Introduzione

La comunità Baima conta circa diecimila persone che vivono nelle contee di Wen, Jiuzhaigou e Pingwu, al confine tra le province del Gansu e del Sichuan nella Cina occidentale. A seguito delle indagini linguistiche e antropologiche condotte negli anni ’50, i Baima furono classificati come parte del gruppo tibetano (Zang 藏), analogamente ad altre comunità residenti nelle zone di confine sino-tibetane. Tuttavia, rivendicando la propria specificità linguistica, culturale e religiosa, negli anni ’80 la comunità Baima ha presentato petizioni al governo per essere riconosciuta come gruppo etnico a sé.1)Per un approfondimento sul dibattito relativo alla classificazione etnica dei Baima, si rimanda a Punzi, Valentina. 2020. Ai Margini della Tibetosfera. La comunità Baima in Sichuan occidentale. Sinografie 10: Centro e Periferie. Fallito il tentativo di perseguire questo obiettivo politico, nell’ultimo decennio i Baima hanno spostato l’attenzione sul rilancio della propria identità culturale. Questa recente direzione di sviluppo si interseca con la promozione a livello nazionale del Patrimonio Culturale Immateriale (feiwuzhi wenhua yichan 非物质文化遗产), offrendo ai Baima una nuova cornice interpretativa per affermare e tutelare la propria unicità rispetto all’identità tibetana.2)Questo fenomeno è diffuso tra le comunità numericamente piccole residenti nelle zone al confine sino-tibetane e classificate come tibetane. Ad esempio, si veda il caso dei Gyarong analizzato in Tenzin Jinba, The Politics of Gender and Ethnicity on the Sino-Tibetan Border (Seattle and London: University of Washington Press, 2014). Inoltre, il potenziale profitto economico derivante allo sviluppo di attività imprenditoriali nell’ambito dell’industria culturale (wenhua chanye 文化产业) ha incoraggiato la più giovane generazione di Baima a tornare ad abitare nei villaggi di origine o nel vicino centro di contea dopo anni trascorsi svolgendo lavori instabili e mal retribuiti in centri urbani lontani dalla rete familiare e comunitaria.

Nella prima parte di questo breve articolo, dopo un’introduzione alle pratiche rituali dei Baima e alla loro possibile relazione con il Bon tibetano, proporrò un’analisi del revival della religione Baima nel più ampio contesto politico ed economico che ne supporta la trasformazione in cultura religiosa (zongjiao wenhua 宗教文化). Nella seconda parte, ripercorrerò le esperienze biografiche e le prospettive individuali di tre giovani Baima che hanno scelto di “tornare a casa” non solo per sfruttare le nuove opportunità lavorative connesse all’incremento del turismo e al miglioramento delle infrastrutture ma anche per intraprendere un percorso di formazione che permetta loro di diventare specialisti rituali.

1. I Baima in Sichuan occidentale

Il principale centro amministrativo Baima 白马乡, nella contea di Pingwu, si sviluppa lungo un’unica strada tra il fiume Duobu a sud e l’autostrada G247 a nord. Procedendo verso nord in direzione di Jiuzhaigou, l’ultima contea prima del confine tra Sichuan e Gansu, si incontrano diciotto villaggi Baima, dove case in legno restaurate con tetto in pietra calcarea sono immerse in uno straordinario paesaggio boschivo, che sicuramente gli vale il nome di “paese incantato” (xianjing 仙境), come pubblicizzano i recenti piani di sviluppo turistico a cui la comunità di Baima fa eco con orgoglio. L’area è famosa anche per l’avvistamento occasionale dei pochi panda giganti che vivono ancora allo stato selvatico, per i quali la comunità Baima ha guadagnato il nome di “paese natale dei panda” (xiongmao guxiang 熊猫故乡). In passato, la maggior parte delle famiglie Baima aveva alcuni membri che risiedevano in un villaggio in montagna, dove si svolgevano principalmente attività legate al pascolo di animali, mentre coloro che si occupavano dei lavori agricoli abitavano in un villaggio a valle. Per questo motivo i villaggi a valle e quelli in montagna spesso portano lo stesso nome, ma in base all’altitudine sono qualificati rispettivamente come “basso” e “alto”. L’unico collegamento disponibile tra i due era attraverso sentieri a piedi. A partire dagli anni ’90 i villaggi di montagna sono stati quasi del tutto abbandonati fino a quando la recente promozione del turismo da parte del governo e i sussidi ricevuti per la ristrutturazione delle case hanno spinto alcune persone a tornare ad abitarvi.

Il Sichuan settentrionale è tristemente famoso per la sua intensa attività sismica. Sia Pingwu che Jiuzhaigou sono state profondamente colpite dal terremoto di Songpan-Pingwu nel 1976, dal terremoto di Wenchuan nel 2008 e, più recentemente, dal terremoto di Jiuzhaigou nel 2017. Le inondazioni rappresentano un altro pericolo ricorrente nella zona. Nel 2020 piogge torrenziali e intense hanno causato un’alluvione che ha sommerso le case del centro amministrativo Baima, rendendo necessario l’intervento di un elicottero di soccorso.

