Introduzione

 Il dialogo tra persone di religione diversa è emerso come una componente cruciale del nostro mondo globalizzato, favorendo comprensione, tolleranza e cooperazione tra comunità religiose diverse. Le religioni, in quanto sistemi di credenze rinforzati da un codice di condotta e da rituali che promuovono la coesione interna conferendo un forte senso di appartenenza al gruppo, non sono, per propria natura, orientate al dialogo. Il dialogo interreligioso è reso possibile dall’incontro dei fedeli, i quali professano e vivono chiaramente le loro convinzioni religiose essendo pienamente coscienti dell’esistenza di altri credenti. In Cina, la molteplicità delle divinità unita alla varietà delle pratiche religiose e dei sistemi filosofici non sembrerebbe creare un ambiente favorevole alla promozione del dialogo interreligioso. Tuttavia, lungo tutto il corso della storia, ci sono stati continui processi di adattamento, integrazione, prestito e riformulazione che costituiscono un metodo filosofico creativo per gestire la molteplicità delle religioni. L’applicazione di tale metodo ha creato terreno fertile per lo sviluppo di un particolare tipo di tolleranza religiosa, considerata da Wang Xiaoxuan come “la caratteristica fondante della società cinese”.1)Wang Xiaoxuan, “Christianity and Religious Syncretism”, Working Paper WP, 9, 2017. In altre parole, le dinamiche non scritte degli incontri interreligiosi nel contesto cinese sono permeate da una predisposizione ad “adattarsi”, a “integrare”, a “prendere in prestito” e a “ristrutturarsi grazie all’assimilazione” dell’alterità religiosa.

In questo saggio, prendendo spunto da esempi cattolici, illustrerò come queste dinamiche sono presenti anche negli incontri tra cattolici e “altri religiosi”. Inoltre, mi interrogherò sulla misura in cui gli atteggiamenti sviluppate durante questi incontri possano costituire il seme per una riflessione sui modelli di interazione e di dialogo interreligioso nel contesto cinese. Ma prima di ciò, desidero fornire alcune considerazioni generali riguardo a questa particolare predisposizione.

1. Una religiosità caratterizzata dalla tolleranza

In termini generali, l’atteggiamento cinese verso il “religioso” concorda con la descrizione di un “mysterium tremendum et fascinans” data da Rudolf Otto (1869-1937). Si tratta di un complesso gioco di rimandi tra tolleranza, superstizione e un approccio pragmatico. Le realtà religiose – in particolare quelle di un’altra religione – rimangono enigmatiche ma potenti, e la piena portata del loro potere e di tutta la loro influenza rimane ammantata di mistero. La natura imprevedibile del loro potenziale influsso consolida la convinzione che sia meglio avere l’ignoto e il misterioso come amico, piuttosto che come nemico. Questo atteggiamento multiforme di apertura trova espressione in varie pratiche quotidiane: i rituali, le offerte, nonché gesti di venerazione. Tali atti non dipendono dalla fede totale in queste divinità, piuttosto riflettono un riconoscimento del loro significato e della loro potenziale influenza; attraverso tali atti, le persone cercano modi per guadagnarsi il favore delle divinità, o vogliono mitigare potenziali conseguenze negative.

Sebbene possa nascere per paura o interesse, questo rispetto per il “religioso” apre la porta a opportunità in cui il dialogo può fiorire grazie all’avvicinarsi delle persone, alla loro interazione e all’identificazione dell’altro come un “altro religioso” le cui specifiche credenze e pratiche religiose, testimoniano come la diversità non sia qualcosa di spaventoso, ma sia invece arricchente. In sostanza, questo atteggiamento evidenzia l’inclinazione umana a navigare nella dimensione incerta e spesso mistica del mondo spirituale con un pizzico di pragmatismo. Enfatizza, inoltre, l’importanza del rispetto, della tolleranza e del riconoscimento del potenziale potere delle divinità e delle tradizioni religiose, anche quando queste si situano al di là del proprio sistema di credenze. È il riflesso della natura diversificata e interconnessa delle pratiche religiose e culturali in un mondo in cui coesistono persone di fedi e credi diversi.

2. La via cinese al pluralismo religioso

In Cina, una delle caratteristiche più evidenti dell’incontro tra persone di religione diversa è la volontà di accogliere diversi sistemi di credenza, e la storia cinese è piena di esempi di tradizioni religiose che coesistono e si influenzano a vicenda. Fin dai tempi antichi, il confucianesimo e il taoismo sono coesistiti, contribuendo a plasmare insieme il tessuto spirituale della società. In seguito, questa capacità di adattamento ha permesso l’integrazione del buddhismo, del cristianesimo e dell’islam nel tessuto religioso cinese. Storicamente, gli imperatori cinesi spesso adottavano un approccio inclusivo verso religioni, favorendo l’apertura e creando uno spazio in cui le religioni potessero prosperare nel mutuo rispetto e tolleranza. Per la maggior parte del tempo, gestivano le religioni per mantenere l’armonia sociale e le incoraggiavano a integrare pratiche e dottrine l’una dell’altra. La dinastia Tang (618-907 d.C.) è un esempio eccellente di questo approccio, in quanto rimase aperta agli insegnamenti buddhisti e taoisti nonostante promuovesse il confucianesimo come ideologia di Stato; questa politica ha permesso lo sviluppo di un clima di tolleranza e coesistenza religiosa.

Oltre all’adattamento, un altro aspetto chiave nel gestire il pluralismo religioso in Cina è l’integrazione, o la fusione, dei sistemi di credenza. Piuttosto di settorializzare le tradizioni religiose, i cinesi hanno spesso cercato di integrare elementi di varie fedi nelle proprie pratiche. Un esempio è l’incorporazione di concetti taoisti nella traduzione dei canoni buddhisti. Un altro esempio è l’idea del sanjiao 三教 (i tre insegnamenti in uno), che si riferisce all’armoniosa integrazione del confucianesimo, del taoismo e del buddhismo sviluppata dai sostenitori della Lixue 理學 durante la dinastia Song.

