Introduzione
Sin dai tempi della Lunga Marcia (1934–1935) dell’Armata Rossa, che vide Mao Zedong 毛泽东 (1893–1976) prendere gradualmente le redini del Partito Comunista Cinese (PCC), la dottrina politica in seguito nota come maoismo era sostenuta da una visione spiccatamente escatologica della storia, il cui fine ultimo era non tanto liberare il paese dal suo passato feudale per mezzo della rivoluzione quanto il processo di rivoluzione in sé. Chi infatti, con vocazione quasi religiosa, professava questa dottrina si adoperava verso l’istaurazione di un nuovo ordine sociale che faceva della rivoluzione permanente il suo fondamento. Il processo rivoluzionario si configurava come un impegno trascendente – un appello all’immortalità degli ideali marxisti-leninisti che negli anni finirono per scandire non soltanto il trionfo del nuovo sul vecchio, bensì il trionfo di questi ideali sulla vita in quanto tale. Come scriveva già nel 1968 Robert J. Lifton, che studiò a fondo gli effetti di irreggimentazione e violenza politica nel corso della Rivoluzione Culturale (1966–1976),
i maoisti erano alla ricerca del regno della rivoluzione eterna. Per loro, la rivoluzione era un’esperienza totalizzante di morte e rinascita, una catastrofe auto-inflitta e al contempo una prescrizione per ricostruire il mondo che avevano distrutto.1)Cit. in Donald E. Maclniss, Religious Policy and Practice in Communist China: A Documentary History (New York-London: The Macmillan Company, 1972), 352. Tutte le traduzioni dall’inglese e dal cinese presenti nel testo sono a cura dell’autore.
Ciò che più di ogni altra cosa rendeva i seguaci di Mao degli “immortali rivoluzionari” era la rettitudine militante che li contraddistingueva. Al pari di ferventi asceti, vivevano appieno la visione escatologica del maoismo ed erano pronti a sottoporsi a forme cruente di epurazione, al punto di martirizzarsi pur di realizzarla. La guerra che gli aspiranti martiri rivoluzionari combattevano era, nelle parole del Grande Timoniere, come “un antidoto che non solo elimina il veleno del nemico, ma libera noi stessi da ogni impurità”.2)Mao Tse-tung, “On Protracted War”, ripubbl. in Selected Works of Mao Tse-tung (Peking: People’s Publishing House, 1965 [1938]), vol. 2, 113–194 (qui: 131).
Sospinto da questa visione, al concludersi della Lunga Marcia, un reggimento di sole donne alle dipendenze dell’ormai dismessa Quarta Armata di Fronte (Si fangmian jun 四方面军) di Zhang Guotao 张国焘 (1897–1979) si avventurò nel Gansu settentrionale per ricevere istruzioni dagli agenti sovietici di stanza in Xinjiang e aprire un canale diretto di comunicazione con il Cremlino, dando così inizio alla fatidica “spedizione verso ovest dell’Armata Rossa” (Hongjun xizheng 红军西征). A sua insaputa, il reggimento venne travolto da una prima ondata di epurazione che proietta sulla storia formativa del PCC un alone di cupo mistero e ancora oggi, a un secolo da quegli eventi, non smette di destare reazioni indigeste ai suoi massimi vertici. Zhang, uno dei padri del PCC che ne aveva presieduto il congresso fondativo nel 1921 e dopo un soggiorno di qualche anno a Mosca era diventato membro a pieno titolo del Comitato Esecutivo del Comintern, era da poco entrato in collisione con Mao circa il proseguimento della marcia,3)Jung Chang e Jon Halliday, Mao: The Unknown Story (New York: Anchor Books, 2006), 140, 157–162. il che aveva consentito a quest’ultimo di installarsi vittorioso a Yan’an dando i reggimenti di Zhang – compresa la Divisione Femminile Indipendente (Funü dulishi 妇女独立师) – in pasto al generale musulmano Ma Bufang 马步芳 (1903–1975), signore della guerra e governatore del Qinghai allineato al Partito Nazionalista (KMT) di Chiang Kai-shek 蒋介石 (1887–1975).
Nell’ottobre del 1936, le temibili forze di cavalleria di Ma contrastarono l’avanzata dell’Armata della Strada Occidentale (Xilu jun 西路军) – come la Quarta Armata fu poi ribattezzata – nei pressi di Jingyuan 靖远, nel Gansu centro-orientale. Alcuni si addentrarono più a nord e risalirono lungo il Corridoio di Hexi, finché non vennero colti di sorpresa dalle truppe di Ma Buqing 马步青 (1901–1977), fratello di Ma Bufang, sulle alture di Linze 临泽, al confine con la Mongolia Interna, dove il PCC intendeva creare una nuova base rivoluzionaria. Coloro i quali non vennero trucidati sul posto furono presi prigionieri e trasportati a Xining, il capoluogo del Qinghai. Quelli che si sottrassero al fuoco nemico non trovarono altro rifugio che l’arido Deserto del Gobi, e morirono poco dinanzi aggrediti da gelo, intemperie e dai morsi della fame. Secondo i giornali locali e fonti documentarie coeve, l’armata che prima di raggiungere Jingyuan fra ufficiali e soldati semplici contava in tutto 21.800 uomini, ne rimase con a malapena 7000. Nell’aprile del 1937, i superstiti furono deportati e soggetti ai lavori forzati.4)Hao Chengming 郝成铭, “Xilu jun jishi” 西路军记事 [Cronistoria dell’Armata della Strada Occidentale], in Hao Chengming 郝成铭 e Zhu Yongguang 朱永光 (a cura di), Zhongguo Gongnong Hongjun Xilu jun: Diaocha yanjiu juan 中国工农红军西路军:调查研究卷 [L’Armata della Strada Occidentale dell’Esercito Rivoluzionario degli Operai e dei Contadini Cinesi: Indagini e ricerche] (Lanzhou: Gansu renmin chubanshe, 2009), vol. 1, 531–650 (qui: 649); Feng Yaguang 冯亚光, Xilu jun: Sheng si dang’an 西路军:生死档案 [L’Armata della Strada Occidentale: Cronache di vita e di morte] (Xi’an: Shanxi renmin chubanshe, 2009), vol. 2, 47. Almeno 400 erano donne con un’età media inferiore ai 25 anni. Quelle che scamparono la lapidazione e non vennero abbandonate – spesso ancora vive – in angusti fossati a cielo aperto nel cuore dell’inverno, furono distribuite fra le milizie dei due Ma come donne di conforto. Alle più “fortunate”, scelte come seconde mogli o concubine, venne imposta la conversione all’islam. In alcuni casi, da siffatte unioni nacquero figli illegittimi. Le stime dimostrano che tra le donne che, vanificato ogni tentativo di fuga, sopravvissero agli abusi e tuttavia non ce la fecero a tornare a Yan’an, dove Mao aveva nel frattempo stabilito il suo quartier generale, ben 231 misero radici in Gansu e 136 in Qinghai.5)Zhang Ying 张英 e Deng Lijiang 邓丽江, “Xunzhao na zhi xiaoshi de Hongjun” 寻找那支消失的红军 [Alla ricerca del reggimento disperso dell’Armata Rossa], Zhongguo Gongchandang xinwen 中国共产党新闻 [Notizie del Partito Comunista Cinese], 24 Novembre 2006 (http://cpc.people.com.cn/GB/64093/67507/5083600.html, ultimo accesso 17 Novembre 2022).
