Il Movimento del Quattro Maggio comprende due movimenti di diversa natura, il movimento per la Nuova Cultura da una parte, e il movimento studentesco patriottico anti-imperialista dall’altra.1)Il saggio, pubblicato originariamente nel 1987, è reperibile in originale alla pagina https://wenku.baidu.com/view/439256d23186bceb19e8bb59.html. Alla traduzione hanno partecipato, sotto la supervisione di Marco Fumian, gli studenti del corso di Lingua Cinese 2 Magistrale dell’Università Orientale di Napoli, 2018-19, fra i quali, in particolare: Michael Orefice, Dominetta Recupero, Arianna Apicella, Verena Rufolo, Maria Rosaria Andreozzi. In molti studi si tende a celebrare questi due movimenti come un unico fenomeno, prestando raramente attenzione alla complessità del loro rapporto e alle conseguenze storiche e intellettuali derivanti da tale complessità. Questo saggio intende tentare una discussione preliminare sull’argomento.
Nei miei Saggi sulla storia del pensiero cinese moderno sostenevo che

“…ogni epoca ha un suo elemento focale, un nucleo distintivo dettato dai tempi. (…) Nella prima modernità cinese, questo elemento consisteva nella discussione dei problemi politico-sociali. Nel periodo della prima modernità cinese, la tensione sempre più esplosiva delle contraddizioni nazionali e della lotta di classe aveva fatto sì che l’attenzione e le energie (degli intellettuali) si focalizzassero sullo studio, la discussione e l’intervento pratico relativi agli urgentissimi problemi politico-sociali del tempo.”

Nello stesso testo, spiegavo anche che a motivare più di ogni altra cosa le frange più avanzate del sapere, nel periodo che andava dal movimento riformista del 1998 alla rivoluzione che aveva rovesciato la dinastia Qing nel 1911, era sempre stata, invariabilmente, la lotta politica. Al resto c’era davvero poco tempo per pensarci, sicché anche problemi come quelli dell’illuminismo e della cultura non ricevevano moltissima attenzione. Il pensiero illuministico-democratico espresso da Zou Rong nel suo libello del 1903 L’esercito rivoluzionario, per esempio, completamente sommerso dai peana rivoluzionari della lotta militare, aveva finito per essere del tutto ignorato. Sun Yat-sen, invece, dopo la rivoluzione del 1911 era stato sì insignito del titolo di “grande generale”, ma questo titolo era stato, appunto, nient’altro che un simbolo. Per non parlare del pensiero spiccatamente illuminista di Song Shu, che con la sua critica al neoconfucianesimo Song e Ming, in un saggio scritto nel 1891, era stato a sua volta ancor più lasciato ai margini, ignorato praticamente da tutti fino a oggi.
Dopo il 1911 non ci furono tutti questi grandi progressi, ma si aprì comunque una nuova pagina storica. L’imperatore non c’era più, e la vecchia carriera feudale per cui “chi eccelleva negli studi faceva il funzionario” non era più la norma; nel mentre, la politica era nel caos, le idee in subbuglio, il controllo relativamente rilassato e l’ideologia pareva essersi azzerata. Da un lato tutti i vecchi sistemi, norme, concezioni, costumi, fedi religiose e dottrine filosofiche, dato il crollo del potere imperiale, avevano cominciato a sgretolarsi, vacillare o a decomporsi giorno per giorno; dall’altro, proprio a causa di ciò, le potenti forze conservatrici, dure a morire, continuavano a incalzare promuovendo il culto di Confucio e la restaurazione imperiale, cercando di far tornare indietro le lancette dell’orologio ai tempi della dinastia Qing. Per gli intellettuali, e in particolare quelli più giovani, il futuro della Cina e dei cinesi, così come la via per arrivarci, erano immersi nella nebbia più profonda.