Anche il “prendere in prestito” è un’abitudine cara alle interazioni religiose in Cina. Come fa notare Wang Xiaoxuan: “Confucianesimo, buddhismo, taoismo e culti popolari, hanno preso molto in prestito da altre religioni, pur mantenendo i propri confini”.2)Wang Xiaoxuan, “Christianity and Religious Syncretism”, 8. La propensione a incorporare  elementi di altre tradizioni nel proprio sistema religioso inserisce le religioni in un costante processo di adattamento e scambio, e in qualche modo lascia il sistema religioso stesso aperto a molte idee religiose nuove. La Via della Seta ha facilitato questo processo del “prestito”, generando una fusione dinamica di culture e credenze. Anche all’interno della Cina stessa, le variazioni regionali nelle pratiche religiose riflettono la propensione a prendere in prestito e ad assimilare elementi religiosi. Il culto e la venerazione di Mazu 媽祖, la dea del mare, illustra un processo dinamico di prestito di elementi di un altro sistema religioso affine. Elementi presi da taoismo, buddhismo e credenze popolari indigene sono integrati in un insieme volto a sostenere specifiche credenze locali.3)Zhang Beibei e Xiaping Shu, “From Abstract Form to Concrete Materialization: An Analysis of Mazu’s Image in Statues and Images”, Religions, 13, 1035, 2022 (https://doi.org/10.3390/rel 13111035).

Ci sono situazioni in cui il panorama religioso cinese è riuscito a ridefinire una religione tramite un’assimilazione completa, creando un panorama religioso unico. L’assimilazione comporta la trasformazione graduale delle tradizioni religiose straniere per allinearle con le norme culturali indigene o per rispondere a esigenze contestuali. Il modo in cui sono nate certe scuole buddhiste è una chiara illustrazione di questo fenomeno. Oggi, la tendenza della “sinizzazione”, che comprende una forte esigenza delle religioni di “inculturarsi” rispecchiando gli ideali contemporanei delle caratteristiche cinesi, è un’espressione di questo metodo d’assimilazione.

3. Il cattolicesimo nel panorama interreligioso cinese

In Cina, gli incontri dei cattolici con i credenti delle altre religioni sono stati segnati da storie complesse e secolare. Essendo una delle denominazioni cristiane più antiche e più diffuse al mondo, durante la sua presenza in Cina, il cattolicesimo ha interagito con altri sistemi religiosi, tra i quali il buddhismo, il confucianesimo, il taoismo e le religioni tradizionali popolari cinesi. Questi incontri hanno prodotto importanti lezioni che possono essere applicate a discussioni più ampie sulle interazioni interreligiose, la coesistenza e il dialogo, in un ambiente religioso naturalmente propenso all’adattamento, all’integrazione e al prestito per assimilare l’alterità religiosa. In quale modo le esperienze cattoliche di incontro e coinvolgimento con sistemi di credenze diversi hanno favorito il rispetto reciproco e una migliore comprensione dell’altro, che sono elementi essenziali nel dialogo interreligioso? Quali sono i modelli di dialogo che emergono da questi incontri?

Le fonti storiche indicano che l’incontro tra il cristianesimo e la cultura cinese è avvenuto in varie fasi.4)Vedi Nicolas Standaert, Handbook of Christianity in China (635-1800) (Leiden, Brill, 2000); Jean Charbonnier, Histoire des chrétiens de Chine (Paris, Desclée, 1992); Jean Laporte, Les traditions religieuses en Chine (Paris, Cerf, 2003), 221-263; John W. Witek, “Christianity and China: Universal Teaching from the West”, in Stephen Ulley Jr. and Xiaoxin Wu (eds.), China and Christianity: Burdened Past, Hopeful Future (New York, Sharpe, 2001), 11-27. Che si tratti delle dinastie Tang, Yuan, Ming e Qing, o della contemporaneità (segnata da vari tentativi di assicurare una presenza pacifica del cristianesimo nella Cina comunista), l’amicizia è stata e rimane un valore fondamentale e una strategia coltivata dai cattolici negli incontri con le altre religioni. Apre porte, avvicina le persone e facilita l’integrazione dei missionari nella cultura cinese, permettendo a questi di avvicinarsi e di stabilire una base d’irradiazione delle attività missionarie.

4. Alopen e i suoi amici buddhisti (dinastia Tang)

Il primo a realizzare la necessità della cooperazione per stabilire in Cina una presenza cristiana fu probabilmente Alopen, un monaco siro-persiano che, attraverso la Via della Seta, arrivò a Chang’an (odierna Xi’an), la capitale della dinastia Tang, nel 635 d.C., in un periodo in cui il buddhismo imperava. Alopen capì immediatamente che l’integrazione del cristianesimo, la nascita della sua comunità e l’accettazione della sua religione richiedevano il sostegno di individui che risultassero credibili agli occhi del regime. Aiuto che ottenne da amici buddhisti, impiegati presso la corte imperiale e dediti alla pratica di una forma di buddhismo introdotto in Cina cinque secoli prima attraverso la Via della Seta. Tali monaci facilitarono l’insediamento di Alopen e il riconoscimento ufficiale delle sue attività religiose all’interno del regno, portando il suo caso davanti alle autorità. Inoltre, contribuirono anche alla traduzione dei testi cristiani da lui introdotti compiendo un enorme passo avanti verso l’inculturazione del cristianesimo nel mondo cinese.

Ovviamente, una traduzione delle scritture e dottrine cristiane permeata da temi provenienti dal vocabolario religioso preesistente può essere messa in discussione; ciò vale soprattutto per la presenza di concetti buddhisti, taoisti e confuciani,5)Secondo Jean Charbonnier, l’adozione di questi termini dipese dalla difficoltà di trovare o creare nuovi concetti o semplicemente dal fatto che la traduzione fu effettuata da monaci buddhisti impiegati al servizio della corte imperiale. Vedi Jean Charbonnier, Histoire des chrétiens de Chine, 25. in particolar modo nel Xuting mishi suojing 序聽迷詩所經 (la Sutra di Gesù, il Messia). Può, tuttavia, questo essere considerato come un’implementazione del processo di prendere, adattare, sistemare o assimilare, tipico della Cina e menzionato sopra? Andrebbe specificato che “La Sutra di Gesù, il Messia” è il primo testo cristiano pubblicato in Cina di cui si abbia menzione e che, di conseguenza, riflette la situazione particolare e unica della religione appena introdotta in Cina.

Nell’845, l’imperatore Wuzong, avverso al buddhismo, ordinò la sua eliminazione dall’impero; egli coinvolse in questo movimento di distruzione anche le comunità cristiane, causandone la scomparsa. Quando poi il buddhismo rivisse durante la dinastia Song, il cristianesimo rimase estinto. Fu anche questo conseguenza del processo di adottamento e assimilazione dovuto agli stretti legami con il buddhismo? Se fosse questo il caso, perché allora non fu eliminato anche il buddhismo?

Domande di questo genere sono diventate centrali per la riflessione contemporanea, che ha come obiettivo la promozione di modelli rispettosi di interazione e dialogo tra diverse esperienze religiose.

