La scienza, la tecnologia e la modernizzazione non sono caratteristiche della cultura cinese. Sono come entità aliene. Se le prendiamo per buone, ci trasformiamo in mostri, e questo è l’unico modo in cui possiamo andare d’accordo con la nozione occidentale di progresso.1)Han Song, “Chinese Science Fiction: A Response to Modernization”, Science Fiction Studies, 40, 1, 2013, 15-21, 20, tda. Han Song è uno scrittore di fantascienza cinese.

Introduzione

Tra le questioni urgenti poste dalla globalizzazione contemporanea, la riapparizione di derive nazionaliste spinge a interrogarci sul senso di disorientamento collegato a processi accelerati di innovazione tecnologica. Secondo il filosofo Bernard Stiegler,2)Bernard Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation (Stanford, Calif: Stanford Univ. Press, 2009). Per approfondire il pensiero di Stiegler: B. Stiegler, La tecnica e il tempo. Vol. 1, La colpa di Epimeteo (Roma: Luiss University Press, 2023); B. Stiegler, Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale (Orthotes, 2012). la sincronizzazione temporale e l’omogeneizzazione culturale sono tra le conseguenze più impattanti della cosiddetta “planetarizzazione tecnologica”. L’epoca “iper-industriale”3)Bernard Stiegler, La miseria simbolica. 1, L’epoca iperindustriale (Milano: Meltemi, 2021). tende infatti verso l’uniformazione dei gruppi tecnici che, prima dei processi legati alla globalizzazione, caratterizzavano le forme di vita del gruppo etnico-culturale a cui facevano riferimento. Secondo Stiegler, oggi si è imposto un unico sistema tecnologico globale che gli Stati-nazione fanno fatica a interiorizzare. Si tratta di un processo di deterritorializzazione che non elimina confini e diseguaglianze. Al contrario, Mezzadra e Neilson hanno mostrato che l’espansione delle frontiere del capitalismo globale si traduce in una “ʽdistruzione creatriceʼ e [in un] costante ricombinarsi di spazi e tempi collocati nel cuore della globalizzazione capitalistica contemporanea”.4)Sandro Mezzadra e Brett Neilson, Confini e Frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale (Bologna: Società Editrice Il Mulino, 2014), cap. 1, par. 2. Stiegler afferma che la tecnologia contemporanea produce un disorientamento che genera una perdita di fiducia e di contesto e che va analizzato anche come la scomparsa stessa del sistema di cardinalità che identificava, anche in termini di potere, “Occidente” e “Oriente”.5)Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation, 77. Questo contributo si propone di analizzare come la questione della tecnologia si lega al discorso nazionalista nella Repubblica Popolare Cinese (RPC), problematizzando da un lato la presunta universalità del pensiero occidentale sulla tecnica, dall’altro la riemersione contemporanea di prospettive culturaliste in risposta ai processi di globalizzazione tecnologica.