Il saggio è una sommaria ricostruzione del profilo di alcune di queste donne che dopo essere state fatte prigioniere vennero impiegate come teatranti o lavoratrici coatte nella realizzazione di opere infrastrutturali, fra cui una “moschea rossa” nell’attuale Contea Autonoma Salar di Xunhua 循化, sulle pendici nord-orientali dell’altopiano tibetano, e con il cambio di governo iniziarono a essere venerate come eroine della rivoluzione.
1. Vita, morte e “miracoli” delle combattenti del Reggimento d’Avanguardia Femminile internate a Zanbuhu
La divisione cui appartenevano queste audaci soldatesse, altrimenti conosciuta come Reggimento d’Avanguardia Femminile Anti-Giapponese (Funü kangri xianfeng tuan 妇女抗日先锋团), era retta da Wang Quanyuan 王泉媛 (1913–2009) e alla sua istituzione contava oltre 1300 reclute, incluse infermiere e soccorritrici militari. La maggior parte delle reclute erano originarie del Sichuan e non diversamente da Wang avevano aderito al PCC, sedotte dalle promesse di emancipazione e riscatto sociale che questo offriva loro. 800 perirono in battaglia a Liyuankou 梨园口, nella periferia di Linze. Le restanti furono catturate dalle truppe di Ma Buqing e assorbite nel Corpo degli Ingegneri (Gongbing ying 工兵营). Wang, che alcune testimonianze vorrebbero un’asservita al regime di Ma Bufang e traditrice delle proprie compagne d’arme, fu data in sposa a un certo Ma Jinchang 马进昌 (s.d.), il comandante del Corpo.6)Sue Wiles, “Wang Quanyuan”, in Lily X.H. Lee e A.D. Stefanowska (a cura di), Biographical Dictionary of Chinese Women: The Twentieth Century, 1912–2000 (Armonk: M.E. Sharpe, 2003), vol. 2, 536–538 (qui: 536); Shuyun Sun, The Long March: The True History of Communist China’s Founding Myth (New York: Doubleday, 2006), 221. Prima di riuscire a far perdere le proprie tracce, visse per quasi due anni nella residenza del comandante a Yongchang 永昌, vicino a Wuwei. Giunta a Lanzhou, si risposò con un autista del KMT all’età di 26 anni. In circostanze simili, diverse giovani soldatesse del suo reggimento trovarono provvisoria dimora nella stessa città, e (ri)sposandosi scamparono una vita di miseria, prostituzione e sopraffazioni.7)Lily Xiao Hong Lee e Sue Wiles, Women of the Long March (Sydney: Allen & Unwin, 1999), 137–138, 141.
Quelle che non riuscirono nell’impresa, nell’estate del 1937 vennero segregate a Xunhua, nella circoscrizione amministrativa di Chahanduz (Chahandusi 查汗都斯) – un’area storicamente popolata dalla minoranza turcofona dei Salar – per essere poi reclutate come operaie agricole in programmi di rimboschimento e bonifica dei terreni, o come addette alla manutenzione stradale a Zanbuhu 贊卜乎, Jianshitang 尖什堂, Zongwu 宗吾 e altre contrade sulla sponda meridionale del Fiume Giallo, a una manciata di chilometri dalla centrale idroelettrica di Gongboxia 公伯峡. Alcune si prestarono nella costruzione di una moschea a Zanbuhu sul tetto della quale una stella rossa a cinque punte si leva oggi alta in cielo accanto alla mezzaluna islamica. Il simbolo iconografico del comunismo ricorre anche sulle tegole in cotto della sala di preghiera. A scolpirlo furono proprio queste donne. Fra gli altri simboli che esse nascosero fra le tegole, vi sono la falce e il martello, e il carattere gong 工 (lett. operaio) a rappresentare lo spirito del proletariato. Nel 1987, in una fase di mite risveglio religioso reso possibile dall’incalzare delle riforme denghiste, la gente del posto rinominò la struttura Moschea del Crescente Rosso (Hongguang qingzhensi 红光清真寺) alla memoria dei martiri della rivoluzione. Nel 2006, l’intero complesso che si estende su una superficie di 4 mu – equivalente a circa 2700 metri quadrati – è stato inserito nella lista nazionale delle cosiddette “basi per l’educazione patriottica” (aiguo zhuyi jiaoyu jidi 爱国主义教育基地) e dei siti di interesse storico-culturale.8)Fan Qianfeng 樊前锋, Ma Bufang chuan 马步芳传 [Biografia di Ma Bufang] (Xining: Qinghai renmin chubanshe, 2014), 92. Il complesso comprende uno spazio espositivo che raccoglie alcuni degli oggetti personali delle ex-combattenti e una breve biografia per immagini, molte delle quali ritraggono anziane signore sichuanesi con un ḥijāb (velo musulmano) avvolto al capo. Stando alle didascalie a corredo delle immagini, le uniche due superstiti che avevano oltre 90 anni al momento della mia visita devono essere entrambe scomparse. A una delle pareti è affissa una targa