5. Giovanni da Monte Corvino, amico dei Khan (dinastia Yuan)

 La cooperazione svolse nuovamente un ruolo fondamentale durante il secondo incontro tra il cristianesimo e il mondo cinese. Un tipo di cooperazione che si può definire di alto livello e istituzionale. Con il fine di fermare l’avanzata islamica, Papa Niccolò IV credette nella necessità di un’alleanza tra l’Europa e i Mongoli (Khan), la cui espansione territoriale aveva inglobato anche la Cina.  A tale scopo, Niccolò IV, il primo Papa francescano, mandò Giovanni da Monte Corvino in Cina. Egli arrivò nel 1294 a Dadu, la capitale della dinastia Yuan, dove risiedeva la corte di Kublai Khan. Egli fu accolto dall’Imperatore Cheng. La presenza cristiana sviluppatasi in seguito fu garantita dai missionari che beneficiarono della copertura diplomatica offerta all’inviato papale presso i Khan. Facendo affidamento sulla cooperazione e sul supporto diplomatico, Giovanni eresse a Dadu, nel 1298, la prima chiesa entro i confini dell’impero. Due ulteriori chiese vennero inaugurate rispettivamente nel 1304 e nel 1308. Al fine di diffondere la fede, fu avviata la traduzione del Nuovo Testament0 nelle lingue mongole e uigure, oltre alla formazione delle popolazioni indigene. La comunità crebbe, nonostante il ridotto numero di missionari, e la fede si diffuse in aree come Hangzhou nel Zhejiang e Guangzhou. Nel 1328 in Cina vivevano, approssimativamente, 30.000 cattolici, inclusa, emblematicamente, la Regina Madre.

Tuttavia, fu l’ufficialità delle relazioni a divenire il carattere predominante negli sforzi dei missionari. Gli archivi di Giovanni dal Piano dei Carpini (1182-1252), per esempio, sono pieni di informazioni sul dominio dei Khan,6)Vedi Jacques Gernet, A History of Chinese Civilization (2e éd., trad. J.R. Foster et Charles Hartman) (Edinburgh: Cambridge Univ. Press, 1996), 373-376. sulla loro amministrazione e sulle richieste per concludere trattati diplomatici e commerciali. Siccome gli inviati papali erano interessati a garantire un clima favorevole alla la diffusione del cristianesimo, i missionari dovettero rivolgere la loro amicizia ai Khan, per ottenerne la loro fiducia e siglare l’alleanza che il Papa si aspettava al fine di eliminare la minaccia dell’espansione islamica. Un’alleanza tra i missionari cristiani e i Khan non era così irrealistica. Si coniugava perfettamente con una delle strategie dei nuovi occupanti. Infatti, dopo la conquista di uno stato, i mongoli avevano necessità di collaboratori per consolidare il loro potere. Per prevenire i rischi di una reazione cinese, erano disposti a integrare nel loro sistema politico e amministrativo degli stranieri, a discapito dei cinesi. Ad esempio, adottarono l’alfabeto delle minoranze uiguro, come lingua amministrativa, al posto della scrittura cinese, che non comprendevano. In maniera simile, si servirono del persiano come la lingua delle transazioni commerciali. I Khan, essi stessi stranieri, erano maggiormente inclini a fidarsi di altri stranieri. Le possibilità di successo per gli inviati papali erano, dunque, reali. Tuttavia, l’associazione con gli occupanti ridusse le loro opportunità di incontro e cooperazione con i cinesi. Riguardo della strategia missionaria di questo periodo, John W. Witek giustamente nota che “il successo dei francescani fu principalmente con i turco-mongoli e con gli stranieri, non con i cinesi”.7)John W. Witek, “Christianity and China’, 17. Questo spiega la quasi immediata scomparsa delle comunità instauratesi durante questo periodo dopo la caduta della dinastia Yuan.

Un riesame degli incontri cattolici in Cina durante la dinastia Yuan può aiutare ad ampliare la nostra valutazione della diplomazia religiosa e dei suoi possibili contributi allo sviluppo di un dialogo interreligioso. La diplomazia religiosa permise una presenza di missionari in Cina che, apparentemente, non erano in contatto con la dimensione religiosa della Cina del tempo: non vi è menzione di buddhismo, taoismo o confucianesimo… e neppure vi è traccia del Lixue o della religiosità popolare. Sembra quasi che i cattolici abbiano vagato in una terra priva di religione, proprio mentre la Cina stava lavorando alla sistematizzazione e all’organizzazione dei suoi vari sistemi religiosi. Come menzionato sopra, la dinastia Song si era impegnata a riorganizzarli ponendoli sotto un’unità che riconoscesse le loro differenze. La dottrina delle “tre religioni” o sanjiao, infatti, riconosceva il buddhismo, il taoismo e il confucianesimo come tre sistemi separati funzionanti sotto la sfera di controllo legale istituito dai letterati confuciani. Gli incontri cattolici durante gli Yuan illustrano i pro e i contro, i vantaggi e i condizionamenti della diplomazia religiosa. In questo caso, il risultato fu un impulso sul breve periodo, ma seguita da un nuovo periodo di scomparsa.

6. Gli incontri dei gesuiti durante le dinastie Ming e Qing

Dopo i primi due tentativi di stabilire il cristianesimo in Cina, i gesuiti fecero un terzo tentativo nel XVI secolo. La Cina all’epoca aveva adottato una politica di auto isolamento ed era rimasta quasi inaccessibile. Nel 1552, Francesco Saverio tentò invano di entrare nel paese. Morì, esausto, sull’isola di Shangchuan, vicino alla provincia di Canton, mentre aspettava un’occasione opportuna per recarvisi. Trenta anni dopo, Alessandro Valignano, superiore dei gesuiti, promosse un programma di integrazione e adattamento linguistico e culturale nelle missioni orientali per agevolare i cattolici nell’incontro con le realtà asiatiche, in particolar modo proprio con la Cina. Il missionario doveva impegnarsi a farsi accogliere piuttosto che affidarsi al potere politico e militare del paese di provenienza. Questo approccio richiedeva di adottare un atteggiamento di umiltà: i missionari avrebbero dovuto imparare la lingua, e conoscere e rispettare i costumi locali. Tale atteggiamento spianò loro la strada e ne assicurò l’accesso, l’integrazione e l’insediamento nel territorio cinese. Al fine di realizzare questo progetto, Valignano contò sui suoi compagni, i pilastri fondativi delle missioni gesuiti che in Cina, i cui nomi erano Michele Ruggieri e Matteo Ricci.