 La questione della tecnica tra Occidente e Oriente

All’interno del processo di planetarizzazione della tecnologia non assistiamo alla scomparsa di quel binarismo geopolitico che differenzia e oppone i paesi occidentali a tutti gli altri. Specialmente riguardo la questione tecnologica la Cina (RPC) è rappresentata e si rappresenta oggi come un’imponente alterità, a volte temuta, altre ammirata, con la quale i paesi occidentali si confrontano senza sosta, in quello che sembra un tentativo di delimitare nuovamente confini ormai sfuocati. Il tecno-orientalismo o l’orientalismo digitale,6)Maximilian Mayer, “China’s Authoritarian Internet and Digital Orientalism,” in Redesigning Organizations, ed. Denise Feldner (Cham: Springer International Publishing, 2020), 177–92; Josef Gregory Mahoney, “China’s Rise as an Advanced Technological Society and the Rise of Digital Orientalism”, Journal of Chinese Political Science, 28, 1, 2023, 1–24. dei quali la rappresentazione di una Cina orwelliana prodotta dal Sistema di Credito Sociale è un esempio, così come il Sinofuturismo, ovvero quel discorso che assume che la RPC sia oggi un luogo avveniristico di innovazione tecnologica e di anticipazione del futuro,7)Virginia L. Conn and Gabriele de Seta, “Let A Hundred Sinofuturisms Bloom”, in Bodhisattva Chattopadhyay et al., eds., The Routledge Handbook of Cofuturisms (New York: Routledge, 2023), 345-355 sono narrazioni che contribuiscono a costruire una presunta singolarità della Cina contemporanea in termini di tecnologizzazione accelerata e futuro-presente, su cui i paesi occidentali proiettano timori, desideri e frustrazioni. Come in un riflesso, discorsi intrisi di occidentalismo guidato dallo stato o auto-orientalismo sono fomentati all’interno del contesto cinese, in cui le peculiarità e la grandezza del percorso di sviluppo sono dipinti nei termini di un’alternativa esemplare cristallizzata nel “sogno cinese” (Zhongguo meng 中国梦). Se la tecnologia occidentale8)Il termine “occidentale” riferito a tecnologia intende sottolineare l’espansione globalizzatrice e neocoloniale del pensiero europeo sulla tecnica prodotto a partire dalla modernità occidentale intesa come la somma dei processi di rivoluzione scientifica, razionalizzazione, industrializzazione e capitalismo e, quindi, anche imperialismo e colonialismo. Il concetto di modernità come prodotto esclusivamente occidentale è stato criticato dai pensatori postcoloniali tra cui, in ambito cinese, Wang Hui (The Rise of Modern Chinese Thought). Pur tenendo conto della riflessione postcoloniale, qui si fa piuttosto riferimento all’idea che la pluralità di genealogie tecniche sia stata sradicata dall’imporsi del pensiero occidentale sulla tecnica. si è imposta sulla sfera globale quale prospettiva dominante originando, secondo Stiegler, una tecno-scienza guidata dal capitalismo che livella differenze e confini epistemologici e culturali – gli “stili” ma non le diseguaglianze –, come interpretare assunti e rivendicazioni culturaliste? A questo proposito il discorso nazionalista cinese è particolarmente interessante, anche se non isolato, perché in esso la questione della tecnologia si lega con quella del “sogno cinese”, in cui una modernizzazione senza fine delinea il futuro della Cina: un futuro “localizzato” che si espande al di fuori di essa. La modernizzazione, intesa come tecnologizzazione “iper-industriale”, che originariamente non era “indigena” alla Cina, è ora infatti amplificata, istillata dal governo cinese ai suoi partner industriali e commerciali, al punto che essa è ora tra gli sponsor, perfino tra i teorici e i divulgatori della modernizzazione. La questione non è quella di definire se la RPC sia diventata o meno un paese capitalista occidentalizzato, ma piuttosto di riconoscere che la RPC è un attore integrato, se non tra i leader, del sistema capitalistico globale.9)Ivan Franceschini e Nicholas Loubère, Global China as Method (Cambridge: Cambridge University Press, 2022); Arif Dirlik, “Developmentalism: A Critique”, Interventions, 16, 1, 2014, 30–48, 3; Arif Dirlik, Complicities: The People’s Republic of China in Global Capitalism (Chicago: Prickly Paradigm Press, 2017). Essenzializzare una singolarità cinese a questo proposito non riuscirebbe quindi a individuare le complesse alleanze e rivalità finanziarie, commerciali, infrastrutturali e quindi anche epistemiche e di potere che guidano lo sviluppo tecnologico mondiale.

È quindi interessante indagare da una prospettiva filosofica il rapporto della Cina con la modernizzazione prendendo in considerazione il ruolo della tecnologia. Se la filosofia della tecnica ha sviscerato e psicanalizzato la storia del pensiero filosofico occidentale sulla tecnica, identificando in Prometeo una figura chiave originaria, essa ha però anche dato in qualche modo per scontata l’universalità di questo stesso pensiero. Il filosofo hongkonghese Yuk Hui offre una prospettiva diversa su questo tema. In Cosmotecnica. La questione della tecnologia in Cina,10)Yuk Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina (Roma: Nero, 2021). Hui intraprende un’analisi per risvegliare la filosofia cinese dalla sua “incoscienza” tecnologica aggiungendo un’ulteriore prospettiva al “problema di Needham”, il quale si interrogava sulla mancata emersione di una tecnologia e una scienza “moderne” in Cina. Per indagare la questione Hui parte dalla constatazione che nella mitologia cinese non è presente una figura “prometeica”, ribelle, che abbia rubato la tecnica agli dèi; secondo la tradizione cinese le tecniche sarebbero state tramandate agli uomini da tre mitici saggi sovrani.11)Nuwa 女媧, Fuxi 伏羲 e Shennong 神农. Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 26-27. Partendo dall’interpretazione della cosmologia cinese, Hui attua una ricostruzione filosofica del pensiero cinese sulla tecnica dall’epoca antica fino ad oggi, introducendo il concetto di “cosmotecnica” (yuzhou jishu 宇宙技术), con il quale fa riferimento all’ “unificazione del cosmo e della morale attraverso le attività tecniche, sia artigianali che artistiche”.12)Yuk Hui, “Cosmotechnics as Cosmopolitics”, E-Flux Journal, 86, 2017, 1-11, 7, tda. Secondo la sua teoria, diverse cosmologie e sistemi di pensiero avrebbero originato, dall’antichità fino alla globalizzazione, diverse relazioni con la tecnica, diverse “storie della tecnica” (non solo in termini estetico-funzionali ma anche ontologici/cosmologici), delle quali quella prometeica/occidentale rappresenterebbe un esempio in una molteplicità. La cosmotecnica cinese deriverebbe da una cosmologia morale in cui la dinamica continuamente reinterpretata tra Qi (器), l’oggetto tecnico, e Dao (道) giocava un ruolo fondamentale. Questa dinamica avrebbe prodotto una comprensione del tempo e della storia e una cosmotecnica morale sostanzialmente diverse da quella europea, producendo “un pensiero relazionale del cosmo e dell’essere umano, dove la relazione tra i due è mediata da esseri tecnici”.13)Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 66. Secondo l’analisi di Hui sia l’interpretazione daoista, che esprime una superiorità del Dao rispetto ai Qi, che quella confuciana, in cui l’oggetto tecnico ha un ruolo importante nel perfezionamento della moralità tramite i riti, esprimevano, con le dovute differenze e successive reinterpretazioni, una cosmotecnica morale che si distanziava da quella della tradizione europea. Hui fa l’esempio della medicina cinese tradizionale per identificare un prodotto della cosmotecnica cinese, ma si potrebbe anche pensare al pensiero tecnico-artistico che ha sviluppato la pittura paesaggistica in Cina.14)Shitao, Giangiorgio Pasqualotto, e Marcello Ghilardi, Discorsi sulla pittura del Monaco Zucca Amara (Milano: Jouvence, 2014).