Come in altre zone rurali della Repubblica Popolare Cinese, l’effetto delle riforme economiche inaugurate dal Terzo Plenum ha raggiunto i Baima molto in ritardo rispetto alla rapida industrializzazione dei centri urbani costieri. La marginalizzazione economica è però solo uno degli aspetti che rendono lo stile di vita “moderatamente prospero” (xiaokang shehui 小康社会) un obiettivo ancora da realizzare per questa comunità in cui la maggior parte delle persone vive ancora di un’agricoltura di sussistenza. La povertà materiale dei Baima si associa infatti a una condizione di marginalità sociale che a ragione può essere definita intersezionale, in quanto determinata dalla convergenza di una posizione geografica periferica, limitata competenza linguistica in mandarino, bassi livelli di istruzione scolastica, pratiche culturali e religiose screditate come “superstizioni” (mixin 迷信). Spinta dall’interesse a esplorare l’impatto della tendenza nazionale cinese alla patrimonializzazione culturale sulle comunità tibetane nelle zone di confine sino-tibetane, nel 2018-19 ho condotto un lavoro di ricerca etnografica di sei mesi nella contea di Pingwu. In particolare, mi sono concentrata sugli effetti sociali che il processo di culturalizzazione della religione Baima sta generando e sulle risposte ad esso da parte dei membri più giovani della comunità.

2. La religione Baima e la sua riformulazione in zongjiao wenhua

La religione dei Baima si incentra sulle pratiche rituali dei Bembo, specialisti rituali che non fanno parte di alcuna istituzione religiosa e acquisiscono la propria conoscenza attraverso una trasmissione orale diretta da maestro a discepolo, che spesso implica lo studio e la pratica con più maestri.

A esclusione delle cerimonie annuali celebrate collettivamente, la maggior parte delle attività ruota attorno a riti che si svolgono nella sfera domestica e che sono eseguiti su richiesta delle singole famiglie per affrontare condizioni di malessere psicofisico o in occasione di funerali, matrimoni e altri eventi significativi della vita individuale e familiare. In tali circostanze, uno o più Bembo vengono invitati in casa e si dedicano alla preparazione di elaborati oggetti rituali – piccole figure modellate con un impasto di farina, acqua e carta ritagliata sono apposte su strutture allestite con rami di alberi – al canto di testi in lingua tibetana, alla purificazione attraverso la fumigazione di un animale vivo – in genere una gallina o una pecora – che sarà poi ucciso da un aiutante e utilizzato come riscatto per liberare la persona dal suo stato di afflizione. Gli aspetti eziologici e procedurali di questi riti non caratterizzano esclusivamente la comunità Baima ma riflettono il più ampio contesto etnografico di questa zona. La loro documentazione rappresenta una fonte importante per lo studio comparativo delle pratiche rituali e delle cosmologie delle comunità che vivono ai margini orientali dell’altopiano tibetano.

