La condizione di Taiwan all’interno della politica di “una sola Cina” costituisce un enigma della politica internazionale, la cui complessità richiede di interrogare le definizioni tradizionali di categorie quali confini, identità e sovranità. Lo status della Repubblica di Cina (ROC)1)L’acronimo ROC derivante dall’inglese “Republic of China” (Taiwan). –  comprendente un totale di 168 isole, tra cui l’isola principale di Taiwan, le Penghu, Kinmen e Matsu – come stato autonomo de facto, ma non riconosciuto indipendente nel sistema delle relazioni internazionali, proietta questo “geocorpo” e i suoi circa 24 milioni di abitanti in uno “stato di eccezione” permanente.

La relazione tra Cina e Taiwan è un prolifico oggetto di ricerca in diversi campi accademici, nonché di indagine artistica in discipline creative come letteratura, arte e cinema. Le elaborazioni letterarie degli scrittori taiwanesi si concentrano di solito sulla dimensione identitaria, affrontando, ad esempio, aspetti riguardanti la complessità della storia taiwanese e la memoria collettiva. Le narrazioni contemporanee sull’identità taiwanese (sia che provengano da campagne politiche o da produzioni culturali) difficilmente possono esimersi dall’articolare la relazione di Taiwan con la Cina, sia che questa sia considerata come il continente fisico sotto la giurisdizione della RPC o come uno “spazio discorsivo” delineato da immaginari etnico-culturali. In questo contesto, il senso di appartenenza culturale non corrisponde necessariamente a un’identità politica (o civica) predeterminata.2)Yi-huah Jiang, “Taiwan’s National Identity and Cross-Strait Relations”, in Dittmer Lowell (a cura di), Taiwan and China: Fitful Embrace (Oakland: University of California Press, 2017), 23. Ad esempio, mentre molti taiwanesi oggi riconoscono la componente culturale cinese della loro identità o si identificano come “etnicamente” cinesi (华人), gli stessi non considerano necessariamente Taiwan come parte politica della Cina e difficilmente si definirebbero “zhongguoren 中国人”.

Secondo Jiang Yi-huah, l’oggetto principale di controversia per Taiwan non sono né l’identità nazionale né la prospettiva politica dell’indipendenza o dell’unificazione con la Cina, ma il principio di “una sola Cina”. In effetti, questa politica è parte di un più ampio apparato geopolitico, strutturato attorno alla relazione di potere triangolare della ROC con le ben più potenti Repubblica Popolare Cinese (RPC) e Stati Uniti, che limita le stesse possibilità dei taiwanesi di scegliere il proprio destino. Da questo punto di vista, Taiwan si trova in una situazione paradossale: da un lato, rappresenta un nodo strategico cruciale per l’equilibrio geopolitico tra le superpotenze nell’area del Pacifico orientale; dall’altro, vive una condizione liminale poiché è isolata diplomaticamente e spesso marginalizzata nel riconoscimento del suo specifico capitale simbolico e culturale (che rimane sovente nell’ombra di quello cinese).

Sennonché, dalla sua istituzione, il principio di “una sola Cina” non ha fatto altro che rafforzare un senso di dualità, promuovendo più divisione che unità. Poco prima che la ROC perdesse il suo seggio nelle Nazioni Unite in favore della RPC come unico rappresentante della Cina nel 1971, il PCC eradicava il patrimonio culturale del passato lanciando la Rivoluzione Culturale (文化大革命). Per tutta risposta, il governo della ROC aveva inaugurato un Movimento di Rinascita Culturale in Taiwan (中華文化復興運動),3)I riferimenti in cinese di questo saggio sono per la maggior parte in caratteri semplificati, ad esclusione del caso di nomi propri, titoli di opere o espressioni taiwanesi, per i quali si è preferito mantenere i caratteri tradizionali previsti nell’uso ufficiale della ROC. presentandosi come unico custode dell’ “autentica” cultura cinese. Anche al di fuori dei rispettivi domini da una parte e dall’altra dello Stretto di Taiwan, il discorso sulla Cina nell’accademia americana è stato a lungo inquadrato attorno all’idea di una “Cina Libera” versus la “Cina Rossa” comunista.4)Sung-sheng Yvonne Chang, “Representing Taiwan: Shifting Geopolitical Frameworks”, in David Der-wei Wang e Carlos Rojas (a cura di), Writing Taiwan: A New Literary History (Durham: Duke University Press, 2007), 2.

Più di recente, nonostante la fine della Legge Marziale nella ROC (1987) e l’ascesa del nazionalismo taiwanese in opposizione al nazionalismo cinese, l’irremovibile rivendicazione della sovranità su Taiwan da parte della RPC e il suo crescente militarismo hanno impedito qualsiasi deviazione dalla politica di “una sola Cina”, permettendo al più il riconoscimento di interpretazioni diverse di tale principio, come stabilito nel cosiddetto “Consenso del 1992”. In questo senso, il “confine” discorsivo tra Cina e Taiwan rimane un divisivo campo di contestazione. Questo confine, pur rimanendo ambiguo sul piano retorico, è prodotto e rafforzato da una serie di regolamenti legali, attività militari ed economiche, così come immaginari culturali e geografici da una parte e dall’altra dello Stretto. Ad esempio, gli studenti provenienti dalla Cina continentale incontrano maggiori difficoltà rispetto agli studenti locali o internazionali nell’ottenere borse di studio o finanziamenti per la ricerca nelle università taiwanesi. Parimenti, la RPC scoraggia i soggiorni dei propri cittadini a Taiwan per motivi di turismo, lavoro o studio, applicando politiche restrittive su visti e autorizzazioni. Da questo punto di vista la politica di “una sola Cina” non può essere separata dalla questione dell’identità nazionale, in quanto la gestione del confine tra Cina e Taiwan (confine interno, esterno? tra due stati o provinciale?) dà luogo a specifiche norme di mobilità e cittadinanza che sanzionano perimetri di inclusione ed esclusione, contribuendo alla formazione di un diverso senso di appartenenza/identità tra cinesi e taiwanesi.

In questa sede, l’esame di varie articolazioni del confine culturale e identitario tra Taiwan e Cina si pone di sfidare la nozione di sovranità nazionale come base per la formazione della “comunità” e le sue corrispondenti ingiunzioni di doveri e solidarietà esclusiva entro i confini designati dello spazio nazionale. Sotto tale prospettiva, la domanda più urgente da porre è: esistono possibilità altre di immaginare la comunità e i confini? Quali sono le fondamenta della comunità una volta che la dialettica esclusivista tra identità e differenza è abbandonata come principio costitutivo? A tal fine, si propone una riflessione sul romanzo di Li Ang 李昂 (1952 ̴ ),  Relazioni predestinate in sette vite: Affari amorosi tra Cina e Taiwan (七世姻緣之台灣/中國情人, 2009), che “romanticizza” a livello narrativo le relazioni attraverso lo Stretto. Come immagina la scrittrice il rapporto culturale e politico tra Taiwan e la Cina continentale?  Il romanzo si esime dalla costruzione della Cina come l’Altro, suggerendo così una possibile via per un senso post-nazionale di comunità?