Lo zelo dei rivoluzionari più vecchi, intanto, era scemato. In molti, tolti alcuni che ancora portavano avanti una lotta politico-militare velleitaria e scarsamente efficace fiancheggiando Sun Yat-sen, si erano ormai disanimati. Era l’epoca dei vari Fan Ainong, Lü Weipu e Wei Lianshu:2)Lü Weipu e Wei Lianshu sono i personaggi di due novelle di Lu Xun, Fai Ainong un coetaneo che Lu Xun aveva conosciuto quand’era studente in Giappone. Tutte e tre le figure rappresentano agli occhi di Lu Xun la disillusione e l’apatia degli intellettuali cinesi dopo il fallimento della rivoluzione del 1911. lo stesso Lu Xun, per quasi dieci anni, era rimasto in silenzio, a ingannare il tempo leggendo classici buddhisti, ricalcando antiche iscrizioni  e copiando gli scritti di Xi Kang. Proprio in quell’asfissiante silenzio di tomba, per primo, Chen Duxiu aveva dato la scossa lanciando il grido di “scienza e democrazia”.
Il problema, tuttavia, è che anche se il movimento per la Nuova Cultura percepiva se stesso non come un movimento politico, ma bensì culturale – il suo obiettivo, infatti, consisteva nella trasformazione del carattere nazionale e nella distruzione della tradizione, la sua base per il progresso sociale era la trasformazione delle idee nella sfera ideologica e l’iniziativa illuministico-democratica –, sin dall’inizio esso conteneva, in modo esplicito o sommerso, degli elementi e delle istanze politiche, come nel caso dell’ “ultimissimo risveglio” invocato da Chen Duxiu, il cui obiettivo, in ultima analisi, consisteva nella trasformazione e nel progresso dello stato, della società e dei gruppi sociali.3)In un famoso saggio del 1916 “Il mio ultimo risveglio”, Chen Duxiu aveva anteposto la trasformazione etica dell’individuo alla partecipazione politica come mezzo per avviare una trasformazione liberale della società cinese. Il che vale a dire che tanto le istanze illuministiche quanto la trasformazione culturale e l’abbandono della tradizione continuavano ad avere come fine lo stato-nazione, tuttora servivano a cambiare la situazione politica e il volto della società, mentre ancora non si erano affrancate né dalla tendenza tradizionale autoctona tipica dei letterati-funzionari di “assumere su di sé la responsabilità del paese”, né dal leitmotiv della salvezza nazionale, tipico della prima modernità, incentrato sulla resistenza alle aggressioni straniere e sulla ricerca di “ricchezza e potenza” per la nazione. L’abbandono della tradizione (la vecchia cultura e la vecchia morale incentrate sulla dottrina confuciana), la distruzione degli idoli (Confucio), l’occidentalizzazione totale e le tendenze illuministico-democratiche, in altre parole, erano tutti elementi volti a far diventare la Cina ricca e potente, a far progredire la sua società, a impedire che venisse ancora umiliata e oppressa, e a migliorare, in linea di massima, la vita della popolazione. Loro scopo non era, viceversa, la conquista dei “diritti naturali” dell’individuo, ovvero la libertà, l’indipendenza, e l’uguaglianza tipici della dottrina dell’“individualismo puro”. Così, nel momento in cui la cultura occidentale, che su tale individualismo era appunto fondata, era stata introdotta per attaccare la tradizione e rovesciare Confucio, essa si era subito saldata, inavvertitamente, a un preesistente atteggiamento più o meno cosciente collettivista, e a una tradizione politico-culturale, anch’essa non necessariamente cosciente, caratterizzata da un’attenzione straordinaria per gli affari dello stato e le sofferenze del popolo.
