20 maggio 2023
Call for Papers – Confini, a cura di Beatrice Gallelli e Giulia Sciorati
Dopo che l’immagine di un mondo globale, interconnesso e interculturale aveva fatto sperare nell’abbattimento di tutti i muri fisici e ideologici, assistiamo oggi al proliferare di nuovi “confini” e al consolidarsi di vecchi. Da una parte, ad esempio, il riemergere del nazionalismo rinsalda i confini degli stati-nazione eretti più per ostacolare il flusso di persone e meno quello di merci e capitali, nonostante qualche tentativo di attuare politiche protezioniste, comunque mirate a bersagli precisi e non al completo isolamento economico. Dall’altra, l’immagine di “nuova guerra fredda” incentrata sullo scontro tra “democrazie e autoritarismi” si propone di rispolverare la divisione del mondo in blocchi contrapposti.
Eppure, il confine non è mai una linea netta e naturale, né immutabile ed eterna; esso delimita piuttosto uno spazio politico e sociale che, in quanto tale, è artificiale e costruito, e spesso ciclicamente ricostruito. Nel suo essere un costrutto sociale, il confine non si limita alla dimensione spaziale e fisica, ma riguarda altresì quella temporale, ideologica, linguistica, culturale, disciplinare, in breve ogni ambito della realtà: il confine è un dispositivo discorsivo che distingue il dentro dal fuori, l’incluso dall’escluso, il legittimo dall’illegittimo, il nuovo dal vecchio (Mezzadra & Neilson 2014). E nel momento stesso in cui crea tali divisioni, produce al contempo delle connessioni: connette i vari elementi che racchiude e li trasforma in un’unica unità omogenea, distinta, appunto, da ciò che si trova al di là del confine.
Anche nel caso della Cina, il confine è un dispositivo in grado di “naturalizzare l’arbitrarietà” e far apparire come naturale ciò che, in realtà, è artificiale. Così, per esempio, l’assenza di “confini” temporali produce l’immagine della storia imperiale della “Cina” come una continuità caratterizzata dal susseguirsi di dinastie, quasi come se l’Impero cinese fosse un involucro fisso e stabile il cui contenuto varia senza mai intaccarne le caratteristiche fondamentali (Millward 2021). E ancora, è sulla produzione di un confine temporale che si fonda la rappresentazione di Xi Jinping come leader del popolo ma al contempo erudito, la cui leadership segna l’inizio di una “nuova era”.
Muovendo dalla problematizzazione del confine nel contesto della Grande Cina, Sinosfere invita contributi originali tesi ad analizzarne il potere simbolico e le capacità costitutive in vari ambiti.
In particolare, il numero invita riflessioni sulle seguenti questioni ma è aperto anche ad altre proposte:
- Aree di confine nella costruzione di uno spazio economico cinese interno e di uno esterno e la loro interazione
- La questione dell’identità e dei “confini” che la definiscono, sia all’interno del tessuto sociale cinese (per esempio, etnia, classe, generazione) sia a livello transnazionale (comunità della diaspora)
- La religione come “confine” che divide e unisce la comunità cinese (es. relazioni comunità cattolica e islamica), lo stato e il popolo, la Cina e altri attori del sistema internazionale (es. Islam come elemento di connessione/disgiunzione tra Pechino e Riad)
- Quali nuovi “confini” possono essere riconosciuti nella periodizzazione della storia cinese?
- Confini tra lingua ufficiale, “lingue minoritarie” e “dialetti”, anche da un punto di vista sociale
- Rappresentazione del confine in ambito culturale, anche nel contesto di opere artistiche, letterarie, cinematografiche
- Elementi di confine tra la Cina e il mondo nel contesto delle relazioni internazionali.
Gli abstract dovranno essere inviati a redazione@sinosfere.com, beatrice.gallelli@unive.it e giulia.sciorati@unitn.it entro il 1 gennaio 2024. La notifica di accettazione è prevista entro il 31 gennaio. I contributi finalizzati dovranno avere una lunghezza di circa 30.000 battute ed essere consegnati entro il 30 giugno 2024.