Negli studi pubblicati in Cina non esiste un termine univoco per definire le cerimonie rituali contemporanee dei Baima, così come quelle di altre comunità classificate come tibetane. Alcuni studiosi cinesi Han usano termini generici e spesso peggiorativi come “religione primitiva” (yuanshi zongjiao 原始宗教), “credenze popolari” (minjian xinyang 民间信仰), “culto della natura” (ziran chongbai 自然崇拜) o “sciamanesimo” (samanjiao 萨满教). Diversamente, gli studiosi tibetani e alcuni studiosi cinesi Han ipotizzano che il termine Bembo equivalga a Bonpo, che fa riferimento alla religione Bon tibetana non buddhista.3)Tra gli studi sulla religione Baima si ricordano: Wang Yueping 王越平, “Jing shen yu kuanghuan—Baima zangzu san ge cunluo ‘tiao caogai’ yishi de bijiao yanjiu” 精神与狂欢 白马藏族—三个村落跳槽盖仪式的比较研究 [Spirito e carnevale dei tibetani Baima – Uno studio comparativo della cerimonia della danza caogai in tre villaggi], Zhongnan minzu daxue xuebao 中南民族大学报, 28, 2, 2008, 15-20. Wang Wanping 王万平, “Zuqun rentong shiyu xia de minjian xinyang yanjiu—yi baima zangren jishen yishi wei li” 族群认同视阈的民间信仰研究—以白马藏人祭神仪式为例 [Ricerca sulle credenze popolari dal punto di vista dell’identità etnica, prendendo come esempio la cerimonia di sacrificio dei tibetani Baima], Xibei Minzu Yanjiu 西北民族研究, 88, 1, 2016, 177-184. Wang Wanping 王万平 e Wang Zhihao 王志豪, “Baima zangren benjiao fashi ‘beibu’ diaocha yanjiu” 白马藏人苯教法师北布调查研究 [Indagine e ricerca sui maestri ‘Bembo’ della religione Bonpo dei tibetani Baima], Zongjiaoxue Yanjiu 宗教学研究, 2016, 1, 152-161. Wang Wanping 王万平 e A wang jia cuo 阿旺嘉措, “Baima zangzu diqu benjiao jingshu ji yishi diaocha yanjiu” 白马藏族地区苯教经书及仪式调查研究 [Indagine e ricerca sui testi e i rituali Bon nell’area tibetana di Baima], Minzu Zongjiao yu xibu bianjiang yanjiu 民族宗教与西部边疆研究, 2021. La Xian 拉先, “Baima zangzu zongjiao minsu kaoshi” 白马藏族宗教民俗考释 [Ricerca testuale sui costumi popolari e sulla religione dei tibetani Baima], Qinghai Shehui kexue 青海社会科学, 2019, 1. La Xian 拉先, Baima Zangzu zongjiao wenhua yanjiu 白马藏族宗教文化研究 [Ricerca sulla cultura religiosa dei tibetani Baima], Zhongguo Zangxue Chubanshe. Alcuni specialisti rituali Baima sostengono che la loro pratica derivi dal Bon e adducono come prove l’uso di manuali in scrittura tibetana associato all’ utilizzo di tamburi, campanelli e maschere tibetane. Nonostante questi elementi suggeriscano almeno un certo grado di relazione tra i Bembo e il Bon, al momento non sono stati condotti studi filologici e storici sufficientemente approfonditi che confermino tale collegamento. Bon è esso stesso un termine generico complesso che si riferisce a quattro diversi fenomeni. In primo luogo, è usato per descrivere l’insieme non sistematico di credenze e pratiche che esistevano in Tibet prima dell’avvento del buddhismo e della sua diffusione sull’altopiano avvenuta a partire dal settimo secolo in poi. In secondo luogo, nella sua versione riformata post-undicesimo secolo, lo Yungdrung Bon è oggi una religione organizzata che assomiglia molto ad altre scuole del buddhismo tibetano. In terzo luogo, il Bon è spesso invocato per spiegare l’origine di alcuni elementi non buddhisti nella “religione popolare” tibetana, la cui fonte è difficile da identificare, ma alla quale, per comodità, si ricorre quando non sono disponibili definizioni migliori. Il Bon è in generale un concetto sfuggente ma lo è ancora di più quando è impiegato al di fuori dell’ambito testuale-filologico per descrivere contesti etnografici contemporanei come quello dei Baima. In quest’ultimo caso, i riti Baima così come quelli eseguiti tra le comunità nominalmente classificate come tibetane nel sud-ovest della Cina sono spesso considerati come prova della sopravvivenza del Bon ai margini orientali dell’altopiano tibetano dopo la diffusione del buddhismo in Tibet centrale.

Negli ultimi dieci anni si è assistito a un’intensificazione del controllo governativo e delle restrizioni imposte alle attività religiose in Cina, sia a livello centrale che locale, unitamente al piano dello Stato di assegnare alle istituzioni religiose il compito di diffondere l’educazione patriottica e “sinizzare” i loro insegnamenti.4)Chang, Kuei-Min, “New Wine in Old Bottles. Sinicisation and State Regulation of Religion in China”, China Perspectives 1-2, 113, 2018, 37-44. L’attuale situazione nella Regione Autonoma del Tibet e nella Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang ha dimostrato come queste politiche colpiscano particolarmente le minoranze uigura e tibetana. Parallelamente alla repressione delle religioni che sono formalmente riconosciute nella costituzione – buddhismo, taoismo, islam, protestantesimo e cattolicesimo – i fenomeni religiosi locali non istituzionali definiti collettivamente “religione popolare” hanno incontrato una serie di reazioni incongrue da parte dello Stato. In particolare, molte di queste “religioni popolari”, prima considerate esclusivamente come superstizioni espressione di “mentalità feudale” (fengjian sixiang 封建思想) e di “arretratezza” (luohou 落后) da sradicare, vengono ora celebrate come “usanze tradizionali” (chuantong xisu 传统习俗) e patrimonio culturale immateriale da preservare e sostenere.5)Ziying You, “Conflicts over Local Beliefs: ‘Feudal Superstitions’ as Intangible Cultural Heritage in Contemporary China”, Asian Ethnology 79, 1, 2020, 137-159. Katherine Swancutt, “Ethnic Minorities and Religion”, in Kevin Latham (a cura di), Routledge Handbook of Chinese Culture and Society (London: Routledge, 2020), 447-460.

Foto 1: Uno slogan-vignetta dipinto sul muro di recinzione di un cantiere edile nel centro amministrativo Baima che recita: “sostenere la scienza, resistere alla superstizione”. Foto di Valentina Punzi, agosto 2018.