Una delle ragioni più importanti dell’acerrimo attacco a Confucio negli anni precedenti al Quattro Maggio, per esempio, era stato l’uso strumentale di quest’ultimo da parte di personaggi come Yuan Shikai e Zhang Xun al fine di portare avanti le loro politiche restauratrici. Nei primissimi anni dell’era repubblicana, verso il 1914-15, i richiami a ‘ritornare all’antico’ imperversavano, e una dopo l’altra si moltiplicavano le proposte di recupero delle virtù confuciane, conducendo infine verso la restaurazione dinastica. Il che dimostra come queste idee ostinate, all’epoca, venissero sempre a braccetto con le sozzure della politica.  Così scriveva Li Dazhao: “Ho sempre pensato che tra i ‘santi della Cina’ (i confuciani, ndt) e l’imperatore ci fosse un qualche legame: prima che arrivasse Hongxian4)Hongxian era il nome assunto dall’ex generale dell’esercito Qing Yuan Shikai quando si era proclamato imperatore alla fine del 1915. c’erano stati il culto di Confucio e i sacrifici al cielo, quindi con l’arrivo simultaneo a Pechino di Kang Youwei e Zhang Xun l’imperatore era tornato sul trono, mentre adesso c’è ancora chi si fa in quattro attorno a questi stessi santi: è una cosa che mi atterrisce, che mi fa molto temere per la repubblica.” Oppure: “La storia della Cina è stata fatta dall’unione fra gli ipocriti e i ladroni. Se i ladroni non si univano agli ipocriti non diventavano imperatori, se gli ipocriti non si univano ai ladroni non diventavano santi. Perciò io dico: l’imperatore era il rappresentante dei ladroni, i santi erano i rappresentanti degli ipocriti. Così non c’è da stupirsi che oggi le anime degli imperatori e dei santi confuciani siano tornate a tormentarci con il culto di Confucio e la restaurazione imperiale; il problema, però, sono tutti questi tiranni militari e politici insipienti che si sono reincarnati negli ipocriti e nei ladroni di un tempo!” Inoltre, un’altra ragione per cui questi intellettuali, pur imbevuti di sapere classico, avevano potuto rinnegare del tutto la tradizione abbracciando la cultura occidentale, aveva ancora a che fare con il fatto che, mancando la loro cultura di elementi religiosi, essi non erano vincolati dogmaticamente a una fede, e dunque perseguivano attivamente il proprio miglioramento personale facendo della riflessione razionale il proprio metro e il proprio fondamento per ogni cosa. Era quindi la ragione, non importa se basata sulla tradizione o sul sapere straniero, a dover discernere, giudicare, scegliere e utilizzare, essendo proprio tale razionalità pratica lo spirito fondamentale con cui i cinesi per migliaia di anni si erano adattati all’ambiente sopravvivendo e sviluppandosi. Tale spirito, maturato inizialmente nelle varie filosofie politico-sociali del periodo pre-imperiale, si era pienamente manifestato, in seguito, proprio nella tradizione confuciana. Ironicamente, furono così proprio questi nemici giurati della tradizione confuciana a portare avanti, consciamente o inconsciamente, il meglio della loro tradizione, ovvero il retaggio confuciano caratterizzato dalla preoccupazione per gli affari dello stato e le sofferenze del popolo, l’intervento attivo nel mondo e la responsabilità verso il paese.
Tutto ciò fece sì che nelle circostanze particolari in cui il movimento per la Nuova Cultura – con la sua finalità illuministica e la critica della tradizione che lo contraddistingueva – si veniva a incrociare con il movimento impegnato a criticare la vecchia politica, i due finissero per fondersi con la massima facilità sostenendosi a vicenda e producendo una spinta enorme. Il Movimento del Quattro maggio è stato esattamente questo. Il movimento illuminista per la Nuova Cultura, poco dopo essersi messo in moto, si era incrociato con il movimento politico anti-imperialista della salvezza nazionale con il risultato che i due erano rapidamente confluiti assieme.
