Introduzione

Il presente saggio è dedicato alla vicenda cattolica nella Grande Cina, un’area che include quattro realtà tra loro molto differenti, e cha hanno in comune l’essere abitate dal popolo cinese: la Repubblica Popolare Cinese, Hong Kong, Macao e Taiwan. Anche il cristianesimo in ciascuna delle suddette aree ha diverse storie e si presenta oggi in modo significativamente diverso.

1. Tracce delle antiche presenze cristiane in Cina

 Secondo un’antichissima tradizione della chiesa siro-malabarica del Kerala (India), che ha origine nella predicazione dell’apostolo Tommaso, sarebbe stato proprio quest’ultimo, o qualcuno dei suoi discepoli, a portare per primo l’annuncio cristiano in Cina. Dalle coste orientali dell’India Tommaso avrebbe raggiunto, via mare, la zona sud del Fujian, aperta già allora a traffici e influenze culturali e religiose. Le recenti ricerche di studiosi cinesi e indiani e i significativi indizi che esse riportano, non raggiungono tuttavia la certezza storica.1)Su questo tema vedi Gianni Criveller, “Mission to India and China. Historical and Ecclesial bond between Christianity in India and China”, in J. Palakeel, Evangelizing Mission. The Role and Relevance of Missionary Societies and Congregations in Evangelization and New Evangelization (Beganluru: ATC Publisher, 2018), 162-181.

1.1 Contaminazioni lungo le vie della seta

C’è una data certa che segna l’inizio del cristianesimo in Cina: l’anno 635. Una datazione piuttosto antica rispetto all’espansione del cristianesimo nel mondo. In quell’anno grazie all’azione missionaria della Chiesa siro-orientale, attraverso le comunicazioni commerciali lungo le Vie della Seta, i missionari provenienti da Seleucia-Ctesifonte (vicino all’attuale Bagdad), antica sede metropolitana della Chiesa dell’Est, fondarono promettenti e vivaci presenze di monachesimo cristiano nella Cina della dinastia Tang, che aveva come capitale Chang’an (l’attuale Xi’an).

La “via monastica” al cristianesimo cinese è un tema di grande fascino, ancora insufficientemente conosciuto dal pubblico. Il cristianesimo venne chiamato l’”insegnamento della luce”, un termine che riecheggia l’incontro della fede cristiana con quella buddhista. In quegli stessi anni a Chang’an monaci cristiani e buddhisti tradussero in cinese testi della loro fede: i cristiani dal siriaco; i buddhisti dal sanscrito. La missione monastica nell’epoca Tang è stata caratterizzata dal dialogo e dall’assunzione dei linguaggi culturali e spirituali del buddhismo e perfino del taoismo. Questa ‘contaminazione’ religiosa costituisce a tutt’oggi un paradigma di dialogo interculturale e interreligioso. La vicenda del cristianesimo in epoca Tang, che ci è stata trasmessa dalla nota Stele di Xi’an (datata 781) e da altri testi cristiani ritrovati a Dunhuang nel 1906, si è conclusa con la persecuzione sofferta dai buddhisti nel 843-845.2)Circa la presenza della Chiesa Siro-Orientale in Cina vedi Gianni Criveller, “Christianity’s First Arrival in Cina”, Tripod, 123, 2001, pp. 43-55. Vedi anche Matteo Nicolini Zani, Monaci cristiani in terra cinese. Storia della missione monastica in Cina (Bose: Qiqajon, 2014).

1.2 Il cattolicesimo romano nella Cina della dinastia Yuan

Il cattolicesimo romano fu introdotto in Cina dai frati francescani nel periodo della dinastia Yuan (tra la fine del XIII alla metà XIV secolo). Alcuni dei viaggiatori francescani, tra i quali Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Rubrück, Andrea da Perugia, Odorico da Pordenone e Giovanni de’ Marignolli raggiunsero Khanbaliq, oggi Pechino, la capitale dell’impero. La presenza in Cina di alcuni di loro precede quella riportata dai racconti di Marco Polo. Il più significativo dei missionari fu Giovanni da Montecorvino, primo vescovo di Pechino, dove giunse nel 1293 o 1294, e soggiornò fino alla morte (probabilmente nel 1328). Altri missionari francescani, quasi tutti italiani, lo raggiunsero e acquisirono la lingua dei mongoli, che avevano conquistato la Cina e molta parte dell’Asia, dando vita all’impero contiguo più esteso della storia. I francescani fondarono comunità cattoliche in varie città della Cina orientale, come testimoniano numerosi reperti archeologici. Ma con la salita al potere dei Ming (1368), l’ultima dinastia Han, furono soppresse e interdette tutte le religioni straniere che avevano trovato accoglienza in Cina.3)Su Giovanni da Montecorvino e la missione francescana nel corso della dinastia Yuan vedi Pacifico Sella, Il vangelo in Oriente. Giovanni da Montecorvino, frate minore e primo Vescovo in terra di Cina (1307-1328) (Assisi: Porziuncola, 2008).

2. La parabola della missione moderna in Cina

2.1 Matteo Ricci: la via dell’accomodamento e dell’amicizia

Matteo Ricci e la missione gesuitica in Cina hanno un legame profondo con la modernità.4)Su Matteo Ricci esiste una bibliografia quasi sterminata. Numerosi saggi del presente autore sono presenti anche online. Tra quelli in lingua italiana: Gianni Criveller, Matteo Ricci, missione e ragione (Milano: PIMEdit, 2010) e Vita del Maestro Ricci, Xitai del Grande Occidente (Brescia: Fondazione Civiltà Bresciana, 2010). Furono i gesuiti a creare la prima rete di comunicazione globale attraverso un sofisticato sistema di corrispondenza che li metteva in comunicazione tra loro e un vasto pubblico. La navigazione di allora, piuttosto lenta rispetto ai nostri tempi, ebbe un impatto straordinario. Lo stesso Illuminismo fu influenzato, per quanto involontariamente, dalle rappresentazioni riportate nelle lettere dei gesuiti dalla Cina.

Matteo Ricci visse all’inizio di un enorme processo culturale, scientifico e religioso, e lui stesso applicò strumenti culturali e scientifici moderni a favore della sua missione evangelizzatrice. Introdusse in Cina discipline scientifiche europee, a partire dalla matematica e l’astronomia. La scienza era parte della visione rinascimentale del mondo, umanistica e teologica insieme. Le scienze ‘profane’ non erano contro quelle ‘sacre’. Erano piuttosto parte di un curriculum unitario e coerente, che dall’astronomia arrivava alla teologia, passando dalla matematica.

Ricci chiamava il suo insegnamento “studi del cielo” (Tianxue 天學). Il significato è duplice: studi del cielo fisico (cioè l’astronomia) e del Cielo metafisico (cioè Dio). Introducendosi come scienziato del cielo materiale, Ricci si accreditava come esperto, allo stesso tempo, del Cielo metafisico.