Matteo Ricci era predisposto a queste aspettative dalle sue stesse origini. Nato nel 1552 da una famiglia nobile di Macerata, crebbe in un ambiente educativo influenzato dall’umanesimo rinascimentale. I suoi interessi intellettuali spaziavano in vari ambiti, tra cui l’astronomia, la matematica, la meccanica, la filosofia, la letteratura, la musica e a retorica. Nel 1571, la sua vocazione religiosa lo portò dai gesuiti di Roma, dove iniziò il suo apprendistato. I suoi primi contatti con l’Oriente li ebbe a Goa, in India. Fu in questo polo missionario gesuita, fondato da San Francesco Saverio, che spese i suoi primi anni di missione prima di essere inviato, nel 1582, nel porto portoghese di Macao, nel sud della Cina, con l’obiettivo di prendere parte alla missione in Cina. Nello stesso anno, si unì a Michele Ruggieri, che aveva già tentato di stabilirsi nella città di Canton, una delle principali capitali del sud del paese.

Grazie alla loro padronanza della lingua, al loro atteggiamento aperto nei confronti delle culture locali e alla fama delle loro conoscenze scientifiche, ottennero un invito a stabilirsi a Zhaoqing, una città della provincia di Canton, nel 1583. Durante questo periodo, nel tentativo di attuare e istruzioni ricevute, Ricci provò ad assimilarsi ai monaci buddhisti, adattando il suo vestiario a quello dei monaci. Ma dopo essercisi reso conto che erano i confuciani, non i buddhisti, a godere di maggior prestigio sociale, adottò lo stile di abbigliamento dei letterati confuciani. Infatti, venne a conoscenza del fatto che i confuciani più rinomati servivano alla corte imperiale di Pechino, una città inaccessibile agli stranieri. Andare a Pechino divenne il suo sogno. Ricci osservò e ammirò l’ordine civile della Cina. I gesuiti scelsero di operare tra i letterati e si abituarono ad adottare i modi cinesi, nel vestiario e nei rituali, per avvicinare la Cina a Cristo.

Ricci riuscì a entrare a Pechino nel 1601 e ottenne dall’imperatore Wanli il permesso di risiedere nel—palazzo imperiale. Qui, in nove anni di servizio, Ricci approfondì il metodo di adattamento. Apprendendo dagli altri, diede il meglio di sé, utilizzando tutte le aree del sapere che gli avevano garantito il rispetto e la simpatia dei suoi interlocutori. Con il suo pubblico cinese condivise le sue conoscenze di cartografia, astronomia, matematica e musica. Coltivò l’amicizia non solo verso le persone, ma anche verso la loro cultura. Nel pieno rispetto dell’etichetta cinese, fabbricò piccoli oggetti che offriva come regali. Un campione del metodo dell’incontro, Ricci usò dialoghi amichevoli per trasmettere le sue convinzioni e sfidare la visione del mondo dei suoi interlocutori, offrendo loro la possibilità di crescita e di conversione. Come si vede nel Tianzhu Shiyi 天主實義 (“Il vero significato del Signore del Cielo), sfidò i suoi più cari amici cinesi – Xu Guangqi 徐光啟, Yang Tingyun 楊廷筠 e Li Zhizhao 李之藻 – in scambi e dibattiti sulle loro più ferme convinzioni, permettendo loro di espandere il loro punto di vista confuciano fino a includere la fede cristiana

Lo stile di incontro adottato da Ricci è stato apprezzato per la sua apertura e il rispetto per l’alterità. Tuttavia, per varie ragioni, non può essere proposto come paradigmatico per gli incontri interreligiosi. Per lui, discutere di religione non sembrava essere in cima alla lista delle priorità. Allo stesso modo, non aveva urgenza di pubblicizzare apertamente la sua religione e non faceva menzione diretta delle sue fonti religiose. Ad esempio, nel suo Jioayou lun 交友論, un trattato sull’amicizia, raccoglie detti, storie e aforismi sull’amicizia della letteratura occidentale, senza nominare mai la Bibbia, che contiene brani meravigliosi sull’amicizia e sull’amore.

In quanto umanista, Ricci era attratto dalla cultura; osservava le abitudini, i costumi e le tradizioni della gente. Ne notava anche le differenze e le valutava con rispetto. Fu questo il caso della venerazione rituale di Confucio e degli antenati – cosa che divenne un ostacolo importante per altri missionari, evolvendosi nella questione spinosa della controversia sui riti. Per Ricci, questi erano aspetti della cultura cinese; non avevano nulla a che vedere con la religione. Per lui, l’intelligibilità era il criterio sulla base del quale costruire un dialogo. Dunque, il suo dibattito con i letterati confuciani era il terreno migliore in cui incontrarsi, dove uno poteva essere persuaso, oppure concordare nel disaccordo.

Allo stesso tempo, Ricci non prestò mai attenzione al taoismo, né al buddhismo, poiché li credeva permeati di superstizioni. Pertanto, invece di applicare accomodamento/adattamento/integrazione e assimilazione secondo il modo tipico cinese di trattare le diverse credenze religiose, optò per una selezione, preferendo il dialogo bilaterale. Eppure, anche nell’ambito di questo dialogo, ci si potrebbe chiedere perché Ricci, così ben informato e conoscitore della tradizione confuciana, non abbia considerato l’approccio sintetico del neoconfuciano Zhu Xi 朱熹. Trovò tracce di sincretismo nell’approccio o sforzi volti a portare le tre religioni sotto un unico principio unificante?

Mentre è ovvio che nel suo incontro con la cultura cinese Ricci ha sviluppato il metodo dell’adattamento/accomodamento, la sua adozione di questo approccio differisce da quello tradizionale cinese. La sua esperienza invita a un ripensamento dell’incontro interreligioso oggi. A tal fine, può essere utile delineare aspetti particolari del dialogo interculturale e interreligioso: considerare la possibilità del diritto di ognuno di esprimere apertamente le proprie convinzioni e di condividere la propria fede, l’accettazione dei metodi e degli approcci altrui, e avviare una riflessione riguardo il ruolo della conversione nel dialogo interreligioso.