Ciò che era cominciato principalmente come una critica culturale, aveva finito per fare di nuovo ritorno alla lotta politica. Il tema dell’illuminismo e i temi di scienza e democrazia, allora, nuovamente si scontrarono e si intrecciarono con i temi patriottici della salvezza nazionale per poi riprendere a marciare in sintonia con essi. Così è stato per tutta la storia della modernità cinese. Rispetto a prima di diverso c’era solo che stavolta la sintonia da un lato e gli scontri dall’altro avrebbero portato a un lungo periodo di rapporti complessi.
A tale riguardo ci sono alcuni casi emblematici ed estremamente eloquenti. Prima dell’esperimento riformista del 1898, per esempio, un letterato di nome Wang Zhao aveva consigliato a Kang Youwei di dedicarsi, prima che alla riforma politica, all’attività educativa; Kang Youwei aveva però risposto che la situazione era grave e che non c’era più tempo. Prima del 1911 anche Yan Fu, incontrando Sun Yat-sen a Londra, aveva consigliato a quest’ultimo di occuparsi di educazione; Sun Yat-sen però gli aveva risposto che per dedicarsi a un simile ideale non gli sarebbero bastate mille vite, e che non c’era più tempo. Kang Youwei originariamente era stato fautore dei diritti e della creazione di un parlamento, ma poi alla fine, nel corso della riforma del 1898, aveva viceversa dato la priorità al potere monarchico chiedendo per l’imperatore Guangxu il potere assoluto allo scopo di implementare le riforme. Sun Yat-sen dal canto suo inizialmente aveva promosso libertà, uguaglianza e fratellanza, ma in età matura aveva sovente rimarcato che “in Europa, in passato, si era lottato per la libertà dell’individuo, ma oggi (…) la libertà deve essere usata a favore dello stato e non più dell’individuo. L’individuo non può essere troppo libero, semmai è lo stato che deve ottenere libertà assoluta. La Cina diventerà uno stato forte e prospero solo quando lo stato potrà avere libertà di azione. Per arrivare a ciò, occorre che tutti si sacrifichino.” E ancora: “Pensare di incitare il popolo con la libertà e l’uguaglianza è del tutto irrealistico, sono cose che non gli fanno né caldo né freddo. Il popolo non risponderà mai se non viene toccato nel profondo.”
Tutto questo illustra quanto gli obiettivi della salvezza nazionale, gli interessi dello stato, la fame e la sofferenza del popolo avessero sovrastato ogni altra cosa, comprese le aspirazioni e i bisogni di libertà, uguaglianza, democrazia, diritti e ogni altro bell’ideale degli intellettuali e dei gruppi colti, comprese la dignità individuale e l’attenzione e il rispetto dei diritti individuali. Cause come l’indipendenza e la prosperità del paese, la soddisfazione dei bisogni primari del popolo, la cessazione delle vessazioni e delle umiliazioni da parte degli aggressori stranieri, erano priorità assolute che agitavano i cuori e risuonavano nelle orecchie, in virtù delle quali tutte le riflessioni, dilemmi e rovelli tipicamente illuministici che “andavano dalla visione dell’universo alla visione della vita, dagli ideali dell’individuo al futuro dell’umanità”, e “tutti i problemi emersi in quella nuova epoca, che angustiavano a quel tempo la società cinese, da quelli della dottrina confuciana a quelli della donna fino a quelli del lavoro e della trasformazione sociale, da quelli linguistico-letterari fino a quelli della trasformazione della visione della vita”… furono rapidamente accantonati, non essendoci più il lusso, ormai, per riflettere, indagare e discutere di tali problemi. Il movimento del 30 maggio 1925, la spedizione contro i Signori della Guerra, la guerra civile durata dal ’27 al 37, la guerra di resistenza anti-giapponese… furono tutti eventi che portarono svariate generazioni di giovani istruiti a gettarsi nella marea della rivoluzione finalizzata alla salvezza nazionale, offrendo se stessi sulla strada che dal patriottismo portava alla rivoluzione, finendo per trovarsi a lungo immersi nella lotta militare e nella guerra.