Similmente, produrre mappe implicava una visione religiosa del mondo. Le mappe non erano solo una rappresentazione visuale della geografia, ma un modo per conoscere l’opera della Creazione. Le mappe sono un episodio di incontro di mondi scientifici, un contributo alla produzione del sapere scientifico in Cina e al suo accesso alla modernità. Molti dei nomi geografici oggi utilizzati in Cina sono quelli scelti da Ricci e dai suoi collaboratori, tra i quali il letterato cristiano Leone Li Zhizao.

Un’altra evidenza della modernità di Ricci fu la sua fiducia nei libri. Nel Regno di Mezzo, dove “sono molto pregiate le lettere”, Ricci considerò la produzione di libri essenziale per il successo della missione, in quanto “più si fa nella Cina con libri che con parole”.5)Vedi il mio saggio “‘Un libro tutto fatto di ragioni naturali’. Il Catechismo di Matteo Ricci nel contesto della missione gesuitica in Cina”, in Giovanni Battista Sun e Antonio Olmi (a cura di), Matteo Ricci, Catechismo (Bologna: ESC&ESD, 2013), 15-49.

A Zhaoqing, la prima residenza in Cina, Matteo Ricci e il compagno Michele Ruggieri, su ordine del governatore Wang Pan, si rasarono la testa e indossarono l’abito dei monaci buddhisti (1583). Ma anche Alessandro Valignano, il Visitatore (ovvero superiore plenipotenziario per tutta l’Asia), li voleva con quell’abito, espressione del desiderio di accomodamento. Valignano propugnava il modo soave, ovvero l’accomodamento, come il nuovo metodo missionario per l’Asia orientale. L’accomodamento ha radici teologiche e umanistiche profonde: era uno strumento ermeneutico capace di affrontare, modernamente, complesse questioni culturali e dottrinali.6)Sul tema dell’accomodamento missionario di Matto Ricci e dei gesuiti: Gianni Criveller, Preaching Christ in Late Ming China (Taipei – Brescia: Ricci Institute – Fondazione Civiltà Bresciana, 1997) e The Parable of the Inculturation of the Gospel in China (Hong Kong: Chinese University of Hong Kong, 2003).

L’ascesa a Pechino era l’obiettivo strategico di Ricci: animato da intelligenza e caparbietà non comuni, tra difficoltà, insuccessi e opposizioni di ogni genere, introdusse la fede cristiana in Cina mediante la via dell’amicizia, del dialogo culturale e scientifico. Il sinologo Joseph Needham, e altri con lui, lo considera uno degli uomini migliori nella storia dell’umanità. Unì nel segno dell’amicizia due mondi: l’umanesimo rinascimentale e la civiltà dei Ming.

Nel 1595, Ricci smise l’abito da monaco buddhista, nel quale si era sentito sempre a disagio, e vestì l’abito di letterato confuciano, come gli imponeva la sua inclinazione umanistica. Si stabilì in una nuova città, Nanchang, dove pubblicò il suo primo libro in cinese, Dell’amicizia, il manifesto del suo programma missionario. Un libro di successo, che lo rese noto in tutta la Cina. Seguì presto un altro libro, Il metodo della memoria, e una nuova edizione della sua famosa mappa. E costruendo nuove reti di amicizie e collaborazioni, rimetteva in piedi il progetto di raggiungere la capitale, realizzando così l’ascesa a Pechino, meta della sua strategia missionaria.

L’amicizia fu non solo un manifesto programmatico, ma anche il suo modo di vivere. Aveva tanti amici, soprattutto cinesi, che gli permisero di realizzare i suoi progetti. Gli permise anche di superare la malinconia di cui professava di soffrire. La malinconia fu uno dei più popolari temi letterari e psicologici nell’Europa moderna. Il tempo di Ricci fu il secolo d’oro della malinconia, al cui studio si prestavano le lettere e gli scritti dei missionari. Nel 1621 Robert Burton pubblica a Londra The Anathomy of Melancholy, un trattato fondamentale che introduce la malinconia nel dibattito moderno. L’autore cita Matteo Ricci, il quale era morto nella lontana Pechino solo undici anni prima, numerose volte.7)Sulla malinconia di Matteo Ricci: Gianni Criveller, La malinconia immaginativa di Matteo Ricci (Milano: Pime, 2016) e “The Imaginative Melancholy of Matteo Ricci”, in Filippo Mignini (a cura di0, New Perspectives in the Studies on Matteo Ricci (Macerata: Quolibet, 2019), 174-185.

Matteo Ricci, che aveva fatto dell’ascesa a Pechino l’obiettivo strategico della sua missione, la raggiunge nel 1601 per non lasciarla più, fino alla morte nel 1610. La sua tomba si trova nel giardino del Beijing Administrative College (conosciuto come ‘la scuola del partito comunista’): un segno della forza dell’amicizia che può abbattere il muro di inimicizia che separa persone e popoli.

2.2 Controversie missionarie in Cina

La strategia di accomodamento del visitatore Alessandro Valignano, da lui definito modo soave, corrispondeva a una pratica missionaria antica, ma smarrita nell’epoca dell’espansione iberica nel mondo, quando si adottò piuttosto il metodo della tabula rasa. Ricci e i suoi successori chiesero e ottennero dal papa Paolo V (siamo nel 1615), una singolare dispensa dall’uso del latino nella liturgia. Essa tuttavia non fu messa in pratica per sfavorevoli circostanze che non è possibile illustrare qui. Nel frattempo sorse la spinosa questione dei riti e la missione di Cina venne a trovarsi in uno stato di gravissimo conflitto di opinioni e di contrapposizione tra ordini religiosi. L’obiettivo della richiesta dei gesuiti del 1615 era quello di mettere i fondamenti di una chiesa indigena, cioè formare preti cinesi. La conoscenza della lingua latina, indispensabile per lo studio della teologia, la celebrazione della messa e la recita dell’ufficio divino, era un ostacolo. I gesuiti chiesero anche la dispensa per altri adattamenti liturgici, come il permesso di indossare uno speciale copricapo durante la celebrazione della Messa. Il capo scoperto indicava infatti mancanza di rispetto verso Dio. Le autorità romane, pur avendo permesso l’uso liturgico della lingua cinese, e concesso altri adattamenti liturgici, tra cui quella del copricapo, furono contrarie ad autorizzare l’ordinazione di giovani candidati in una cristianità così recente.8)Gianni Criveller, “La controversia cristologica nella missione moderna in Cina”, in Archivio Teologico Torinese, n. 1, 2004, 111-129 (1), e n. 1, 2006, 208-224 (2).