Secondo Hui l’interpretazione continuamente rielaborata della relazione tra Dao e Qi rimase un tema centrale della filosofia cinese fino al momento in cui essa dovette confrontarsi con il pensiero occidentale. Infatti, alla fine del diciannovesimo secolo, l’irruzione distruttiva della modernizzazione e della colonizzazione europea causarono il tramonto della relazione Dao/Qi (quest’ultimo cominciò a venire identificato acriticamente con la tecnologia europea) e innescarono l’oblio della tradizione del pensiero cinese sulla tecnica, ovvero la sostituzione dell’“olismo cinese con il meccanicismo occidentale”.15)Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 132. All’inizio del ventesimo secolo, l’adattamento a tecnologia e scienza occidentali diede origine a una sensazione diffusa di disorientamento e alienazione che, secondo Hui, è riemersa ciclicamente durante le successive ondate di modernizzazione. In questo senso, la distruzione dell’eredità culturale durante la Rivoluzione Culturale o la sua ricostruzione in tempi più recenti a scopi commerciali, con la riduzione della tradizione a “estetica funzionale”,16)Ibid., 136. possono essere viste come due facce della stessa medaglia. L’espansione della tecnologia occidentale in Cina e, a diversi ritmi, nel mondo, ha prodotto l’omogeneizzazione dell’episteme globale, in cui una comprensione specifica della tecnologia è diventata la spinta centrifuga alla globalizzazione. Hui vede nel capitalismo globalizzato la cosmotecnica dominante che definisce oggigiorno la relazione dell’umanità con la tecnologia (un’interpretazione che risuona con la “fede globale” nello sviluppo criticata da Dirlik17)Dirlik, “Developmentalism: A Critique”, 17.) e sollecita delle vie alternative che possano sfidare l’attuale globalizzazione tecnologica neocoloniale.