In questa lotta militare così aspra, dolorosa e protratta, in questo combattimento all’ultimo sangue, nazionale e di classe, ciò che serviva naturalmente non era propagare i valori illuministi di libertà e democrazia, né incoraggiare o promuovere idee come la libertà o la dignità individuale; in primo piano, semmai, veniva messo tutto ciò che obbediva alla lotta rivoluzionaria anti-imperialista: disciplina di ferro, volontà unitaria, e forza collettiva. Cose come i diritti individuali, la libertà personale, l’indipendenza e la dignità dell’individuo, al confronto, diventavano invariabilmente irrilevanti e irrealistiche. L’io individuale, in questo contesto, era irrilevante al punto da scomparire.
Il successo della rivoluzione, nel 1949, produsse nella struttura psicologico-culturale di tutta la società e la nazione un grande terremoto, che fece piazza pulita di alcuni vizi retrogradi perdurati per migliaia di anni. Un risultato, per esempio, fu la realizzazione di un’uguaglianza di genere senza precedenti in ambito economico, politico, culturale, domestico e lavorativo, uguaglianza che, ormai, è diventata un fatto più o meno compiuto almeno nel mondo del sapere e negli organi dell’amministrazione. Si tratta ovviamente di un enorme passo da gigante che ha superato addirittura la realtà di molti avanzati paesi capitalisti. Con il suo spazzare via ogni lordura della vecchia cultura e della vecchia società, la “liberazione” ha avuto senz’altro, in passato, un significato psicologico notevole. Eppure, proprio mentre la vecchia ideologia tradizionale veniva rimpiazzata con le leggi necessarie dello sviluppo storico-sociale e con la visione del mondo e la norme di comportamento collettiviste del marxismo, cominciava a diffondersi in maniera strisciante, camuffandosi, il vecchio “collettivismo” di matrice feudale. Un egualitarismo che negava la differenza e soffocava l’individualità, un sistema patriarcale dal potere illimitato che tutto controllava, un unico pulpito che dava ordini e decideva per tutti, un sistema gerarchico che divideva rigidamente in superiori e inferiori, il disinteresse e il disprezzo verso l’educazione tecnico-scientifica moderna, il rifiuto della cultura capitalista occidentale… tutti questi vizi, in seguito alla gigantesca vittoria di quella che “in sostanza è stata una rivoluzione contadina”, si erano consapevolmente o inconsapevolmente propagate, nel nome del socialismo marxista o del collettivismo proletario, in tutta la società e fra gli intellettuali, finendo per dominare la vita e la coscienza delle persone. I vari movimenti di rettifica o di riforma del pensiero incentrate fra l’altro sulla “critica dell’individualismo borghese e piccolo-borghese” nel periodo della guerra rivoluzionaria avevano prodotto grandi risultati; una volta riprodotti nel periodo della costruzione pacifica, però, essi vennero a bloccare o ad allentare la vigilanza e l’opposizione contro il feudalesimo, che del capitalismo era ancora più arretrato. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta alla Rivoluzione Culturale, in particolare, il feudalesimo si oppose al capitalismo in modo sempre più feroce nel nome pretestuoso del socialismo, e agitando una bandiera etica fasulla predicò lo spirito di sacrificio accusando “l’individualismo come fonte di ogni male” mentre pretendeva che ognuno diventasse santo combattendo l’egoismo e attaccando il revisionismo, causando infine la totale resurrezione nella coscienza cinese della tradizione feudale. Fino a che, dopo la caduta della Banda dei Quattro, non tornarono a tuonare gli appelli alla “scoperta”, al “risveglio”, e alla “filosofia dell’uomo”. Le istanze illuministiche, la scienza e la democrazia, i diritti umani e la verità promosse dal “Quattro Maggio”, parevano ancora possedere un’attrattiva enorme e così di nuovo venivano riscoperti e invocati, mentre si ricominciava di nuovo parlare di “appropriazionismo” (nalaizhuyi 拿来主义) e “occidentalizzazione totale” (quanpan xihua 全盘西化).5)L’espressione nalaizhuyi, qui tradotta “appropriazionismo”, è stata inizialmente coniata da Lu Xun per indicare il bisogno della Cina di “prendere” dall’Occidente, con una certa libertà, gli elementi culturali utili al proprio progresso. Per “occidentalizzazione totale” generalmente si intende la tendenza a considerare necessaria per la Cina l’importazione dall’Occidente non solo del sapere tecnico-scientifico ma anche dei modelli politico-culturali liberali.