Qualche decennio dopo, in piena controversia dei Riti (ne accenneremo brevemente fra poco), Roma, che nel frattempo era diventata favorevole alla formazione di clero indigeno, si irrigidì sulla questione del latino, rifiutando di confermare la concessione di Paolo V. La dimensione sempre più ingarbugliata ed esasperata che la controversia dei Riti aveva assunto, insieme al crescente clima di sospetto verso i gesuiti, portarono a questo infelice vicolo cieco.

La controversia dei Riti (1625-1742, con una coda risolutiva nel 1939) fu certamente uno degli episodi più drammatici ed emblematici della vicenda cattolica in Cina e forse nel mondo, e ancora oggi ha conseguenze notevoli sulla prassi e politica religiosa in Cina. Un tema noto e menzionato spesso nei più svariati ambiti, ma non sono molti coloro che in effetti conoscono non diciamo a fondo, ma neanche per sommi capi, le fasi, i personaggi e le questioni sollevate nella centenaria controversia.9)Quasi sterminata è anche la bibliografia sulla controversia dei Riti cinesi. Qui basti ricordare i miei studi di carattere sintetico: La Controversia dei Riti Cinesi (Milano: Pime, 2011); “Il ruolo dei Francescani nella Controversia dei Riti Cinesi”, Rivista di teologia dell’Evangelizzazione, 36, 2014, 351-376; “Giuseppe Castiglione and the Chinese Rites Controversy”, in A. Andreini e F. Vossilla (a cura di), Giuseppe Castiglione gesuita e pittore nel Celeste Impero (Firenze: Edizioni Feeria, 2015); “Martino Martini e la controversia dei riti cinesi”, in Luisa M. Paternicò, Claudia Von Collani e Riccardo Scartezzini (a cura di), Martino Martini, Man of Dialogue (Trento: Università degli Studi di Trento, 2016), 199-222; “The Chinese Rites Controversy: A Narrative of an Ill-Fated Misunderstanding”, in Barbara Hoster, Dirk Kuhlmann e Zbigniew Wesołowski (a cura di), Rooted in Hope/In der Hoffnung verwur-zelt, 1, 2017, 205-227; “The Theological Background of the Chinese Rites Controversy”, in Alexandre Chen Tsung-ming (a cura di), Catholicisms’s Encounters with China, 17th to 20th Century (Leuven: Ferdinand Verbiest Institute, 2018), 177-184; “Giuseppe Castiglione: la missione gesuitica tra riti e immagini”, in Isabella Doniselli (a cura di) Giuseppe Castiglione, Un artista Milanese nel Celeste Impero (Milano: Luni editrice, 2018), 75-82.

La controversia dei Riti cinesi non riguardava l’introduzione dei riti di venerazione degli antenati nella liturgia, come alle volte ritenuto, ma piuttosto se i fedeli cattolici potessero o no praticare i tradizionali riti di venerazione degli antenati nel corso dei funerali, nelle feste del calendario cinese e nelle cerimonie tradizionali e civili, di fronte alle tavolette domestiche nelle case e presso le tombe.

Non esiste ancora una narrazione comprensiva e coerente che renda ragione della complessità sinologica, antropologica, linguistica, teologica, missionologica, storica e diplomatica dell’intricata vicenda. Non è qui possibile offrire una sintesi storica. Dopo anni di studio di questa complessa vicenda mi sono persuaso che si trattò di una vicenda fondamentalmente linguistica e teologica, e solo conseguentemente politica e diplomatica.

2.3 Luci e ombre della missione cattolica in Cina nell’epoca moderna

La controversia dei Riti cinesi è un episodio cruciale di questa involuzione che porterà, oltre che alla distruzione del metodo missionario dell’accomodamento e alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), a una visione negativa delle esperienze religiose e delle culture non cristiane.10)Questioni trattate nella monografia da me curata: Gianni Criveller, La Cina e il Cristianesimo (Bologna: Ad Gentes, 2011).

A partire dal XVIII secolo la missione in Cina soffre di una clamorosa svolta conservatrice, causate dal mutato clima culturale e religioso: l’illuminismo del XVIII secolo e il nazionalismo colonialista del XIX secolo erano imbevuti di senso di superiorità e di ostilità verso l’alterità e la diversità.

Il clima spirituale, fortemente impregnato di giansenismo, che influenzava soprattutto il corpo missionario francese, allora il più importante e numeroso, negava valore e dignità all’esperienza umana al di fuori del cristianesimo.

Sono pochissime le voci fuori del coro: tra esse il segretario e poi prefetto di Propaganda Fide Stefano Borgia, che nel 1787 descrive, inascoltato, quanto sia assurda l’imposizione ai cattolici cinesi di vicari apostolici europei (ovvero vescovi) e della lingua latina.11)Gianni Criveller, “Stefano Borgia’s Two Memorials on the Need to Appoint Chinese Bishops (1787)”, in Noël Golvers e Sara Lievens (a cura di), A Lifelong Dedication to the China Mission. Essays Presented in Honor of Father Jeroom Heyndrickx, CICM (Leuven: Ferdinand Verbiest Institute, 2007), 53-84.

A partire dalla metà del XIX secolo, perso definitivamente ogni potere politico, la Santa Sede punta sulla rinascita spirituale del popolo cattolico, centrata sulle devozioni verso il Sacro Cuore (siamo nel secolo del romanticismo), verso la Madonna (dogma dell’Immacolata del 1854) e il papa stesso (dogma dell’infallibilità del 1870). Tali pratiche devozionali ebbero un enorme impatto nell’impresa missionaria in Cina a partire dalla metà del XIX secolo.

La missione in Cina era caduta in una gravissima crisi dai tempi della conclusione della questione dei Riti cinesi e della soppressione dei gesuiti. Per un secolo il cattolicesimo in Cina visse in un clima di clandestinità, senza l’appoggio dei missionari stranieri, ridotti a poche decine, e concentrati quasi esclusivamente a corte a servizio dell’Imperatore. Tra essi il grande artista milanese Giuseppe Castiglione (1688-1766), conosciuto in tutta la Cina per i suoi ritratti degli imperatori, dei loro familiari e degli amatissimi cavalli.

A partire dalla metà del XIX secolo, la Santa Sede sostiene nuovi istituti missionari direttamente soggetti alle sue direttive: i missionari in Cina devono fondare le chiese, installare le strutture ecclesiastiche, educative e sociali (seminario, scuole, cliniche, orfanatrofi, ecc.). Grande impegno viene profuso per la salvezza delle bambine e l’educazione delle giovani donne, opponendosi alla pratica della fasciatura dei piedi e proponendo la via religiosa come alternativa al matrimonio, sempre imposto alla volontà delle ragazze. Non c’è invece dialogo con le culture, le scienze e le religioni.