commemorativa nella grafia di nientemeno che Li Xiannian 李先念 (1909–1992) – l’allora commissario del tredicesimo reggimento dell’Armata della Strada Occidentale – con tanto di bandiera della Repubblica Popolare Cinese (RPC) che sfarzosamente l’adorna.9)Note sul campo, 6 Maggio 2016. Destinato a ricoprire la presidenza della RPC nei primi anni ’80, Li era stato posto alla guida di un’unità di 437 soldati che, percorso l’intero Corridoio di Hexi, varcò miracolosamente il confine dello Xinjiang e prese contatto con gli agenti del Cremlino a Xingxing Xia 星星峡.10)Zhongguo gongnong hongjun di si fangmian jun zhanshi bianji weiyuanhui中囯工农红军第四方面军战史编辑委员会, comp., Zhongguo Gongnong Hongjun Di Si Fangmian Jun zhanshi ziliao xuanji 中囯工农红军第四方面军战史资料选编 [Raccolta di fonti per la storia militare della Quarta Armata di Fronte dell’Armata Rossa degli Operai e dei Contadini Cinesi] (Beijing: Jiefangjun chubanshe, 1992), vol. 3, 973, 996. Di seguito abbr. ZHSZ. Tra gli altri eroi nazionali le cui gesta sono celebrate nell’esiguo spazio che funge da museo spicca anche il comandante del Nono Reggimento, Sun Yuqing 孙玉清 (1909–1937). Su ordine del Generalissimo, dopo due mesi di detenzione a Xining, nel maggio del 1937 questi venne giustiziato da Ma Zhongyi 马忠义 (1890–1951), il vice comandante della Centesima Divisione di Fanteria di Ma Bufang che si ritiene ne abbia conservata la testa mozzata come trofeo di guerra.11)Jiuquan diwei dangshi ziliao zhengji yanjiu weiyuanhui bangongshi 酒泉地委党史资料征集研究委员会办公室, comp., “Hong jiujun junzhang Sun Yuqing jiangjun mengnan jingguo” 红九军军长孙玉清将军蒙难经过 [Sun Yuqing, comandante del Nono Reggimento dell’Armata Rossa, cade nelle fauci del nemico], in Hao e Zhu (a cura di), Zhongguo Gongnong Hongjun Xilu jun: Diaocha yanjiu juan (Lanzhou: Gansu renmin chubanshe, 2009), vol. 2, 197–204 (qui: 203).
Sul lato opposto della strada che conduce alla moschea si ergono una dozzina di abitazioni con cortile interno, nella parlata locale dette zhuangkuo 庄廓, anch’esse erette da anonime combattenti del Reggimento d’Avanguardia. Furono realizzate per accogliere fittavoli e mezzadri che lavoravano la terra per conto di Ma Bufang, e sono tuttora abitate da famiglie Salar. C’è pure una scuola elementare (Hongguang xiaoxue 红光小学) che vanta di essere l’unica struttura a uso scolastico mai edificata dall’Armata Rossa in tutta la provincia del Qinghai.12)Note sul campo, 6 Maggio 2016. La tradizione popolare vuole che nel periodo di reclusione a Zanbuhu i membri dell’armata che erano stati integrati al Corpo degli Ingegneri scendevano in strada e, in occasione dei festeggiamenti per il capodanno lunare, danzavano con al pugno la falce e il martello.13)Zhang Junqi 张君奇, “Saluo zai Salazu zhi xiang de hong wu xing” 洒落在撒拉族之乡的红五星 [La stella rossa caduta su un villaggio Salar], in Ma Chengjun 马成俊 e Ma Wei 马伟 (a cura di), Minzu xiao dao: Xin shiji Salazu yanjiu 民族小岛:新世纪撒拉族研究 [Studi sulla minoranza Salar nel nuovo millennio] (Beijing: Minzu chubanshe, 2010), 335–338 (qui: 336).
Questa a dir poco insolita miscela di ideologia comunista, martirologio patriottico e cultura materiale islamica è espressa ancora più vividamente nelle parole dell’anziano custode della moschea, intervistato nel 2005 da un team di esplorazione dell’Istituto per la Conservazione dei Beni Culturali e Archeologici del Qinghai (Qinghai sheng wenwu kaogu yanjiusuo 青海省文物考古研究所).
Gli abitanti del villaggio che hanno vissuto in prima persona [la devastazione di quegli anni] sono debitori all’Armata Rossa, e lo sono anche i nostri defunti. La moschea e le nostre case sono state costruite dall’Armata Rossa. La terra che coltiviamo è stata bonificata dall’Armata Rossa. Le mura che circondano il mazār [termine arabo per mausoleo] davanti alla moschea sono state innalzate dall’Armata Rossa.14)Ivi, 337–338.
A rinsaldare la memoria storica della rivoluzione e donare al luogo ulteriore sacralità è il monumento ai caduti situato all’imbocco della strada. In centro al monumento, che occupa un perimetro di circa 40 metri quadri, giace un’ormai usurata colonna quadrangolare in calcestruzzo alta una decina di metri. Sul prospetto principale a cui si accede per mezzo di un’esile scalinata reca scritto in caratteri cubitali “vita eterna ai martiri rivoluzionari” (geming guanglie wangu qianqiu 革命光烈万古千秋), con in cima una stella a cinque punte altrettanto usurata.15)Note sul campo, 6 Maggio 2016.