Essere o non essere cinesi? Sfatare il mito dell’“unica Cina”

Sebbene il calcolo strategico sia un fattore di importanza fondamentale alla base della politica di “una sola Cina”, la legittimazione teorica di tale principio si basa sull’assunto che i significati di “Cina” e dell’“essere cinesi” siano univoci e indiscussi. Problematizzare questi termini, al contrario, è stata la preoccupazione recente di molti studiosi, non solo per le implicazioni concernenti le relazioni tra le due sponde dello stretto ma, più in generale, per affrontare i problemi teorici riguardanti la molteplicità di identità ed etnie all’interno della sfera della “Grande Cina”, così come quelli relativi alla “alla diaspora cinese”. Secondo Arif Dirlik, la narrazione su cui si basa il nazionalismo cinese della RPC ignora convenientemente la storia coloniale, come se questa fosse una parentesi indesiderata nello sviluppo altrimenti lineare di una civiltà cinese lunga cinquemila anni. Seguendo la logica di tale “pensiero de-storicizzato”, la restituzione di Hong Kong è vista come un “ritorno” (huigui 回归) della città e dei suoi abitanti alla loro “casa naturale”. Allo stesso modo, l’unione ipotetica di Taiwan con la Cina è descritta come una “ri-unificazione” piuttosto che come “unificazione”.5)Arif Dirlik, “Taiwan: The Land Colonialisms Made”, Boundary 2 , 45 , 3, 2018, 4.

Tale retorica oscura il fatto che la Cina non è mai stata un’unità culturalmente ed etnicamente omogenea. In epoca imperiale, il territorio e la sua popolazione venivano denominati con riferimento alle dinastie imperanti, senza contare che alcune di queste, come gli Yuan e i Qing, erano di origini straniere.6)Peter K. Bol, “Reflections on the Zhong Guo and the Yi Di with Reference to the Middle Period.” China Review, 23, 2, 2023, 89. Mentre i confini territoriali dell’impero venivano costantemente rimodellati, il suo spazio politico comprendeva diverse culture etniche, che subirono vari gradi di sinizzazione.7)Allen Chun, “Fuck Chineseness: On the Ambiguities of Ethnicity as Culture as Identity.” Boundary 2, 23, 2, 1996, 113. Allo stesso tempo, poiché l’impero era soggetto a ondate alternanti di espansioni e invasioni straniere, la contaminazione etnica era inevitabile, al punto che la “de-sinizzazione” può essere vista come parte integrante del processo di civilizzazione cinese.8)Dirlik, “Taiwan”, 10. Mentre queste considerazioni storiche spiegano come “Cina” e “cinesità” siano categorie plurali e instabili, è significativo notare che la stessa nozione di stato-nazione come “un’entità politica i cui confini sono sinonimo di quelli di un gruppo etnico” è un’importazione recente che risale al periodo della Rivoluzione Repubblicana.9)Chun, “Fuck Chineseness”, 113.

Il principio di unica Cina si complica ulteriormente se consideriamo la storia moderna di Taiwan. I Qing conquistarono l’isola nel 1683, quando divenne una roccaforte dei lealisti Ming guidati dalla famiglia Zheng, e solo nel 1887 conferirono a Taiwan lo status di provincia dell’Impero, dopo che l’isola aveva attirato l’attenzione di giapponesi e francesi per la sua posizione strategica.10)Jonathan Manthorpe, Forbidden Nation: A History of Taiwan (New York: Palgrave Macmillan, 2005), 99-108. Nel 1895 Taiwan fu ceduta al Giappone a causa della sconfitta dei Qing nella Prima guerra Sino-giapponese, e fu infine restituita al termine della Seconda guerra mondiale a quella che era ormai diventata la Repubblica di Cina. Taiwan, pertanto, non fu coinvolta nel processo di costruzione della nazione che portò alla Rivoluzione Repubblicana del 1911 in Cina. Nel frattempo, la colonizzazione giapponese, durata cinquant’anni, sottopose i taiwanesi a un processo di profonda assimilazione culturale e linguistica.11)Si vedano, ad esempio, Leo T. S. Ching, Becoming Japanese. Colonial Taiwan and the Politics of Identity Formation. (Berkeley: University of California Press, 2001) e Shih-jung Tzeng, From Hōnto Jin to Bensheng Ren: The Origin and Development of Taiwanese National Consciousness (Lanham, Md.: University Press of America, 2009). Nel 1949, a seguito della guerra civile tra il Partito Comunista Cinese (PCC) e il Partito Nazionalista (Kuomintang o KMT), Taiwan divenne il rifugio per le truppe in fuga del KMT, sconfitto sotto la guida di Chiang Kai-Shek. Il KMT monopolizzò immediatamente il potere sull’isola, inaugurando un lungo periodo di legge marziale (1949-1987). Mentre il PCC, che controllava il continente, fondava nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese, rivendicando la sovranità sia sul continente sia su Taiwan, Taiwan era considerata dal KMT una provincia della Repubblica di Cina e una base provvisoria per le forze nazionaliste fino a quando queste non avrebbero riconquistato la Cina continentale, caduta nelle mani di un governo “illegittimo”. Nel frattempo, con l’inizio della Guerra fredda, lo status internazionale di Taiwan fu dichiarato “irrisolto” da Washington e l’isola divenne un protettorato degli Stati Uniti, integrata nel loro “teatro di operazioni nel Pacifico”.12)Jon Solomon, “Taiwan Incorporated: A Survey of Biopolitics in the Sovereign Police’s East Asian Theater of Operations”, Traces: a Multilingual Series of Cultural Theory and Translation, 3, 2004, 237-239.

Finché le Nazioni Unite riconoscevano la ROC come unico legittimo rappresentante della Cina, il KMT poteva legittimare il suo dominio sull’isola insieme alla sua politica di “ri-sinizzazione” linguistica e culturale della popolazione autoctona e rafforzare ulteriormente tale status presentandosi come l’unico preservatore dell’“autentica” tradizione cinese. La politica di sinizzazione favorì un senso di partizione etnica nella popolazione Han dell’isola, tra i nativi taiwanesi – benshengren 本省人 (“di questa provincia”) – e i cinesi che migrarono a Taiwan dopo il 1949 – waishengren 外省人 (“delle province esterne”). Con il divieto della lingua e dei costumi giapponesi e l’imposizione del Mandarino come unica lingua ufficiale, il ceto colto locale che si era formato nell’era coloniale perse immediatamente prestigio e influenza nella società.13)Joyce C.H. Liu, “The Translations of Ethos and the Unheimlich: Wu Tien-chang and the Post-Martial Law Era in Taiwan”, in Bi-yu Chang e Henning Klöter (a cura di), Imaging and Imagining Taiwan: Identity Representation and Cultural Politics (Wiesbaden: Harrassowitz, 2012), 22.

