Qualche aspetto del tema della follia nella cultura cinese.

1. A cent’anni dal Diario di un pazzo di Lu Xun: un’occasione per ripensare il tema della follia nella cultura cinese.

Quale ruolo riveste, e in che modi si declina, il tema della follia nella cultura cinese? Credo che un buon punto di partenza per tentare una riflessione su tale argomento ci sia offerto da un testo celeberrimo, dalla cui apparizione sono trascorsi esattamente cent’anni: il Diario di un pazzo (Kuangren riji) di Lu Xun, breve racconto di dirompente portata, com’è ben noto, nella storia della letteratura cinese, pubblicato nel 1918 sulla rivista Xin qingnian (Gioventù Nuova).Il titolo è mutuato da un racconto di Gogol’, Le memorie di un pazzo, del 1835, e anche il testo di Lu Xun trascrive il delirio del protagonista, che parla in prima persona e narra le sue allucinazioni; queste però non sono incentrate su un’immagine di sé patologicamente e illusoriamente ingigantita, come nel racconto russo in cui il povero e umile impiegato si crede un re grande e potente, bensì esprimono la paranoica convinzione di essere circondato da feroci assassini, da autentici cannibali, anzi da un’intera società cannibalesca: le parole del pazzo nella loro stravolta rappresentazione della realtà si rivelano un durissimo atto di accusa contro un intero mondo, contro il suo dispotismo soffocante e oppressivo, contro la sua ipocrisia travestita da confuciana moralità.1)Cfr. Sebastian Veg, “Nouvelles interpretations de Lu Xun, critique de la modernité et reinventeur de l’heterodoxie”, Perspectives chinoises 3, 2014, 53-61; Shujin He, “Représentation de la folie dans le genre de la nouvelle. Le cas des nouvelles Journal d’un fou de Gogol et de Lu Xun”, Littératures 2012.
Fa un effetto curioso e straniante riaprire oggi questo testo, per vari motivi. Innanzitutto perché vi si esprime un grande scrittore irriducibile a qualsiasi facile cliché, come osservava anni fa Franco Fortini in limpide pagine che nulla hanno perso della loro nitidezza critica, e che anzi oggi più che mai andrebbero attentamente rilette e rimeditate;2)Franco Fortini, “Lu Hsun, la mancanza” (1970), in Id., Questioni di frontiera (Torino: Einaudi 1977), 180 sgg.; cfr. Benedetta Francioni, “Lu Xun, un uomo di frontiera”, L’ospite ingrato, 17/05/2014. e inoltre, perché il suo linguaggio appare così dissonante rispetto al mainstream delle grandi narrazioni oggi prevalenti (nella Cina e sulla Cina), declinate all’insegna di un generalizzato rifiuto di ciò che oggi va di moda etichettare come “gli eccessi del radicalismo novecentesco”, e improntate alla conclamata Grande Conciliazione di Tradizione e Modernità:3)Si veda ad es. Chen Lai, Tradition and Modernity (Leiden: Brill 2009). così dissonante, mi dicono, da essere addirittura espunto dalle antologie scolastiche.4)Cfr. Ivan Franceschini, “Perché leggere Lu Xun a ottant’anni dalla sua morte”, Inchiesta Online26/02/2016. Cfr. Id., Introduzione a Lu Xun, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate (Milano: ObarraO 2014). Ma è dissonante, in fondo, anche rispetto alla sua precedente utilizzazione ufficiale, ossia a quella che era la sua inclusione nella Grande Narrazione Rivoluzionaria: perché quell’eccesso di crudeltà e di orrore che vi si descrive non si presta certo a essere ridotto a slogan, e circoscritto solamente a un momento storico che si presuma per sempre superato, come se lo sviluppo delle Magnifiche Sorti e Progressive potesse confinarlo per sempre nel passato, ma costituisce invece una possibilità sempre presente: la disumanità estrema che Lu Xun evoca tramite la metafora del cannibalismo è qualcosa, certo, di antico, ma che può riprodursi e ripresentarsi, assumendo nuove forme e nuove incarnazioni: si tratta infatti di qualcosa che non solo in un particolare momento o in una particolare fase contrassegna la storia umana, ma è un’ombra inquietante che ripetutamente e pervicacemente le si accompagna; la sua presunta inattualità è qualcosa di perennemente incombente, e di perennemente attuale.