2. Da agitatrici propagandiste a teatranti per la Centesima Divisione
Prima di essere accorpate all’Armata della Strada Occidentale e tragicamente internate in Qinghai, alcune giovani dell’armata di Zhang Guotao recitavano in compagnie teatrali itineranti coordinate dal PCC, come il Collettivo Progressista (Qianjin jutuan 前进剧团), che sulla falsariga del modello sovietico “Agit-Prop” (dal Russo agitacija-propaganda, lett. agitazione e propaganda) si proponeva di istruire le masse analfabete alla prassi rivoluzionaria. Queste teatranti si esibirono sul fronte in elaborati spettacoli capaci di amalgamare musiche, canti, danze, ed elementi coreografici dell’opera di Pechino con scene dai forti toni politici, contribuendo così a promuovere la causa rivoluzionaria nelle aree rurali del Sichuan, ove la Quarta Armata aveva la sua prima roccaforte. Accompagnarono l’Armata Rossa man mano che questa progrediva verso nord. Tenevano alto il morale dei reggimenti nel mezzo delle campagne di accerchiamento e annientamento del KMT, e attraverso un capillare lavoro di condizionamento ideologico – o “lavoro culturale” (wengong 文工) per usare il lessico maoista – incitavano le masse contadine contro Chiang Kai-shek, gli oppressori latifondisti e altri nemici di classe.16)Brian James DeMare, Mao’s Cultural Army: Drama Troupes in China’s Rural Revolution (Cambridge: Cambridge University Press, 2015), 25–27, 37–45, passim. Dopo il trasferimento a Xining, il collettivo fu riformato e i suoi componenti – si stimano almeno 20 donne e 10 uomini – vennero inglobati nel Nuovo Gruppo Teatrale della Centesima Divisione (Yibai shi xin jutuan 第一百师新剧团) delle milizie di Ma Bufang. Il gruppo continuò a esibirsi per il famigerato signore della guerra che, tutto sommato, riservò alle teatranti un trattamento per certo meno cruento di quello a cui dovettero invece sottostare le soldatesse del reggimento di Wang Quanyuan.17)Ivi, 44.
In questo gruppo, merita menzione Zhao Mingying 赵明英 (n. 1914), la responsabile della terza sezione del Collettivo Progressista. Nel settembre 1933, Zhao entrò a far parte della Quarta Armata nel suo paese natio, la contea di Da 达县 nel Sichuan nord-orientale – ora distretto di Dachuan 达川. Quando le milizie dei due Ma intercettarono l’Armata della Strada Occidentale, le attrici, cantanti, e danzatrici al suo seguito vennero adunate e ricollocate entro una nuova sezione tutta femminile. Nominata vice capo sezione, Zhao fu trascinata in un matrimonio coartato con il tenente colonnello di un battaglione di suddette milizie. Si rassegnò al suo destino dopo avere più volte tentato invano di fuggire. Decise allora di seguire il marito nella cittadina di Linxia 临夏 – capoluogo dell’omonima prefettura autonoma Hui, a cui negli anni è stato attribuito l’epiteto di “piccola mecca cinese”. Lì i due aprirono una fattoria, e condussero assieme una vita da devoti musulmani fino alla fine dei loro giorni.18)Feng, Xilu jun: Sheng si dang’an, 126.
Uno dei membri più noti della sezione era Chen Shu’e 陈淑娥 (d. 2005). Aveva appena compiuto 19 anni quando intraprese una relazione extraconiugale con Sun Yuqing, dal quale aspettava un figlio.19)Sun era il coniuge di Zhang Qinqiu 张琴秋 (1904–1968) che durante la Lunga Marcia ricoprì la carica di direttrice del Dipartimento Politico Generale della Quarta Armata, all’epoca il rango più elevato mai conferito a una donna nel PCC. La notte in cui subì le angherie della deportazione, Chen era ancora gravida. Fu violentata dal comandante supremo delle forze di fanteria e cavalleria di Ma Bufang, Ma Yuanhai 马元海 (1888–1951), che ne chiese poi la mano come seconda moglie. Il comandante la portò con sé in un lungo viaggio a dorso di cammello attraverso Tibet, Nepal e India del nord, e ospitò il figlio nella sua residenza a Guide 贵德 – oggi parte della Prefettura Autonoma Tibetana di Hainan 海南. Alla fine degli anni ’40, dopo essere stata improvvisamente cacciata di casa, Chen se ne andò a Lanzhou dove si guadagnò da vivere come sarta. Il figlio, invece, a solo qualche mese dalla proclamazione della RPC, si arruolò nell’Esercito Popolare di Liberazione (Renmin jiefangjun 人民解放军) e nel 1951 andò a combattere la guerra di Corea alla tenera età di 14 anni.20)Feng, Xilu jun: Sheng si dang’an, 28–30, 56. Ancor più tragica fu la sorte di Dang Wenxiu 党文秀 (s.d.), che come emerso dal resoconto dell’ispettore capo di polizia del primo distretto di Xining, nell’autunno del 1937 sposò il cugino e araldo di Ma Bufang, Ma Wei 马威 (s.d.), diventandone la terza moglie. Incapace di tenerla a bada, questi la fece fucilare da una delle sue guardie.21)Ivi, 55.
3. La disfatta dell’Armata della Strada Occidentale nel quadro delle politiche etniche
Le combattenti che con il sopraggiungere del secondo conflitto Sino-Giapponese (1937–1945) fecero ritorno a Yan’an o cercarono conforto all’ufficio di reclutamento più vicino dell’Armata dell’Ottava Strada (Balu jun 八路军) – nominalmente parte dell’Esercito Rivoluzionario Nazionale del KMT – arrivarono in loco solo per scoprire che: (1) erano state espulse dal PCC e la loro tessera era stata revocata; (2) la responsabilità di tutte le perdite, umane e materiali, subite dall’armata era ricaduta in capo a Zhang Guotao; (3) l’Armata Rossa nella sua interezza, e con essa il PCC, era stata trasferita sotto la direzione di Mao. “Chiarimenti su Alcune Questioni Storiche Riguardanti l’Armata della Strada Occidentale” (关于西路军历史上几个问题的说明), un documento ufficiale redatto da Li Xiannian nel febbraio del 1983, tuttavia, attribuisce la dipartita dell’armata soprattutto a fattori di natura etnico-religiosa.