Il movimento di indigenizzazione e la ricerca identitaria nella letteratura taiwanese

Ironicamente, durante il periodo della legge marziale, in un momento in cui il KMT imponeva un paradigma culturale sinocentrico a Taiwan, il confine fisico tra Taiwan e RPC era praticamente “invalicabile” per le persone così come per la maggior parte delle informazioni provenienti dalla Cina comunista (soggette a censura), il che separò l’isola e i suoi abitanti dalla vita culturale del continente per quasi quarant’anni. Le fondamenta di tale ordine politico e culturale iniziarono a vacillare negli anni ’70 in un clima di battute d’arresto internazionali e disordini interni. A livello internazionale, nel 1971 la ROC perse il suo seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore della RPC, da cui derivò un isolamento diplomatico generale. In questo modo, veniva meno anche la legittimità del KMT a livello domestico, in particolare, della sua politica culturale sinocentrica e della mentalità esilica che sottendeva alla gestione del governo di Taiwan come provincia cinese. Inoltre, gli scontri violenti del governo con i sostenitori pro-democratici nel 1972 e nel 1979 misero ulteriormente in luce la violenza repressiva del KMT.

Gli anni ’70 sono considerati un “periodo assiale” non solo per l’inizio della crisi di legittimità politica del KMT, ma anche per quella del “carattere cinese” (zhongguoxing 中国性) come nucleo dell’identità taiwanese.14)A-Chin Hsiau. “The Indigenization of Taiwanese Literature: Historical Narrative, Strategic Essentialism, and State Violence”, in J. Makeham and A. C. Hsiau (a cura di), Cultural, Ethnic, and Political Nationalism in Contemporary Taiwan (New York: Palgrave Macmillan, 2005), 128. Ne seguì un movimento di indigenizzazione (bentuhua 本土化) culturale e politica partire dagli anni ’80, stimolato dalle riforme politiche e dal clima più disteso che fece seguito alla morte di Chiang Kai-shek (1975), culminando nella revoca della legge marziale nel 1987 sotto la presidenza del figlio di Chiang Kai-shek, Chiang Ching-kuo.15)Per la trascrizione dei nomi propri di figure politiche di Taiwan particolarmente note si è preferito adottare il sistema di trascrizione “Wade-Giles” come d’uso nella maggior parte dei media internazionali e anche in ambito accademico negli studi di area su Taiwan. Per indicare nomi di personaggi meno noti o di scrittori taiwanesi, si è adottato il sistema pinyin, come di convenzione in questa rivista. A livello politico, il trend di indigenizzazione coinvolse non solo il movimento di opposizione “fuori dal partito” (dangwai 党外), che in quegli anni iniziava a sostenere l’indipendenza  di Taiwan,16)Hsiau, “The Indigenization of Taiwanese Literature”, 126. ma anche lo stesso KMT, che rispose alle crisi reclutando nativi taiwanesi nei suoi ranghi. Tra questi, Lee Teng-hui, successore designato di Chiang Ching-kuo, che guidò la transizione democratica del paese. Divenuto presidente della ROC nel 1988 e poi riconfermato con le elezioni democratiche del 1996, Lee fu il primo presidente a promuovere l’indigenizzazione nella politica culturale del governo, dando il via al progetto “renshi Taiwan 认识台湾” (“conoscere Taiwan”) nei programmi scolastici.17)Wang Fu-Chang, “Why Bother about School Textbooks?: An Analysis of the Origin of the Disputes over Renshi Taiwan Textbooks in 1997”, in Cultural, Ethnic, and Political Nationalism, 55-99. L’elezione del leader del Partito Progressista Democratico (DPP) Chen Shui-bian (2000-2008), il primo presidente della ROC non appartenente al KMT, consacrò il trionfo di questa tendenza.

Le relazioni attraverso lo Stretto entrarono in una nuova fase di tensione durante i mandati di Lee e di Chen.   Il concetto di “due stati” (liang guo lun  两国论) di Lee Teng-hui e quello di “un lato, un paese” (yi bian yi guo  一边一国) di Chen Shui-bian descrivono Taiwan e RPC come due entità politicamente distinte, opponendosi alla nozione di una sola Cina, sebbene il secondo sia considerato più radicale in quanto connesso alla tradizionale linea pro-indipendentista del DPP.18)Jiang, “Taiwan’s National Identity”, 20. Per contro, con la presidenza del nuovo leader del KMT Ma Ying-jeou (2008 – 2016), il governo di Taiwan perseguì una politica di avvicinamento alla Cina, soprattutto dal punto di vista commerciale, favorendo la distensione delle relazioni attraverso lo Stretto. Tuttavia, le politiche favorevoli alla RPC di Ma causarono malcontento interno, specialmente tra le nuove generazioni, culminando nelle proteste di massa del Movimento dei Girasoli contro l’“Accordo sui Servizi Commerciali tra le Due Sponde dello Stretto“ nel 2014.

Proprio come la gestione politica del confine tra RPC e Taiwan si prestava a cambiare a partire dalle crisi diplomatiche degli anni 70 e poi, attraverso la nuova fase democratica, anche la concezione del confine etnico-culturale subiva continue riformulazioni e ri-adattamenti, con varie posizioni più o meno distanti dalla Cina nel dibattito interno sull’identità taiwanese. Le svolte più significative sono evidenziate dalle dispute letterarie che si susseguirono tra gli anni ’70 e ’80. Il dibattito letterario sulla “poesia modernista” (xiandai shi 现代诗) tra il 1972 e il 1973, quello sulla “letteratura del suolo natio” (xiangtu wenxue 乡土文学) tra il 1977 e il 1978 e quello sulla “coscienza taiwanese” (Taiwan yishi zhenglun 台湾意识争论) tra il 1983 e il 1984.19)Non pochi studiosi evidenziano la rilevanza di questi dibattiti non solo per la politica identitaria, ma anche per l’affermazione di un concetto di “letteratura taiwanese” distinta dalla “letteratura cinese” e per la formazione di un relativo campo accademico. Si vedano A-Chin Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism (London: Routledge, 2000); Joyce C.H. Liu, Gu’er. Nüshen. Fumian ShuxieWenhua Fuhao de Zhengzhangshi Yuedu 孤兒女神負面書寫 文化符號的徵狀式閱讀 [Orfani, dee e la scrittura del negativo: Una lettura sintomatica dei nostri segni culturali], (Taipei: Lixu Publishing Company, 2000); e Xiaobing Tang, “On the Concept of Taiwan Literature.”, in Writing Taiwan, 51-90.