Il grido disperato su cui si chiude il racconto è “salvate i bambini”: cosa singolare per un testo che sferra un durissimo attacco alla tradizione confuciana, dato che in tale chiusa sembra di percepire un’eco di una delle più famose pagine di quest’ultima, ossia del memorabile passo di Mencio in cui l’impulso insopprimibile a salvare il bambino che sta per cadere nel pozzo è descritto come palese manifestazione dell’innata ripugnanza a veder soffrire i propri simili, un atteggiamento da lui ritenuto palese attestazione della spontanea presenza del senso dell’umanità (ren) in ogni cuore.5)Mengzi 2 A 6. Cfr. Maurizio Scarpari, Studi sul Mengzi (Venezia: Cafoscarina 2002) 97-98; Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress 2004) 58 sgg. Questo grido è risuonato e risuona tante volte invano, e si può riferire a diverse latitudini e a molteplici epoche, sia antiche, sia moderne e contemporanee, a innumerevoli scenari del presente come di passati remoti e prossimi, ovunque l’infanzia sia minacciata, massacrata, prevaricata: dalle miniere congolesi di cobalto d’oggi, dove scavano nel fango schiere di minuscoli minatori, al Vel d’Hiv di Parigi del 1942, dove furono rinchiusi i bambini poi deportati ad Auschwitz.

2. Due generi di follia: la pazzia come veggenza e come “cuore di tenebra”.

In questo senso, mi sembra che dal Diario di un pazzo si possano desumere non uno, ma due ambiti diversi che hanno a che fare, in modo differente, con il tema della follia. C’è una pazzia che è una forma di veggenza, di folgorante intuizione, di penetrante limpidezza di visione, di lucidità straordinaria dello sguardo che mette a nudo – squarciando i veli di convenzioni e mistificazioni, di abitudini mentali inerti, di schemi supinamente accettati – l’intima natura della realtà.6)Y.M. Fung, “Reason and Unreason in Chinese Philosophy”, in Tzu-Wei Hung, Timothy Joseph Lane (ed.), Rationality. Constraints and Contexts (London: Academia Press 2017) 149-172. Smascherando l’ipocrisia morale e sociale, alla maniera che ci hanno resa familiare tante pagine di Luigi Pirandello, essa perviene a una rivelazione di un genere per certi versi analogo a quella della famosa favola di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, in cui il bambino dichiara che il re è nudo.7)Non casualmente vi si richiama fra l’altro Simon Leys ne Les habits neufs du Président Mao, (Parigi: Champ libre 1971), disamina critica della Rivoluzione Culturale decisamente poco incline all’agiografia diffusa negli anni Settanta. Questo tipo di follia è eversivo: è una modalità di smascheramento radicalmente anticonformista, in quanto rimette radicalmente in causa le rappresentazioni di cui si ammanta e per il cui tramite si legittima il potere. E rimettendo in discussione il greve assetto del mondo così com’è dato e l’ordine costituito, e le concezioni condivise su cui esso poggia, può spalancare visioni, prospettive, utopie di altri mondi, di altre realtà possibili.
