Il secondo volume di Oceano rosso: il passato del nostro passato/Il nostro futuro, tradotto, come il precedente, da Chiara Cigarini e Martina Renata Prosperi per add editore, continua l’esplorazione del postumanesimo acquatico immaginato da Han Song.
Il volume è diviso in due parti, a loro volta divise in capitoli, ognuno con un focus narrativo diverso ma complementare alla trama generale. La prima parte (ovvero la terza se lo si considera come un’unica opera), “Il passato del nostro passato” è ambientata in un tempo distopico in cui l’umanità che ancora vive sulle terre emerse si prepara ad abbandonarle per discendere negli abissi marini, in vista di una guerra nucleare contro il popolo dei Bianchi, che invece ha colonizzato la luna. La trasmigrazione verso l’oceano avviene attraverso una riprogrammazione volontaria della specie umana, modificata bioingegneristicamente così che possa adattarsi alla vita sott’acqua. Il primo capitolo, “L’acquatico”, ci presenta dunque la prima creatura geneticamente modificata, senza nome, ma raccontandocela come dotata di pensiero, sentimenti e ricordi (tant’è che a un certo punto persino questo esemplare postumano si ammala di umanissima depressione).
A livello di immaginario, si riconosce la firma di Han Song (nella bella resa di Cigarini e Prosperi che ne mantengono inalterata la vividezza) nell’utilizzo di un’iconografia violenta, a volte persino splatter: teste decapitate, bulbi oculari rotolanti, cannibalismo e altre truculenze. Si conferma l’attenzione, che Han aveva dimostrato già nel primo volume, alla costruzione credibile, perché attenta al dettaglio e alla cura descrittiva, del suo mondo oceanico.
A livello narrativo, la focalizzazione riflette la predilezione dell’autore per la molteplicità, piuttosto che per l’unicità. Ecco che quindi in un capitolo scopriamo la realtà dell’oceano rosso dal punto di vista dell’aquatico, nel successivo da quello dei lavoratori di una piattaforma petrolifera che attendono di essere salvati dalla marea imminente, e in quello successivo ancora da quello della comunità terriana che rifiuta di trasferirsi nei fondali e soccombe all’onda anomala.
Un elemento ricorrente, in quest’opera di Han Song, ma in realtà anche in altri suoi testi, sono i richiami più o meno espliciti alla filosofia daoista e buddista. In effetti, secondo quanto argomentato da Mia Chen Ma,1)Mia Chen Ma, “Towards a Daoist Futurity. Aquatic Posthumanism in Han Song’s Red Ocean”, Extrapolation vol. 64, 3, 2023, 291-306. Han in Oceano rosso crea una vera e propria “ecologia daoista”, che si manifesta nel continuo scambio, nel continuo fluire, e nella porosità della materia (e financo del tempo, ma a questo ci arrivo in un attimo). L’autore ci mostra la fluidità e l’intercambiabilità dei corpi, per cui è impossibile stabilire un confine biologico tra un terriano e un acquatico, o tra un essere umano e un membro del clan piao (un gruppo umano “prodotto di una fusione ibrida fra cellule umane e animali”), così come è impossibile distinguere terra e oceano o cielo e oceano, o ancora umani e oceano, quando la marea infine inghiotte il villaggio di Anmyeong e tutti i suoi abitanti (mi riferisco al capitolo “In un cielo bianco, nuvole blu”). L’oceano rosso è quindi espressione del dao, il vero principio ordinatore del reale, all’interno del quale trovano spazio le diverse esperienze dell’esistenza, umana e non.
La seconda parte (ovvero quarta e ultima), “Il nostro futuro”, non è certamente ambientata nel futuro ma nel passato premoderno della Cina. Il protagonista qui è Lin Guan, uno scrivano assistente del leggendario ammiraglio Zheng He, che nel quindicesimo secolo, sotto la dinastia Ming, condusse la flotta cinese in esplorazione oltre l’Oceano Indiano giungendo fino alle coste orientali dell’Africa. Ma nella versione ucronica della Storia di Han Song, Zheng He continua la sua missione e arriva in Europa, in Portogallo, dove si stabilisce con la sua flotta. Passati molti anni (Zheng He nel frattempo è morto), i marinai rimasti, ormai invecchiati, organizzano il ritorno a casa, che però finirà in maniera disastrosa. Potevamo aspettarcelo: Han Song conclude la sua riflessione sul futuro del mondo e dell’esistenza (post)umana con un racconto del passato, scombinando ancora una volta i punti di riferimento temporali.
A proposito di temporalità, leggendo questo volume insieme al suo predecessore se ne apprezza la sua gestione totalmente pazza (e geniale), e che probabilmente meriterebbe uno studio a parte.2)In effetti, è già stato fatto. Si veda la tesi di dottorato di Erik Mo Welin: Conflicting Times. Multiple Temporalities in Contemporary Chinese Science Fiction, Uppsala Universitet. In quest’opera la cronologia lineare si scontra sistematicamente con quella circolare, il tempo non ha più la funzione di orientare il lettore all’interno della fabula (se ne esiste una), ma al contrario di disorientarlo, di spogliare di senso i punti di riferimento temporali. Neanche i personaggi che popolano le varie linee narrative sembrano avere contezza del passaggio del tempo, e non è raro trovare espressioni come: “dopo un tempo indefinito”, oppure “trascorse un tempo imprecisato”, o ancora “vagarono senza meta per qualche tempo”. La gestione destabilizzante della temporalità riflette probabilmente la percezione, altrettanto destabilizzante, che l’autore ha, e che in questo modo ci comunica, nei confronti della Storia e del reale. In effetti, nell’ultimo capitolo dell’ultima parte, Han, attraverso il personaggio di Zheng He, palesa la sua diffidenza nei confronti delle sovrastrutture arbitrarie che gli uomini si sono inventati per misurare il mondo:
Le distanze altro non sono che proiezioni del nostro pensiero, proprio come ombre stagliate dalla luce lunare. A seconda di come la luna splende e di come noi ci muoviamo, le ombre si allungano o si accorciano, o addirittura scompaiono. Il tempo e lo spazio – passato e futuro, oriente e occidente – sono meri prodotti del nostro pensiero, che talvolta esprimiamo a parole o sottoforma di scrittura. Ma di fatto non esistono.
Questa concezione hansonghiana viene cristallizzata nel cronotopo narrativo dell’oceano rosso3)L’idea dell’oceano rosso come cronotopo è sempre di Erik Mo Welin, Conflicting Times, pp. 87-91. che, mettendo in relazione tempo e acqua, crea un nuovo sistema di riferimento che invece di orientare disorienta, disperde e frammenta. A noi sta mettere insieme i pezzi di realtà e tentare di rimanere a galla.
↑1 | Mia Chen Ma, “Towards a Daoist Futurity. Aquatic Posthumanism in Han Song’s Red Ocean”, Extrapolation vol. 64, 3, 2023, 291-306. |
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↑2 | In effetti, è già stato fatto. Si veda la tesi di dottorato di Erik Mo Welin: Conflicting Times. Multiple Temporalities in Contemporary Chinese Science Fiction, Uppsala Universitet. |
↑3 | L’idea dell’oceano rosso come cronotopo è sempre di Erik Mo Welin, Conflicting Times, pp. 87-91. |