L’annoso conflitto tra i musulmani e gli Han andava aggravandosi, e il controllo esercitato [sul Corridoio di Hexi] dalle forze reazionarie dei due Ma era divenuto sempre più rigido. [Inoltre, i capi musulmani] avevano l’appoggio del partito [nazionalista] di cui in passato non godevano. Conquistare il sostegno delle masse popolari si dimostrò quindi un’impresa assai ardua.22)ZHSZ, 1003.
Se da una parte ciò sminuisce, per non dire ignora, il ruolo delle fratture interne alla leadership del PCC nel determinare il decorso degli eventi che portarono l’armata a capitolare in Gansu, dall’altra sminuisce il fatto che il PCC disponeva di propri apparati per la cooptazione dei gruppi minoritari e l’amministrazione delle questioni etnico-religiose. Obbligato a ripiegare nell’entroterra più remoto del paese, il PCC non poté far altro che cercare consenso fra le masse impoverite e alienate di codesti gruppi, che con grande gioco di astuzia mobilitò nella guerra civile (1927–1949) contro il KMT e nella resistenza contro il Giappone. Fu al culmine della Lunga Marcia che, attraversate le province di Guangxi, Yunnan, Guizhou e Sichuan, e relazionatasi con le più disparate popolazioni indigene ivi insediate, l’Armata Rossa approdò stremata in Gansu. I suoi leader, a corto com’erano di artiglieria, scorte alimentari e uniformi per l’inverno, e per di più sotto la stretta sempre più opprimente delle campagne di accerchiamento, non tardarono a capacitarsi di quanto il processo rivoluzionario non potesse prescindere dalla partecipazione di queste popolazioni, in specie dei musulmani sinofoni o Hui. L’importanza e l’urgenza di coagulare gli Hui e altri gruppi minoritari attorno agli obiettivi strategici del PCC è sancita nei documenti amministrativi stilati dal Comitato Generale a partire dall’agosto del 1935. Si vedano ad esempio le “Direttive sulle Minoranze all’Interno del Partito” (关于少数民族中党的基本方针), emanate il 5 agosto a conclusione della memorabile assemblea di Mao’ergai 毛儿盖 – località nell’odierna Prefettura Autonoma Tibetana e Qiang di Ngawa (Aba 阿坝), Sichuan nord-occidentale.23)Renmin jiefangjun zhengzhi xueyuan dangshi jiaoyanshi 人民解放军政治学院党史教研室, comp., “Zhongyang guanyu yi si fangmian jun hui hou de zhengzhi xingshi yu renwu de jueyi” 中央关于一、四方面军会后的政治形势与任务的决议 [Risoluzione del Comitato Generale del PCC sulla situazione politica e sulla divisione dei compiti dopo il ricongiungimento della Prima e Quarta Armata dell’Armata Rossa), in Idem (a cura di), Zhonggong dangshi cankao ziliao 中共党史参考资料 [Materiali sulla storia del PCC], Di’er ci guonei geming zhanzheng shiqi – Xia ce 第二次国内革命战争时期 -下册 [Il secondo fronte unito, parte seconda], Kuo Ting-yee Library, Academia Sinica, s.d., vol. 7, 181–186 (qui: 184–185).
È sullo sfondo di questi avvenimenti che il PCC penetrò nelle aree musulmane di Shaanxi, Gansu e Ningxia, ove con alterno successo estese la propria influenza. Contrariamente al KMT per il quale gli Hui altro non erano che cinesi d’etnia Han convertiti al credo islamico, il PCC si mostrò pronto a concedere loro lo status di minoranza etnica e a riconoscere – quantomeno sulla carta – i diritti politici che da esso ne derivavano.24)Ma Xiurong 麻秀荣 e Na Xiaobo 那晓波, “Lüe lun Hongjun changzheng daoda xibei diqu hou zhengqu shaoshu minzu de gongzuo” 略论红军长征到达西北地区后争取少数民族的工作 [Breve disquisizione sul lavoro di cooptazione delle minoranze etniche dopo l’arrivo dell’Armata Rossa in Cina nord-occidentale al termine della Lunga Marcia], Qinghai minzu yanjiu 青海民族研究 [Ricerche sulle etnie nazionali del Qinghai], 1, 1999, 12–16; Dru Gladney, Muslim Chinese: Ethnic Nationalism in the People’s Republic (Cambridge, MA: Harvard East Asian Monographs, 1991), 21–26. Lo stesso Mao, nel maggio dell’anno successivo, lo ribadì nella bozza della “Dichiarazione della Repubblica Sovietica Cinese al Popolo degli Hui” (中华苏维埃中央政府对回族人民的宣言).
Nel rispetto del principio di “autodeterminazione dei popoli” (minzu zijue 民族自决), tutte le faccende riguardanti la minoranza Hui saranno pertinenza esclusiva della medesima, e tutti coloro i quali risiedono nelle aree sotto la sua amministrazione saranno chiamati a conformarsi all’ordinamento da essa instaurato. […] [In queste aree], gli Hui amministreranno i propri interessi e, come garantito loro dal principio di “uguaglianza fra le etnie nazionali” (minzu pingdeng 民族平等), potranno costituire un governo autonomo.25)Shanxi sheng weiyuanhui dangshi yanjiushi 陕西省委员会党史研究室, comp., Xibei geming genjudi 西北革命根据地 [La base rivoluzionaria del nord-ovest] (Beijing: Zhonggong dangshi chubanshe, 1998), 21.