Molti missionari tardarono a realizzare la promozione della chiesa locale, negando al clero indigeno ruoli guida, nonostante che questo venisse richiesto dalla Santa Sede. Alcuni missionari sovraccaricano la missione di valenza nazionalistica, al punto da costringere papa Benedetto XV a un grave richiamo nel 1919, con l’enciclica Maximun Illud. Essa fu scritta principalmente per correggere la situazione delle missioni in Cina, troppo estranee alla civiltà cinese.12)Gianni Criveller “The Chinese Priests of the College for the Chinese in Naples and the Promotion of the Indigenous Clergy (XVIII-XIX)”, in Rachel Yan Lu e Philip Vanhaelemeersch (a cura di), Silent Force: Native Converts in the Catholic China Mission (Leuven: Verbiest Foundation, 2009), 147-183.

La promozione del clero locale iniziò timidamente, e con gravi opposizioni, solo a partire dal 1926, grazie a figure come Celso Costantini (delegato vaticano in Cina dal 1923) e dai missionari in Cina Vincent Lebbe (belga) e Antoine Cotta (americano). Anche il Superiore generale del PIME Paolo Manna scrive nel 1929 un lucido e allarmato rapporto sul grave stato della missione in Cina, definita come un enclave straniero. Un testo rimasto però secretato per 50 anni.

Questi ritardi hanno portato a conseguenze non ancora superate. La politica religiosa delle autorità della Repubblica Popolare Cinese, per quanto ingiustificata perché illiberale, strumentale e manipolatoria, si basa, in chiave rivendicazionista e polemica, come contrasto alle pratiche coloniali dell’attività missionaria in Cina.

La polemica anticolonialista ha prodotto gli ‘studi post-coloniali’, l’attacco all’ ‘orientalismo’ (il modo strumentale di descrivere l’oriente dal punto di vista dell’occidente) e gli ‘studi subalterni’. Quest’ultimi, debitori del pensiero postmoderno, rappresentano una voce importante nell’ambito della critica alla commistione tra attività missionaria e colonialismo.

Tuttavia, sarebbe gravemente ingiusto ridurre il secolo di attività missionaria che va dalla metà del XIX fino alla metà del XX secolo come un episodio di colonialismo o imperialismo. La gran parte dei missionari fu sinceramente e generosamente impegnata con il popolo cinese in ambito non solo religioso, ma anche educativo, medico, economico e sociale. Furono i missionari a promuovere l’emancipazione femminile dando loro istruzione e la possibilità di scelte di vita fuori dai vincoli familiari e a salvare la vita a moltissime persone introducendo la medicina occidentale e creando cliniche e ospedali. Tantissime nuove idee e conoscenze, incluse quelle delle scienze e della democrazia invocate dal movimento studentesco del quattro maggio 1919, furono introdotte in Cina grazie alle scuole e alle università fondate dai missionari cristiani.13)Sulle controverse vicende del Cristianesimo in Cina tra i secoli 19mo e 20mo vedi i miei seguenti saggi: Gianni Criveller, “China, the Holy See and France. The Giulianelli Mission to the Chinese Emperor and Its Aftermath (1885-1886)”, in The Boxer Movement and Christianity in China (Taipei: Fujen University Publishing House, 2004), 46-88; “The Roman Seminary in Southern Shaanxi”, in Agostino Giovagnoli e Elisa Giunipero (a cura di), The Catholic Church and the Chinese World. Between Colonialism and Evangelization (1840-1911) (Rome: Urbaniana University Press, 2005), 179-210; Angelo S. Lazzarotto e Gianni Criveller, Alberico Crescitelli, martire in Cina (Bologna: Emi, 2005).

3. Il cattolicesimo nella Repubblica Popolare Cinese

3.1 La vita dei cattolici cinesi negli ultimi quattro decenni

Durante i decenni delle campagne politiche antireligiose, soprattutto durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale (1966-1976), moltissime chiese furono distrutte oppure adibite ad altro uso. La chiesa di Sant’Ignazio, ora cattedrale di Shanghai, fu trasformata in deposito per il mercato ortofrutticolo. Furono distrutti quasi tutti gli oggetti liturgici: calici, messali, vesti, crocifissi e le suppellettili interne alle chiese, quadri, statue, candelabri, immagini, vetrate, confessionali, altari… Certamente sono andati persi molti oggetti importanti per la conoscenza della storia della chiesa in Cina, come pure sono andate perdute opere di valore artistico e storico. La distruzione non aveva di mira la sola chiesa cattolica, o solo le religioni, ma anche altre persone non allineate e i patrimoni artistico e culturale.

Negli anni delle campagne politiche la vita cristiana sopravvisse, grazie alle devozioni radicate profondamente nella tradizione e delle famiglie cattoliche: la devozione mariana, al Sacro Cuore e allo stesso papa. Ma poiché persino i bambini venivano istigati a denunciare i propri familiari, in molte famiglie divenne impossibile insegnare le cose della fede e le preghiere.14)Gianni Criveller, “The Martyrdom of Catholics in China”, World Mission, March 2018, 18-21.

La “politica dell’apertura” di Deng Xiaoping (1979) permise alla chiesa di risorgere,15)Circa la vicenda cattolica in Cina negli ultimi 50 anni vedi il mio recente saggio: “Cattolico e Cinese”, Il Regno Attualità, 2, 2020, 47-61. anche se le autorità non rinunciarono mai a controllare la vita della chiesa attraverso l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi. Molti si rifiutarono di sottostare a tale organizzazione, dando vita alle comunità sotterranee, che tuttora raccolgono molti cattolici cinesi. Altri, loro malgrado, accettarono la politica religiosa in cambio della possibilità di poter tornare a celebrare pubblicamente nelle chiese, progressivamente riparate e restituite al culto.

Si calcola che nel 1980 erano sopravvissuti circa 1000 presbiteri, 13 vescovi nominati dal papa Pio XII e quasi 30 vescovi illegittimi, consacrati tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Il clero era esclusivamente cinese, essendo i missionari stati espulsi fin dai primi anni ’50. Ripresero le celebrazioni liturgiche pubbliche presso le chiese riaperte, e quelle clandestine, presso le case di cattolici coraggiosi.

Negli anni ’80 del secolo scorso, i primi del nuovo corso politico e sociale, missionari stranieri ripresero a visitare la Cina per riconnettersi e sostenere le comunità cattoliche e formare i loro leader. Nel 1980 a Hong Kong, ancora colonia britannica, il vescovo Giovanni B. Wu Cheng-chung fondò il Centro Studi dello Spirito Santo, il cui scopo era di riallacciare un contatto con le comunità cristiane cinesi, di cui non si sapeva quasi nulla.

Uno dei compiti del Centro era di provvedere il minimo indispensabile per un ritorno alla vita liturgica delle comunità, sia della chiesa aperta come di quella sotterranea. Furono dunque provveduti ai vescovi e ai preti calici e patene, vesti sacre, messali, breviari, libri. Ai fedeli venivano portati rosari e libretti di preghiere. Non sempre il materiale donato era di valore, sicuramente non poteva essere paragonato alla antichità e preziosità del materiale liturgico andato distrutto o disperso. Nei seminari venivano allestite biblioteche con libri portati o spediti in Cina, in particolare nel seminario di Shanghai.