Non è forse uno scherzo tragicomico della storia, che dopo tutto questo giro, passati settant’anni, si ritorni di nuovo a questo argomento?
È la farsa della storia cinese moderna. Il feudalesimo insieme alla minaccia della dissoluzione nazionale non potevano dare al liberalismo uno sviluppo stabile e graduale: per risolvere i problemi della società occorreva la “soluzione radicale” della lotta rivoluzionaria. La quale, però, finì per soffocare il movimento illuminista e gli ideali di libertà dando al feudalesimo l’opportunità di rinascere, facendo sì che molti problemi fondamentali, lungi dall’essere risolti, venissero sepolti sotto alla coltre della “soluzione radicale” diventando invisibili. Il problema del rapporto fra i due temi  dell’illuminismo e della salvezza nazionale (o rivoluzione) dopo il “Quattro Maggio” non fu risolto in maniera razionale, e anzi non fu nemmeno oggetto di una reale discussione e di un’attenzione sufficiente a livello teorico. Indebitamente trascurato nei trent’anni del maoismo, tale problema ha portato infine conseguenze nefaste.

Traduzione di Marco Fumian

Immagine: gli eroi del Movimento di Nuova Cultura

Li Zehou, la doppia articolazione dell’illuminismo e della salvezza nazionale PDF

Li Zehou negli anni Ottanta è stato uno degli intellettuali cinese più influenti, occupandosi di filosofia, storia del pensiero, ed estetica.

References
1 Il saggio, pubblicato originariamente nel 1987, è reperibile in originale alla pagina https://wenku.baidu.com/view/439256d23186bceb19e8bb59.html. Alla traduzione hanno partecipato, sotto la supervisione di Marco Fumian, gli studenti del corso di Lingua Cinese 2 Magistrale dell’Università Orientale di Napoli, 2018-19, fra i quali, in particolare: Michael Orefice, Dominetta Recupero, Arianna Apicella, Verena Rufolo, Maria Rosaria Andreozzi.
2 Lü Weipu e Wei Lianshu sono i personaggi di due novelle di Lu Xun, Fai Ainong un coetaneo che Lu Xun aveva conosciuto quand’era studente in Giappone. Tutte e tre le figure rappresentano agli occhi di Lu Xun la disillusione e l’apatia degli intellettuali cinesi dopo il fallimento della rivoluzione del 1911.
3 In un famoso saggio del 1916 “Il mio ultimo risveglio”, Chen Duxiu aveva anteposto la trasformazione etica dell’individuo alla partecipazione politica come mezzo per avviare una trasformazione liberale della società cinese.
4 Hongxian era il nome assunto dall’ex generale dell’esercito Qing Yuan Shikai quando si era proclamato imperatore alla fine del 1915.
5 L’espressione nalaizhuyi, qui tradotta “appropriazionismo”, è stata inizialmente coniata da Lu Xun per indicare il bisogno della Cina di “prendere” dall’Occidente, con una certa libertà, gli elementi culturali utili al proprio progresso. Per “occidentalizzazione totale” generalmente si intende la tendenza a considerare necessaria per la Cina l’importazione dall’Occidente non solo del sapere tecnico-scientifico ma anche dei modelli politico-culturali liberali.