E c’è poi un altro genere di follia: è la disumanità feroce e sanguinaria che Lu Xun evoca tramite la cruda metafora del cannibalismo, e che credo si possa sinteticamente effigiare come quell’orrore che Joseph Conrad descrive come “cuore di tenebra”, heart of darkness.8)Joseph Conrad, Heart of Darkness [1899],(Milano; Garzanti, 1990). Questo genere di tenebrosa pazzia è la hybris di Kurtz, la dismisura di una volontà di potenza – e di onnipotenza – che si traduce in distruzione, che sfida il cielo e gli dei nella sua tracotanza, e che nel suo eccedere la nostra comprensione rimane in fondo oscura, ma il cui dispiegarsi in varie forme si riconosce più volte, nelle vicende di oggi e di ieri, d’Oriente e d’Occidente. Sembra un paradigma che seppur variamente declinato si ripresenta più volte attraverso la storia, come se fosse originato da un’inspiegabile coazione a ripetere. Le narrazioni della remota antichità cinese ce ne offrono icastiche immagini nelle gesta di taluni sovrani della dinastia Shang, di cui si raccontano efferatezze inaudite, e le cui ecatombi di vittime umane e animali hanno sconcertanti dimensioni che recenti ricerche ci permettono di rappresentarci nella loro effettiva, smisurata entità.9)D. N. Keightley, “The Shang: China’s First Historical Dinasty”, in M. Loewe e E. L. Shaughnessy (eds.). The Cambridge History of Ancient China, (Cambridge: Cambridge University Press 1999), 232-291; R. Fracasso, “Esordi storici: la dinastia Shang”, in La Cina, a cura di M. Scarpari), vol. I**, Dall’età del bronzo all’impero Han, a cura di T. Lippiello e M. Scarpari, (Torino: Einaudi 2013), 39-76.
È contro questo genere di pazzia, contro questo furor cruento che, come ci narra il grande racconto di fondazione della civiltà cinese, insorgono vittoriosi i saggi re della dinastia Zhou: essi vi contrappongono il loro spirito apollineo,10)Sono debitrice dello spunto sull’apollineo quale caratteristica propensione della civiltà cinese a Paolo Santangelo, che l’ha svolto in molteplici luoghi a partire dal suo seminal work Il peccato in Cina, (Roma-Bari: Laterza, 1991). la loro razionalità, la loro religione della misura, la loro costruzione di un ordine del tianxia, “tutto sotto il cielo” incentrato sull’armonia.
E tuttavia, tale loro vittoria non sarà definitiva: la hybris risorgerà nella dissoluzione dell’ordinamento e della sovranità dei Zhou, sui cruenti campi di battaglia degli Stati Combattenti. Un’indimenticabile pagina di Mencio si può assumere come esemplare stigmatizzazione del manifestarsi di tale distruttiva (e autodistruttiva) follia:

“Era davvero un uomo privo di umanità, re Hui di Liang (…). Per conquistare nuovi territori mandò in guerra il suo popolo. Subì gravi sconfitte, ma volle riprovare, e così condusse a morte i giovani che amava, i cadetti della casa reale. Questo ha significato estendere il suo disamore da coloro che non amava a coloro che amava”.11)Mengzi 7 B 1, in Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress 2004), 60.

Seguendo questo schema, l’affermazione dell’impero centralizzato si può interpretare, a sua volta, come sconfitta della tracotanza e come costruzione di un razionale e armonioso ordine del mondo. Ma fra questi due poli – fra la propensione distruttiva al “cuore di tenebra” e l’aspirazione apollinea all’edificazione dell’armonia – continuerà a dispiegarsi un’incessante e complessa dialettica, un permanente e mutevole conflitto talora latente, talora manifesto. Leggendo lo Shiji (Memorie di uno storico), la monumentale opera storiografica che costituisce una fonte di fondamentale importanza per la rappresentazione delle vicende dell’antichità, il versante dello heart of darkness sembra offrire un costante contrappunto narrativo al resoconto delle immense e gloriose opere di sovrani e ministri e governi illuminati. Questo mix ambivalente talora sembra caratterizzare intimamente le stesse figure di imperatori fra i più illustri e celebrati: come il Primo Augusto Imperatore, “costruttore e massacratore”, il cui regno, per riprendere un’efficace formula di Jean Levi, “è posto sotto il duplice segno della dismisura e della contraddizione”12)Jean Levi, La Chine est un cheval et l’univers une idée (Paris: Maurice Nadeau, 2010), 12. e la cui folle, frenetica ricerca dell’immortalità è non meno stupefacente delle sue immani realizzazioni, o come l’imperatore Wudi degli Han (156-87 a.C.), memorabile per le straordinarie acquisizioni del suo governo, e nondimeno ricordato fra l’altro per un atto efferato, dettato da una hybris insofferente di ogni limite e di ogni opposizione: la condanna all’evirazione di Sima Qian, il grande autore dello Shiji, reo di aver coraggiosamente espresso la sua rimostranza nei confronti di un provvedimento ingiusto.13)Sul tema della rimostranza nella tradizione confuciana rinvio ad es. a Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress, 2004); Ead., Confucianesimo e taoismo, Bologna, EMI 2016.