Per dare un senso a questo fenomeno, è importante tenere in considerazione le recenti iniziative statali volte a promuovere il patrimonio culturale sia a livello internazionale che nazionale. Nel 2004, la Cina ha ratificato la “Convenzione dell’UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”, seguita dall’adozione delle “Misure provvisorie per la protezione e l’amministrazione del patrimonio culturale immateriale nazionale” da parte del Ministero della Cultura nel 2006. Queste azioni sono state in gran parte motivate dall’interesse del governo cinese a ricevere un riconoscimento internazionale per la gestione del patrimonio culturale immateriale nazionale.6)Tami Blumenfield e Helaine Silverman, “Cultural Heritage Politics in China: An Introduction”, in Tami Blumenfield e Helaine Silverman (a cura di), Cultural Heritage Politics in China (New York: Springer, 2013), 39-42. Il successo dell’adeguamento agli standard internazionali è dimostrato dall’elenco in espansione del patrimonio culturale immateriale cinese riconosciuto dall’UNESCO. Parallelamente, la Cina ha prodotto un proprio elenco interno, molto più lungo.7)Il sito ufficiale Zhongguo feiwuzhi wenhua yichan wang riporta 3610 elementi registrati contro i 42 riconosciuti dall’UNESCO. Inoltre, nell’ambito della “svolta verso la patrimonializzazione culturale immateriale”, lo Stato ha mobilitato sia gli studiosi che le autorità locali incaricandoli di salvare (qiangjiu 抢救) e preservare (baohu 保护) le pratiche religiose popolari.8)Philipp Hetmanczyk, “Party Ideology and the Changing Role of Religion: From ‘United Front’ to ‘Intangible Cultural Heritage’”, Asiatische Studien/Études Asiatiques 69, 1, 2015, 165-184. Come sostengono studi recenti, l’implementazione dei piani per il patrimonio culturale nella RPC spesso promuove una versione scollegata dal contesto originale. Di conseguenza, l’intervento diretto dello Stato nella gestione del patrimonio culturale, in particolare nel caso di tradizioni religiose, tende a incidere negativamente sulla vitalità stessa di quelle tradizioni che lo Stato sostiene di voler proteggere e preservare.9)Zhiqin Chen, “For Whom to Conserve Intangible Cultural Heritage: The Dislocated Agency of Folk Belief Practitioners and the Reproduction of Local Culture”, Asian Ethnology 74, 2, 2015, 307-334. Tami Blumenfield, “Recognition and Misrecognition: The Politics of Intangible Cultural Heritage in Southwest China”, in Marina Svensson e Christina Maags (a cura di), Chinese Cultural Heritage in the Making: Experiences, Negotiations and Contestations (Amsterdam: Amsterdam University Press), 169-193. Tuttavia, la complessità e l’eterogeneità delle pratiche e delle dinamiche di tutela del patrimonio non possono essere riassunte in un unico quadro. La varietà dei piani implementati, delle risposte locali e delle evoluzioni dei casi specifici richiede un’analisi approfondita radicata nei contesti.

Prima che la preservazione della cultura immateriale in Cina fosse definita da regole precise che rendono possibile l’inclusione di tradizioni e celebrazioni religiose, la “religione popolare” nel sud-ovest della Cina è stata a lungo considerata un fenomeno diffuso genericamente derivato e deviante dal buddhismo o dal taoismo o da una combinazione di elementi provenienti da entrambi. Di conseguenza, l’etichettatura generica di “religione popolare” e la connotazione della sua subordinazione alle categorie religiose istituzionali sono state ampiamente applicate allo studio della religione, a dispetto della complessità delle dimensioni etnografiche in cui la religione è praticata. La svolta verso la patrimonializzazione ha contribuito a evidenziare l’unicità di fenomeni specifici di “religione popolare” nel sud-ovest della Cina introducendo nuove definizioni create sulla base di termini indigeni che designano gli specialisti rituali. Tali sono i casi della “religione Bimo o Mo” (bimo/mo jiao 毕摩/摩教) per le pratiche rituali dei Bimo tra le comunità degli Yi; la “religione Dongba” (dongba jiao 东巴教) per le pratiche rituali dei Dongba tra i Naxi; la “religione Hangui’ (hangui jiao 韩规教) per le pratiche rituali di Hangui tra Pumi e così via. Questa pratica di denominazione promuove un approccio sistematizzante alle “religioni popolari” che aderisce strettamente all’etno-tassonomia dello Stato. Diversamente dalle altre minoranze nel sud-ovest della Cina, la cui “religione popolare” è stata inizialmente etichettata come buddhista o taoista e più recentemente ha acquisito designazioni specifiche ispirate al proprio etnonimo, nel caso delle credenze e delle pratiche rituali dei Baima, come quelle di altre comunità classificate come tibetane nelle zone di confine sino-tibetane, si rende necessaria un’articolazione più complessa del rapporto tra tassonomia etnica e religiosa per tenere conto della classificazione etnica dei Baima come tibetani, nonostante il loro status “deviante” non buddhista all’interno del gruppo tibetano.

Le nuove politiche restrittive verso la pratica religiosa sono in apparenza in antitesi con la tendenza alla patrimonializzazione culturale della religione popolare. Tuttavia, la combinazione di questi due fattori ha svolto un ruolo decisivo nella ridefinizione della “religione popolare” Baima in “cultura popolare” (minjian wenhua 民间文化) o “cultura religiosa” (zongjiao wenhua 宗教文化), minimizzando la componente religiosa a favore di quella culturale.