La vita delle comunità cristiane negli anni ’80 era ancora molto difficoltosa, si doveva ripartire da zero. Il clero era ignaro del rinnovamento liturgico iniziato dal Concilio Vaticano II. Di conseguenza le celebrazioni liturgiche erano in latino e seguivano il rito anteriore alla riforma liturgica di Paolo VI.

Ho assistito a una Messa in latino in Cina presso la chiesa del Nord di Pechino nel 1992. Nei numerosi viaggi di quegli anni (lavoravo presso l’Holy Spirit Study Centre in Hong Kong) mi capitò spesso di alzarmi presto per poter assistere alla messa, sempre in latino, nelle chiese fredde e buie di Pechino e di altre città della Cina.

Come abbiamo visto sopra, la Cina fu il primo e l’unico paese a cui fu concesso, già in prima epoca moderna, l’uso liturgico della lingua locale (1615). Tale concessione restò, un po’ misteriosamente e molto sfortunatamente, solo sulla carta. E, per un singolare paradosso, la Cina fu l’ultimo paese a conoscere e applicare la riforma del Concilio Vaticano II.

I cattolici di Cina hanno potuto riallacciare il contatto con la chiesa universale solo a partire dagli inizi degli anni ’80. Molti laici, religiosi, preti e vescovi erano ancora in prigione, ma non pochi sacerdoti poterono finalmente tornare a celebrare la messa per i fedeli. Molti tra loro faticarono però ad accettare il rinnovamento liturgico. La loro mentalità liturgica era cristallizzata agli anni ’50 del secolo scorso. Si è dovuto attendere gli anni ’90, l’ordinazione di preti giovani e un più fitto rapporto con le chiese-ponte di Taiwan e Hong Kong, affinché la lingua cinese e i nuovi riti fossero introdotti nella Cina continentale.16)Gianni Criveller, “Paradossi della vicenda liturgica in Cina”, Liturgia, XXXIX, 2005, 12-18.

3.2 Tra inculturazione e sinizzazione

Oggi in Cina si celebra in lingua cinese (putonghua). Tuttavia, mi è capitato di ascoltare opinioni meno che favorevoli circa le novità liturgiche. Un episodio fu una minuscola controversia a Pechino attorno all’anno 2000. In una cappella laterale della Chiesa del Nord (oggi cattedrale di Pechino) è stato collocato un quadro raffigurante la Madre di Dio, Imperatrice della Cina. La Madonna col Bambino Gesù, dipinta a olio da un pittore contemporaneo di Macao, indossa una lussuosa veste imperiale mancese, e ha lineamenti cinesi. A molti piace questo dipinto di visualità cristiana in stile cinese. Ma non tutti i cattolici di Pechino l’apprezzano. Alcuni pensano che Maria, non essendo cinese, non dovrebbe essere artificiosamente rappresentata come cinese. Per loro la ‘Madonna cinese’ somiglia troppo a Guanyin, la dea buddhista della misericordia. La loro obbiezione, che avevo avuto modo di ascoltare anche da parte di alcuni cattolici di Taiwan, può essere espressa così: “Questa immagine ci confonde, noi ora siamo cattolici e non più buddhisti”.

Se la lingua locale è stata ormai accettata dalla stragrande maggioranza dei fedeli e i giovani preti celebrano soltanto in cinese, tuttavia non abbiamo ancora una significava osmosi tra cultura cinese e liturgia. Nella Cina popolare la liturgia non presenta forme significative di adattamento, cosicché i cattolici cinesi possano esprimere la loro fede attraverso congeniali forme culturali e cultuali.

I due decenni a cavallo del millennio furono segnati dalla grande emigrazione interna dalle campagne alle periferie cittadine e centri industriali, generando un significativo conflitto tra cattolicesimo rurale e cittadino. Oggi ci sono tante sfide aperte come la necessità di un maggiore coinvolgimento dei laici, l’attenzione ai cinesi all’estero e una maggiore attenzione alla dimensione spirituale dell’esistenza.

Negli ultimi anni le possibilità di una presenza di missionari stranieri in Cina si è ridotta considerevolmente, ma è aumentata notevolmente la capacità della chiesa cinese di accogliere le sfide pastorali e sociali, come l’impegno a sostenere le persone anziane.

Se, da una parte, il messaggio cristiano si incultura ovunque nelle culture del mondo, le autorità politiche odierne perseguono la ‘sinizzazione’ del cattolicesimo (e di ogni altra fede religiosa), imponendo una agenda ‘patriottica’ ai credenti attraverso la politica delle tre indipendenze: la chiesa deve diventare indipendente da forze straniere, adattarsi alla condizione del paese e in particolare adattarsi alla società socialista.

A noi sembra che la sinizzazione non sia il legittimo processo di inculturazione ecclesiale. Si tratta piuttosto di un programma politico, di una illegittima interferenza del potere nella sfera dell’autonomia religiosa.

C’è da augurarsi che presto la chiesa di Cina abbia la libertà, l’unità e la serenità necessarie per avviare una riflessione teologica adeguata alle sfide della modernità e alla ricchezza della tradizione culturale cinese. Purtroppo a tutt’oggi la politica religiosa governa in modo sempre più invasivo e pervasivo ogni aspetto della vita del popolo cinese, infrangendo la libertà delle comunità cattoliche e l’autonomia degli organismi ecclesiali.

4. La diocesi di Macao, incontro tra cultura portoghese e cinese

La diocesi di Macao fu eretta nel 1576, la prima creata nell’Asia orientale in tempi moderni. Da qui il Vangelo è stato portato in Cina continentale, Giappone, Corea, Vietnam, Timor, Tonchino (Vietnam del Nord) e nelle isole dell’Asia orientale. Macao deve molto a due protagonisti della storia missionaria. Il primo, Alessandro Valignano, introdusse l’inculturazione nelle missioni dell’Asia. Il secondo, Matteo Ricci, ne attuò le direttive in Cina, introducendo il Vangelo attraverso l’amicizia e il dialogo culturale e scientifico.17)Gianni Criveller, “Macau, December 20, 1999”, Tripod, 114, 1999, 45-48.

La cattedrale di San Paolo (inizio del XVII secolo), costruita per volontà dei gesuiti con manodopera giapponese e cinese, di cui rimane solo l’enorme facciata che sembra appoggiata al cielo, costituisce una suggestiva icona del cattolicesimo a Macao e nella stessa Cina: un passato con grandi ambizioni, un presente difficoltoso e un futuro ancora più incerto.

