Il secondo numero dello speciale di Sinosfere su Culto e pratiche amplia la nostra comprensione delle religioni nella Grande Cina con un saggio introduttivo dedicato alla peculiare forma di diversità religiosa cinese, approfondimenti su pratiche e culti di popolazioni minoritarie non Han e un significativo contributo sullo sviluppo del rituale confuciano nella Repubblica Popolare Cinese di oggi. La seconda parte propone un focus specifico sul cristianesimo, sia cattolico che protestante, presentato da un punto di vista storico ed etnografico, inclusi saggi incentrati sulla diaspora cinese in Europa e un contributo sul dialogo interreligioso di matrice cristiana. Per una panoramica complessiva si rimanda al testo di apertura del primo numero Culto e pratiche tra i cinesi di oggi.

Nel saggio di apertura, Vincent Goossaert si discosta dalle categorie analitiche generalmente utilizzate per definire la diversità religiosa, proponendo nuovi strumenti di indagine che tengono conto delle peculiarità del contesto cinese. L’autore illustra le caratteristiche della pluralità religiosa della Cina, presentandone le radici storiche e le evoluzioni moderne (incluso l’insorgere di forme di esclusività del credo) e avendo cura di differenziarla dal pluralismo religioso, inteso come ideologia volta a promuove politiche di riconoscimento della diversità. In Cina, le diverse religioni sono tradizionalmente incluse in un sistema organizzato, che pone vincoli all’assimilazione di altri credi. L’emergere di nuovi culti, infatti, mette in discussione l’ordine stabilito, generando tensioni e richiedendo negoziazioni per raggiungere un nuovo equilibrio. La diversità religiosa dipende dalla coesistenza di quattro forme di affiliazione: di territorio, di lignaggio, di mestiere e su base volontaria. Inoltre, in ambito rituale vige l’interdipendenza di “quadri liturgici” distinti (buddhista, taoista, confuciano, “settario”, ecc.), la cui coesistenza è garantita dalla regolamentazione della divisione del lavoro religioso.

La diversità religiosa in Cina coinvolge anche le cosiddette minoranze nazionali. In Take me home, country road, Valentina Punzi ci regala un’appassionante finestra sui Baima, popolazione stanziata lungo i confini sino-tibetani del Sichuan. Classificati negli anni ’50 come parte del gruppo tibetano, dopo aver cercato invano di essere riconosciuti come gruppo etnico distinto, negli ultimi dieci anni i Baima si stanno dedicando ad affermare la propria unicità culturale sulla scia di politiche governative volte a valorizzare il patrimonio immateriale. Un processo che, se da un lato mitiga la soppressione statale e la censura, dall’altro ha determinato un “rebranding” della religione non-buddhista Baima, ridimensionandone l’aspetto religioso in chiave culturale-folcloristica, con il rischio di una semplificazione dei riti. L’articolo presenta il caso emblematico di giovani Baima tornati a vivere nel villaggio d’origine per sfruttare le nuove opportunità offerte dall’incremento del turismo e con l’obiettivo di intraprendere un apprendistato per diventare Bembo, specialisti rituali.

Sébastien Billioud fornisce un approfondimento sulla riappropriazione e l’invenzione di pratiche e rituali di ispirazione confuciana tra il popolo cinese nell’ultimo ventennio. Billioud analizza la complessità del fenomeno, che, lungi dall’essere una mera riappropriazione del passato, mostra relazioni con varie dimensioni della società cinese contemporanea. Il saggio esplora tre aspetti cruciali: la temporalità del revival (segno di una nuova tendenza nell’ambito del moderno regime di storicità della Cina), la sua connessione con l’individualizzazione della società cinese (come la scelta di una formazione di tipo tradizionale al di fuori dell’educazione ufficiale offerta dallo Stato) e la sua dimensione collettiva (evidente ad esempio nella figura dei “mercanti confuciani”, che promuovono insegnamenti tradizionali nelle proprie aziende, o nelle numerose comunità rituali, dove le persone si riuniscono per celebrare cerimonie “tradizionali”, rivelando un desiderio di connessione sociale attraverso valori condivisi).

Con La Lunga Marcia delle “musulmane” cinesi, Tommaso Previato ci introduce a un caso di “insolita miscela di ideologia comunista, martirologio patriottico e cultura materiale islamica” nel Qinghai orientale. L’articolo descrive le origini e lo sviluppo del “culto proletario” delle donne dell’Armata della Strada Occidentale, sopravvissute a una sanguinosa sconfitta nell’ottobre del 1936. Fatte prigioniere e impiegate come teatranti o lavoratrici coatte nella realizzazione di opere infrastrutturali (fra cui una “moschea rossa”), queste iniziarono a essere venerate dopo il 1949 come eroine e martiri sia della rivoluzione sia del patriottismo islamico cinese. Nella Moschea del Crescente Rosso si trova oggi uno spazio espositivo dedicato alle ex-combattenti, spesso ritratte con un ijāb avvolto al capo. Previato ci invita a riconsiderare il maoismo, almeno quello delle origini, come una sorta di “religione militante” votata al progresso e a problematizzare l’orientamento ateo del Partito Comunista Cinese, ripensando lo scontro che fa da sfondo alle vicende narrate nei termini di uno scontro fra sistemi di credo.