A dispetto di questa trasformazione imposta e in connessione con la patrimonializzazione culturale sponsorizzata dallo Stato, la comunità Baima ha vissuto un intenso e dinamico revival culturale, impegnandosi in una serie di iniziative. Nel 2011 una danza rituale Baima (caogai 曹盖) è stata inclusa nel registro del patrimonio culturale nazionale e uno specialista rituale è stato ufficialmente riconosciuto come l’unico “erede del patrimonio di cultura immateriale” (feiwuzhi wenhua yichan chuanchengren 非物质文化遗产传承人) di questa tradizione. Sebbene questa danza sia solo un segmento nel contesto di una cerimonia rituale più ampia, l’acquisizione dello status di patrimonio culturale immateriale ha, per estensione, incoraggiato l’intera comunità Baima a esplorare l’impatto della patrimonializzazione culturale in senso più ampio. Ad esempio, un gruppo di danza auto-organizzato ha iniziato a esibirsi nei festival culturali in Sichuan; una vecchia casa di legno nel villaggio di Shang Kouzi è stata prima trasformata nel Baima Heritage Museum a gestione privata e successivamente posta sotto l’amministrazione del governo; gli agricoltori hanno creato un proprio marchio per la vendita della piccola produzione di miele raccolto localmente e dell’alcol ottenuto dalla fermentazione dell’orzo. Allo stesso tempo, gli specialisti rituali partecipano a sessioni di formazione professionale organizzate dal governo per gli eredi del patrimonio culturale immateriale, mentre le loro attività vengono sempre più portate fuori dal villaggio come spettacoli esotici sul palco delle feste popolari e come benedizioni di buon auspicio in occasione di cerimonie nuziali che si svolgono nelle zone urbane. Più recentemente, nell’ottobre 2021, due specialisti rituali Baima e altri membri della comunità attivi nella promozione della cultura Baima hanno partecipato alla conferenza accademica ospitata presso l’Università Qinghua di Pechino. La visibilità acquisita dalla cultura e dalla religione Baima nel corso di eventi privati e ufficiali sui palcoscenici locali e nazionali sta apportando cambiamenti senza precedenti alla percezione di sé e della comunità.

Foto 2: Gruppo di danza della delegazione Baima di Pingwu che si è esibito in occasione dell’inaugurazione nella città di Mianyang del Settimo Festival Internazionale del Patrimonio Culturale Immateriale con sede principale nella città di Chengdu. Foto postata in un gruppo weChat.

Queste iniziative stanno introducendo nuove dimensioni di significato che sfuggono al controllo della stessa comunità Baima. Da un lato, il rebranding della religione come cultura tradizionale mitiga parzialmente la tendenza dello Stato a sopprimerla, aprendo potenzialmente uno spazio per l’espressione religiosa meno suscettibile alla censura, benché controllato. D’altro canto, gli investitori privati e gli enti locali approfittano delle politiche nazionali sul patrimonio culturale per promuovere il turismo nell’area, finanziando la ristrutturazione di case private, l’installazione di pannelli solari, la pavimentazione delle strade e la costruzione di infrastrutture di accoglienza con la speranza di attirare visitatori. Sebbene queste azioni dovrebbero offrire a Baima la possibilità di diventare parte di un circuito turistico, stanno generando scarsi benefici economici per la comunità. Inoltre, anche se durante il mio soggiorno gli abitanti dei villaggi svolgevano riunioni settimanali nel centro amministrativo Baima per discutere e pianificare il miglioramento delle strutture di accoglienza, finora la partecipazione diretta dei membri della comunità ai progetti di investimento è stata molto limitata a causa della mancanza di capitali. Tuttavia, la partecipazione dei Baima a iniziative di patrimonializzazione guidate dallo Stato non è motivata esclusivamente da aspirazioni economiche.

 3. Le esperienze di dagong di tre giovani Baima

Sin dall’introduzione delle riforme economiche inaugurate negli anni ’80, lo spostamento dalle aree rurali di manodopera non specializzata in cerca di opportunità lavorative nei centri urbani ha caratterizzato il mercato del lavoro in Cina. A partire dagli anni ’90, le condizioni di sfruttamento, le violazioni dei diritti, la solitudine, le speranze e le frustrazioni sperimentate dai lavoratori migranti sono diventate oggetto di rielaborazioni individuali nella poesia e nella prosa. Sebbene la narrazione letteraria non sia uno strumento impiegato da tutti, essa è rappresentativa di sentimenti ampiamente condivisi da coloro che lasciano la propria famiglia e il proprio villaggio in cerca di un miglioramento del tenore di vita familiare prima che individuale.10)Eric Florence, 2013 “Migrant Labour Culture in Post-Mao China”, in Émilie Freinkiel and Chloé Froissart (a cura di), Dossier: Protesting in early 21st century China (online: Books&Ideas https://laviedesidees.fr/Protesting-in-early-21st-century).

“Svolgere un lavoro temporaneo” (dagong 打工) è pertanto un’espressione in apparenza neutrale che racchiude una varietà di stati d’animo e di esperienze. Durante il mio periodo di ricerca a Pingwu, i lavoratori migranti Baima spesso hanno condiviso con me ricordi delle loro esperienze di lavoro, sottolineandone l’affinità con la mia condizione di straniera vissuta per molti anni a Pechino. Uno dei temi che, dal punto di vista dei miei interlocutori, ci accomunava ed era spesso menzionato per accorciare la distanza emotiva nelle nostre conversazioni, riguardava la condizione di estraneità sperimentata nelle città cinesi.