7. Altri missionari cattolici e incontri religiosi in Cina

Nel diciassettesimo secolo, esclusi Matteo Ricci e alcuni dei suoi confratelli che adottarono l’approccio di adattamento, gli altri gruppi cattolici optarono per un chiaro metodo missionario: gesuiti, francescani, domenicani, lazzaristi (vincenziani)  e i membri della Missione Estera Parigina (MEP) entrarono in Cina con la precisa intenzione di divulgare la fede cristiana, espandere la Chiesa invitando i cinesi a convertirsi al cristianesimo abbandonando i loro sistemi e le loro pratiche religiose. Ciascun ordine scelse il modo che sembrava più adatto al contesto in cui si trovava. I gesuiti, seguendo le orme di Matteo Ricci, enfatizzarono l’adattamento culturale e il confronto con il confucianesimo dei letterati che lavoravano a stretto contatto con le autorità politiche. Contrariamente a loro, i francescani e i domenicani furono più conservatori, opponendo resistenza all’integrazione dei rituali cinesi. I lazzaristi si concentrarono maggiormente sulla divulgazione pragmatica presso le popolazioni rurali e svantaggiate, e dunque, sull’amministrazione di sacramenti, l’apertura di scuole e orfanatrofi e sulle cure mediche per i poveri. Nel diciannovesimo secolo, società missionarie straniere, provenienti da paesi come Francia, Italia e Spagna, iniziarono ad inviare suore in Cina e si concentrarono ancora di più su metodi mirati a produrre il maggior numero di convertiti.

L’approccio dell’evangelizzazione diretta e le sue aspettative intrinseche non potevano favorire l’incontro con il mondo religioso cinese. I missionari mostrarono poco interesse a comprendere e coinvolgere le religioni locali; volendo correggere, invece, ciò che ritenevano superstizioso. Credevano che le “superstizioni” non potessero in alcun modo essere fonte di arricchimento o illuminazione. In aggiunta, ai convertiti era richiesto di fare tabula rasa di quanto appreso, per fare spazio alle novità introdotte dalla fede cristiana che stavano abbracciando.

Nonostante questo atteggiamento esclusivista, alcuni incontri generarono una valutazione autentica e positiva delle religioni altrui e permisero lo sviluppo di approcci favorevoli al dialogo tra persone di religione diversa. La missione delle religiose di Maryknoll – il ramo femminile della Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America – all’inizio del ventesimo secolo ne è un esempio. Condividevano la stessa preoccupazione e visione degli altri missionari dell’epoca: convertire i pagani al cristianesimo salvandoli dalle loro religioni e culture. In Cina, la tradizionale segregazione tra uomini e donne fu riconosciuta come un ostacolo chiave alla missione, in quanto riduceva le possibilità che il messaggio cristiano raggiungesse tutti. Come scrisse Jeannine Hill Fetcher: “Sebbene il movimento femminile in Cina sia individuabile già dal 1914, la tradizionale separazione delle donne dagli uomini continuò a rappresentare il contesto in cui i sacerdoti di Maryknoll svolgevano la loro missione. Per una donna cinese sarebbe stato inopportuno parlare con un uomo sconosciuto, ed era incredibilmente improbabile che lo facesse pubblicamente con missionari stranieri”.8)Jeannine Hill Fletcher, Motherhood as Metaphor: Engendering Interreligious Dialogue (New York: Fordham University Press, 2013), 18. Di fronte a questo ostacolo culturale, il Vescovo Francis Ford si rivolse alle sorelle di Maryknoll. Le formò per affrontare la metà della popolazione a cui i missionari non potevano rivolgersi. Le integrò nella missione e le inviò a coppie nei villaggi e nelle città. Era una novità per le donne lavorare in quel modo. L’apostolato della “cordialità” da loro sviluppato permise loro di incontrare le donne cinesi nelle situazioni di vita quotidiana. Abitavano con loro nei villaggi, lavoravano con loro nei campi, vivevano nelle loro case, esponendosi e facendo esperienza di cosa credevano e praticavano queste “altre” religiose. Tali incontri portarono le sorelle a confrontarsi con i pregiudizi e i fraintendimenti che avevano nei confronti dei cinesi, dei loro credi e delle loro pratiche. La vicinanza permise una crescita che poteva portare ad un’effettiva e reale valutazione delle pratiche e delle religioni altrui, e possibilmente alla conversione.

Entrando nelle case delle donne cinesi per salvarle dal paganesimo, le donne cristiane incontrarono persone con vite complesse, i cui cuori erano già colmi di ospitalità e traboccavano di relazioni. Le donne cristiane ebbero persino l’opportunità di apprezzare le pratiche religiose non-cristiane. Diventando amiche delle donne cinesi, nella prima metà del ventesimo secolo, le sorelle di Maryknoll videro messe in discussione e cambiarono le loro presupposizioni teologiche. La conversione è stata la loro.9)Fletcher, Motherhood as Metaphor, 16.

8. Gli incontri dei cattolici cinesi con il mondo religioso cinese

Tutti gli incontri cattolici con l’“altro” religioso cinese di cui abbiamo parlato finora riguardavano la presenza cattolica straniera all’interno dei confini cinesi. Nel rispetto del contesto storico, è pertinente estendere questa panoramica anche agli incontri tra i cattolici cinesi e i seguaci delle altre tradizioni religiose cinesi.

L’identità religiosa dei cattolici cinesi emerse dal loro incontro con la fede cristiana, portandoli a convertirsi al cattolicesimo e a trarne sostegno spirituale. Tuttavia, le loro vite erano intrecciate in maniera intricata con il contesto religioso nel quale erano nati e nel quale continuavano a vivere la loro fede cristiana. Questo solleva naturalmente delle domande: Quali incontri hanno promosso questi individui con altre persone cinesi? Quali atteggiamenti hanno sviluppato? Come si posizionavano rispetto al più ampio panorama della diversità religiosa cinese? E, domanda più importante, quali spunti possono offrire i loro incontri per la riflessione sul dialogo interreligioso?

È essenziale riconoscere che queste domande sono profonde e richiedono una ricerca approfondita; un paio di paragrafi non possono rendere giustizia a questo fenomeno complesso. Tuttavia, una cosa è chiara: i cattolici cinesi si trovano inevitabilmente coinvolti in incontri con varie realtà religiose cinesi, e, quindi, anche quando non sembrano essere direttamente coinvolti, sono comunque chiamati a rispondere in un modo o nell’altro. Ciò che importa è la loro consapevolezza di questo fatto e gli atteggiamenti e le risposte che coltivano per rendere questi incontri più costruttivi.