La “civiltà ecologica” e il tecno-nazionalismo cinese

Nell’ampio discorso riguardante la modernizzazione in Cina il passato, nelle multiple forme della tradizione, ha avuto un carattere “hauntologico”, a volte rigettato come ostacolo al progresso, altre reinventato a scopo strumentale. Fin dal 1978, il periodo della “riforma e apertura”, le autorità dello Stato-partito si sono servite di un certo uso della tradizione per addomesticare il “mostro” della modernizzazione in un periodo di accelerate trasformazioni sociali. L’idea generale era che la neo abbracciata “civiltà materiale”, nelle forme della crescita economica e dello sviluppo tecnologico, necessitasse anche della costruzione di una “civiltà spirituale”: un progetto teso a modellare la moralità dei cittadini pescando da alcuni pattern della tradizione morale selezionati a scopi disciplinari (che già a quel tempo dimostravano un interesse per l’ingegneria ambientale).18)Børge Bakken, The Exemplary Society: Human Improvement, Social Control, and the Dangers of Modernity in China (Oxford: Oxford University Press, 2000), cap. 1 e 2. La riapparizione della tradizione nel contesto dello sviluppo economico alla fine del XX secolo non è un’eccezione cinese, vedi: Aihwa Ong, Flexible Citizenship: The Cultural Logics of Transnationality (Durham: Duke Univ. Press, 2006); Arif Dirlik, “Confucius in the Borderlands: Global Capitalism and the Reinvention of Confucianism”, Boundary 2, 22, 3,1995, 229-273. Nella Cina post-maoista, la combinazione della modernità materiale e dei cosiddetti principi morali tradizionali potrebbe apparentemente evocare i tentativi di rielaborazione dell’irruzione della modernità occidentale fatti durante il “movimento di auto-rafforzamento” alla fine del diciannovesimo secolo, che aveva appoggiato l’adozione della scienza e tecnologia occidentali per le applicazioni pratiche e il mantenimento del pensiero tradizionale per i principi fondamentali (zhongxue wei ti, xixue wei yong 中学为体,西学为用). Tuttavia, diversamente dal “movimento di auto-rafforzamento”, il riemergere della tradizione alla fine del XX secolo ha svolto principalmente un ruolo di controllo e di ingegneria sociale, che ben si accompagnava allo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico. Inoltre, negli ultimi anni si riscontra nella RPC un cambiamento discorsivo radicale: lo sviluppo tecnologico e quindi la modernizzazione sono visti non come un qualcosa di alieno, che viene dall’esterno, bensì che si sviluppa dall’interno, nativo, “con caratteristiche cinesi”. Questo spostamento di prospettiva è ben rappresentato dal discorso sulla “civiltà ecologica” (shengtai wenming 生态文明),19)Il concetto è stato introdotto all’interno del 17° Congresso Nazionale del PCC e ribadito ulteriormente nel 19° Congresso; dal 2018, il concetto è stato inserito nella Costituzione della RPC. mobilitata come la fase successiva alla “civiltà industriale” e un ulteriore step teleologico nel processo di civilizzazione cinese. La “civiltà ecologica” incarna l’idea di un percorso di sviluppo e di tecnologizzazione alternativo della RPC capace di produrre un progresso armonioso con l’ambiente. È un progetto ambizioso che costituisce un “immaginario di un futuro globale iniziato dallo Stato”20)Hanson Mette Halskov, Li Hongtao e Svarverud Rune, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, Global Environmental Change, 53, 2018, 195–203, 2, tda. e che pretende di trarre ispirazione dalla tradizione filosofica cinese, combinata con l’interpretazione socialista, per delineare uno sviluppo sostenibile alternativo. All’interno dell’ampio discorso del “sogno cinese”, contribuisce a costruire un immaginario di sicurezza (anche in termini di “autostima culturale”, wenhua zixin 文化自信21)Beatrice Gallelli, “Doing Things with Metaphors in Contemporary China: Analysing the Use of Creative Metaphors in the Discourse on the Chinese Dream”, Annali di Ca’ Foscari. Serie orientale, 1, 2018, 603.) e un auto-posizionamento della Cina verso un futuro nazionale e perfino globale. Un destino deterministico, quasi “imposto”, che viene dal passato: un sogno “nutrito per più di 5000 anni”,22)Jiahua Pan, China’s Global Vision for Ecological Civilization: Theoretical Construction and Practical Research on Building Ecological Civilization (Cham: Springer, 2021), 12, tda. nel quale la “Cina è presentata come una civiltà unificata, ontogenetica, che si è sviluppata secondo una teleologia lineare, razionale e quasi istanziata meccanicamente”.23)Maurizio Marinelli, “How to Build a ‘Beautiful China’ in the Anthropocene. The Political Discourse and the Intellectual Debate on Ecological Civilization”, Journal of Chinese Political Science, 23, 3, 2018, 365–86, 368, tda. La “civiltà ecologica” si basa sull’idea che la visione cinese tradizionale del cosmo non scindesse l’uomo dalla natura; a sostegno di questo punto, un preminente teorico della “civiltà ecologica”, Pan Jiahua, cita il Daodejing: “L’uomo fa della Terra il proprio modello, la Terra lo fa del Cielo, il Cielo, del Dao, e il Dao ha per modello ciò che cosí-è, da sé”.24)Jiahua Pan, China’s Environmental Governing and Ecological Civilization, (New York: Springer; China Social Sciences Press, 2016), 35; la traduzione italiana è presa da Lao Tzu (a cura di Attilio Andreini), Daodejing. Il canone della via e della virtù (Einaudi: Torino, 2018). Altre volte è il principio del tianrenheyi 天人合一 (“il Cielo e l’uomo sono un’unica entità”) ad essere evocato per dimostrare come la filosofia tradizionale cinese, rappresentata dalle tradizioni filosofiche del Daoismo, del Confucianesimo e del Buddismo, avrebbe originato una comprensione armoniosa della relazione tra l’umanità e la natura. Diverse critiche sono state rivolte a tale interpretazione del pensiero cinese considerato invece sostanzialmente antropocentrico (in particolare la tradizione confuciana).25)Hansen, Li e Svarverud, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, 7, tda. Inoltre, è stato anche sottolineato come durante il periodo imperiale diversi progetti infrastrutturali abbiano danneggiato e perfino distrutto gli ecosistemi.26)Mark Elvin, The Retreat of the Elephants: An Environmental History of China (New Haven: Yale University Press, 2006). Tuttavia, da una prospettiva filosofica, come avanzato da Hui, possiamo riconoscere che la traduzione della relazione tra ordine cosmologico e tecniche in una cosmotecnica nella Cina premoderna, nelle sue innumerevoli sfaccettature e re-interpretazioni, divergesse da quella europea, dando origine a una peculiare genealogia e relazione con la tecnica prima della modernizzazione. La visione “prometeica” della tecnica, quella della tradizione filosofica europea, non era quindi originariamente universale. Per questo motivo è interessante approfondire il riemergere della tradizione nel contesto cinese, oltre al suo uso meramente strumentale e commerciale.