Sono anche considerazioni ulteriori a impedire in proposito qualsiasi riduttivo schematismo. A ben vedere, il “cuore di tenebra” e l’apollineo impulso ordinatore non si possono in effetti rappresentare come reciprocamente estranei ed estrinseci: nel loro perenne contrapporsi, essi risultano al contempo profondamente e intimamente coimplicati, e vengono così a configurare un drammatico campo di inestinguibili e mai risolte tensioni.14)Sulla tensione e sulla reciproca coimplicazione fra “ordine” e “disordine” si veda ad es. Carl Schmitt, Le categorie del politico (Bologna: Il Mulino, 1972), 90-142. Come nel finale di Apocalypse now l’uccisore di Kurtz con il suo atto cruento diventa figura ambivalente che assume in certa misura un inquietante profilo di erede, oltre che di giustiziere, nei confronti della tenebra che vuole estirpare, così antichi racconti ci rivelano inquietanti aspetti di contiguità fra il sovrano gesto ordinatore e la violenza alla quale esso si oppone, e che entro di esso appare, per certi versi,  paradossalmente risorgere.15)Per una riflessione problematica riferita ad altre latitudini e ad altre epoche su questo genere di tematica, solitamente non molto frequentata, si veda ad es. l’intenso film di István Szábo A torto o a ragione (2001). Si pensi alla narrazione delle gesta dell’apollineo re Wu, condottiero della virtuosa dinastia Zhou, trionfatore sugli empi e feroci sovrani Shang, della cui epopea sorprendentemente fa parte anche lo sconcertante episodio di una strage efferata: l’eccidio da lui compiuto nel gineceo del re suo nemico, di cui egli stermina tutte le donne,16)Secondo la storiografia tradizionale, re Wu, dopo aver decapitato di propria mano tutte le mogli di Zhouxin, lo scellerato sovrano degli Shang da lui sconfitto, procedette a esporne le teste fra le acclamazioni del popolo, e il mattino seguente dichiarò di esser succeduto sul trono agli Shang in virtù del Mandato celeste. Cfr. Kai Vogelsang, Cina, (Torino: Einaudi, 2014), 35 sgg.. e che ci appare non troppo diverso nella sua spietatezza dal massacro delle ancelle amanti dei Proci raccontato nell’Odissea, con cui si compie la vendetta dell’eroe eponimo nei confronti degli usurpatori del suo trono e della sua magione a Itaca.17)Odissea, libro XXII.