La facciata della cattedrale è anche simbolo dell’incontro di Oriente e Occidente, la caratteristica di questa città. Macao è stato, e in parte è ancora, un laboratorio di incontro di fedi e culture. La cultura cattolica ha generato la comunità macanese, un incontro tra le culture portoghese e cinese, che con le sue chiese barocche, piazze e villaggi dal gusto mediterraneo, riti, processioni, statue e tradizioni religiose ereditate dal colonialismo portoghese danno ancora oggi un tono del tutto particolare a questa città del sud della Cina unica e speciale.

Nel 1988 Domingos Lam fu eletto primo vescovo cinese dopo più di 400 anni. Guidò la diocesi durante il delicato passaggio di consegne dall’amministrazione coloniale portoghese alle autorità cinesi nel 1999 e mise le basi per costituire l’Università di San Giuseppe, unica università cattolica operante in territorio continentale cinese.

Macao è—ugualmente a Hong Kong—un territorio ad amministrazione speciale, 650 mila abitanti, sotto l’autorità di Pechino. Non ha avuto una comunità cristiana e un’opinione pubblica vivaci come quella di Hong Kong e il futuro del cristianesimo nella città dei casinò rimane incerto. Le vestigia del passato non sono sufficienti.

Il rapporto con le amministrazioni governative appare cordiale, ma la chiesa è esclusa dai grandi piani di sviluppo residenziale e industriale, e rimane problematica la questione del gioco d’azzardo. Ma per il visitatore, Macao è sempre un luogo suggestivo di contaminazione tra cattolicesimo iberico e vitalità cinese.

5. La vicenda cattolica di Taiwan, laboratorio di interculturalità

La vicenda cattolica di Taiwan è piuttosto singolare e semi-sconosciuta.18)Gianni Criveller, Maschere e Volti della Cina di Oggi. Taiwan. Hong Kong e Cina Continentale nel loro incontro con l’Occidente e il Cristianesimo (Bologna: EMI, 2001); “Dalla parte di Taiwan”, Mondo e Missione, Marzo 2008, 62-65; “Taiwan: la fede non è un «business»“, Mondo e Missione, 7, 1993, 488-491. Essa è iniziata nel 1626 con i missionari domenicani spagnoli. Dopo la loro espulsione a opera degli olandesi, i domenicani sono tornati a evangelizzare l’isola (inizialmente conosciuta con il nome coloniale di Formosa) nel 1859, incontrando notevoli difficoltà culturali e politiche e ottenendo scarsi risultati. Dopo la seconda guerra mondiale, centinaia di missionari e migliaia di fedeli cattolici, costretti ad abbandonare la Cina, si stabilirono a Taiwan, dando un forte sviluppo all’evangelizzazione. Per alcuni decenni la chiesa cinese in esilio fu sentita estranea o persino avversa dalla gran parte dei taiwanesi.

Ma a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, quando Taiwan ebbe il più alto numero di clero in rapporto a quello dei fedeli, l’isola divenne un intenso campo di azione missionaria e luogo di sperimentazioni di incontro tra cristianesimo e culture cinesi. Taiwan divenne un laboratorio di dialogo tra le fedi e di interculturalità.

Grazie allo studio teologico dell’università cattolica di Fu Jen (Taipei), c’erano stati dei tentativi di adattamento liturgico: in alcuni momenti celebrativi si leggevano brani dei classici cinesi. A Taiwan, nella città di Kaohsiung, c’è l’unica chiesa, di cui io sappia, ad avere il presbiterio e l’altare che si rifà alla forma di un tradizionale altare familiare cinese. Ciò è stato possibile grazie alla risoluzione della questione dei Riti cinesi, avvenuta già nel 1939, ma che ha avuto bisogno di un lungo periodo per essere accolta.

La risoluzione della secolare questione ha permesso di introdurre nelle celebrazioni cattoliche, in particolare quelle per l’inizio dell’anno lunare e per la commemorazione dei defunti, riti di rispetto e onore verso i defunti e gli antenati. Ciò viene fatto secondo la tradizione cinese: l’uso delle tavolette con il nome del defunto; tre inchini; offerta di frutta; offerta dei bastoncini di incenso… Questi riti sono legittimamente praticati da tempo a Taiwan come a Hong Kong e solo lentamente e piuttosto raramente nella Cina Popolare.

Oggi le chiese cattolica e protestante sono fortemente legate all’isola e presenti tra le popolazioni etniche delle montagne che, nella loro totalità, hanno aderito al cristianesimo.

La Santa sede ha una nunziatura a Taiwan e i cattolici in Taiwan sono liberi e in dialogo con credenti di altre religioni. La chiesa ha svolto il ruolo di Chiesa-ponte verso la Cina, missione che ora risulta molto difficile a causa degli sviluppi politici nel Continente. La sfida della multiculturalità, multi-religiosità, della secolarizzazione e l’irrisolto rapporto con Pechino costituiscono importanti sfide che la chiesa cattolica di Taiwan affronta con le deboli forze di una minoranza religiosa, con apprensione per il futuro.

Purtroppo si sente parlare di questa isola, relativamente piccola e di 24 milioni di abitanti, in relazione alla possibile azione di riunificazione da parte della Cina. Le tensioni politiche dell’estate 2022 e le sempre più frequenti e minacciose esercitazioni militari riportano frequentemente l’attenzione su Taiwan. L’isola rischia di essere considerata solo come oggetto di tensione tra Cina e Stati Uniti per il controllo dell’oceano Pacifico. Essa merita invece di essere conosciuta e apprezzata per quello che è. E la gente di Taiwan meriterebbe di essere ascoltata.

6. Il cattolicesimo di Hong Kong, tra impegno sociale, inculturazione e dialogo interreligioso

Hong Kong nasce come una colonia britannica nel 1841 e la sua storia missionaria si interseca, necessariamente, con gli eventi politici e sociali della città. I missionari del Pime di Milano hanno guidato la missione di Hong Kong fino a quando, nel 1969, essa non è stata consegnata al primo vescovo cinese, Francis Hsu.19)Gianni Criveller, From Milan to Hong Kong. 150 years of mission. Pontifical Institute for the Foreign Mission 1858-2009) (Hong Kong: Vox Amica Press, 2008); Cinque secoli di Italiani a Hong Kong e Macau (Milano: Brioschi, 2014) (con A. Schiavo, A. Paratico e M. Errante).

Hong Kong è una delle comunità cattoliche più vivaci dell’Asia orientale e, nonostante costituisca solo il 6% della popolazione, ha un grande impatto sulla società, al punto che la quasi totalità dei leader democratici (alcuni dei quali ora in carcere) provengono dalle associazioni, parrocchie e scuole cattoliche. Il Cardinale Joseph Zen, arrestato lo scorso 11 maggio 2022, rilasciato su cauzione e ora ancora in attesa di un secondo procedimento giudiziario, è considerato la ‘coscienza di Hong Kong’. L’impegno per la giustizia sociale, l’inculturazione e il dialogo interreligioso sono le vie principali della missione evangelizzatrice a Hong Kong.