Va oltre lo scopo di questo contributo valutare gli effetti delle strategie della “civiltà ecologica” in termini di impatto ambientale, crescita economica, pratiche di sviluppo sostenibile e tecnologizzazione green. In parte il progetto è già stato esaminato criticamente, in quanto fallirebbe nel contestare o rigettare l’idea di sviluppo permanente e, al contrario, in alcune sfumature sarebbe diretto ad aumentare la crescita e la tecnologizzazione, ad esempio attraverso la green economy, stabilendo al contempo pratiche di “ambientalismo autoritario”.27)Anna L. Ahlers e Yongdong Shen, “Breathe Easy? Local Nuances of Authoritarian Environmentalism in China’s Battle against Air Pollution”, The China Quarterly, 234, 2018, 299–319. Li e Shapiro preferiscono definirlo un “autoritarismo ambientale”: Yifei Li e Judith Shapiro, China Goes Green: Coercive Environmentalism for a Troubled Planet (Cambridge, UK: Polity, 2020), 26. L’intento è piuttosto quello di analizzare se e in che misura la teoria della “civiltà ecologica” affronta la questione della tecnologia e qual è il suo posizionamento all’interno della cosmotecnica contemporanea, intesa come una comprensione inizialmente specifica (cioè “localizzata”) e ora globalizzata della relazione dell’umanità con la tecnica. In questo senso, la “civiltà ecologica” rappresenta nella RPC un “immaginario socio-tecnico”28)Hansen, Li, and Svarverud, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, 3, tda. nel quale l’interpretazione dello sviluppo tecnologico calata dall’alto deve essere ponderata attentamente. Se si considera la metafora “acque limpide e montagne lussureggianti sono oro e argento” (lüshui qingshan jiu shi jinshan yinshan 绿水青山就是金山银山), pronunciata da Xi Jinping nel 2005 e da allora sviluppata come uno slogan pervasivo della “civiltà ecologica”, la natura è intesa in termini di risorsa fondamentale. Come chiarito da Pan Jiahua nella sua illustrazione della “Teoria delle due montagne”, la “civiltà ecologica” deve dare la priorità alla protezione dell’ambiente rispetto al profitto: “Vogliamo avere non solo montagne d’oro, ma anche montagne verdi. Se dobbiamo scegliere tra le due, preferiamo le verdi a quelle d’oro. E, in ogni caso, delle montagne verdi sono delle montagne d’oro”.29)Pan, China’s Global Vision for Ecological Civilization: Theoretical Construction and Practical Research on Building Ecological Civilization, 25, tda. Solo che, contro la celebrazione della natura che il progetto si prefigge di diffondere, alcuni paragrafi dopo il ruolo dell’ambiente è stabilito in questi termini:

[…] insisteremo sull’uso economico e intensivo delle risorse, ci baseremo sui vantaggi dell’ambiente ecologico per sviluppare un’industria “green” e faremo pieno uso di un buon ambiente ecologico per attrarre talenti high-tech e un’industria moderna centrata sull’alta tecnologia. In questo modo, un ambiente ecologico “bello” diventerà un importante “capitale naturale” e porterà ulteriori opportunità di sviluppo.30)Ibid., 34, tda.