Chiamerò i miei tre interlocutori principali con gli pseudonimi di Ciran, Jixiang e Pema per proteggerne la privacy. D’altra parte, la somiglianza tra le tre esperienze biografiche rende possibile identificare alcuni temi comuni all’esperienza di dagong della generazione di Baima nati negli anni ’90.

Per tutti e tre la scelta di andare fuori a lavorare è stata dettata dall’urgenza di provvedere alle esigenze economiche della famiglia rimasta nel villaggio. Nonostante questa decisione sia stata inevitabile a causa della scarsità delle risorse economiche necessarie per affrontare spese mediche e istruzione scolastica, nessuno ha considerato che si trattasse di una condizione definitiva ma di un periodo a scadenza, in attesa di tornare a casa nonostante nessuno avesse un piano preciso su cosa fare una volta tornato. Durante i dieci anni trascorsi come lavoratori migranti Ciran, Jixiang e Pema hanno svolto i lavori più diversi. Ciran e Jixiang sono partiti insieme per lo Shanxi, dove inizialmente hanno lavorato come operai in una fabbrica di vetro. Quando uno dei due è rimasto ferito in un incidente, entrambi si sono spostati alla periferia di Pechino dove durante il giorno lavoravano come aiuto cuoco in un ristorante e di notte in un karaoke. Il riavvicinamento a casa è iniziato con il trasferimento a Chengdu, dove hanno continuato a svolgere queste attività fino al definitivo ritorno nel villaggio nel 2016. Pema invece è partito da solo per Chongqing dove ha lavorato per molti anni in negozi di parrucchiere, bar e karaoke. Presa coscienza del peggioramento delle sue condizioni di salute dovuto all’abuso di alcol e droghe, Pema è tornato al villaggio nel 2017, dove è stato inizialmente impiegato da una compagnia edile del Sichuan per guidare macchine scavatrici.

I ricordi degli anni trascorsi fuori riflettono la sofferenza della solitudine, ma anche la nostalgia per la vita urbana e l’orgoglio per aver tollerato difficoltà di ogni tipo (chiku 吃苦): paghe non ricevute, condizioni abitative precarie, raggiri da parte di organizzazione di marketing piramidale. Allo stesso tempo, tutti e tre hanno espresso rammarico e senso di colpa per non essersi impegnati nel percorso scolastico e per non aver compreso l’importanza di avere un titolo di studio che avrebbe permesso loro di svolgere lavori più sicuri e remunerativi.

 4. Il ritorno a casa: iniziative imprenditoriali e apprendistato rituale

Sono arrivata nel centro amministrativo Baima un paio d’anni dopo il ritorno a casa di Ciran, Jixiang e Pema.

Alla luce delle nuove opportunità di guadagno sorte in concomitanza con la costruzione di una nuova autostrada, tutti e tre erano impegnati a mettere a frutto le conoscenze e l’esperienza acquisite durante il periodo di dagong. Ciran e Jixiang avevano aperto insieme un piccolo ristorante in un locale sulla strada principale del centro amministrativo Baima. La cucina era sul retro, nel cortile attiguo all’abitazione dove risiedono. Pema aveva aperto un negozio di parrucchiere, frequentato principalmente dagli operai del cantiere dell’autostrada. Ciran si era iscritto a un corso online di istruzione superiore in economia ma lamentava di non imparare molto. Avrebbe voluto dedicarsi di più allo studio ma l’attesa di un figlio e la richiesta della moglie di un appartamento più grande e moderno nel centro di Pingwu gli impedivano di perseguire questo obiettivo personale.

Alle occupazioni quotidiane, spesso interrotte da visite a parenti, si sommava il tempo dedicato all’apprendimento della lettura del tibetano e all’apprendistato per diventare specialista rituale. La scelta di questo percorso accomunava Ciran, Jixiang e Pema che, non potendo dedicare molto tempo a queste attività, si riunivano per studiare insieme nei ritagli di tempo, spesso nel negozio di parrucchiere o nel cortile all’ingresso di casa. Avendo trascorso l’infanzia educati al rispetto per l’autorità dei Bembo, i tre ragazzi consideravano i riti la più importante componente della cultura immateriale Baima da conoscere e salvaguardare. Questa valutazione coincide in gran parte con la linea governativa che promuove il riconoscimento di diversi sistemi di “religione popolare” e ne incoraggia la preservazione come parte della cultura tradizionale. Nel contesto della comunità Baima la figura tradizionale dei Bembo è dunque di fatto coincisa con quella dell’erede del patrimonio di cultura immateriale. Questo ha reso la scelta di diventare Bembo particolarmente attraente per Ciran, Jixiang e Pema che non solo non coglievano alcuna contraddizione tra i due ruoli, ma esaltavano la possibilità di restare a casa propria ricoprendo una posizione rispettabile, utile alla comunità e allo stesso tempo remunerativa nella sua accezione culturale.