3. La follia come anticonformistica chiaroveggenza.

Ma, come sopra accennavo, la follia nella cultura cinese ha altri volti, oltre a quello della hybris di una dissennata volontà di potenza a cui si contrappone la propensione apollinea all’ordine, all’equilibrio, alla misura e all’armonia.18)Sembra opportuno ricordare una volta di più come tale contrapposizione non si presti ad esser rappresentata in termini riduttivi (e in proposito rinvio alle considerazioni svolte al paragrafo precedente).Tradizionalmente, oltre ad associarsi a nozioni di ferocia e di malvagità che ho dianzi ricordato, l’idea della pazzia si riferisce a un ben diverso versante: è quella del pazzo (apparente) che attraverso un comportamento eccentrico e anticonformista, diverso e distante dalla “normalità”, esprime una superiore e sublime forma di saggezza. Nel suo polemico rifiuto delle comuni norme di condotta, si manifesta l’insofferenza per l’autoritarismo e l’ipocrisia di un moralismo bigotto e l’aspirazione a una vita integra, di purezza autentica.  Ce ne offre una pregnante e direi paradigmatica immagine l’affascinante figura di Ruan Ji (210-263), uno dei sette saggi del Boschetto di Bambù, che i suoi compagni chiamavano “il folle”, come attestano le sue biografie che Étienne Balasz in un saggio famoso ha significativamente contribuito a far conoscere, e da cui apprendiamo che la libertà della sua indole si esprimeva nella spontaneità di una condotta priva di costrizioni e totalmente coerente con un antico ideale di incontaminata santità, estranea a ogni compromesso. Forte bevitore, amante della musica, buon suonatore di liuto e di flauto, sempre sereno, mai agitato né da turbamenti né da passioni, si teneva appartato dalla vita sociale della sua epoca violenta e corrotta, chiudendosi a leggere nella sua stanza e immergendosi totalmente nello studio, oppure per giorni interi errava nella natura, sulle montagne o lungo i fiumi: seguendo il corso delle sue idee, dimenticava completamente il mondo esterno. Suoi testi prediletti erano il Laozi e il Zhuangzi, di cui nei suoi scritti si riprendono motivi essenziali, come la celebrazione della spontaneità quale grande norma cosmica a cui conformare totalmente il proprio agire, e il sarcasmo irridente nei confronti dei cosiddetti “uomini esemplari” (junzi 君子) di cui si criticano la grettezza, l’ipocrisia moralistica, il carrierismo e il perbenismo.19)Étienne Balasz, “Entre révolte nihiliste et évasion mistique”, 1948, poi ripreso ne La bureaucratie céleste (1968), trad. it. di Renata Pisu (Milano: Il Saggiatore, 1971). Mi sembrano ingenerose e ingiustificate le critiche mosse a questo splendido saggio da Russell Kirkland, Taoism, The Enduring Tradition (London: Routledge, 2004), trad. it Roma: Astrolabio 2006, sgg.
L’ostentazione di questo tipo di follia rivestiva dunque implicazioni politiche che non mancavano di suscitare le infastidite reazioni delle autorità costituite, come mostra la vicenda di Xi Kang (223-262), un altro esponente eminente della cerchia dei Sette Saggi che ne condivideva propensioni e comportamenti, autore fra l’altro di un saggio sull’arte di nutrire il principio vitale: denunciato come asociale, accusato di essere pericoloso per l’ordine pubblico fu arrestato, imprigionato e condannato a morte.
Ripercorrere queste vicende, come ci rammenta Jean Levi, non equivale a soddisfare una mera curiosità erudita. Esse contribuiscono a disegnare una più articolata e complessa immagine della Cina, a uscire dal soffocante stereotipo della sua (presunta) monolitica ed eterna univocità. Rimettersi sulle tracce della “follia” dell’anticonformismo antico significa riscoprire delle fertili risorse per revocare in dubbio vecchi e nuovi conformismi e autoritarismi, riaprire visioni alternative a ciò che è presentato come irrevocabile e immutabile, restituirci salutari facoltà progettuali e capacità di utopia.20)Cfr. Jean Levi, Éloge de l’anarchie par deux excentriques chinois (Paris: Éd. de l’Encyclopédie des Nuisances, 2004), 7-29. Con una precisazione: l’oggetto della polemica iconoclasta dei “saggi folli” non era certo la morale tradizionale in quanto tale, bensì la sua versione reificata, sclerotizzata, diventata un feticcio inerte e vacuo, come ben sottolinea Attilio Andreini nel suo commento alla stanza 19 del Laozi (“Elimina la saggezza/la conoscenza rinnega/e il popolo cento volte tanto ne trarrà beneficio”) che dell’elogio della follia degli anticonformisti del III secolo è una delle fondamentali fonti di ispirazione: per ricorrere alle sue efficaci parole “il contrasto è tra un piano morale inautentico e una dimensione etica finalmente autentica, caratterizzata da un recupero pieno della spontaneità del gesto morale”.21)Attilio Andreini (a cura di), Laozi Daodejing, Il canone della Via e della Virtù (Torino: Einaudi, 2018) 51.