Un aspetto fondamentale dove questi incontri emergono riguarda i rituali che segnano le fasi della vita. La tradizione cinese include un ricco bagaglio di rituali che marcano gli eventi significativi della vita, e nascono sfide per i cattolici, quando la loro fede cattolica esprime questi momenti in maniera differente, o quando è addirittura priva di rituali corrispondenti. Spesso, la loro risposta consiste nel creare equivalenti cattolici, come incorporare preghiere aggiuntive in momenti culturalmente designati quali le cerimonie funebri o le feste tradizionali del calendario cinese.

I cattolici cinesi immersi nel mondo religioso dell’altro si trovano spesso in una situazione critica quando partecipano a cerimonie in cui sono chiamati a usare gesti o segni che non sono in linea con la loro fede cattolica. Questi casi mettono in discussione il loro senso di appartenenza culturale e sociale e la loro fedeltà alla religione. Rituali che legano le persone e consolidano il senso di identità di gruppo diventano strumenti divisivi quando gli individui si sentono costretti a scegliere tra le loro identità culturali e religiose. In questo contesto, affermare la propria identità “sia cinese che cattolica” esprime un atteggiamento di dialogo interreligioso.

I cattolici cinesi, grazie agli incontri con l’alterità religiosa presente nel contesto cinese, sono spinti ad accettarsi come diversi e unici. Questo stesso processo, che stabilisce la loro identità come unica, tende a definire gli altri come differenti. In questi incontri, i cattolici sono portati ad affermarsi come appartenenti a una minoranza religiosa, le cui credenze devono essere necessariamente spiegate alla maggioranza. Anche quando accolgono e integrano elementi dalle religioni locali, si sentono comunque obbligati a giustificare le proprie scelte, per paura di essere mal interpretati, mal giudicati o addirittura respinti.

Queste preoccupazioni sono ben espresse da eminenti figure cattoliche come il Cardinale Paul Yu (1901-1978), un modello per il dialogo interreligioso a Taiwan,10)Il Cardinale Paul Yu Pin (1901-1978) fu una figura importante nel dialogo interreligioso a Taiwan. Ha co-fondato la Confraternita dei Credenti Religiosi (Zongjiaotu lianyihui 宗教徒聯誼會), la prima associazione interreligiosa in terra cinese, fondata a Chongqing nel 1943. Inoltre lanciò l’idea di un dipartimento di studi religiosi aperto a tutte le religioni presso la Fu Jen Catholic University nel 1968 e nello stesso anno iniziò la “venerazione del Cielo e degli antenati” (jitianjingzu 祭天敬祖) come attività interreligiosa a cui partecipano tutte le principali religioni taiwanesi. Nel 1976, divenne il primo direttore dell’Istituto delle Religioni Mondiali fondato dal Venerabile Maestro Xüan Hua (Xuanhua Shangren 宣化上人) a Berkeley. Vedi Batairwa Kubuya Paulin, “Paul Yu Pin and the Challenge of Faith Identity in Religious and Denominational Dialogue”, Fu Jen International Religious Studies, 7, 1, 2013, 61-82. Stanislaus Luo Kuang11)Stanislaus Luo Kuang (1911-2004) è stato rettore della Fu Jen Catholic University, arcivescovo di Taipei e vicino collaboratore del Cardinale Paul Yu Pin. Insieme hanno espresso giustificazioni teologiche per la venerazione degli antenati e hanno fondato il dipartimento di Studi Religiosi dell’Università Fu Jen. La ricerca di Luo sulla filosofia cinese aveva come obiettivo la promozione del dialogo tra Oriente e Occidente. e Paul Shan,12)Il Cardinale Paul Shan, SJ (1923-2012), noto per le sue forti convinzioni religiose, si è confrontato con il dialogo interreligioso soprattutto grazie alla sua profonda amicizia con il Venerabile Xing Yun 星雲, fondatore del monastero buddhista Foguang Shan 佛光山. Il loro reciproco rispetto e le preoccupazioni condivise erano evidenti nelle apparizioni pubbliche. nei loro sforzi di offrire la visione di uno spazio dove i cattolici possano trovarsi a loro agio all’interno del labirinto delle realtà religiose cinesi. I loro sforzi, come sottolineato da Paul Yu, hanno assunto forme differenti, come il coltivare l’amicizia con altri leader religiosi e l’unione degli sforzi per affrontare problemi comuni, così da essere identificati come rispettati leader religiosi, stimati in rappresentanza della comunità cattolica. Attraverso le loro interazioni, i leader religiosi, ispirati dalle proprie tradizioni, erano tenuti a promuovere patriottismo, cura, cura, servizio edifesa della libertà religiosa per il popolo cinese. Questi eminenti leader cattolici hanno ulteriormente contestualizzato la loro fede promuovendo metodi capaci di creare un ponte tra la vita concettuale e rituale dei cattolici all’interno del mondo cinese. A questo proposito, le pratiche rivolte alla “cristianizzazione della Cina e alla sinizzazione del cristianesimo” (Zhongguo Jidu hua, Jidu Zhongguo hua 中國基督化,基督中國化)13)Vedi Paulin Batairwa Kubuya, Meaning and Controversy in Chinese Religions (New York: Palgrave MacMillan, 2018), 126-134. possono essere considerate come risposte significative alle sfide poste ai cattolici dal  pluralismo religioso cinese.

Oltre alle personalità già menzionate, c’è anche un laico degno di nota, John Ching Hsiung Wu (1899-1986), celebre per la sua duplice competenza giuridica e nello studio della cultura cinese. Il suo percorso di fede rivela formidabili lezioni e pensieri emergenti dagli incontri nel contesto cinese. Nato in Cina, è cresciuto immerso nella religiosità delle persone comuni, ispirata da confucianesimo, taoismo e buddhismo, all’epoca i maggiori sistemi religiosi in Cina. Mentre concludeva la sua educazione giovanile e cercava modi per continuarla negli Stati Uniti, incontrò il cristianesimo tramite pastori metodisti e si risolse a diventare cristiano. Tuttavia, nel 1937 lesse la biografia di Santa Theresa di Lisieux e fu commosso dai suoi scritti. Spiegò successivamente che le intuizioni della Santa lo aiutarono a armonizzargli strati della sua personalità e le sue convinzioni. La adottò come maestra per condurlo a Cristo. In aggiunta, la sua semplicità e innocenza lo introdussero al cuore del misticismo cristiano, aiutandolo a integrare quanto rimaneva di confuciano, taoista e buddista del suo passato con la fede cristiana a cui si era convertito. Così, nel 1937 decise di unirsi alla Chiesa Cattolica Romana. Questa decisione influenzò profondamente la sua vita personale e professionale. Lo portò a esplorare le intersezioni tra la teologia cattolica e la cultura cinese. Come risultato, diventò intensamente convinto della necessità di un dialogo tra le tradizioni religiose e filosofiche dell’Oriente e dell’Occidente centrato su Cristo. Una volta convertitosi al cattolicesimo, scoprì molte altre risorse spirituali e coltivò amicizie speciali con coloro che erano attratti dalla spiritualità cinese, come Thomas Merton, con il quale ebbe una copiosa corrispondenza sulla spiritualità taoista. Per aiutare gli stranieri a capire la mente e la mentalità cinese, tradusse qualche classico, come il Dao De Jing 道德經, e scrisse commentari e saggi comparativi sui valori cinesi promossi dal confucianesimo. Per il pubblico cinese, tradusse parti della Bibbia in modo poetico, in particolar modo il Libro dei Salmi. Ma forse la sua migliore eredità per gli incontri con i cattolici cinesi è il suo sogno di un incontro tra l’Oriente e l’Occidente incentrato su Cristo. Nelle sue parole:

Se l’Oriente non trova l’Occidente in Cristo, non lo troverà e non lo amerà mai. Se l’Occidente non trova l’Oriente in Cristo, non lo troverà e non lo amerà mai. Se l’Oriente è occidentalizzato, diventerà peggio dell’Occidente. Se l’Occidente è orientalizzato, diventerà peggiore dell’Oriente. Se l’Oriente e l’Occidente si uniscono al di fuori di Cristo, tale matrimonio non durerà, essendo il risultato di un’infatuazione momentanea che genererà solo mostri. Solo quando saranno uniti nel seno di Cristo, potranno amarsi reciprocamente con l’amore di Cristo, e tale unione darà vita all’ uomo nuovo.14)John C. H. Wu, “Christianity, the only Synthesis really possible between East and West”, in K.T. Sih (a cura di), Chinese Humanism and Christian Spirituality: Essays by John C.H. Wu (New York, 1965), 170.

Conclusioni

La rivalutazione delle interazioni cattoliche all’interno del mondo religioso cinese svela l’importanza dell’incontro con l’altro religioso e il potenziale di questi incontri nel promuovere il dialogo interreligioso.

Nella Chiesa Cattolica Romana, il dialogo interreligioso è diventato ufficialmente una disciplina e un settore della vita cattolica con la creazione, dovuta a Papa Paolo VI, del Segretariato per i non Cristiani nel 1964, i cui obiettivi specifici sono: di favorire le relazioni con i credenti di altre religioni o con persone con sentimenti religiosi diversi; di cercare metodi e vie per promuovere un dialogo appropriato con loro; di favorire la comprensione e l’apprezzamento di non cristiani da parte dei cristiani, l’apprezzamento della vita e della dottrina cristiana da parte loro.15)Paul VI, Regimini Ecclesiae universae, 1967, 97-99. Fino a oggi, il dialogo praticato nella Chiesa ha varie connotazioni, tutte riferibili a “relazioni interreligiose positive ed educative con individui e comunità di altre fedi dirette alla comprensione e all’arricchimento reciproco”.16)Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, Dialogue and Proclamation: Reflection and Orientations on Interreligious Dialogue, 1991. DP 9. Ci sono quindi vari metodi e approcci per dialogare con successo,17)DP 42. incluso quello teologico o intellettuale che abbiamo usato in questo saggio come base di riferimento, rivalutando e interpretando gli incontri cattolici avvenuti storicamente nel contesto religioso cinese alla luce delle loro potenziali implicazioni per il dialogo interreligioso o tra le fedi.

Gli incontri nella prospettiva del dialogo interreligioso ci danno la possibilità di vedere l’altro religioso e culturale come luogo delle interazioni interreligiose, un’opportunità per il dialogo interreligioso; la diversità che viene presentata non è tanto una minaccia, ma un’opportunità per capire e apprezzare meglio se stessi. L’altro che si incontra può essere una fonte di ispirazione che ci sfida a vivere e a esprimere nel modo migliore il nucleo che dà origine alla nostra religiosità, alle nostre credenze e alle nostre pratiche religiose. Inoltre, una riflessione approfondita e coraggiosa sulle opportunità offerteci da tali incontri genera un apprezzamento della diversità e degli incontri fondato sulle Sacre Scritture.

La Bibbia ha un enorme bagaglio di storie o figure significative che possono rivelarsi utili per apprezzare le soluzioni che i cattolici cinesi hanno adottato in risposta alle sfide che emergono dai loro incontri con altri credenti cinesi. Ci sono modelli ispirati a Rut, o alla donna moabita, Naomi, la quale, nell’incontrare i credenti ebraici, ha accettato Yhwh, il Dio degli Israeliti, come proprio Dio e gli Israeliti come suo popolo. Un altro modello può essere Cornelius, uomo timorato di Dio, un comandante dell’esercito romano di stanza a Cesarea, che pregava sempre e compiva buone opere e che fu battezzato insieme a tutta la sua famiglia in seguito a un sogno e alla visita di Pietro (Atti 10). Un ulteriore modello può essere il centurione di Cafarnao, non convertito ma simpatizzante del giudaismo, rispettoso delle tradizioni religiose locali, percepito come un amico dalla comunità dei credenti e persino come un benefattore che promuoveva la religione altrui costruendo una sinagoga. Pur restando un pagano, era accettato nella sua diversità e Gesù lodò il suo comportamento, ammettendo che neppure in Israele aveva trovato una fede grande come la sua (Luca 7,1-10).

Infine, una riflessione intellettuale sugli incontri cattolici nel contesto cinese può svelare i frutti già presenti in mezzo ad altre religioni. Infatti, il dialogo, sia incontro sporadico che regolare, prima o poi dà i suoi frutti. Nel contesto cinese, l’accomodamento, l’integrazione, l’assimilazione o il rimodellamento, parziali o totali che siano, sono meccanismi che si verificano anche con gli altri. Sarebbe interessante, vista la storia della sua evoluzione, considerare la realtà attualmente in espansione del buddhismo umanistico o impegnato come un possibile frutto degli incontri nel contesto cinese, in cui il credente buddhista adatta, integra, assimila aspetti significativi del cristianesimo nella propria pratica. Inoltre, ho spesso udito aneddoti che collegano la nascita della Fondazione Buddhista Tzu-Chi 慈濟基金會 all’incontro a Hualian tra la Venerabile Zheng Yen 證嚴 e due sorelle Orsoline. In quell’incontro, le sorelle hanno chiesto come mai le monache buddhiste scegliessero una vita di isolamento, preoccupate esclusivamente della propria salvezza personale, invece di aiutare le masse bisognose. È importante sottolineare che la Venerabile Zheng Yen è una discepola del Venerabile Yinshun 印順 (1905-2005), a sua volta discepolo del Venerabile Taixu 太虛 (1889-1949), ideatore del buddhismo umanistico. Il Venerabile Taixu era un uomo dell’incontro, e i suoi contatti con il cristianesimo lo portarono a credere che “la Cina necessiti del cristianesimo e l’Europa e l’America necessitino del buddhismo”.18)Vedi Darui Long, “An Interfaith Dialogue between the Chinese Buddhist Leader Taixu and Christians”, Buddhist Christian Studies, 20, 2000, 167-189. Con la creazione della Fondazione Tzu Chi, un’organizzazione caritatevole rinomata in tutto il mondo, Zheng Yen ha scelto di affermare la sua identità buddhista integrando positivamente i frutti della sua conversazione con le suore cattoliche. Non si è convertita, ma ha convertito le idee delle sue interlocutrici all’interno del suo sistema buddhista. Realizzazioni di questo tipo possono anche essere il frutto dell’applicazione del dialogo interreligioso alla comprensione degli incontri interreligiosi.

