappresentazioni dell’uomo e del mondo da parte di un autore. È questa “empatia artistica”, a mio avviso, l’unica funzione della letteratura. Quanto al suo potere, ammesso che la letteratura ne abbia davvero uno, esso consiste nella prerogativa di dare allo scrittore la facoltà di esprimersi con la massima libertà personale dopo avere sviluppato la più personale comprensione dell’uomo e del mondo.
In Cina, tuttavia, la realtà è un po’ diversa. In Cina la letteratura un potere ce l’ha eccome, come nel caso degli organi ufficiali dell’Associazione degli Scrittori, i cui scrittori e addetti un qualche “potere letterario” ce l’hanno di certo, come per esempio quello di stabilire che si può scrivere in un modo ma non in un altro, che qualcosa si può scrivere e qualcosa no, di amministrare il sistema di chi pubblica e dove, dei premi e dei riconoscimenti che si possono ottenere.
È proprio questo tipo di potere letterario che ha soffocato il diritto di comprendere il mondo e di scriverne nel modo più personale e più libero possibile.
10 C’è per te un antidoto contro la brutalità e l’insensibilità del potere? Se sì, quale?
Certo che c’è. Per quanto mi riguarda, l’antidoto è quello di scrivere, di concedermi la scrittura, che è una forma di libertà e di resistenza. Oggi alla scrittura io chiedo pochissimo, chiedo solo di lasciarmi la penna in mano. Avere la penna in mano vuol dire tutto. Se ti tolgono di mano la penna, non c’è modo di dire più nulla.
Per questo spesso prego: signore, fa’ che la penna mi sia lasciata per sempre in mano.
Immagine: Yan Lianke
Fumian, Sulla psicologia sociale del potere. Intervista a Yan Lianke PDF
Yan Lianke (1958) è uno dei massimi scrittori cinesi contemporanei. Fra le sue numerose opere, oltre a quelle menzionate in questa intervista, sono state tradotte in italiano Servire il popolo (Torino: Einaudi 2006), Il sogno del villaggio dei Ding (Roma: Nottetempo 2011), Pensando a mio padre (Roma: Nottetempo 2013), Il podestà Liu e altri racconti (Roma: Atmosphere 2017) e I quatto libri (Roma, Nottetempo 2018).