L’ambiente, quindi, diventa un “capitale naturale” che alimenta la tecnologizzazione e, allo stesso tempo, attraverso la tecnologia è possibile aumentare la “capacità naturale” dell’ambiente (per esempio, estraendo l’acqua dalle nuvole31)Emily T. Yeh, “Sky River: Promethean Dreams of Optimising The Atmosphere”, in Ivan Franceschini, Nicholas Loubere, e Andrea Enrico Pia (a cura di), “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, Made in China Journal, 7, 2, 2022.). La semplice idea di “costruire una Cina bella” (jianshe meili Zhongguo 建设美丽中国) implica la centralità dell’intervento umano all’interno del progetto, che può essere descritto anche in termini di “geo-ingegneria”. In questo senso, la “civiltà ecologica” non può rappresentare una reale alternativa all’immaginario cosmotecnico del capitalismo globalizzato, dal momento che il tecno-ottimismo, avallato dal tecno-soluzionismo, sembra essere l’approccio ordinario verso le questioni ambientali nella RPC, come descritto nel numero dedicato a questo tema del Made in China Journal32)Ivan Franceschini, Nicholas Loubere, e Andrea Enrico Pia (a cura di), “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, Made in China Journal, 7, 2, 2022. e nel contributo dedicato all’Antropocene cinese apparso su Sinosfere.33)Daniele Brombal, “L’antropocene Cinese”, Sinosfere, 1 October 2019, https://sinosfere.com/2019/10/01/daniele-brombal-lantropocene-cinese/. Quella perseguita sembra essere un’armonia “ingegnerizzata”,34)Franceschini, Loubere e Pia, “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, 8. che perpetua uno sviluppo che consuma e snatura le risorse. L’approccio tecno-soluzionista non è semplicemente un’anomalia o deviazione cinese: mentre descrive lo “Sky River Project” (天河工程) come espressione di un “ambientalismo prometeico” per modificare il clima in Cina e aumentare le precipitazioni, Emily T. Yeh sottolinea che un progetto simile era stato proposto (e in seguito bloccato) nel contesto della guerra statunitense in Vietnam.35)Yeh, “Sky River: Promethean Dreams of Optimising the Atmosphere”. Tuttavia, nella Cina contemporanea, il tecno-ottimismo si accompagna a una rinnovata sicurezza riguardo la posizione della RPC all’interno dell’ordine mondiale. Zhang Chenchen ha messo in luce come il discorso tecno-ottimista in Cina sempre più spesso si accompagna a una tendenza tecno-nazionalista, che lei identifica come un’emergente narrazione reazionaria e anti-baizuo (白左, “sinistra bianca”, è un neologismo cinese per riferirsi in maniera dispregiativa alla sinistra progressista occidentale).36)Chenchen Zhang, “Postcolonial Nationalism and the Global Right”, Geoforum, 144, 2023, 1-5; Chenchen Zhang, “Race, Gender, and Occidentalism in Global Reactionary Discourses”, Review of International Studies, 2024, 1–23. Secondo la sua ricerca, il tecno-nazionalismo cinese si avvantaggia di un nazionalismo post-coloniale, in cui la decolonizzazione è meramente “spettacolarizzata”,37)Yao Lin, “Brokered Dependency, Authoritarian Malepistemization, and Spectacularized Postcoloniality: Reflections on Chinese Academia”, American Behavioral Scientist, 68, 3, 2024, 372–88. per avanzare l’idea che i paesi occidentali trarrebbero beneficio nell’ostacolare lo sviluppo tecnologico della Cina e, più in generale, dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, fa notare come l’immaginario tecno-nazionalista cinese faccia affidamento su una rappresentazione dispregiativa di un “Occidente” in decadenza e femminilizzato, ribaltando quell’immaginario con cui prima veniva invece etichettato l’“Oriente”. Allo stesso tempo, il discorso tecno-nazionalista cinese mostra disprezzo per le politiche sociali, in quanto indebolirebbero le democrazie occidentali, esaltando invece una competitività e un darwinismo sociale “mascolini”. È importante notare che il discorso tecno-nazionalista cinese, che allude a un sovvertimento dell’ordine egemonico internazionale, sembra riproporre gli stessi ideali gerarchici della modernizzazione e del neoliberismo occidentali, e difatti la stessa idea di una “strada civilizzatrice” perseguita dalla RPC evoca assunzioni universaliste ereditate riguardo l’idea di progresso.38)Martin Savransky, “Ecological Uncivilisation: Precarious World-Making after Progress”, The Sociological Review, 70, 2, 2022, 367–84.

La questione della tecnologia oltre la località

Secondo l’analisi di Hui, le derive nazionaliste odierne devono essere indagate come una reazione più o meno inconscia alla modernità in quanto “macchina che funziona troppo bene39)Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 240. nei suoi meccanismi efficienti di sincronizzazione e omogeneizzazione. Quando Hui analizza i tentativi filosofici di superamento della modernità intrapresi a cavallo del secondo conflitto mondiale in Europa (il caso di Heidegger) e in Giappone (la Scuola di Kyoto), enfatizza come ogni approccio alla questione della tecnologia, che emerge come la questione chiave della modernità, dalla prospettiva della località (l’esempio del “ritorno a casa” della filosofia suggerito da Heidegger) rischia di degenerare in forme di “fascismi metafisici”, “rivoluzioni conservatrici” o politiche nazionaliste e razziste che colpiscono, per esempio, la popolazione migrante. In Cina l’enfasi sul discorso della “civiltà ecologica” e, più ampiamente, il discorso politico delle autorità dello Stato-partito riguardo a specifiche caratteristiche “culturali” della strada cinese verso il futuro possono essere osservati come un ulteriore tentativo di superare la modernità “tornando a casa”, anche se il passato in quanto tradizione è meramente performato come una forza teleologica senza “contenuto”, con il conseguente rigurgito di un nazionalismo descritto anche in termini di “nativismo razziale”.40)Zhang, “Postcolonial Nationalism and the Global Right”, 4. La questione è duplice: la “civiltà ecologica” nel reinterpretare in modo strumentale il pensiero filosofico cinese riguardo la relazione tra umanità e natura fallisce nel comprendere la questione della tecnica in Cina prima e dopo la modernizzazione e, di conseguenza, fallisce anche nel promuovere – nel riuscire a immaginare – una cosmotecnica differente. Come anticipato da Hui: “Dopo un centinaio d’anni di modernizzazione, il “ritorno a casa” di tutte le filosofie – tanto quella cinese quanto quella giapponese, islamica o africana – diventerà nel XXI secolo sempre più rilevante, a causa del loro disorientamento accelerato”.41)Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 235. Secondo la sua interpretazione, i tentativi di affrontare oggigiorno la questione della tecnologia da una prospettiva meramente “locale” falliscono anche perché la località è sempre prodotta dal “globale” e, difatti, l’attuale costruzione della Cina come singolarità è costituita da narrazioni orientaliste e occidentaliste che si sovrappongono e contraddicono a vicenda.42)Zhang, “Race, Gender, and Occidentalism in Global Reactionary Discourses”. Questo approccio al disorientamento contemporaneo – inteso anche come incapacità di affrontare l’Antropocene – è lungi dall’essere una questione specificamente cinese: il fatto che i paesi occidentali siano così ossessionati dalla Cina in quanto “altro” contemporaneo, in modo particolare riguardo la questione della tecnologia, cioè nei termini di una competizione per l’innovazione tecnologica che è sia commerciale (“chip war”) che militare, rivela la loro stessa, confusa, “coscienza infelice”,43)Yuk Hui, “On the Unhappy Consciousness of Neoreactionaries”. ovvero la loro incomprensione circa le implicazioni della tecnologia contemporanea. La proposta di Hui di aprire a una molteplicità di cosmotecniche oltre la località, passando per una ri-scoperta delle cosmotecniche non occidentali, risuona con l’analisi di Stiegler sul disorientamento contemporaneo. L’invito di Stiegler è quello di andare oltre al lutto o al rimpianto del territorio per “ricostituire una cardinalità oltre l’Oriente e l’Occidente”,44)Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation, 109, tda. per abbracciare “un nuovo stile dello stile”,45)Ibid., 97, tda (per il concetto di “stile” in Stiegler vedi Technics and Time. 2: Disorientation, cap. 2). ovvero una nuova relazione con la tecnologia.