Chen Zhaoying 陳昭瑛 sostiene che l’indigenizzazione culturale a Taiwan sia passata attraverso tre forme di antagonismo nei confronti di elementi considerati “estranei”: contro il Giappone,  l’occidentalizzazione e la RPC.20)Chen Zhaoying 陳昭瑛, Taiwan wenxue yu bentuhua yundong 臺灣文學與本土化運動 [La letteratura Taiwanese e il movimento localista] (Taipei: National Taiwan University Press, 2009), 101-173. L’esame comparativo dei dibattiti sopra menzionati mostra come un senso di identità taiwanese sia stato plasmato mediante la costruzione di Altri contro cui definire il Sé. In breve, il primo dibattito scaturisce dall’accusa verso i poeti modernisti di attuare una ricezione acritica dell’Occidente e di comporre poesia astratta dalla realtà sociale. Il dibattito sulla “letteratura xiangtu” fu innescato dalle accuse di un gruppo di umanisti conservatori contro gli scrittori associati a questa corrente letteraria, criticati per le loro tendenze socialiste e anti-establishment.

Il concetto di xiangtu (let. “villaggio natio”), spesso tradotto come “letteratura del suolo natio” e associato al “nativismo” culturale, racchiude molteplici significati, tra cui una vocazione socio-realistica nella letteratura, un focus tematico sul villaggio natale e sulle realtà rurali, una coscienza di classe socialista e uno spirito anti-imperialista e anti-coloniale.21)Sulla letteratura xiangtu e sul nativismo culturale si vedano Chen Zhaoying, Ibidem e  A-Chin Hsiau. Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 68-74. Negli anni ’70 i principali teorici del paradigma xiangtu in ambito letterario erano Chen Yingzhen 陳瑛真e Ye Shitao 葉石濤. Ye e Chen concordavano nel considerare la letteratura xiangtu erede della “Nuova letteratura” emersa a Taiwan durante il periodo giapponese come espressione di resistenza anti-coloniale, sebbene con diverse interpretazioni del suo significato storico e delle implicazioni per il presente.22)In merito alla “Nuova letteratura” del periodo coloniale si vedano Pei-yin Lin, Colonial Taiwan: Negotiating Identities and Modernity through Literature (Leiden and Boston: Brill, 2017) e Sung-sheng Yvonne Chang, “Taiwanese New Literature and the Colonial Context”, in Murray A. Rubinstein (a cura di), Taiwan: A New History (New York: Routledge, 2000), 261-274. In un saggio scritto nel 1977, Ye caratterizzava la letteratura xiangtu come incarnazione della “coscienza taiwanese”, un prodotto unico risultato dal particolare ambiente naturale di Taiwan e delle composite eredità culturali delle diverse presenze storiche sull’isola. Secondo Ye, tale coscienza sarebbe stata plasmata dall’esperienza storica delle varie colonizzazioni che i “cinesi” residenti a Taiwan avevano subito nel corso del tempo.23)Nella visione di Ye Shitao e di molti nativisti negli anni ’70 e ’80, la “letteratura xiangtu” è legata all’esperienza storica delle comunità Hokkien e Hakka, originarie del sud della Cina, che iniziarono a migrare verso Taiwan sin dall’epoca Ming. Pertanto, Ye parla di “cinesi” senza far riferimento agli altri gruppi etnici di Taiwan, alias, gli aborigeni di discendenza austronesiana. Si vedano i passi citati in Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 93-94. Strenuo sostenitore dell’identità nazionale cinese, Chen Yingzhen vedeva invece nella Nuova letteratura del periodo giapponese un’espressione della “coscienza cinese” o del “nazionalismo cinese” e, di conseguenza, ne enfatizzava la connessione con la tradizione anti-imperialista e anti-feudale del Movimento del Quattro Maggio in Cina.24)Il Movimento del Quattro Maggio 1919 fu un momento centrale dell’epoca repubblicana (1911-1949) in Cina, caratterizzato da proteste studentesche contro le condizioni imposte dal Trattato di Versailles, che auspicavano un rinnovamento sociale e politico basato su ideali di anti-imperialismo, democrazia e scienza moderna. Fu parte del più ampio movimento di Nuova Cultura, che promosse l’adozione di una lingua letteraria vicina al parlato e una narrativa orientata alle realtà sociali. Chen paventava un’implicazione separatista nell’enfasi risposta da Ye sull’originalità (zizhuxing 自主性) della letteratura taiwanese.

Nonostante i suoi timori, l’interpretazione di Ye della letteratura xiangtu in questo periodo testimonia la ricerca di un equilibrio tra una prospettiva locale e l’identità nazionale cinese. Al contrario, il rigetto del “carattere cinese” nel discorso nativista è proprio di una fase successiva concomitante con la svolta del movimento dangwai che, negli anni ’80, dopo l’Incidente di Kaohsiung (1979), incorporò nella sua agenda pro-democratica la ricerca dell’indipendenza, sostenuta dalla critica allo sciovinismo cinese del KMT.25)Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 79-80. Fu a quel punto che diversi scrittori nativisti come Ye Shitao e Peng Ruijin 彭瑞金iniziarono ad affermare un concetto di “soggettività” (zhutixing 主体性, inteso anche come auto-determinazione)26)Per un’analisi dettagliata del concetto di zhutixing si veda Xiaobing Tang, “On the Concept of Taiwan Literature”, 51-90. dell’identità taiwanese nella storia letteraria, riadattamento che si allineava con l’ideologia indipendentista del movimento di opposizione. Il dibattito letterario sulla questione della “coscienza taiwanese” (1983 -1984) segnala tale svolta, ulteriormente evidenziata dall’uso del termine “letteratura taiwanese” (Taiwan wenxue), per la prima volta, in sostituzione del termine xiangtu.27)Liu, “The Translations of Ethos”, 22.