(Traduzione dall’inglese di Nicholas Ferraro)

Batairwa Kubuya, Incontri, premesse del dialogo interreligioso PDF

Immagine: Primo colloquio tra monache buddhiste e religiose cattoliche, Foguangshan (foto dell’autore)

Paulin Batairwa Kubuya ricopre attualmente la posizione di Sottosegretario al Dicastero per il Dialogo interreligioso. È autore di Meaning and Controversy in Chinese Religion (Palgrave McMillan, 2018) e numerosi altri articoli sui cattolici neldialogo interreligioso a Taiwan, frutto delle sue ricerche e dell suo lavoro accademico al Dipartimento di Studi Religiosi alla Fu Jen Catholic University.

Immagine: Primo colloquio tra monache buddhiste e religiose cattoliche, Foguangshan (foto dell’autore)

References
1 Wang Xiaoxuan, “Christianity and Religious Syncretism”, Working Paper WP, 9, 2017.
2 Wang Xiaoxuan, “Christianity and Religious Syncretism”, 8.
3 Zhang Beibei e Xiaping Shu, “From Abstract Form to Concrete Materialization: An Analysis of Mazu’s Image in Statues and Images”, Religions, 13, 1035, 2022 (https://doi.org/10.3390/rel 13111035).
4 Vedi Nicolas Standaert, Handbook of Christianity in China (635-1800) (Leiden, Brill, 2000); Jean Charbonnier, Histoire des chrétiens de Chine (Paris, Desclée, 1992); Jean Laporte, Les traditions religieuses en Chine (Paris, Cerf, 2003), 221-263; John W. Witek, “Christianity and China: Universal Teaching from the West”, in Stephen Ulley Jr. and Xiaoxin Wu (eds.), China and Christianity: Burdened Past, Hopeful Future (New York, Sharpe, 2001), 11-27.
5 Secondo Jean Charbonnier, l’adozione di questi termini dipese dalla difficoltà di trovare o creare nuovi concetti o semplicemente dal fatto che la traduzione fu effettuata da monaci buddhisti impiegati al servizio della corte imperiale. Vedi Jean Charbonnier, Histoire des chrétiens de Chine, 25.
6 Vedi Jacques Gernet, A History of Chinese Civilization (2e éd., trad. J.R. Foster et Charles Hartman) (Edinburgh: Cambridge Univ. Press, 1996), 373-376.
7 John W. Witek, “Christianity and China’, 17.
8 Jeannine Hill Fletcher, Motherhood as Metaphor: Engendering Interreligious Dialogue (New York: Fordham University Press, 2013), 18.
9 Fletcher, Motherhood as Metaphor, 16.
10 Il Cardinale Paul Yu Pin (1901-1978) fu una figura importante nel dialogo interreligioso a Taiwan. Ha co-fondato la Confraternita dei Credenti Religiosi (Zongjiaotu lianyihui 宗教徒聯誼會), la prima associazione interreligiosa in terra cinese, fondata a Chongqing nel 1943. Inoltre lanciò l’idea di un dipartimento di studi religiosi aperto a tutte le religioni presso la Fu Jen Catholic University nel 1968 e nello stesso anno iniziò la “venerazione del Cielo e degli antenati” (jitianjingzu 祭天敬祖) come attività interreligiosa a cui partecipano tutte le principali religioni taiwanesi. Nel 1976, divenne il primo direttore dell’Istituto delle Religioni Mondiali fondato dal Venerabile Maestro Xüan Hua (Xuanhua Shangren 宣化上人) a Berkeley. Vedi Batairwa Kubuya Paulin, “Paul Yu Pin and the Challenge of Faith Identity in Religious and Denominational Dialogue”, Fu Jen International Religious Studies, 7, 1, 2013, 61-82.
11 Stanislaus Luo Kuang (1911-2004) è stato rettore della Fu Jen Catholic University, arcivescovo di Taipei e vicino collaboratore del Cardinale Paul Yu Pin. Insieme hanno espresso giustificazioni teologiche per la venerazione degli antenati e hanno fondato il dipartimento di Studi Religiosi dell’Università Fu Jen. La ricerca di Luo sulla filosofia cinese aveva come obiettivo la promozione del dialogo tra Oriente e Occidente.
12 Il Cardinale Paul Shan, SJ (1923-2012), noto per le sue forti convinzioni religiose, si è confrontato con il dialogo interreligioso soprattutto grazie alla sua profonda amicizia con il Venerabile Xing Yun 星雲, fondatore del monastero buddhista Foguang Shan 佛光山. Il loro reciproco rispetto e le preoccupazioni condivise erano evidenti nelle apparizioni pubbliche.
13 Vedi Paulin Batairwa Kubuya, Meaning and Controversy in Chinese Religions (New York: Palgrave MacMillan, 2018), 126-134.
14 John C. H. Wu, “Christianity, the only Synthesis really possible between East and West”, in K.T. Sih (a cura di), Chinese Humanism and Christian Spirituality: Essays by John C.H. Wu (New York, 1965), 170.
15 Paul VI, Regimini Ecclesiae universae, 1967, 97-99.
16 Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, Dialogue and Proclamation: Reflection and Orientations on Interreligious Dialogue, 1991. DP 9.
17 DP 42.
18 Vedi Darui Long, “An Interfaith Dialogue between the Chinese Buddhist Leader Taixu and Christians”, Buddhist Christian Studies, 20, 2000, 167-189.