Corsaro La cosmotecnica PDF

Immagine: It’s a Fine View from this Side, 1976, di Feng Zhongtie (1917-99). Per gentile concessione del Muban Educational Trust.

Sara Corsaro è dottoranda in Global Studies all’Università di Macerata. Tra i suoi interessi di ricerca, vi è l’analisi delle trasformazioni della cittadinanza nella Cina contemporanea, in particolare attraverso lo studio dei processi di individuazione tecnica e collettiva.

References
1 Han Song, “Chinese Science Fiction: A Response to Modernization”, Science Fiction Studies, 40, 1, 2013, 15-21, 20, tda. Han Song è uno scrittore di fantascienza cinese.
2 Bernard Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation (Stanford, Calif: Stanford Univ. Press, 2009). Per approfondire il pensiero di Stiegler: B. Stiegler, La tecnica e il tempo. Vol. 1, La colpa di Epimeteo (Roma: Luiss University Press, 2023); B. Stiegler, Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale (Orthotes, 2012).
3 Bernard Stiegler, La miseria simbolica. 1, L’epoca iperindustriale (Milano: Meltemi, 2021).
4 Sandro Mezzadra e Brett Neilson, Confini e Frontiere: La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale (Bologna: Società Editrice Il Mulino, 2014), cap. 1, par. 2.
5 Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation, 77.
6 Maximilian Mayer, “China’s Authoritarian Internet and Digital Orientalism,” in Redesigning Organizations, ed. Denise Feldner (Cham: Springer International Publishing, 2020), 177–92; Josef Gregory Mahoney, “China’s Rise as an Advanced Technological Society and the Rise of Digital Orientalism”, Journal of Chinese Political Science, 28, 1, 2023, 1–24.
7 Virginia L. Conn and Gabriele de Seta, “Let A Hundred Sinofuturisms Bloom”, in Bodhisattva Chattopadhyay et al., eds., The Routledge Handbook of Cofuturisms (New York: Routledge, 2023), 345-355
8 Il termine “occidentale” riferito a tecnologia intende sottolineare l’espansione globalizzatrice e neocoloniale del pensiero europeo sulla tecnica prodotto a partire dalla modernità occidentale intesa come la somma dei processi di rivoluzione scientifica, razionalizzazione, industrializzazione e capitalismo e, quindi, anche imperialismo e colonialismo. Il concetto di modernità come prodotto esclusivamente occidentale è stato criticato dai pensatori postcoloniali tra cui, in ambito cinese, Wang Hui (The Rise of Modern Chinese Thought). Pur tenendo conto della riflessione postcoloniale, qui si fa piuttosto riferimento all’idea che la pluralità di genealogie tecniche sia stata sradicata dall’imporsi del pensiero occidentale sulla tecnica.
9 Ivan Franceschini e Nicholas Loubère, Global China as Method (Cambridge: Cambridge University Press, 2022); Arif Dirlik, “Developmentalism: A Critique”, Interventions, 16, 1, 2014, 30–48, 3; Arif Dirlik, Complicities: The People’s Republic of China in Global Capitalism (Chicago: Prickly Paradigm Press, 2017).
10 Yuk Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina (Roma: Nero, 2021).
11 Nuwa 女媧, Fuxi 伏羲 e Shennong 神农. Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 26-27.
12 Yuk Hui, “Cosmotechnics as Cosmopolitics”, E-Flux Journal, 86, 2017, 1-11, 7, tda.
13 Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 66.
14 Shitao, Giangiorgio Pasqualotto, e Marcello Ghilardi, Discorsi sulla pittura del Monaco Zucca Amara (Milano: Jouvence, 2014).
15 Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 132.
16 Ibid., 136.
17 Dirlik, “Developmentalism: A Critique”, 17.
18 Børge Bakken, The Exemplary Society: Human Improvement, Social Control, and the Dangers of Modernity in China (Oxford: Oxford University Press, 2000), cap. 1 e 2. La riapparizione della tradizione nel contesto dello sviluppo economico alla fine del XX secolo non è un’eccezione cinese, vedi: Aihwa Ong, Flexible Citizenship: The Cultural Logics of Transnationality (Durham: Duke Univ. Press, 2006); Arif Dirlik, “Confucius in the Borderlands: Global Capitalism and the Reinvention of Confucianism”, Boundary 2, 22, 3,1995, 229-273.