La politicizzazione del campo letterario in chiave nativista in quegli anni non è priva di aspetti problematici. Colta nel processo di costruzione di una nuova identità taiwanese de-sinizzata, la letteratura, lungi dall’essere concepita come libera espressione creativa, rischiava di essere meramente asservita alla causa del consolidamento della nazione. Gli sforzi iniziali per stabilire il campo della letteratura taiwanese sono infatti caratterizzati da un impulso discriminante e normativizzante. Ad esempio, nel tentativo di Peng Ruijin di definire la letteratura taiwanese, come nota Tang Xiaobing, si legge la volontà di imporre un “criterio di ammissibilità” sotteso dall’imperativo di “identificarsi con le radici locali (bentu)” nonché il desiderio di dotare la letteratura di “attributi mitologici”, evocanti il senso di un destino comune della nazione. Lungi dall’istituire il campo letterario dall’incontro “empirico e fenomenologico” con le opere esistenti, vi è un discorso normativo su ciò che questa letteratura dovrebbe fare.28)Tang, “On the Concept of Taiwan Literature”, 59-61. In questo senso, il ruolo assegnato alla creazione letteraria nell’ordine simbolico e culturale emergente informato dal discorso nativista, non era così diverso da quello che rivestiva nell’ordine precedente, soprattutto negli anni ’50 e ’60, quando la letteratura doveva riflettere e incitare un nazionalismo cinese “anti-comunista”. L’ingiunzione a identificarsi con il suolo locale nel processo di costruzione di un’“identità taiwanese” indipendente comporta una serie di contraddizioni. Da un lato, è una reazione contro l’emarginazione di Taiwan nell’arena internazionale iniziata negli anni ’70, e un rifiuto della “mentalità esilica” che aveva dominato il discorso culturale a partire dal 1949. Dall’altro lato, il contro-discorso nativista mirava a definire un’identità locale essenzialmente “taiwanese”, priva di influenze straniere. Ironicamente, però, la storia di Taiwan – segnata da molteplici ondate di colonizzazione e migrazioni – evidenzia piuttosto un processo di ibridazione e contaminazione culturale. Come chiede provocatoriamente Chen Zhaoying, una volta che qualsiasi matrice “estranea” è stata eliminata, “cosa resta dell’essere taiwanese?”29)Chen, Taiwan wenxue, 153.

Le indagini letterarie di Li Ang sull’identità nazionale

I profondi cambiamenti che hanno caratterizzato la recente storia politica dell’isola, sottolineati da continui aggiustamenti e ricostruzioni culturali di ciò che significa essere taiwanesi (e il suo rapporto con la Cina), hanno attirato l’attenzione di numerosi scrittori contemporanei, che esplorano le intricate questioni legate all’identità e alla memoria storica. Tra questi vi è la scrittrice Li Ang, le cui opere a partire dagli anni ’90 in poi hanno mostrato una visibile svolta in questa direzione. Le narrazioni di Li Ang nei periodi precedenti si concentravano su tematiche riguardanti la coscienza sociale e sessuale delle donne in una società patriarcale. A causa delle sue descrizioni audaci del sesso, la scrittrice è stata soggetta a ricezioni controverse. Alcuni critici paragonano le sue opere alla pornografia, mentre altri riconoscono il significato politico della sessualità nelle sue narrazioni da una prospettiva femminista e l’uso strategico di questa categoria per sfidare tabù morali e sociali.30)Sheung-Yuen Daisy Ng, “Feminism in the Chinese Context: Li Ang’s ‘The Butcher’s Wife’”, Modern Chinese Literature, 4, 1/2, 1988, 177–178. Con Il giardino dei misteri (迷園, 1990), Li Ang inizia a collegare le problematiche legate al genere e alla sessualità con il tema dell’identità taiwanese, indagando il ruolo assegnato alle donne nella costruzione della nazione. Donne e nazione, sessualità e politica sono rimasti gli assi tematici intrecciati di opere successive come Il Bruciatore di Beigang: saga del demone con la cintura di castità  (北港香爐人人插:戴貞操帶的魔鬼系列, 1997) e Relazioni predestinate in sette vite: affari amorosi tra Cina e Taiwan (七世姻緣之台灣/中國情人, 2009).

Scritto negli anni ’80, Il giardino dei misteri riflette l’influenza del modello indigenizzante allora in ascesa: il romanzo medita sull’oppressione dei taiwanesi sotto la colonizzazione giapponese prima e il regime instaurato dal KMT dopo. La trama intreccia due linee temporali diverse, entrambe raccontate dal punto di vista della protagonista Zhu Yinghong 朱影紅. Il primo filo narrativo si concentra sui ricordi frammentati dell’infanzia e del padre di Yinghong, un membro dell’élite intellettuale locale perseguitato con l’arrivo del governo nazionalista, dopo la brutale repressione dell’insurrezione del febbraio 1947, nota come “228 shijian” (“incidente del 28 Febbraio”). Nella residenza della famiglia Zhu si trova un prestigioso giardino botanico in stile cinese denominato hanyuan 菡园 (letteralmente “giardino del loto”, ma il primo carattere è sintomaticamente omofono con il carattere “汉”, indicante l’etnia Han), dove il padre trascorre il suo confinamento sotto stretta sorveglianza del KMT. Il giardino riveste un ruolo altamente simbolico nel romanzo: nell’atto del padre di sostituire le specie botaniche importate dalla Cina continentale con delle piante di origine autoctona, si evidenzia il processo di “indigenizzazione” e il desiderio di affermare un’identità taiwanese indipendente. Il secondo punto focale del romanzo è lo status sociale delle donne, esplorato attraverso la parabola sessuale della protagonista, in particolare, nella sua relazione con un imprenditore locale arricchitosi con investimenti immobiliari negli anni dell’ascesa economica di Taiwan. Complessivamente, Il giardino dei misteri rappresenta sia una reinterpretazione della storia moderna di Taiwan che arricchisce il dibattito sull’identità taiwanese, sia un racconto postcoloniale dal punto di vista di un soggetto doppiamente marginalizzato, per genere ed etnia.

Scrittrice di origini bensheng, al momento della pubblicazione de Il giardino dei misteri, Li Ang era nota come simpatizzante del DPP. Il suo contributo alla causa nativista in questo romanzo non sorprende in tal senso. Tuttavia, la scrittrice non si è mai irrigidita in una posizione fissa sulla questione, continuando a mantenere uno sguardo attento sulle figure marginalizzate dal discorso nazionale. Secondo Li Fangyu, è proprio “a causa del suo coinvolgimento con il DPP che Li Ang appura le discriminazioni di genere e sessuali implicate nell’ideologia nazionalista”.31)Fangyu Li, “Women, Politics, and National Identity: Revisiting Li Ang’s All Sticks are Welcome in the Censer of Beigang”, in Yenna Wu (a cura di), Li Ang’s Visionary Challenges to Gender, Sex and Politics (Lanham: Lexington Books, 2014), 120. La raccolta di racconti Il braciere di Beigang riflette proprio tale consapevolezza, denunciando la struttura patriarcale e le supposizioni sessiste che permeano l’organizzazione e l’ideologia del nazionalismo taiwanese.