In altri termini, ci vuole e ci vorrà sempre un po’ di follia, per sottrarre il senso dell’umanità (ren 仁) al diventare un feticcio inerte, uno slogan pietrificato, una convenzione immobile, e per fargli ritrovare la sua fertile e vitale carica di dirompente trasformazione del mondo. Occorre un po’ di follia per salvare Confucio dai confuciani,22)Cfr. David L. Hall e Roger T. Ames, “Getting It Right: On Saving Confucius from the Confucians”, Philosophy East and West, 34:1, 1984, 3-23. come Confucio stesso ci ricorda nei suoi Dialoghi, quando un momento di sua pazzia, l’espressione di un disperato dolore per la morte dell’allievo prediletto (che è la manifestazione spontanea e autentica della sua umanità) gli fa dimenticare ogni misura e ogni decoro. Questo folle lasciarsi andare gli viene rimproverato dai discepoli come trasgressione alla debita compostezza rituale, e a loro egli così replica, rivendicandone sorprendentemente la liceità: “E per chi mai piangerò così, se non per lui?”23)Lunyu 11.9, 11.10 (cfr. Amina Crisma, Il Cielo, gli uomini: Percorso attraverso i testi confuciani dell’età classica (Venezia: Cafoscarina, 2000), 17; Ead., “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi”, Parolechiave,  57, 2017, 109-130.
Ebbene, sono convinta che sia questa pazzia del saggio la misura della sua saggezza, ossia di un’intima comunione con la vita e con l’umanità che non si lascerà mai imprigionare dentro un’icona greve e monumentale di conformismo autoritario.

Crisma, Cuore di tenebra e conformistica saggezza PDF

Immagine: Corsivo folle di Mao Zedong (particolare)

Amina Crisma (www.aminacrisma.it) ha studiato all’Università di Venezia dove ha conseguito le lauree in Filosofia e in Lingua e Letteratura cinese, e il PhD in Studi sull’Asia orientale. Dal 2007/8 insegna Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Bologna, dopo aver insegnato per un decennio Sinologia all’Università di Padova, e Storia delle Religioni della Cina all’Università di Urbino. Oltre a numerosi contributi in opere collettanee, fra cui Réformes (Berlin 2007), Per una filosofia interculturale (Milano 2007), La Cina (Torino 2009), In the Image of God (Berlin 2010), La filosofia e l’altrove (Milano 2016), ha pubblicato i volumi Il Cielo, gli uomini (Venezia 2000), Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova 2004), Neiye, il Tao dell’armonia interiore (Milano 2015), Confucianesimo e taoismo (Bologna 2016). Fra le riviste a cui collabora, vi sono Inchiesta (www.inchiestaonline.it), Cosmopolis (www.cosmopolisonline.it),  Giornale critico di storia delle idee (www.giornalecritico.it), ParolechiavePrometeoÉtudes interculturelles. Fra le sue traduzioni e curatele vi è Storia del pensiero cinese di Anne Cheng (Torino 2000).

References
1 Cfr. Sebastian Veg, “Nouvelles interpretations de Lu Xun, critique de la modernité et reinventeur de l’heterodoxie”, Perspectives chinoises 3, 2014, 53-61; Shujin He, “Représentation de la folie dans le genre de la nouvelle. Le cas des nouvelles Journal d’un fou de Gogol et de Lu Xun”, Littératures 2012.
2 Franco Fortini, “Lu Hsun, la mancanza” (1970), in Id., Questioni di frontiera (Torino: Einaudi 1977), 180 sgg.; cfr. Benedetta Francioni, “Lu Xun, un uomo di frontiera”, L’ospite ingrato, 17/05/2014.
3 Si veda ad es. Chen Lai, Tradition and Modernity (Leiden: Brill 2009).
4 Cfr. Ivan Franceschini, “Perché leggere Lu Xun a ottant’anni dalla sua morte”, Inchiesta Online26/02/2016. Cfr. Id., Introduzione a Lu Xun, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate (Milano: ObarraO 2014).
5 Mengzi 2 A 6. Cfr. Maurizio Scarpari, Studi sul Mengzi (Venezia: Cafoscarina 2002) 97-98; Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress 2004) 58 sgg.