Pur essendo coetanei, Ciran e Jixiang stavano completando il loro apprendistato sotto la guida di Pema, che l’aveva già concluso l’anno precedente con il maestro che aveva iniziato al percorso di apprendistato tutti e tre. La modalità di insegnamento impiegata da Pema faceva ricorso alla lettura ad alta voce dei testi, seguita dalla ripetizione di Ciran e Jixiang che ne facevano una registrazione audio con i rispettivi telefoni cellulari. Gli aspiranti Bembo sono infatti invitati a eseguire riti dopo aver acquisito una competenza sufficiente nella lettura di un corpus di manuali in lingua tibetana, il cui uso passivo è limitato alla lettura dei testi del maestro e alla copia manuale per la creazione del proprio corpus. Ciran e Jixiang si erano procurati una carta spessa marrone chiaro che avevano tagliato in rettangoli orizzontali – il formato più diffuso dei libri tibetani – per poter copiare i testi. Per quanto riguarda la pratica, ogni volta che Pema era invitato a svolgere un rito, Ciran e Jixiang a turno lo accompagnavano prima battendo solo il tamburo e contribuendo alla preparazione di oggetti rituali e poi con compiti più impegnativi di lettura cantata dei testi.

Questa modalità tradizionale di trasmissione della conoscenza e di apprendistato con un Bembo è però inserita all’interno dei cambiamenti sociali ed economici apportati dall’impatto della patrimonializzazione culturale sulla religione Baima. Parallelamente ai riti svolti nei villaggi, Ciran e Jixiang hanno partecipato con entusiasmo a festival culturali in Sichuan dove brevi segmenti dei riti sono messi in scena sul palco. Anche se i tre giovani esprimono qualche preoccupazione per la perdita di autenticità dei riti Baima, aderiscono appieno alla riformulazione in chiave culturale-folcloristica e alla preservazione della religione come aspetto culturale.

Foto 3: Esibizione sul palcoscenico di tre Bembo in occasione di un festival culturale nel centro di contea di Pingwu. Foto postata in un gruppo weChat.

Pur avendo scelto di intraprendere il lungo percorso che porta a diventare specialisti rituali, la frequentazione di un contesto scolastico esclusivamente in mandarino e il discredito delle usanze Baima come superstizioni rende i tre giovani incerti rispetto alle applicazioni possibili del loro ruolo nella comunità. La perdita linguistica è vissuta con un senso di rassegnazione e senza prendere particolari iniziative che tentino di ripristinarne l’uso. Questa situazione è molto diversa dal fermento osservabile in altre piccole comunità nelle zone al confine sino-tibetano, impegnate nella promozione attiva della propria lingua attraverso la pubblicazione di materiali, la diffusione di video sui canali di WeChat e la collaborazione attiva con linguisti e ricercatori non cinesi per produrre una documentazione scientifica sistematica della lingua attraverso la raccolta di materiale di folclore orale.

Per Ciran, Jixiang e Pema diventare Bembo significa trovare uno spazio individuale di riconoscimento sociale che non avevano sperimentato durante il periodo in cui erano lavoratori migranti. Pur non avendo accumulato risorse economiche sostanziali, la precarietà della condizione vissuta dei tre giovani lontano dal villaggio è in parte vendicata dal ritorno a casa e dalla possibilità di accedere a un ruolo socialmente rispettabile.

 Conclusioni

La cosiddetta generazione post-’90, di cui Ciran, Jixiang e Pema fanno parte, viene spesso collocata in una cornice temporale ideale di pace e prosperità, una sorta di catarsi politica creata dall’inaugurazione delle riforme nei primi anni ’80 dopo gli anni turbolenti della Rivoluzione Culturale. In realtà, in molti tra coloro nati negli anni ’90 faticano a far fronte alla transizione accelerata da un’economia pianificata a una di mercato. Ciò è particolarmente vero per coloro che hanno una origine rurale e un background etnico non Han.

La religione Baima, nella sua riformulazione in cultura religiosa, riflette le criticità che caratterizzano i regolamenti e le modalità di implementazione della patrimonializzazione culturale in Cina.

Tuttavia, pur se con limiti importanti di cui tener conto, il riconoscimento dei Bembo come figure investite simultaneamente di autorità tradizionale e del ruolo di eredi del patrimonio di cultura immateriale costituisce un passo importante per l’identificazione culturale della generazione Baima post-’90. Da un punto di vista più pragmatico, alla luce della patrimonializzazione culturale, l’apprendistato per diventare Bembo rappresenta un possibile percorso di vita che avvicina i giovani Baima alle loro radici territoriali e culturali, configurandosi come alternativa all’anonimato urbano.

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Immagine: La danza caogai in un villaggio Baima in occasione della celebrazione del capodanno lunare del 2019 (foto dell’autrice)

Valentina Punzi è ricercatrice post-doc nell’ambito del progetto ERC PaganTibet e dottoranda presso il Centre de recherche sur les civilisations de l’Asie orientale, École Pratique des Hautes Études e presso il Department of Estonian and Comparative Folklore, University of Tartu. La sua ricerca attuale esplora le pratiche rituali contemporanee nelle comunità al confine sino-tibetano. Ha ricevuto un doppio dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale (Studi Asiatici) e la Minzu University of China (Studi tibetani) nel 2014. Dal 2016 al 2020 è stata post-doc presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Le sue pubblicazioni si concentrano sulla storia orale, l’identità etnica e la religione popolare della popolazione tibetana nella Repubblica Popolare Cinese.