La portata escatologica delle promesse egualitarie del PCC deve avere ammaliato non pochi fra le masse di mezzadri musulmani che patirono sotto il regime di Ma Bufang, al punto da spingerli a militare nelle file del PCC e persino a darsi al martirio pur di difendere suddetti principi, e con essi la causa rivoluzionaria in toto.26)Per un’analisi critica della convergenza tra siffatte promesse, gli ideali rivoluzionari di Sun Yat-sen 孙中山 (1866–1925) e martirologia islamica, si rimanda a Tommaso Previato, “Jihad o Rivoluzione? Percorsi Martirologici ed Escatologia Politica nell’Islam Cinese”, Annali Sezione Orientale, 82, 1/2, 2022, 106–140. La fondazione, risalente all’ottobre del 1936, del primo governo autonomo per la minoranza Hui di Yuhai (Yuhai Huizu zizhixian zhengfu 豫海回族自治政府), in quella che è la moderna contea di Tongxin 同心, nel Ningxia,27)Matthew Erie, China and Islam: The Prophet, the Party, and Law (New York: Cambridge University Press, 2016), 290–291. è la comprova non solo dell’attecchire di tali principi, ma del loro sostanziarsi sul piano politico e istituzionale.
Ciò nondimeno, in un rapporto datato 30 settembre 1937, a qualche mese dall’incidente del ponte di Marco Polo che segnò l’inizio della guerra di resistenza, il commissario politico dell’Armata della Strada Occidentale, Chen Changhao 陳昌浩 (1906–1967), non nascose i suoi dubbi sull’efficacia di un simile approccio. In un passaggio in cui Chen si interroga sulle possibili cause della disfatta dell’armata, si specifica,
i militaristi islamici avevano [fin da subito] messo in chiaro che la strategia politica di “unire i musulmani contro gli invasori giapponesi” (lianhui yi kangri 联回以抗日) [perseguita dal PCC] non avrebbe dovuto infrangere i loro interessi. Eppure abbiamo proseguito imperterriti alla volta del Gansu settentrionale. Per i militaristi, questa era una violazione [dei loro interessi], la rottura di ogni accordo di convivenza pacifica, se non un vero e proprio segnale di aggressione. [Ai loro occhi] è come se volessimo assalirli per impadronirci dei loro territori. La loro miopia politica non vuole intendere ragioni. Hanno scelto di non aderire al fronte unito, e ci hanno respinto con la massima ostinazione.28)ZHSZ, 984.
Conclusioni
La linea del PCC ai tempi della spedizione in Gansu era scevra di quell’irruente anticlericalismo che nella Cina maoista (1949–1976) si scagliò indistintamente contro le religioni istituzionalizzate – quelle abramitiche in particolar modo29)Xiaoxuan Wang, Maoism and Grassroots Religion: The Communist Revolution and the Reinvention of Religious Life in China (Oxford: Oxford University Press, 2020), 4–5, 85–104, passim; Gladney, Muslim Chinese, 134–140. – e ogni altra forma di culto riconosciuta o meno dallo stato. La fede nella spinta emancipativa delle masse oppresse, nella loro mobilitazione contro l’invasore esterno e le élite reazionarie a cui apparteneva Ma Bufang, nonché nella militanza come unico strumento di progresso sociale riposava pertanto su fondamenta che diremo “religiose”. La retorica di questa sorta di “religione militante” votata al progresso non aveva ancora assunto i tratti propri dell’evoluzionismo marxista dei primi anni ’50,30)La concezione marxista cinese delle cinque fasi di sviluppo vuole le società umane darsi dapprima un’organizzazione schiavista, per progredire verso un sistema di tipo feudale, a cui farebbe seguito l’avvento del capitalismo e infine del socialismo che porrebbe le basi per una società più equa senza classi. Secondo questa visione edulcorata di progresso, gran parte delle minoranze del ceppo tibeto-birmano, in specie gli Yi nei loro vari sotto-gruppi, i Dai e i Tibetani stessi, sarebbero rimasti “fermi” allo stadio più arretrato di sviluppo (ovvero alla società schiavista o feudale), mentre gli Hui, per via della loro marcata propensione al commercio, sarebbero già entrati nella fase di tardo capitalismo. Si veda Huang Guangxue 黄光学 e Shi Lianzhu 施联朱, Zhongguo de minzu shibie 中国的民族识别 [La classificazione etnica in Cina] (Beijing: Minzu chubanshe, 1994), 41–50, 106–107. Cfr. Stevan Harrell, “The History of the History of the Yi”, in Idem (a cura di), Cultural Encounters on China’s Ethnic Frontiers (Seattle-London: University of Washington Press, 1995), 63–91 (qui: 88, nota 17). che videro antropologi del calibro di Lin Yaohua 林耀华 (1910–2000) adottare dogmaticamente le categorie staliniane di natsiya (nazione) e nardonost’ (lett. nazionalità) per classificare i vari gruppi minoritari cinesi in base a presunte fasi di sviluppo storico.31)Lin Yaohua, uno dei più influenti antropologi di quegli anni che pur non condivideva la definizione di nazione offerta da Stalin e nutriva riserve sui modelli di categorizzazione sovietici, finì per elogiarne il “trattamento oggettivo e imparziale delle società primitive”. Gregory Eliyu Guldin, “Chinese Anthropologies”, in Idem (a cura di), Anthropology in China: Defining the Discipline (Armonk: M.E. Sharpe Inc., 1990), 3–29 (qui: 26).
Se ammettiamo che ciò che animava il processo rivoluzionario era una tensione “religiosa” e che fu tale tensione a plasmare la visione maoista della nazione cinese (Zhonghua minzu 中华民族) come una grande nazione proletaria che raccoglie popoli, lingue, e culture diverse sotto la stessa bandiera, la selezione di materiali biografici qui proposta fa affiorare le contraddizioni insite in detto processo e gli enormi costi umani sostenuti per cercare di attualizzare detta visione.