6 Y.M. Fung, “Reason and Unreason in Chinese Philosophy”, in Tzu-Wei Hung, Timothy Joseph Lane (ed.), Rationality. Constraints and Contexts (London: Academia Press 2017) 149-172.
7 Non casualmente vi si richiama fra l’altro Simon Leys ne Les habits neufs du Président Mao, (Parigi: Champ libre 1971), disamina critica della Rivoluzione Culturale decisamente poco incline all’agiografia diffusa negli anni Settanta.
8 Joseph Conrad, Heart of Darkness [1899],(Milano; Garzanti, 1990).
9 D. N. Keightley, “The Shang: China’s First Historical Dinasty”, in M. Loewe e E. L. Shaughnessy (eds.). The Cambridge History of Ancient China, (Cambridge: Cambridge University Press 1999), 232-291; R. Fracasso, “Esordi storici: la dinastia Shang”, in La Cina, a cura di M. Scarpari), vol. I**, Dall’età del bronzo all’impero Han, a cura di T. Lippiello e M. Scarpari, (Torino: Einaudi 2013), 39-76.
10 Sono debitrice dello spunto sull’apollineo quale caratteristica propensione della civiltà cinese a Paolo Santangelo, che l’ha svolto in molteplici luoghi a partire dal suo seminal work Il peccato in Cina, (Roma-Bari: Laterza, 1991).
11 Mengzi 7 B 1, in Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress 2004), 60.
12 Jean Levi, La Chine est un cheval et l’univers une idée (Paris: Maurice Nadeau, 2010), 12.
13 Sul tema della rimostranza nella tradizione confuciana rinvio ad es. a Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica (Padova: Unipress, 2004); Ead., Confucianesimo e taoismo, Bologna, EMI 2016.
14 Sulla tensione e sulla reciproca coimplicazione fra “ordine” e “disordine” si veda ad es. Carl Schmitt, Le categorie del politico (Bologna: Il Mulino, 1972), 90-142.
15 Per una riflessione problematica riferita ad altre latitudini e ad altre epoche su questo genere di tematica, solitamente non molto frequentata, si veda ad es. l’intenso film di István Szábo A torto o a ragione (2001).
16 Secondo la storiografia tradizionale, re Wu, dopo aver decapitato di propria mano tutte le mogli di Zhouxin, lo scellerato sovrano degli Shang da lui sconfitto, procedette a esporne le teste fra le acclamazioni del popolo, e il mattino seguente dichiarò di esser succeduto sul trono agli Shang in virtù del Mandato celeste. Cfr. Kai Vogelsang, Cina, (Torino: Einaudi, 2014), 35 sgg..
17 Odissea, libro XXII.
18 Sembra opportuno ricordare una volta di più come tale contrapposizione non si presti ad esser rappresentata in termini riduttivi (e in proposito rinvio alle considerazioni svolte al paragrafo precedente).
19 Étienne Balasz, “Entre révolte nihiliste et évasion mistique”, 1948, poi ripreso ne La bureaucratie céleste (1968), trad. it. di Renata Pisu (Milano: Il Saggiatore, 1971). Mi sembrano ingenerose e ingiustificate le critiche mosse a questo splendido saggio da Russell Kirkland, Taoism, The Enduring Tradition (London: Routledge, 2004), trad. it Roma: Astrolabio 2006, sgg.
20 Cfr. Jean Levi, Éloge de l’anarchie par deux excentriques chinois (Paris: Éd. de l’Encyclopédie des Nuisances, 2004), 7-29.
21 Attilio Andreini (a cura di), Laozi Daodejing, Il canone della Via e della Virtù (Torino: Einaudi, 2018) 51.
22 Cfr. David L. Hall e Roger T. Ames, “Getting It Right: On Saving Confucius from the Confucians”, Philosophy East and West, 34:1, 1984, 3-23.
23 Lunyu 11.9, 11.10 (cfr. Amina Crisma, Il Cielo, gli uomini: Percorso attraverso i testi confuciani dell’età classica (Venezia: Cafoscarina, 2000), 17; Ead., “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi”, Parolechiave,  57, 2017, 109-130.