References
1 Per un approfondimento sul dibattito relativo alla classificazione etnica dei Baima, si rimanda a Punzi, Valentina. 2020. Ai Margini della Tibetosfera. La comunità Baima in Sichuan occidentale. Sinografie 10: Centro e Periferie.
2 Questo fenomeno è diffuso tra le comunità numericamente piccole residenti nelle zone al confine sino-tibetane e classificate come tibetane. Ad esempio, si veda il caso dei Gyarong analizzato in Tenzin Jinba, The Politics of Gender and Ethnicity on the Sino-Tibetan Border (Seattle and London: University of Washington Press, 2014).
3 Tra gli studi sulla religione Baima si ricordano: Wang Yueping 王越平, “Jing shen yu kuanghuan—Baima zangzu san ge cunluo ‘tiao caogai’ yishi de bijiao yanjiu” 精神与狂欢 白马藏族—三个村落跳槽盖仪式的比较研究 [Spirito e carnevale dei tibetani Baima – Uno studio comparativo della cerimonia della danza caogai in tre villaggi], Zhongnan minzu daxue xuebao 中南民族大学报, 28, 2, 2008, 15-20. Wang Wanping 王万平, “Zuqun rentong shiyu xia de minjian xinyang yanjiu—yi baima zangren jishen yishi wei li” 族群认同视阈的民间信仰研究—以白马藏人祭神仪式为例 [Ricerca sulle credenze popolari dal punto di vista dell’identità etnica, prendendo come esempio la cerimonia di sacrificio dei tibetani Baima], Xibei Minzu Yanjiu 西北民族研究, 88, 1, 2016, 177-184. Wang Wanping 王万平 e Wang Zhihao 王志豪, “Baima zangren benjiao fashi ‘beibu’ diaocha yanjiu” 白马藏人苯教法师北布调查研究 [Indagine e ricerca sui maestri ‘Bembo’ della religione Bonpo dei tibetani Baima], Zongjiaoxue Yanjiu 宗教学研究, 2016, 1, 152-161. Wang Wanping 王万平 e A wang jia cuo 阿旺嘉措, “Baima zangzu diqu benjiao jingshu ji yishi diaocha yanjiu” 白马藏族地区苯教经书及仪式调查研究 [Indagine e ricerca sui testi e i rituali Bon nell’area tibetana di Baima], Minzu Zongjiao yu xibu bianjiang yanjiu 民族宗教与西部边疆研究, 2021. La Xian 拉先, “Baima zangzu zongjiao minsu kaoshi” 白马藏族宗教民俗考释 [Ricerca testuale sui costumi popolari e sulla religione dei tibetani Baima], Qinghai Shehui kexue 青海社会科学, 2019, 1. La Xian 拉先, Baima Zangzu zongjiao wenhua yanjiu 白马藏族宗教文化研究 [Ricerca sulla cultura religiosa dei tibetani Baima], Zhongguo Zangxue Chubanshe.
4 Chang, Kuei-Min, “New Wine in Old Bottles. Sinicisation and State Regulation of Religion in China”, China Perspectives 1-2, 113, 2018, 37-44.
5 Ziying You, “Conflicts over Local Beliefs: ‘Feudal Superstitions’ as Intangible Cultural Heritage in Contemporary China”, Asian Ethnology 79, 1, 2020, 137-159. Katherine Swancutt, “Ethnic Minorities and Religion”, in Kevin Latham (a cura di), Routledge Handbook of Chinese Culture and Society (London: Routledge, 2020), 447-460.
6 Tami Blumenfield e Helaine Silverman, “Cultural Heritage Politics in China: An Introduction”, in Tami Blumenfield e Helaine Silverman (a cura di), Cultural Heritage Politics in China (New York: Springer, 2013), 39-42.
7 Il sito ufficiale Zhongguo feiwuzhi wenhua yichan wang riporta 3610 elementi registrati contro i 42 riconosciuti dall’UNESCO.
8 Philipp Hetmanczyk, “Party Ideology and the Changing Role of Religion: From ‘United Front’ to ‘Intangible Cultural Heritage’”, Asiatische Studien/Études Asiatiques 69, 1, 2015, 165-184.
9 Zhiqin Chen, “For Whom to Conserve Intangible Cultural Heritage: The Dislocated Agency of Folk Belief Practitioners and the Reproduction of Local Culture”, Asian Ethnology 74, 2, 2015, 307-334. Tami Blumenfield, “Recognition and Misrecognition: The Politics of Intangible Cultural Heritage in Southwest China”, in Marina Svensson e Christina Maags (a cura di), Chinese Cultural Heritage in the Making: Experiences, Negotiations and Contestations (Amsterdam: Amsterdam University Press), 169-193.
10 Eric Florence, 2013 “Migrant Labour Culture in Post-Mao China”, in Émilie Freinkiel and Chloé Froissart (a cura di), Dossier: Protesting in early 21st century China (online: Books&Ideas https://laviedesidees.fr/Protesting-in-early-21st-century).