A uno sguardo superficiale, i casi di deportazione, martirio e unione forzata passati in rassegna sembrerebbero il prodotto dello scontro fra una versione conservatrice dell’islam e un movimento rivoluzionario progressista nato da presupposti laici. La specificità del quadro politico-normativo e la cornice storica in cui si inseriscono i casi specifici ci obbligano tuttavia a problematizzare l’orientamento convenzionalmente definito “ateo” del PCC, e a ripensare lo scontro nei termini di uno scontro fra sistemi di credo. Questa è la maggiore sfida interpretativa che si trova a dover affrontare chi studia la storia dell’islam e delle religioni in Cina nella turbolenta parentesi della guerra civile. Forse è proprio perché la dottrina maoista della rivoluzione non è all’origine atea che il PCC, nei decenni successivi alla presa del potere, implementò politiche di soppressione del credo religioso che non hanno uguali se non nell’Unione Sovietica di Stalin. La Lunga Marcia delle “musulmane” cinesi insegna che per coloro che ne fecero esperienza diretta la rivoluzione fu una missione tanto salvifica quanto fatalista verso la creazione di una nuova Cina – una Cina che appartiene a tutti gli oppressi, non da ultimo alle donne. Ironia della sorte, le donne che vengono oggi esaltate come incarnazione postuma dello spirito della rivoluzione e del patriottismo “islamico” cinese sono quelle stesse donne che nell’acme dello scontro caddero vittime di ambo gli schieramenti.
Immagine: Madre con bambino, Contea Autonoma di Dongxiang, ottobre 2010 (foto dell’autore)
Tommaso Previato ha conseguito il dottorato nel dicembre 2012 con un programma di cotutela fra l’Università Sapienza di Roma (Civiltà, Culture e Società dell’Asia e dell’Africa) e la Minzu University of China (Etnologia). È attualmente docente a contratto presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Nazionale di Taiwan e assegnista di ricerca (post-doc) all’Istituto di Storia e Filologia dell’Academia Sinica, ove collabora al progetto “Qing Empire, Mapmaking and the Eurasian Transfer of Knowledge” (Grant 111-2410-H-001-005-MY3; Principal Investigator Ling-Wei Kung). I suoi interessi di ricerca si collocano all’intersezione fra storia delle religioni e antropologia della Cina occidentale, con particolare attenzione rivolta alle culture minoritarie dei parlanti tibeto-birmano e musulmani sinofoni. Le sue pubblicazioni più recenti offrono un’analisi comparativa dei motivi martirologici in alcune di suddette culture a partire dal periodo tardo imperiale.
↑1 | Cit. in Donald E. Maclniss, Religious Policy and Practice in Communist China: A Documentary History (New York-London: The Macmillan Company, 1972), 352. Tutte le traduzioni dall’inglese e dal cinese presenti nel testo sono a cura dell’autore. |
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↑2 | Mao Tse-tung, “On Protracted War”, ripubbl. in Selected Works of Mao Tse-tung (Peking: People’s Publishing House, 1965 [1938]), vol. 2, 113–194 (qui: 131). |
↑3 | Jung Chang e Jon Halliday, Mao: The Unknown Story (New York: Anchor Books, 2006), 140, 157–162. |
↑4 | Hao Chengming 郝成铭, “Xilu jun jishi” 西路军记事 [Cronistoria dell’Armata della Strada Occidentale], in Hao Chengming 郝成铭 e Zhu Yongguang 朱永光 (a cura di), Zhongguo Gongnong Hongjun Xilu jun: Diaocha yanjiu juan 中国工农红军西路军:调查研究卷 [L’Armata della Strada Occidentale dell’Esercito Rivoluzionario degli Operai e dei Contadini Cinesi: Indagini e ricerche] (Lanzhou: Gansu renmin chubanshe, 2009), vol. 1, 531–650 (qui: 649); Feng Yaguang 冯亚光, Xilu jun: Sheng si dang’an 西路军:生死档案 [L’Armata della Strada Occidentale: Cronache di vita e di morte] (Xi’an: Shanxi renmin chubanshe, 2009), vol. 2, 47. |
↑5 | Zhang Ying 张英 e Deng Lijiang 邓丽江, “Xunzhao na zhi xiaoshi de Hongjun” 寻找那支消失的红军 [Alla ricerca del reggimento disperso dell’Armata Rossa], Zhongguo Gongchandang xinwen 中国共产党新闻 [Notizie del Partito Comunista Cinese], 24 Novembre 2006 (http://cpc.people.com.cn/GB/64093/67507/5083600.html, ultimo accesso 17 Novembre 2022). |
↑6 | Sue Wiles, “Wang Quanyuan”, in Lily X.H. Lee e A.D. Stefanowska (a cura di), Biographical Dictionary of Chinese Women: The Twentieth Century, 1912–2000 (Armonk: M.E. Sharpe, 2003), vol. 2, 536–538 (qui: 536); Shuyun Sun, The Long March: The True History of Communist China’s Founding Myth (New York: Doubleday, 2006), 221. |
↑7 | Lily Xiao Hong Lee e Sue Wiles, Women of the Long March (Sydney: Allen & Unwin, 1999), 137–138, 141. |
↑8 | Fan Qianfeng 樊前锋, Ma Bufang chuan 马步芳传 [Biografia di Ma Bufang] (Xining: Qinghai renmin chubanshe, 2014), 92. |
↑9 | Note sul campo, 6 Maggio 2016. |
↑10 | Zhongguo gongnong hongjun di si fangmian jun zhanshi bianji weiyuanhui中囯工农红军第四方面军战史编辑委员会, comp., Zhongguo Gongnong Hongjun Di Si Fangmian Jun zhanshi ziliao xuanji 中囯工农红军第四方面军战史资料选编 [Raccolta di fonti per la storia militare della Quarta Armata di Fronte dell’Armata Rossa degli Operai e dei Contadini Cinesi] (Beijing: Jiefangjun chubanshe, 1992), vol. 3, 973, 996. Di seguito abbr. ZHSZ. |