Riferimenti
Mezzadra, Sandro, e Brett Neilson, Confini e frontiere, La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: Il Mulino 2014.
Millward, James, “Decolonizing Chinese Historiography”, https://ecommons.cornell.edu/handle/1813/110301
31/10/2022
Culto e pratiche
Come sono praticate le religioni tra i cinesi di oggi? Quali culti del passato permangono e quali nuovi forme si sono sviluppate? Come resistono e fioriscono nell’incontro con ideologie e tendenze della modernità? Come rispondono alle esigenze delle società contemporanee, tese tra spinte globali e involuzioni locali? Come convivono i nuovi culti con aspetti tradizionali della religione dei cinesi? I due numeri di Costellazioni su “Culto e pratiche” propongono una riflessione sulle religioni nella Grande Cina (Cina, Taiwan, Hong Kong, Macao) e nella diaspora (Asia, Europa e America), con un focus sulle modalità del culto e sulla varietà delle pratiche, dando risalto alle specificità locali così come alle tendenze di standardizzazione nazionale e al contesto transnazionale. Il primo numero, in uscita in primavera del 2023, includerà contributi sulla pratica e i funerali daoisti, la religione dei Naxi, il culto dei martiri dell’Islam in Cina e le pratiche dei musulmani a Taiwan, lo sviluppo della mindfulness nella RPC e la diffusione del buddhismo cinese nel Sud-Est Asiatico e in America, il cristianesimo nella Grande Cina e il cattolicesimo tra i cinesi in Europa. Il secondo numero, in uscita nell’autunno del 2023, tratterà della circolazione di testi daoisti on-line e di fengshui, di pratiche individuali e collettive in ambienti Chan e pratiche tibetane tra i cinesi, di religione e media e Buddhismo e scienze, di cattolicesimo e dialogo interreligioso in Cina, e di Buddhismo ed evangelici in Italia.
1/4/2022
Città e campagna, a cura di Federico Picerni.
La dialettica città/campagna è stata e continua a costituire una delle principali dicotomie attraverso le quali è possibile condurre una lettura critica della storia e del presente della Cina. Negli ultimi decenni il tasso di urbanizzazione ha visto un incremento significativo: oltre il 60% della popolazione cinese vive oggi in aree urbane. Il processo è evidente anche in termini qualitativi: in Cina esistono 15 megalopoli da oltre 10 milioni di abitanti. Diverse di queste megalopoli possono essere considerate città globali, nodi di ramificazioni economiche, politiche, sociali, culturali e informatiche di natura transnazionale che tendono a rimettere in discussione le gerarchie di centralità e marginalità. Infine, la smartizzazione delle città cinesi è simbolo insieme del livello di avanzamento tecnologico raggiunto dalla Cina nell’ultimo decennio e del rafforzamento dei dispositivi sicuritari e di controllo sociale. D’altro canto, l’attrattività anche in termini economici e lavorativi delle città ha spopolato le campagne, la cui desertificazione umana è espressa nei termini più tragici dal breve reportage/racconto online divenuto virale nel 2019, “Cunzi yi si” 村子已死. Al contempo, però, l’aumento del costo della vita e i processi di gentrificazione nelle grandi città stanno portando a una ancor tenue ma sostenuta inversione di tendenza. Accanto a ciò, i faraonici piani di rivitalizzazione rurale messi in campo dal governo, all’interno dei quali si inserisce lo sradicamento della povertà estrema nelle campagne e il trasferimento nelle stesse delle nuove tecnologie, contribuiscono a rendere i confini fra città e campagna sempre più sfumati da certi punti di vista, pur nel contesto di disparità socio-territoriali la cui soluzione si ostina a mostrarsi difficile. Da ultima, la pandemia da COVID-19 ha accelerato processi già in corso da tempo, ma ha anche avuto impatti significativi sui movimenti di persone e sull’organizzazione degli spazi sociali.