Negli anni 2000, in un momento in cui la dialettica tra il nazionalismo della RPC e il nazionalismo taiwanese si esternalizza nel campo delle relazioni tra le due sponde dello stretto, la questione dell’identità taiwanese è nuovamente problematizzata da Li Ang nel romanzo Relazioni predestinate. Il romanzo tematizza la complessa relazione tra RPC e Taiwan attraverso il racconto della storia d’amore tra una scrittrice taiwanese, He Fang 何方, e il cinese Zhou Xiaodong 周曉東, funzionario emergente del PCC. Diversamente da Il giardino dei misteri, che simboleggia l’ascesa dell’identità taiwanese attraverso la sovversione simbolica della “cinesità”, in Relazioni predestinate, la scrittrice enfatizza le somiglianze tra Cina e Taiwan attingendo agli immaginari culturali condivisi da ambo parti dello Stretto. Le “sette relazioni predestinate” indicate nel titolo costituiscono esattamente uno di questi repertori condivisi, un insieme di antiche storie popolari variamente rielaborate da romanzieri e drammaturghi nel corso del tempo.

Significativamente, tali storie indicano per lo più amori tragici e matrimoni non realizzati. Nel romanzo, la voce narrante suggerisce continui paralleli tra la relazione romantica contemporanea di He Fang con Zhou Xiaodong e quelle degli amanti nelle storie leggendarie. Sono proprio queste suggestioni letterarie a rendere ancor più accattivante, agli occhi di He Fang, la figura di Zhou Xiaodong, idealizzata come amante leggendario. Abituata a viaggiare per lavoro e per piacere, He Fang è un personaggio dalla vocazione cosmopolita e ribelle, avvezza non solo a varcare confini geografici ma anche a trasgredire barriere legate alle convenzioni morali e alle prescrizioni sociali. Oltre alla relazione adulterina con Zhou, un uomo sposato con figli, He Fang ha un fidanzato di lunga data a Taiwan, Chen Dingguo 陳定國, e per un periodo intrattiene una relazione sessuale con Wang Yang 王洋, un dissidente cinese della generazione del 4 giugno 1989.

Gli amanti di He Fang rappresentano varie forme di nazionalismo nei rapporti attraverso lo Stretto.  Né Zhou né Wang contemplano la possibilità che Taiwan diventi un paese indipendente, per quanto la posizione di Wang su questo fronte sia più esplicita e aggressiva rispetto a quella di Zhou. Nonostante il lungo esilio, la mente di Wang è assorbita nel suo complesso nei confronti della RPC e, a causa della sua ossessione per il paese, necessita di un’attenzione speciale per essere sessualmente eccitato. Zhou Xiaodong, d’altro canto, incarna gli aspetti più sofisticati del nazionalismo cinese, grazie alla sua assertività carismatica. Il suo nome, che letteralmente significa “conoscere l’Est”, allude all’abilità di Zhou nel “controllare” l’Est, inclusa la sua capacità di assimilarsi alla cultura taiwanese. Nato a Zhangzhou nel Fujian, Zhou ha un accento fujianese talmente simile a quello taiwanese che, quando visita l’isola, dà l’impressione di essere uno del luogo. Con la sua sofisticata eloquenza commista alla fermezza e a un implacabile pragmatismo, Zhou incarna “l’aggressività calcolata nella cultura politica ed economica della Cina contemporanea”.32)Ping-hui Liao, “Romancing the Strait: Love and Death in Li Ang’s Seven Prelives of Affective Affinities”, in Yenna Wu (a cura di) Li Ang’s Visionary Challenges, 134. Il carattere deciso di Zhou è contrapposto all’incertezza critica di He e alla sua esitazione riguardo alla propria identità di cui, anche in questo caso, è indizio il suo nome, che può essere tradotto come “qualsiasi luogo” o “quale luogo?”. Non diversamente dalle favole mitologiche, la loro relazione termina fatalmente, con la morte di Zhou durante un viaggio in Tibet. Il destino dell’amore impossibile è anche prefigurato dalle nuove restrizioni sulla mobilità tra RPC e Taiwan che impediscono ai due di vedersi.

Un’alternativa post-nazionale?

Li Ang è stata criticata per l’associazione allegorica tra Taiwan e le sue protagoniste femminili,  dalla quale si ritiene possa risultare una rappresentazione semplicistica del rapporto di potere tra RPC e Taiwan.33)Ibid., 139. Di fronte al comportamento solenne e composto di Zhou, He appare a volte superficiale e indulgente, e l’erudizione condiscendente del primo sulla cultura cinese suscita in lei un rispetto reverenziale. Tuttavia, come si argomenterà di seguito, la simbologia sulla condizione politica di Taiwan in questo romanzo non consiste tanto nel “femminilizzare” Taiwan, quanto nel “mascolinizzare” i nazionalismi, per poi sovvertire la struttura nazionale fallocentrica attraverso un’emasculazione figurata dei suoi sostenitori. Più precisamente, le associazioni metaforiche nel romanzo servono strategicamente a smascherare l’“affinità elettiva” tra le ideologie patriarcali e quelle nazionalistiche nel trattare le terre e i corpi delle donne come proprietà su cui tracciare confini di possesso.

La funzione allegorica del romanzo è suggerita dal suo preludio: “Questa è una storia su un’isola e un continente (dalu)”,34)Li Ang, Qishi yinyuan zhi taiwan/zongguo qingren 七世姻緣之台灣中國情人 [Relazioni predestinate in sette vite: affari amorosi tra Cina e Taiwan], (Taipei: Linking Publishing, 2009), 2. che pone anche una questione di identità e differenza tra RPC e Taiwan: “Parliamo la stessa lingua, usiamo caratteri simili. Siamo così simili eppure così diversi allo stesso tempo”.35)Ibid., 1. Qual è la risposta di Li Ang a questo enigma?