↑11 | Jiuquan diwei dangshi ziliao zhengji yanjiu weiyuanhui bangongshi 酒泉地委党史资料征集研究委员会办公室, comp., “Hong jiujun junzhang Sun Yuqing jiangjun mengnan jingguo” 红九军军长孙玉清将军蒙难经过 [Sun Yuqing, comandante del Nono Reggimento dell’Armata Rossa, cade nelle fauci del nemico], in Hao e Zhu (a cura di), Zhongguo Gongnong Hongjun Xilu jun: Diaocha yanjiu juan (Lanzhou: Gansu renmin chubanshe, 2009), vol. 2, 197–204 (qui: 203). |
↑12 | Note sul campo, 6 Maggio 2016. |
↑13 | Zhang Junqi 张君奇, “Saluo zai Salazu zhi xiang de hong wu xing” 洒落在撒拉族之乡的红五星 [La stella rossa caduta su un villaggio Salar], in Ma Chengjun 马成俊 e Ma Wei 马伟 (a cura di), Minzu xiao dao: Xin shiji Salazu yanjiu 民族小岛:新世纪撒拉族研究 [Studi sulla minoranza Salar nel nuovo millennio] (Beijing: Minzu chubanshe, 2010), 335–338 (qui: 336). |
↑14 | Ivi, 337–338. |
↑15 | Note sul campo, 6 Maggio 2016. |
↑16 | Brian James DeMare, Mao’s Cultural Army: Drama Troupes in China’s Rural Revolution (Cambridge: Cambridge University Press, 2015), 25–27, 37–45, passim. |
↑17 | Ivi, 44. |
↑18 | Feng, Xilu jun: Sheng si dang’an, 126. |
↑19 | Sun era il coniuge di Zhang Qinqiu 张琴秋 (1904–1968) che durante la Lunga Marcia ricoprì la carica di direttrice del Dipartimento Politico Generale della Quarta Armata, all’epoca il rango più elevato mai conferito a una donna nel PCC. |
↑20 | Feng, Xilu jun: Sheng si dang’an, 28–30, 56. |
↑21 | Ivi, 55. |
↑22 | ZHSZ, 1003. |
↑23 | Renmin jiefangjun zhengzhi xueyuan dangshi jiaoyanshi 人民解放军政治学院党史教研室, comp., “Zhongyang guanyu yi si fangmian jun hui hou de zhengzhi xingshi yu renwu de jueyi” 中央关于一、四方面军会后的政治形势与任务的决议 [Risoluzione del Comitato Generale del PCC sulla situazione politica e sulla divisione dei compiti dopo il ricongiungimento della Prima e Quarta Armata dell’Armata Rossa), in Idem (a cura di), Zhonggong dangshi cankao ziliao 中共党史参考资料 [Materiali sulla storia del PCC], Di’er ci guonei geming zhanzheng shiqi – Xia ce 第二次国内革命战争时期 -下册 [Il secondo fronte unito, parte seconda], Kuo Ting-yee Library, Academia Sinica, s.d., vol. 7, 181–186 (qui: 184–185). |
↑24 | Ma Xiurong 麻秀荣 e Na Xiaobo 那晓波, “Lüe lun Hongjun changzheng daoda xibei diqu hou zhengqu shaoshu minzu de gongzuo” 略论红军长征到达西北地区后争取少数民族的工作 [Breve disquisizione sul lavoro di cooptazione delle minoranze etniche dopo l’arrivo dell’Armata Rossa in Cina nord-occidentale al termine della Lunga Marcia], Qinghai minzu yanjiu 青海民族研究 [Ricerche sulle etnie nazionali del Qinghai], 1, 1999, 12–16; Dru Gladney, Muslim Chinese: Ethnic Nationalism in the People’s Republic (Cambridge, MA: Harvard East Asian Monographs, 1991), 21–26. |
↑25 | Shanxi sheng weiyuanhui dangshi yanjiushi 陕西省委员会党史研究室, comp., Xibei geming genjudi 西北革命根据地 [La base rivoluzionaria del nord-ovest] (Beijing: Zhonggong dangshi chubanshe, 1998), 21. |
↑26 | Per un’analisi critica della convergenza tra siffatte promesse, gli ideali rivoluzionari di Sun Yat-sen 孙中山 (1866–1925) e martirologia islamica, si rimanda a Tommaso Previato, “Jihad o Rivoluzione? Percorsi Martirologici ed Escatologia Politica nell’Islam Cinese”, Annali Sezione Orientale, 82, 1/2, 2022, 106–140. |
↑27 | Matthew Erie, China and Islam: The Prophet, the Party, and Law (New York: Cambridge University Press, 2016), 290–291. |
↑28 | ZHSZ, 984. |
↑29 | Xiaoxuan Wang, Maoism and Grassroots Religion: The Communist Revolution and the Reinvention of Religious Life in China (Oxford: Oxford University Press, 2020), 4–5, 85–104, passim; Gladney, Muslim Chinese, 134–140. |
↑30 | La concezione marxista cinese delle cinque fasi di sviluppo vuole le società umane darsi dapprima un’organizzazione schiavista, per progredire verso un sistema di tipo feudale, a cui farebbe seguito l’avvento del capitalismo e infine del socialismo che porrebbe le basi per una società più equa senza classi. Secondo questa visione edulcorata di progresso, gran parte delle minoranze del ceppo tibeto-birmano, in specie gli Yi nei loro vari sotto-gruppi, i Dai e i Tibetani stessi, sarebbero rimasti “fermi” allo stadio più arretrato di sviluppo (ovvero alla società schiavista o feudale), mentre gli Hui, per via della loro marcata propensione al commercio, sarebbero già entrati nella fase di tardo capitalismo. Si veda Huang Guangxue 黄光学 e Shi Lianzhu 施联朱, Zhongguo de minzu shibie 中国的民族识别 [La classificazione etnica in Cina] (Beijing: Minzu chubanshe, 1994), 41–50, 106–107. Cfr. Stevan Harrell, “The History of the History of the Yi”, in Idem (a cura di), Cultural Encounters on China’s Ethnic Frontiers (Seattle-London: University of Washington Press, 1995), 63–91 (qui: 88, nota 17). |
↑31 | Lin Yaohua, uno dei più influenti antropologi di quegli anni che pur non condivideva la definizione di nazione offerta da Stalin e nutriva riserve sui modelli di categorizzazione sovietici, finì per elogiarne il “trattamento oggettivo e imparziale delle società primitive”. Gregory Eliyu Guldin, “Chinese Anthropologies”, in Idem (a cura di), Anthropology in China: Defining the Discipline (Armonk: M.E. Sharpe Inc., 1990), 3–29 (qui: 26). |