Dal punto di vista sociale e umano, il fenomeno dei nongmingong 农民工ha costituito l’espressione più evidente della compenetrazione fra città e campagna. Se però fino agli anni ’10 del Duemila ciò si è inserito soprattutto in una dinamica di origine (campagna) e destinazione (città), questa matrice è messa sempre più in discussione dalla migrazione di ritorno (ancora contenuta) e soprattutto dalla redistribuzione dei migranti verso le città di terza fascia o nuovi centri urbani nelle campagne. Se nella prima fase della politica di Riforma e apertura i migranti costituivano l’esercito industriale di riserva delle città, e spesso ne ingrossavano il sottoproletariato, la riforma dello hukou 户口 sembra orientata a favorire questa redistribuzione, gravida di cambiamenti tanto sociali quanto nell’immaginario culturale.
Numerosi studi negli ultimi vent’anni hanno contribuito ad analizzare questa mutevole situazione da molteplici prospettive. Qui ci preme in particolare sottolineare il lavoro di Robin Visser, Cities Surround the Countryside, uno studio dalla forte impronta multidisciplinare dove la classica strategia maoista dell’accerchiamento delle città dalle campagne viene ribaltata per mettere in luce come la dinamica fra questi due spazi sia alla base dell’estetica urbana del nuovo millennio. Questo numero intende seguire un simile approccio, combinando diverse aree disciplinari (sociologia, antropologia, studi urbani, studi rurali, letteratura, arte, storia, cultura popolare) per analizzare le attuali interazioni fra città e campagna da più punti di vista, nel tentativo di sviluppare una riflessione improntata alle dinamiche più recenti, senza disdegnare uno sguardo storico sulle radici culturali di tale rapporto. Il numero in questione si rivolge in particolare a contributi che affrontino i seguenti argomenti:
– Smartizzazione delle città e delle campagne e loro risvolti politici ed economici
– Intelligenza artificiale e tecnologie della sorveglianza e non applicate a contesti urbani e rurali
– Processi di gentrificazione nelle città e loro impatto sui migranti rurali
– I villaggi urbani (chengzhongcun 城中村) da un punto di vista storico o nel presente
– riforma dello hukoue migrazioni verso le città di terza fasciao altri conglomerati urbani
– Caratteristiche e contraddizioni dello sradicamento della povertà assoluta: attraverso quali processi è avvenuta? Quanto sono stati partecipati e condivisi? Qual è il ruolo dell’urbanizzazione?
– Attrattività delle campagne per i giovani e migrazione di ritorno
– Espressioni culturali incentrate sul rapporto fra la città e la campagna (compresa la migrazione)
Gli abstract dovranno essere inviati a redazione@sinosfere.com e a federico.picerni@unive.it entro il 15 giugno 2022. La notifica di accettazione è prevista entro il 30 giugno. I contributi finalizzati dovranno avere una lunghezza di circa 30.000 battute ed essere consegnati entro il 30 novembre.
11/03/2021 “Celebrazioni”
Il potere politico ha da sempre usato la ritualità e i vari elementi che la compongono per compilare una sorta di “grammatica del consenso”. La Cina non è estranea a questo tipo di utilizzo della ritualità, che oggi è impiegata secondo le forme e le formule tipiche del sistema politico che esiste in questo paese.
Le celebrazioni del centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese, al di là dell’indubbia importanza storica di questo evento, offrono l’occasione per declinare il tema della “celebrazione” in modo ampio. Il numero di “Costellazioni” in uscita a ottobre 2021 ha l’obiettivo di sviscerare la significazione storica delle celebrazioni in Cina.
Le celebrazioni possono essere intese come un complesso di ritualità intessuto su un pattern specifico, e che si svolgono in maniera ricorrente e regolare. In questo senso, le celebrazioni sono dotate di una loro propria tradizione, che trascende i fenomeni e i soggetti agenti della storia. Allo stesso tempo, le celebrazioni possono riscrivere la storia e il passato, descrivendoli nei modi più coerenti con le loro finalità.