19 Il concetto è stato introdotto all’interno del 17° Congresso Nazionale del PCC e ribadito ulteriormente nel 19° Congresso; dal 2018, il concetto è stato inserito nella Costituzione della RPC.
20 Hanson Mette Halskov, Li Hongtao e Svarverud Rune, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, Global Environmental Change, 53, 2018, 195–203, 2, tda.
21 Beatrice Gallelli, “Doing Things with Metaphors in Contemporary China: Analysing the Use of Creative Metaphors in the Discourse on the Chinese Dream”, Annali di Ca’ Foscari. Serie orientale, 1, 2018, 603.
22 Jiahua Pan, China’s Global Vision for Ecological Civilization: Theoretical Construction and Practical Research on Building Ecological Civilization (Cham: Springer, 2021), 12, tda.
23 Maurizio Marinelli, “How to Build a ‘Beautiful China’ in the Anthropocene. The Political Discourse and the Intellectual Debate on Ecological Civilization”, Journal of Chinese Political Science, 23, 3, 2018, 365–86, 368, tda.
24 Jiahua Pan, China’s Environmental Governing and Ecological Civilization, (New York: Springer; China Social Sciences Press, 2016), 35; la traduzione italiana è presa da Lao Tzu (a cura di Attilio Andreini), Daodejing. Il canone della via e della virtù (Einaudi: Torino, 2018).
25 Hansen, Li e Svarverud, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, 7, tda.
26 Mark Elvin, The Retreat of the Elephants: An Environmental History of China (New Haven: Yale University Press, 2006).
27 Anna L. Ahlers e Yongdong Shen, “Breathe Easy? Local Nuances of Authoritarian Environmentalism in China’s Battle against Air Pollution”, The China Quarterly, 234, 2018, 299–319. Li e Shapiro preferiscono definirlo un “autoritarismo ambientale”: Yifei Li e Judith Shapiro, China Goes Green: Coercive Environmentalism for a Troubled Planet (Cambridge, UK: Polity, 2020), 26.
28 Hansen, Li, and Svarverud, “Ecological Civilization: Interpreting the Chinese Past, Projecting the Global Future”, 3, tda.
29 Pan, China’s Global Vision for Ecological Civilization: Theoretical Construction and Practical Research on Building Ecological Civilization, 25, tda.
30 Ibid., 34, tda.
31 Emily T. Yeh, “Sky River: Promethean Dreams of Optimising The Atmosphere”, in Ivan Franceschini, Nicholas Loubere, e Andrea Enrico Pia (a cura di), “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, Made in China Journal, 7, 2, 2022.
32 Ivan Franceschini, Nicholas Loubere, e Andrea Enrico Pia (a cura di), “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, Made in China Journal, 7, 2, 2022.
33 Daniele Brombal, “L’antropocene Cinese”, Sinosfere, 1 October 2019, https://sinosfere.com/2019/10/01/daniele-brombal-lantropocene-cinese/.
34 Franceschini, Loubere e Pia, “Prometheus in China. Techno-Optimism and Its Discontents”, 8.
35 Yeh, “Sky River: Promethean Dreams of Optimising the Atmosphere”.
36 Chenchen Zhang, “Postcolonial Nationalism and the Global Right”, Geoforum, 144, 2023, 1-5; Chenchen Zhang, “Race, Gender, and Occidentalism in Global Reactionary Discourses”, Review of International Studies, 2024, 1–23.
37 Yao Lin, “Brokered Dependency, Authoritarian Malepistemization, and Spectacularized Postcoloniality: Reflections on Chinese Academia”, American Behavioral Scientist, 68, 3, 2024, 372–88.
38 Martin Savransky, “Ecological Uncivilisation: Precarious World-Making after Progress”, The Sociological Review, 70, 2, 2022, 367–84.
39 Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 240.
40 Zhang, “Postcolonial Nationalism and the Global Right”, 4.
41 Hui, Cosmotecnica: la questione della tecnologia in Cina, 235.
42 Zhang, “Race, Gender, and Occidentalism in Global Reactionary Discourses”.
43 Yuk Hui, “On the Unhappy Consciousness of Neoreactionaries”.
44 Stiegler, Technics and Time. 2: Disorientation, 109, tda.
45 Ibid., 97, tda (per il concetto di “stile” in Stiegler vedi Technics and Time. 2: Disorientation, cap. 2).