Liao Pinghui sostiene che, mentre He Fang e Zhou Xiaodong appaiono simili dal punto di vista culturale, a livello ideologico rimangono irrimediabilmente diversi.36)Liao, “Romancing the Strait”, 141. È indubbio che il romanzo evidenzi differenze ideologiche tra He e Zhou: quando discutono sul rapporto tra Cina e Taiwan, Zhou è deluso nello scoprire che He Fang sostiene l’indipendenza dell’isola sebbene, in altri contesti, mostri di simpatizzare con i taiwanesi e di riconoscere gli effetti devastanti di un ricorso alla guerra. He Fang, dal canto suo, è preoccupata che Taiwan possa essere influenzata dalla cultura cinica e orientata al denaro della Cina contemporanea. Tuttavia, né He Fang né il romanzo giungono a una visione chiara e risolutiva di cosa significhi essere taiwanesi e di come questa identità si contraddistingua da quella cinese. L’incertezza di lei e il suo continuo interrogarsi suggeriscono che qualsiasi risposta a tale domanda porterebbe a un’essenzializzazione delle identità o a una differenziazione forzata tra il Sé e l’Altro. È, al contrario, il cinese Zhou a costruire Taiwan come l’Altro, rivolgendosi a He Fang come “la donna di quella piccola isola”, affermazione che la sconcerta. Sebbene quest’ultima concepisca Taiwan come una “grande” isola circondata da una serie di piccole isole, il suo immaginario è privo di sfumature campanilistiche. D’altro canto, He Fang non concepisce il suo mondo come radicato entro i confini dell’isola. L’atteggiamento di Zhou nei suoi confronti rivela una tendenza orientalizzante nel presupporre che gli orizzonti della controparte taiwanese siano più ristretti dei suoi. In tale dinamica si evidenzia una sottile critica del nazionalismo cinese continentale che da un lato incorpora Taiwan nella sua orbita, dall’altro la relega a un esistenza periferica. Di converso, anche l’auto-chiusura del nazionalismo taiwanese è rifiutata dacché He Fang non si identifica completamente con il suolo natio e non esprime alcun interesse a rimanere radicata nell’isola. Il fatto che la relazione con il fidanzato taiwanese – il cui nome,  Dingguo 定國, significa “fondare lo stato-(nazione)” – sia destinata a terminare, rafforza tale idea.

He Fang, in ultima analisi, non è adatta a legarsi a nessuno di questi partner a causa del suo stile di vita nomade e del desiderio di trasgredire costantemente i confini. La traiettoria che questo personaggio traccia nel romanzo è una de-territorializzazione femminista che apre una linea di fuga dai marcatori territoriali sia patriarcali sia nazionalistici. Lin Pei-yin ha evidenziato il ruolo simbolico della sessualità nel romanzo in relazione all’immaginazione post-nazionale di Li Ang, sottolineando come i tre personaggi maschili, rappresentanti tre diverse forme diverse di nazionalismo, siano tutti privati della loro virilità (Wang a causa dell’impotenza sessuale; Chen a causa della sua malattia e Zhou per via della sua morte).37)Pei-yin Lin, “Gendering cross-strait relations: romance and geopolitics in Li Ang´s Seven-Generation Predestined Relationship and Ping Lu’s East and Beyond”, Archiv orientální: Quarterly Journal of African and Asian Studies, 81,3, 2013, 522. Il ricorso di He Fang al buddismo esoterico alla fine del romanzo sembra essere un altro sottile indizio che la strada per l’emancipazione non segue l’orbita della sovranità nazionale.

Qual è, quindi, il ruolo del sostrato mitologico in questa narrazione di de-territorializzazione?

La mitologia è evocata dalla scrittrice, che ne rivela il potere di attrazione per poi de-mistificarla. He Fang si identifica con gli amanti mitologici, non senza dubitare di tali associazioni, riconoscendo infine che la propria realtà è in qualche modo diversa, anche se elusiva e in costante cambiamento. Sebbene il suo destino romantico rispecchi l’impossibilità tragica delle sette relazioni predestinate, l’amore è anche postulato in alcuni punti del romanzo come una forza capace di rompere il ciclo delle reincarnazioni tragiche. Verso la fine, di fronte alla notizia della morte imminente di Zhou, He Fang cerca una catarsi nella recitazione dei sutra con la guida del suo maestro buddista tantrico, sperando di poter “fermare il ciclo della reincarnazione” e di essere finalmente liberata dal dolore causato dall’attaccamento.38)Li Ang, Qishi yinyuan, 302. Questa metafora può essere trasposta nella sfera della relazione tra RPC e Taiwan, dove l’enigma dell’“unità senza matrimonio politico de facto” non può mai essere risolto finché la riproduzione compulsiva dei nazionalismi territoriali (da ambe le parti dello Stretto) insieme alle loro mitologie storiche ed essenzializzazioni culturali obbligano a solidarietà esclusive entro rigidi confini ideologici. Un nuovo senso di comunità globale può essere formato solo sfidando e non rafforzando i confini, affermando le singolarità senza confinare corpi e idee in quelle che Arif Dirlik chiama “prigioni dell’identità”.39)Dirlik, “Taiwan”, 20.

Di Maria Reimmaginare le relazioni PDF

Immagine: “Taiwan”, foto di He Dabao, Flickr

Serena Di Maria è una dottoranda presso il dipartimento di “Social Research and Cultural Studies” della Yang Ming Chiao Tung University di Hsinchu, Taiwan. La sua ricerca si concentra sulla letteratura contemporanea taiwanese con particolare attenzione alle questioni di genere e sessualità in una prospettiva decoloniale e queer, alle figurazioni del corpo e della spazialità nella narrativa, nonché agli immaginari geografici e (post)identitari nel contesto culturale post-Martial Law. Fa parte dell’Editorial Board di Conflict Justice Decolonization (CJD) Project,  piattaforma bilingue nata per incoraggiare l’intervento nella sfera pubblica intellettuale da parte di studenti postgraduate, affiliata all’International Center for Cultural Studies di Taiwan.