L’importanza di questo fenomeno non è limitata alla sola sfera politica, o all’interazione tra la sfera dello Stato e quella del Partito. Nella sfera culturale le celebrazioni sono un’occasione per ottenere riconoscimenti e legittimazione, per accumulare capitale simbolico e sociale. Le celebrazioni e le ricorrenze sono anche l’ambito privilegiato del marketing, che attraverso queste ultime trova ampie occasioni per dispiegare le proprie tecniche di persuasione e vendita. Infine, le ricorrenze possono offrire anche l’occasione per generare contro-narrazioni che danno luogo ad una simbolica “rottura” con il passato.
Sullo sfondo di questa concezione multiforme, Sinosfere invita contributi originali tesi ad esaminare il centenario del Partito Comunista Cinese da una prospettiva che considera le più ampie implicazioni storiche, sociologiche e culturali di questo evento. Questa prospettiva non include la cronaca delle celebrazioni del centenario, né intende scadere nell’agiografia.
I contributi proposti possono attingere a casi tratti dalle sfere della cultura popolare, della politica, della storia, dell’antropologia, del cinema, della letteratura, della società per esaminare uno dei seguenti punti:
- in che modo le celebrazioni del Partito e dello stato cercano di creare sentimenti condivisi, come formano l’identità nazionale e l’immaginario che la nutre?
- in che modo le celebrazioni sono modellate dal passato, come cercano di re-immaginarlo, e in che modo tentano di affievolire o ad annullare episodi e figure storiche oggettivamente importanti, ma oggetto di “revisione”?
- cosa si elogia con le cerimonie di stato, e che tipo di realtà positiva costituiscono? In che direzione puntano i “riflettori” delle celebrazioni, quali zone illuminano e quali lasciano in ombra?
- quali norme estetiche, rituali e discorsive sono adottate dai riti di celebrazione?
- esistono delle forme di “appropriazione” della ritualità ufficiale, e degli oggetti di questa ritualità, oppure delle contro-narrazioni e delle forme di ritualità periferiche o anche di respiro transnazionale?
Gli abstract dovranno essere inviati a redazione@sinosfere.com entro il 30 giugno 2021. La notifica di accettazione è prevista entro il 15 luglio. I contributi finalizzati dovranno avere una lunghezza di circa 30.000 battute ed essere consegnati entro il 1 settembre.
15/06/2020
Lo stato cinese, oggi, governa la società attraverso pratiche di moralizzazione spesso ispirate a visioni tradizionali e a procedure tecnocratiche di controllo con la funzione di disciplinare e standardizzare i comportamenti sociali.
L’abbondanza di parole con il significato di “modello”, in cinese – mofan 模范, bangyang 榜样, kaimo 楷模, dianfan 典范, per elencare solo le più comuni e solo quelle che si riferiscono alla nozione di “modello” nel significato specifico di “figura esemplare” (senza menzionare la pletora di caratteri o composti che si riferiscono alle nozioni di regola o norma) –, attesta la centralità che la socializzazione attraverso l’uso di modelli – vuoi intesi come figure esemplari a cui ispirarsi modellando su di esse i propri comportamenti, vuoi intesi come schemi di comportamento codificati – ha avuto nel corso della storia cinese, sia tradizionale che moderna.
Questo numero mira perciò a esplorare, attraverso una nuova “costellazione” di studi incentrata questa volta sul tema dei “modelli” – come opera in Cina tale cultura dei modelli, osservandone le trasformazioni storiche e la sua rilevanza nel presente, cercando di mettere in luce sia come i modelli vengano/siano stati usati efficacemente (o meno) per produrre comportamenti uniformi e prevedibili, in linea con gli obiettivi sociali promossi dai governanti, sia come essi inneschino/abbiano innescato viceversa dinamiche sociali di resistenza, opposizione o evasione.