Hong Kong conta più di sette milioni e mezzo di abitanti e, fino allo scoppio della pandemia, almeno quattro mila adulti chiedevano ogni anno di entrare nella chiesa cattolica. Notevole è l’impegno di solidarietà ecclesiale e missionaria verso la Cina continentale, essendo stata considerata dagli inizi degli anni ’80 una ‘chiesa ponte’ con la Cina. Ma i cristiani (cattolici, anglicani e protestanti) a Hong Kong si trovano ora, a causa dell’introduzione della legge sulla Sicurezza Nazionale (2020), in una delle stagioni più buie della propria storia. Non solo la libertà politica, ma anche quella religiosa sembrano in pericolo. Un numero sostanziale di persone lascia la città, tra loro molte giovani famiglie con bambini piccoli, docenti e giovani coinvolti nel movimento democratico. Molti tra di loro sono cattolici. E molto numerosi, tra i democratici incarcerati, sono i cristiani. Le parrocchie risentono del vuoto di coloro che sono emigrati.20)Gianni Criveller, “L’impronta cattolica sui due fronti della città contesa”, Limes, 9, 2019; “Hong Kong Taken Over by the National Security Law”, Religions & Christianity in Today’s China, 2020, 25-31.

Il vescovo cattolico Stephen Chow, che dopo una lunga attesa è stato chiamato alla guida di Hong Kong nel 2021, ha di fronte a sé un compito difficile. Egli confida nell’unità della comunità ecclesiale, sul dialogo con i giovani e nel continuo supporto dei missionari stranieri. Egli ha invitato il popolo cristiano ad accettare i cambiamenti anche quando non sono condivisi, e a non perdere la speranza. Lo spazio per l’annuncio della fede e la vita cattolica a Hong Kong è alquanto incerto.

Appendice: schema per una storia del cristianesimo in Cina

I Cristianesimo antico: secoli VII-XIV (dinastie Tang e Yuan)

1. La chiesa siro-orientale: contaminazioni religiose sulla Via della Seta (dal 635).

2. La missione francescana nell’impero mongolo (1294-1363).

II La missione moderna in Cina e in Asia orientale: secoli XVI-XVIII (Ming e Qing)

3. Missione in Asia orientale: da Francesco Saverio alla “generazione dei giganti” in Cina (secoli XVI-XVIII).

4. Il “secolo cristiano” del Giappone. Espansione e persecuzione (secoli XVI-XVII).

5. I gesuiti in Cina: l’accomodamento e l’apostolato culturale e scientifico (1582-1720).

6. Matteo Ricci, missionario dell’amicizia (1552-1610).

7. La missione degli ordini mendicanti, ispirazione e metodo (dal 1632).

8. La reazione cinese: convertiti e avversari (1595-1720). L’Editto di tolleranza di Kangxi (1692).

9. La controversia dei Riti. Prima fase: origine e primi sviluppi (1636-1691); seconda fase: condanna ed epilogo (1692- 1742).

10. Un secolo di declino: proibizione del cristianesimo e resistenza dei cristiani (1742-1842).

11. La questione del clero indigeno e dell’inculturazione.

12. Corea, l’auto-generazione di una chiesa: il messaggio cristiano importato da Pechino.

III Il cristianesimo nell’età dell’imperialismo Secoli XIX – XX (Qing e Repubblica di Cina)

13. Robert Morrison e l’introduzione del protestantesimo in Cina (1807). Traduzione della bibbia in cinese.

14. Un secolo di espansione missionaria, di servizio sociale ed educativo (1842-1949).

15. Imperialismo e attività missionaria: i ‘casi missionari’, la rivoluzione dei Boxer (1900).

16. La promozione dell’inculturazione e del ‘clero indigeno’ in Cina: Vincent Lebbe, Celso Costantini, Luke Chen, Ma Xiangbo e John Wu Jingxong.

IV Cristianesimo nella nuova Cina Secoli XX-XXI (RPC)

17. Le campagne politiche del regime maoista (1949-1976).

18. Le “porte aperte”, la politica della “libertà di credo religioso”, la nuova legge sulla libertà religiosa del 1 febbraio 2018 (1979-2022).

19. Il cristianesimo nella “Grande Cina”: Taiwan, Hong Kong e Macao.

20. La ‘febbre cristiana’ in Cina: le chiese domestiche, i gruppi evangelici.

21. I cristiani culturali e la nascita della sino-teologia: cultura e fede (1989-2016).

22. La chiesa cattolica e le sfide attuali: le divisioni interne, il controllo e la repressione governativa, il caso irrisolto di Shanghai (2012), i difficili rapporti tra Cina e Santa Sede, l’accordo provvisorio e segreto del 2018 rinnovato nel 2020 e 2022.

23. Hong Kong: I cristiani protagonisti del movimento democratico: il quattro giugno 1989 e le veglie in ricordo di Tiananmen, il primo tentativo di introduzione della legge sulla sicurezza nazionale (2003), la rivoluzione degli ombrelli (2014), il movimento democratico del 2019, l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale (1 luglio 2020), gli arresti dei giovani e dei leader democratici, il card Zen ‘coscienza di Hong Kong’.

Criveller, Il cattolicesimo nella Grande Cina PDF

Immagine: Missionaria canossiana italiana a Hong Kong, fine 1800, con bambine e bambini orfani e disabili (Archivio Generale del Pime, Milano, con permesso)

Gianni Criveller, direttore del Centro PIME di Milano, è teologo e sinologo. Per circa 30 anni ha vissuto tra il popolo cinese nelle quattro aree della ‘Grande Cina’ (Taiwan, Macau, Hong Kong e RPC). È docente di Teologia a Hong Kong, a Monza e a Milano e ricercatore presso L’Università Cinese di Hong Kong. È esperto della vicenda missionaria in Cina, in particolare di Matteo Ricci (è stato presidente della commissione storica per la sua beatificazione), delle strategie missionarie in Cina e della controversia dei Riti cinesi. Commenta le vicende contemporanee, in particolare la situazione della chiesa cattolica in Cina e la vicenda di Hong Kong e Taiwan.