References
1 L’acronimo ROC derivante dall’inglese “Republic of China” (Taiwan).
2 Yi-huah Jiang, “Taiwan’s National Identity and Cross-Strait Relations”, in Dittmer Lowell (a cura di), Taiwan and China: Fitful Embrace (Oakland: University of California Press, 2017), 23.
3 I riferimenti in cinese di questo saggio sono per la maggior parte in caratteri semplificati, ad esclusione del caso di nomi propri, titoli di opere o espressioni taiwanesi, per i quali si è preferito mantenere i caratteri tradizionali previsti nell’uso ufficiale della ROC.
4 Sung-sheng Yvonne Chang, “Representing Taiwan: Shifting Geopolitical Frameworks”, in David Der-wei Wang e Carlos Rojas (a cura di), Writing Taiwan: A New Literary History (Durham: Duke University Press, 2007), 2.
5 Arif Dirlik, “Taiwan: The Land Colonialisms Made”, Boundary 2 , 45 , 3, 2018, 4.
6 Peter K. Bol, “Reflections on the Zhong Guo and the Yi Di with Reference to the Middle Period.” China Review, 23, 2, 2023, 89.
7 Allen Chun, “Fuck Chineseness: On the Ambiguities of Ethnicity as Culture as Identity.” Boundary 2, 23, 2, 1996, 113.
8 Dirlik, “Taiwan”, 10.
9 Chun, “Fuck Chineseness”, 113.
10 Jonathan Manthorpe, Forbidden Nation: A History of Taiwan (New York: Palgrave Macmillan, 2005), 99-108.
11 Si vedano, ad esempio, Leo T. S. Ching, Becoming Japanese. Colonial Taiwan and the Politics of Identity Formation. (Berkeley: University of California Press, 2001) e Shih-jung Tzeng, From Hōnto Jin to Bensheng Ren: The Origin and Development of Taiwanese National Consciousness (Lanham, Md.: University Press of America, 2009).
12 Jon Solomon, “Taiwan Incorporated: A Survey of Biopolitics in the Sovereign Police’s East Asian Theater of Operations”, Traces: a Multilingual Series of Cultural Theory and Translation, 3, 2004, 237-239.
13 Joyce C.H. Liu, “The Translations of Ethos and the Unheimlich: Wu Tien-chang and the Post-Martial Law Era in Taiwan”, in Bi-yu Chang e Henning Klöter (a cura di), Imaging and Imagining Taiwan: Identity Representation and Cultural Politics (Wiesbaden: Harrassowitz, 2012), 22.
14 A-Chin Hsiau. “The Indigenization of Taiwanese Literature: Historical Narrative, Strategic Essentialism, and State Violence”, in J. Makeham and A. C. Hsiau (a cura di), Cultural, Ethnic, and Political Nationalism in Contemporary Taiwan (New York: Palgrave Macmillan, 2005), 128.
15 Per la trascrizione dei nomi propri di figure politiche di Taiwan particolarmente note si è preferito adottare il sistema di trascrizione “Wade-Giles” come d’uso nella maggior parte dei media internazionali e anche in ambito accademico negli studi di area su Taiwan. Per indicare nomi di personaggi meno noti o di scrittori taiwanesi, si è adottato il sistema pinyin, come di convenzione in questa rivista.
16 Hsiau, “The Indigenization of Taiwanese Literature”, 126.
17 Wang Fu-Chang, “Why Bother about School Textbooks?: An Analysis of the Origin of the Disputes over Renshi Taiwan Textbooks in 1997”, in Cultural, Ethnic, and Political Nationalism, 55-99.
18 Jiang, “Taiwan’s National Identity”, 20.
19 Non pochi studiosi evidenziano la rilevanza di questi dibattiti non solo per la politica identitaria, ma anche per l’affermazione di un concetto di “letteratura taiwanese” distinta dalla “letteratura cinese” e per la formazione di un relativo campo accademico. Si vedano A-Chin Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism (London: Routledge, 2000); Joyce C.H. Liu, Gu’er. Nüshen. Fumian ShuxieWenhua Fuhao de Zhengzhangshi Yuedu 孤兒女神負面書寫 文化符號的徵狀式閱讀 [Orfani, dee e la scrittura del negativo: Una lettura sintomatica dei nostri segni culturali], (Taipei: Lixu Publishing Company, 2000); e Xiaobing Tang, “On the Concept of Taiwan Literature.”, in Writing Taiwan, 51-90.
20 Chen Zhaoying 陳昭瑛, Taiwan wenxue yu bentuhua yundong 臺灣文學與本土化運動 [La letteratura Taiwanese e il movimento localista] (Taipei: National Taiwan University Press, 2009), 101-173.
21 Sulla letteratura xiangtu e sul nativismo culturale si vedano Chen Zhaoying, Ibidem e  A-Chin Hsiau. Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 68-74.
22 In merito alla “Nuova letteratura” del periodo coloniale si vedano Pei-yin Lin, Colonial Taiwan: Negotiating Identities and Modernity through Literature (Leiden and Boston: Brill, 2017) e Sung-sheng Yvonne Chang, “Taiwanese New Literature and the Colonial Context”, in Murray A. Rubinstein (a cura di), Taiwan: A New History (New York: Routledge, 2000), 261-274.
23 Nella visione di Ye Shitao e di molti nativisti negli anni ’70 e ’80, la “letteratura xiangtu” è legata all’esperienza storica delle comunità Hokkien e Hakka, originarie del sud della Cina, che iniziarono a migrare verso Taiwan sin dall’epoca Ming. Pertanto, Ye parla di “cinesi” senza far riferimento agli altri gruppi etnici di Taiwan, alias, gli aborigeni di discendenza austronesiana. Si vedano i passi citati in Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 93-94.
24 Il Movimento del Quattro Maggio 1919 fu un momento centrale dell’epoca repubblicana (1911-1949) in Cina, caratterizzato da proteste studentesche contro le condizioni imposte dal Trattato di Versailles, che auspicavano un rinnovamento sociale e politico basato su ideali di anti-imperialismo, democrazia e scienza moderna. Fu parte del più ampio movimento di Nuova Cultura, che promosse l’adozione di una lingua letteraria vicina al parlato e una narrativa orientata alle realtà sociali.
25 Hsiau, Contemporary Taiwanese Cultural Nationalism, 79-80.
26 Per un’analisi dettagliata del concetto di zhutixing si veda Xiaobing Tang, “On the Concept of Taiwan Literature”, 51-90.
27 Liu, “The Translations of Ethos”, 22.
28 Tang, “On the Concept of Taiwan Literature”, 59-61.
29 Chen, Taiwan wenxue, 153.
30 Sheung-Yuen Daisy Ng, “Feminism in the Chinese Context: Li Ang’s ‘The Butcher’s Wife’”, Modern Chinese Literature, 4, 1/2, 1988, 177–178.
31 Fangyu Li, “Women, Politics, and National Identity: Revisiting Li Ang’s All Sticks are Welcome in the Censer of Beigang”, in Yenna Wu (a cura di), Li Ang’s Visionary Challenges to Gender, Sex and Politics (Lanham: Lexington Books, 2014), 120.
32 Ping-hui Liao, “Romancing the Strait: Love and Death in Li Ang’s Seven Prelives of Affective Affinities”, in Yenna Wu (a cura di) Li Ang’s Visionary Challenges, 134.
33 Ibid., 139.
34 Li Ang, Qishi yinyuan zhi taiwan/zongguo qingren 七世姻緣之台灣中國情人 [Relazioni predestinate in sette vite: affari amorosi tra Cina e Taiwan], (Taipei: Linking Publishing, 2009), 2.
35 Ibid., 1.
36 Liao, “Romancing the Strait”, 141.
37 Pei-yin Lin, “Gendering cross-strait relations: romance and geopolitics in Li Ang´s Seven-Generation Predestined Relationship and Ping Lu’s East and Beyond”, Archiv orientální: Quarterly Journal of African and Asian Studies, 81,3, 2013, 522.
38 Li Ang, Qishi yinyuan, 302.
39 Dirlik, “Taiwan”, 20.