Gianni Criveller, direttore del Centro PIME di Milano, apre la sezione dedicata al cristianesimo con una ricca panoramica sulla parabola storica e sulle specificità delle comunità cattoliche della Grande Cina. Il saggio introduce le diverse strategie e le difficoltà dell’evangelizzazione, toccando temi come l’accomodamento e l’inculturazione, il dialogo culturale e scientifico, la complessa questione dei Riti cinesi, la tarda promozione di un clero locale e la repressione in epoca maoista. La vita dei cattolici cinesi di oggi è presentata distinguendo tra quattro aree che esibiscono forme di culto significativamente diverse: il cattolicesimo della Repubblica Popolare Cinese, diviso tra chiesa nazionale e clandestina, sviluppatosi lontano dalle dinamiche della chiesa globale e oggi segnatamente influenzato dalla politica della “sinizzazione” delle religioni; la comunità macanese di Macao, frutto della contaminazione tra culto iberico e vitalità cinese; la chiesa di Taiwan, un “laboratorio di dialogo interreligioso e di interculturalità”; e Hong Kong, una delle comunità cattoliche più vivaci dell’Asia, che ha contribuito al recente movimento democratico affrontando nel processo dolorose conseguenze.

Eva Salerno incentra il suo contributo sulla reintroduzione della venerazione degli antenati nel cattolicesimo cinese, basandosi su un’etnografia multisituata tra Taiwan e alcune comunità cattoliche cinesi in Europa (Parigi, Roma e Milano). Il saggio evidenzia diverse situazioni legate al luogo e all’origine dei fedeli. I rituali per gli antenati, banditi nel 1715, sono stati reintrodotti nelle chiese taiwanesi dagli anni ’60, dove sono praticati individualmente presso un piccolo altare loro dedicato e celebrati collettivamente durante il Capodanno cinese. Questa pratica è adottata anche in alcune parrocchie cinesi in Europa durante la messa di Capodanno. Tuttavia, viene talvolta criticata dai fedeli provenienti dalla Cina continentale come “anticristiana”, riflettendo una visione diffusa nel cattolicesimo della Repubblica Popolare Cinese, che a causa dell’isolamento dell’era maoista è stato escluso dagli sviluppi promossi altrove dal Concilio Vaticano II. I casi studio presentati suggeriscono diversi livelli di rilevanza dei riti degli antenati nell’identità dei cattolici cinesi della diaspora.

Jacopo Scarin ci offre uno sguardo sulle chiese evangeliche cinesi in Italia, un elemento significativo nella fede della comunità cinese nel nostro Paese, concentrandosi sul loro calendario liturgico. L’articolo esamina il significato storico e culturale di questo movimento sia in Cina, dove ha visto una diffusione massiccia dopo l’era maoista, sia nella diaspora cinese in Italia. Le prime comunità evangeliche cinesi sono emerse a Roma negli anni ’80; oggi ne esistono circa cinquanta, sparse nelle principali città interessate dalla migrazione cinese. Queste comunità si distinguono per la loro autonomia, riflessa anche nella flessibilità dei rituali, per una morale conservatrice e per l’accento sull’emozione durante la preghiera. Il saggio esplora dettagliatamente vari aspetti dei culti comunitari (quali le prediche, i canti, la devozione, e la Santa Cena, tutti condotti in lingua cinese) con l’intento di “contestualizzarne la liturgia come espressione di una cosmologia, a sua volta fondamento di un sistema di valori e di una prassi quotidiana”.

Erik Hagstrom presenta le attività di evangelizzazione di missionari protestanti americani presso l’etnia dei Wa nello Yunnan, noti in passato come “cacciatori di teste”. Hagstrom racconta la sua esperienza del 2018 in una fattoria lattiero-casearia che serviva da copertura per una chiesa clandestina e forniva lavoro, assistenza economica e istruzione alla comunità locale, creando le basi per l’evangelizzazione. La pratica religiosa comprendeva sermoni serali in tre lingue (Wa, cinese e inglese). L’autore nota le divergenze tra le motivazioni dei missionari americani (conversione e dissenso politico) e quelle dei Wa (mobilità sociale, interesse economico e abbandono dell’animismo, vissuto come stigma di arretratezza). L’insuccesso dell’impresa è attribuibile principalmente all’illegalità del contesto, con una chiesa clandestina gestita da stranieri e dedicata a una minoranza stanziata in zone di confine cinesi, in cui il rapporto con il cristianesimo ha storicamente alimentato nazionalismo e resistenza all’assimilazione.

Come conclusione del nostro speciale su Culto e pratiche, presentiamo il saggio di Bataiwa Kubuya Paulin, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che propone una prospettiva diversa rispetto a quella di Goossaert sulla diversità religiosa cinese. La vede infatti come il contesto in cui si svolgono gli incontri dei cattolici in Cina e come premessa per lo sviluppo di un dialogo interreligioso. L’autore ritiene che storicamente la Cina abbia manifestato una propensione ad accogliere diversi sistemi di credo attraverso dinamiche di adattamento, accomodamento e integrazione, realizzando una particolare forma di tolleranza religiosa. D’altra parte, le modalità con cui i cattolici si sono approcciati alla Cina sembrano essere imperniate attorno al tema dell’amicizia con una pluralità di interlocutori a seconda delle epoche. L’autore ripercorre la storia di questi incontri alla ricerca dei semi di un “rispetto reciproco e una migliore comprensione dell’altro, elementi essenziali nel dialogo interreligioso” attuale.

Bianchi, Culto e pratiche 2 PDF

Immagine: Rituale dei pasti presso il Zhonghuasi 中華寺 di Lumbini, Nepal (foto dell’autrice)

Ester Bianchi (membro del comitato scientifico di Sinosfere) insegna religioni e filosofia della Cina e società e cultura cinese all’Università degli studi di Perugia. La sua ricerca verte sul buddhismo cinese e sino-tibetano. Attualmente è impegnata in studi sul revival delle antiche pratiche di meditazione e sulla diffusione del modello del buddhismo Theravāda nella Cina moderna.