References
1 Su questo tema vedi Gianni Criveller, “Mission to India and China. Historical and Ecclesial bond between Christianity in India and China”, in J. Palakeel, Evangelizing Mission. The Role and Relevance of Missionary Societies and Congregations in Evangelization and New Evangelization (Beganluru: ATC Publisher, 2018), 162-181.
2 Circa la presenza della Chiesa Siro-Orientale in Cina vedi Gianni Criveller, “Christianity’s First Arrival in Cina”, Tripod, 123, 2001, pp. 43-55. Vedi anche Matteo Nicolini Zani, Monaci cristiani in terra cinese. Storia della missione monastica in Cina (Bose: Qiqajon, 2014).
3 Su Giovanni da Montecorvino e la missione francescana nel corso della dinastia Yuan vedi Pacifico Sella, Il vangelo in Oriente. Giovanni da Montecorvino, frate minore e primo Vescovo in terra di Cina (1307-1328) (Assisi: Porziuncola, 2008).
4 Su Matteo Ricci esiste una bibliografia quasi sterminata. Numerosi saggi del presente autore sono presenti anche online. Tra quelli in lingua italiana: Gianni Criveller, Matteo Ricci, missione e ragione (Milano: PIMEdit, 2010) e Vita del Maestro Ricci, Xitai del Grande Occidente (Brescia: Fondazione Civiltà Bresciana, 2010).
5 Vedi il mio saggio “‘Un libro tutto fatto di ragioni naturali’. Il Catechismo di Matteo Ricci nel contesto della missione gesuitica in Cina”, in Giovanni Battista Sun e Antonio Olmi (a cura di), Matteo Ricci, Catechismo (Bologna: ESC&ESD, 2013), 15-49.
6 Sul tema dell’accomodamento missionario di Matto Ricci e dei gesuiti: Gianni Criveller, Preaching Christ in Late Ming China (Taipei – Brescia: Ricci Institute – Fondazione Civiltà Bresciana, 1997) e The Parable of the Inculturation of the Gospel in China (Hong Kong: Chinese University of Hong Kong, 2003).
7 Sulla malinconia di Matteo Ricci: Gianni Criveller, La malinconia immaginativa di Matteo Ricci (Milano: Pime, 2016) e “The Imaginative Melancholy of Matteo Ricci”, in Filippo Mignini (a cura di0, New Perspectives in the Studies on Matteo Ricci (Macerata: Quolibet, 2019), 174-185.
8 Gianni Criveller, “La controversia cristologica nella missione moderna in Cina”, in Archivio Teologico Torinese, n. 1, 2004, 111-129 (1), e n. 1, 2006, 208-224 (2).
9 Quasi sterminata è anche la bibliografia sulla controversia dei Riti cinesi. Qui basti ricordare i miei studi di carattere sintetico: La Controversia dei Riti Cinesi (Milano: Pime, 2011); “Il ruolo dei Francescani nella Controversia dei Riti Cinesi”, Rivista di teologia dell’Evangelizzazione, 36, 2014, 351-376; “Giuseppe Castiglione and the Chinese Rites Controversy”, in A. Andreini e F. Vossilla (a cura di), Giuseppe Castiglione gesuita e pittore nel Celeste Impero (Firenze: Edizioni Feeria, 2015); “Martino Martini e la controversia dei riti cinesi”, in Luisa M. Paternicò, Claudia Von Collani e Riccardo Scartezzini (a cura di), Martino Martini, Man of Dialogue (Trento: Università degli Studi di Trento, 2016), 199-222; “The Chinese Rites Controversy: A Narrative of an Ill-Fated Misunderstanding”, in Barbara Hoster, Dirk Kuhlmann e Zbigniew Wesołowski (a cura di), Rooted in Hope/In der Hoffnung verwur-zelt, 1, 2017, 205-227; “The Theological Background of the Chinese Rites Controversy”, in Alexandre Chen Tsung-ming (a cura di), Catholicisms’s Encounters with China, 17th to 20th Century (Leuven: Ferdinand Verbiest Institute, 2018), 177-184; “Giuseppe Castiglione: la missione gesuitica tra riti e immagini”, in Isabella Doniselli (a cura di) Giuseppe Castiglione, Un artista Milanese nel Celeste Impero (Milano: Luni editrice, 2018), 75-82.
10 Questioni trattate nella monografia da me curata: Gianni Criveller, La Cina e il Cristianesimo (Bologna: Ad Gentes, 2011).
11 Gianni Criveller, “Stefano Borgia’s Two Memorials on the Need to Appoint Chinese Bishops (1787)”, in Noël Golvers e Sara Lievens (a cura di), A Lifelong Dedication to the China Mission. Essays Presented in Honor of Father Jeroom Heyndrickx, CICM (Leuven: Ferdinand Verbiest Institute, 2007), 53-84.
12 Gianni Criveller “The Chinese Priests of the College for the Chinese in Naples and the Promotion of the Indigenous Clergy (XVIII-XIX)”, in Rachel Yan Lu e Philip Vanhaelemeersch (a cura di), Silent Force: Native Converts in the Catholic China Mission (Leuven: Verbiest Foundation, 2009), 147-183.
13 Sulle controverse vicende del Cristianesimo in Cina tra i secoli 19mo e 20mo vedi i miei seguenti saggi: Gianni Criveller, “China, the Holy See and France. The Giulianelli Mission to the Chinese Emperor and Its Aftermath (1885-1886)”, in The Boxer Movement and Christianity in China (Taipei: Fujen University Publishing House, 2004), 46-88; “The Roman Seminary in Southern Shaanxi”, in Agostino Giovagnoli e Elisa Giunipero (a cura di), The Catholic Church and the Chinese World. Between Colonialism and Evangelization (1840-1911) (Rome: Urbaniana University Press, 2005), 179-210; Angelo S. Lazzarotto e Gianni Criveller, Alberico Crescitelli, martire in Cina (Bologna: Emi, 2005).
14 Gianni Criveller, “The Martyrdom of Catholics in China”, World Mission, March 2018, 18-21.
15 Circa la vicenda cattolica in Cina negli ultimi 50 anni vedi il mio recente saggio: “Cattolico e Cinese”, Il Regno Attualità, 2, 2020, 47-61.
16 Gianni Criveller, “Paradossi della vicenda liturgica in Cina”, Liturgia, XXXIX, 2005, 12-18.
17 Gianni Criveller, “Macau, December 20, 1999”, Tripod, 114, 1999, 45-48.
18 Gianni Criveller, Maschere e Volti della Cina di Oggi. Taiwan. Hong Kong e Cina Continentale nel loro incontro con l’Occidente e il Cristianesimo (Bologna: EMI, 2001); “Dalla parte di Taiwan”, Mondo e Missione, Marzo 2008, 62-65; “Taiwan: la fede non è un «business»“, Mondo e Missione, 7, 1993, 488-491.
19 Gianni Criveller, From Milan to Hong Kong. 150 years of mission. Pontifical Institute for the Foreign Mission 1858-2009) (Hong Kong: Vox Amica Press, 2008); Cinque secoli di Italiani a Hong Kong e Macau (Milano: Brioschi, 2014) (con A. Schiavo, A. Paratico e M. Errante).
20 Gianni Criveller, “L’impronta cattolica sui due fronti della città contesa”, Limes, 9, 2019; “Hong Kong Taken Over by the National Security Law”, Religions & Christianity in Today’s China, 2020, 25-31.