Quali tradizioni, in particolare, hanno alimentato tale cultura dei modelli? Con quali elaborazioni teoriche e attraverso quali pratiche specifiche? Come sono state rielaborate le visioni teoriche tradizionali nel momento in cui esse venivano reinterpretate e incorporate nelle visioni e nelle pratiche dello stato moderno, venendo a incrociarsi e a ibridarsi con gli specifici orientamenti scientifici della modernità cinese? Come funzionano, nello specifico e in concreto, le varie pratiche di regolazione del comportamento umano prodotte nello stato cinese moderno? (dalla motivazione alla sorveglianza alla disciplina e alla valutazione dell’agire individuale) Con quali meccanismi operano? (premi, punizioni, forme di riconoscimento o stigma sociale) Che tipo di moralità producono? Che tipo di agency contengono? Che tipo di relazioni sociali strutturano? Soprattutto, dato che le norme prodotte attraverso la creazione di modelli tendono a essere tipicamente gerarchizzanti, che tipo di gerarchie sociali producono? In che modo individui e categorie assimilano, o viceversa boicottano, tali pratiche di modellamento? Quali spazi culturali alternativi o antagonisti si formano in reazione alla pressione alla regolamentazione del comportamento sulla base di requisiti e protocolli imposti socialmente? Queste sono alcune delle domande principali su cui dovrebbero incentrarsi i casi studio raccolti in questo numero.
Uscita prevista del numero: 1 aprile 2021.
09/04/2020
Sinosfere ha in programma un numero di Costellazioni dedicato all’idea di giustizia nella cultura cinese, in prospettiva diacronica. L’uscita è prevista per ottobre 2020 e la scadenza per la presentazione dei contributi è il 31 agosto 2020. Gli interessati possono inviare un abstract a: degiorgi@unive.it
Il numero vuole raccogliere riflessioni e brevi analisi tese a esplorare la nozione di giustizia nella società e cultura cinese oggi e nel passato. In particolare si propone di offrire spunti di riflessione sul rapporto fra giustizia e diritto (sul piano teorico e della filosofia del diritto, anche nei termini di ricezione di autori stranieri nel contesto cinese, e/o di applicazione e percezione della legge) e sulla nozione di giustizia in ambito filosofico o religioso, mettendo anche in luce i miti e gli archetipi costruiti e veicolati attorno alla nozione di giustizia nella letteratura, nelle arti e nella cultura popolare. Anche analisi a carattere linguistico e/o traduttologico sono benvenute.
15/10/2019
Spesso si parla di soft power, ovvero delle strategie con cui la Cina cerca di raccontare la sua storia nel mondo per conquistare consenso attorno ai suoi obiettivi. Mentre per quanto riguarda le relazioni interne, quelle fra centro e periferie, fra potere centrale e minoranze etniche, ci si concentra invece quasi esclusivamente sul potere “hard”, ovvero sulle misure di controllo e repressione adottate dal governo. Ma come governano, le élite cinesi, sui gruppi minoritari dal punto di vista culturale? Come sono gestiti a livello sociale e culturale i rapporti con le popolazioni di “frontiera”, quelle popolazioni, cioè, che per storia, cultura e posizione geografica sono lontane dal centro non solo politico ma anche culturale rappresentato dalle élites cinesi ed esprimono visioni e aspirazioni sociali diverse, e spesso conflittuali, rispetto a quelle della maggioranza dominante? Quali sono le strategie, gli orientamenti, le visioni, che guidano le politiche culturali rivolte alle minoranze? In quali modi specifici si tenta di incorporare, assimilare, contenere i gruppi considerati più esogeni? Com’è che si tenta di conquistarli alla causa della modernità con caratteristiche cinesi? Con quali meccanismi i giovani di questi gruppi vengono coinvolti nel sogno cinese? O ne vengono esclusi? Come le culture locali vengono costruite, magari con biasimo, al fine di legittimare la narrazione dominante del progresso nazionale a trazione han? Ci sono strategie diverse rivolte a etnie diverse? Quali sono le micropratiche con cui si cerca di colonizzare, nel quotidiano, le “visioni” del “mondo”, dei “valori” e della “vita” (shijieguan, jiazhiguan, renshengguan) di questi gruppi? C’è spazio in questo processo per la creazione di aree intermedie, di culture interstiziali, caratterizzate dall’ibridazione e dal dialogo? Quali sono le aree di libertà culturale che sono concesse ai gruppi minoritari, quali sono le interdizioni e i tabù?
28/7/2019: “zhongguo gushi, le narrazioni cinesi”
Da tempo ormai la Cina cerca di esercitare un suo “soft power” nel mondo, un’aspirazione che ha assunto una dimensione particolarmente rilevante soprattutto con la leadership di Xi Jinping, che a partire dal 18esimo congresso del PCC (2012) ha ripetuto a più riprese la necessità di “raccontare bene le storie cinesi, diffondere bene la voce cinese, spiegare bene le caratteristiche cinesi”. A livello pratico ciò si è tradotto, come sappiamo, in grandi investimenti e nella creazione di apparati mediatici e culturali atti a diffondere tale visione cinese (della Cina e sulla Cina) nel mondo.
La mia impressione, al riguardo, è che se da un lato il soft power cinese è già ampiamente studiato a livello delle strutture utilizzate per veicolarlo (apparati di propaganda, media, Istituti Confucio, etc.), non molto ancora è stato fatto per analizzare le concrete narrazioni sulla Cina, sulla cultura cinese, sui valori cinesi, etc, che sono state eventualmente confezionate e promosse all’estero attraverso questo processo.
A questo proposito, è utile ricordare gli specifici ambiti tematici riguardo cui il governo cinese sente l’esigenza di ri-narrare la Cina secondo una prospettiva più autenticamente autoctona, al fine di migliorare la comprensione della soggettività culturale cinese all’estero: 1) la grande rinascita della nazione cinese (sogno cinese) 2) la via cinese (il modello cinese di sviluppo) 3) l’eccellenza della cultura tradizionale cinese (i valori cinesi) 4) l’incontro delle civiltà 5) l’amicizia dei popoli e gli scambi fra gli stati 6) la visione dello sviluppo pacifico (tutto all’insegna della convergenza degli interessi mondiali nel nome del destino comune).
http://theory.people.com.cn/n1/2019/0222/c40531-30897581.html
Se da un lato l’iniziativa di promuovere all’estero delle visioni più soggettivamente cinesi può essere naturalmente vista positivamente anche come mezzo per contrastare certi bias culturali di matrice eurocentrica, l’obiezione più ovvia che si può muovere a tale iniziativa è che, essendo quest’ultima di fatto promossa dal governo cinese secondo gli obiettivi ideologici del governo cinese, più che a fornire narrazioni più “autentiche” sulla Cina secondo una prospettiva “interna”, per così dire “vissuta” dai suoi protagonisti, mira in realtà a diffondere una costruzione strumentalizzata della cultura cinese secondo gli interessi della propaganda nazionale.
Date queste premesse, credo sia utile provare a indagare le narrazioni eventualmente promosse fin qui dal soft power cinese, interrogandosi sul modo in cui operano, come si strutturano e, soprattutto, su quali immaginari, forme di esperienza e prospettive storiche diffondono e promuovono. Come sono costruite, in queste narrazioni, le peculiari “caratteristiche cinesi”? Quali “valori cinesi” veicolano? In che modo questi valori si contrappongono, e competono con i “valori occidentali”? In che modo accrescono, se lo fanno, il nostro sapere sulla Cina? In che modo eventualmente lo semplificano o lo distorcono? In che modo mettono in discussione i nostri stereotipi? In che modo eventualmente reificano la cultura cinese, producendone immagini monopolistiche ed essenzializzate che annullano la pluralità e la diversità delle visioni cinesi? Come dovrebbe approcciarsi a queste narrazioni il pubblico straniero, poco attrezzato a comprendere i dispositivi retorici e pragmatici dei testi culturali cinesi?
E ancora, in che modo attraverso queste narrazioni il governo cinese tenta di riscrivere la storia mondiale secondo una prospettiva cinese? Quanto di questa prospettiva è verosimile e legittimo, quanto è finzione e propaganda? Quanto di queste narrazioni è davvero destinato al pubblico fuori dalla Cina, e quanto invece mira piuttosto, indirettamente, alla ricerca di un consenso interno fra la popolazione cinese?
Fra le varie tipologie di narrazione da prendere in esame, oltre agli immancabili, ormai ubiqui discorsi del presidente Xi Jinping (che pongono da subito una sfida interpretativa non da poco per un lettore occidentale, poco avvezzo a identificare un politico come autorità intellettuale e morale), credo sia molto importante analizzare non solo i prodotti dell’informazione cinese rivolti al pubblico straniero, ma anche i testi letterari e cinematografici che in Cina sono elogiati proprio per il fatto di raccontare bene “la storia cinese” (insieme ad altre tipologie testuali).
uscita prevista: tarda primavera 2020
24/1/2019: Il corpo
Il seguente Call for paper si rivolge a studiosi e osservatori interessati a esplorare il tema del “corpo”, in Cina, secondo i modi e le finalità che ispirano la rivista Sinosfere. Per informazioni o proposte è possibile contattare un qualsiasi membro del comitato scientifico o scrivere un’email all’indirizzo redazione@sinosfere.com. L’uscita del numero tematico è prevista per marzo 2020.
Corpo come sede di percezione e rappresentazione identitaria
La civiltà cinese ha sviluppato sin dall’antichità teorie filosofiche e religiose in cui corpo e mente sono visti come un’unica entità, a differenza dell’interpretazione binaria che l’occidente ha spesso dato al concetto di corpo rispetto a quelli di anima o mente.
Nella lingua cinese moderna il termine associato al “corpo”, shenti身体, copre una sfera molto ampia di significati, tra cui l’idea di “sé” contenuta nel carattere 身, tradotto da Mark Elvin (1993) come “body-person”. Una caratterizzazione fortemente identitaria che considera le emozioni e i pensieri come immanenti alla sfera fisica dell’essere umano. L’altra componente, 体, disegna piuttosto i contorni, o l’insieme delle parti che lo compongono, una sorta di geografia dell’essenza che al corpo viene associata, la concreta manifestazione di questa entità. Tuttavia 体significa anche “esperire”, il che rimanda al corpo come sistema percettivo teorizzato da Merlau-Ponty, filosofo oggi ampiamente rivalutato, la cui visione del “corpo-soggetto” e “corpo fenomenale” apre la strada a una visione in cui esso, in quanto sede naturale della percezione, è privilegiato canale di conoscenza e coscienza del reale. Il corpo, perciò, è inteso come combinazione della forma fisica (carne, ossa, liquidi, essenze) che lo costituisce e delle capacità emozionali e cognitive a esso associate.
Quanto questa visione olistica – che viene presa a modello dagli studiosi contemporanei di scienze cognitive e neuroscienze – influisce ancora culturalmente nella società contemporanea cinese, dove un avanzato materialismo, prima di origine marxista poi liberista (o un insieme dei due), spinge i cinesi da un lato a concentrare sul corpo il proprio investimento emozionale e, dall’altro, a fuggire talvolta dallo stesso alla ricerca di una dimensione spirituale più autentica? La moderna aspirazione a un’identità individuale si esaurisce in un potenziamento del corpo nei suoi desideri materiali? A questo scopo interessanti spunti si possono trarre dalla dimensione tecnologica, post-umana, che il corpo sta assumendo in alcune pratiche e culture della Cina contemporanea.
Articolando ulteriormente il tema intendiamo esaminare quali rappresentazioni del corpo sono fornite nell’ambito dell’arte, della letteratura, della cultura visiva e nell’immaginario sociale in genere. È il corpo oggi in qualche modo misura dello sviluppo e delle aspettative sociali ed economiche dell’individuo in Cina? In che modo esso è cifra ed espressione dello spazio e del tempo così come concepiti nella moderna esistenza del cinese o nel suo immaginario? Una visione bio-politica si presta ad analizzare l’uso e la rappresentazione del corpo nel rapporto tra individuo e potere, individuo e lavoro, individuo e corpo sociale. Altri campi di indagine sono ancora la manipolazione del corpo, la consapevolezza della realtà attraverso il corpo (sfera della percezione), e, come già detto, il potenziamento del corpo. Ci interessa verificare inoltre quali aspetti caratterizzano e distinguono la cultura cinese per quanto attiene ai concetti di contiguità, contatto, esibizione, esaltazione, mortificazione, sacralità, possesso del corpo.
uscita prevista, 1 aprile 2020