Disorientamento, stupore, meraviglia: queste sono le sensazioni provate durante la lettura di Ponte (Qiao 橋, Aracne, Genzano di Roma, 2023), opera manifesto della narrativa di Fei Ming 废名 (pseudonimo di Feng Wenbing 馮文炳 1901-1967, per quanto sia forse più sensato chiamarlo antipseudonimo, dato che significa letteralmente “abolire il nome”), che grazie al minuzioso lavoro di traduzione di Alessandro Cacciatore, e all’interesse della casa editrice Aracne, ha finalmente visto la luce nell’agosto 2023.

L’opera, che conta in totale 53 capitoli, è divisa in due volumi, e il primo volume di 43 capitoli è a sua volta diviso in due parti; nell’introduzione, l’autore stesso ci racconta di averci lavorato per circa cinque anni, dal 1925 al 1930. In due saggi indipendenti dal testo in questione, Fei Ming confessa in maniera indiretta di essersi ispirato al processo creativo di Cervantes e di Shakespeare, che mentre scrivono non hanno ancora ben definito il finale delle loro storie, e il senso di incompletezza è uno dei maggiori fattori che contribuiscono al fascino di questo testo.1)Gang Zhou, “Modern Consciousness and Symbolist Poetry”, Ming Dong Gu (a cura di), Routledge Handbook of Modern Chinese Literature (New York: Routledge, 2018), 143-154. Cruciale per l’apprezzamento dell’opera è inoltre sapere che la narrativa di Fei Ming, come scrive Gilles Cabrero, “a parte la letteratura occidentale […] si fonda essenzialmente su tre elementi: la poesia tardo-Tang, il buddhismo Chan, e l’esaltazione dei personaggi appartenenti alla campagna cinese”.2)Gilles Cabrero, in Fei Ming , Jujubes (Parigi: Gallimard, 2016) 2.

L’autore sembra partire da un tema particolarmente familiare al lettore, per poi man mano virare la sua narrazione verso i temi a lui cari. Come notato in un saggio critico “Ponte inizia come una storia d’amore, prima di tramutarsi in qualcosa di diverso”.3)Gang Zhou, op. cit. In realtà, il suo inizio è delegato a una storia indipendente, ma tuttavia collegata alla narrazione principale, in cui viene raccontato di due famiglie che fuggono da un incendio e di un bambino che torna fra le fiamme per recuperare la bambola di una bambina. Già da qui si possono vedere alcuni tratti salienti dell’opera:

  • L’inizio dedicato a una vicenda diversa da quella principale è un tratto caratteristico di molta narrativa premoderna, così come anche l’intervento del narratore che si rivolge direttamente all’autore. Possiamo parlare di appropriazione, o anche di imitazione e parodia di certo stile metanarrativo, presente nella tradizione cinese ma anche nella letteratura occidentale che Fei Ming già conosceva.
  • La comparsa, per motivi all’apparenza non giustificati, di termini inglesi all’interno del libro: la bambola a cui si fa riferimento nel primo capitolo è infatti chiamata doll anche nel testo cinese.

Come fanno a coesistere due punti così agli antipodi fra di loro? Cabrero ci ha appena fornito gli “ingredienti” essenziali dello stile dell’autore, ma il colpo di genio sta nella loro mescolanza: Fei Ming giunge infatti a un’interpretazione di alcuni aspetti della cultura classica (in questo caso il buddhismo Chan e la poesia Tang) mediati dalla sua conoscenza della letteratura occidentale.4)Shu-Mei Shih, The Lure of the Modern, Writing Modernism in Semicolonial China, 1917-1937 (Los Angeles: University of California Press, 2001), 191.

La vicenda poi si concentra su Xiaolin, un dodicenne che dopo l’attraversamento di un ponte (“Lui da solo!” p.18) con sua stessa meraviglia, conosce la ragazzina Qinzi, mentre lei è a spasso con sua nonna Shi. La prima parte della storia segue quindi i ripetuti incontri fra Xiaolin, Qinzi e i membri della famiglia di lei, mentre allo stesso tempo ci mostra vari aspetti del folklore e della superstizione del luogo, tramite incontri con personaggi oscuri ma allo stesso tempo illuminanti.

La seconda parte del primo volume inizia con un altro intervento dell’autore, che prima ci dice che alla pagina vuota corrispondono circa dieci anni, e che la narrazione procederà seguendo delle lettere firmate di proprio pugno da Xiaolin stesso, di cui è venuto in possesso. A partire da questa seconda parte, troviamo un nuovo personaggio, Xizhu, una cugina di Qinzi, più piccola di lei di due anni, che man mano svilupperà dei sentimenti per Xiaolin. Inoltre, a partire da qui, e in maniera crescente via via che si procede anche nel secondo volume, l’intreccio narrativo viene a poco a poco stemperato, tanto da risultare una serie di episodi leggibili anche in ordine diverso, e giungere a una conclusione che di fatto è una non-conclusione. In questa parte si cementa ancora di più la caratterizzazione di Xiaolin come alter ego dell’autore, tanto esperto nei classici da sciorinare una citazione poetica dopo l’altra, e anche versato in letteratura estera, tanto da citare Shakespeare in originale. Questo dualismo si riflette nelle interazioni dei personaggi, tanto reminiscenti delle storielle Chan (di cui non si arriva a comprensione tramite l’analisi, ma tramite un’improvvisa illuminazione), quanto memori delle tecniche narrative moderniste (ad esempio il flusso di coscienza) adottate dai contemporanei occidentali di Fei Ming. Nonostante l’assenza di una vera e propria fine, si ripone il volume stupiti di aver letto un lavoro pregno di tanta bellezza: in un recente articolo su Ponte, Melinda Pirazzoli ha definito il testo come essenzialmente “privo di trama”, e apprezzabile nello stesso modo in cui uno apprezzerebbe certa poesia classica sul paesaggio.5)Melinda Pirazzoli, “Bridging Qing 情 (Emotions) and Jing 境 (Natural Realm). Fei Ming’s Eco-Poetics in Bridge”, in Riccardo Moratto, Nicoletta Pesaro and Di-kai Chao (a cura di) Ecocriticism and Chinese Literature: Imagined Landscapes and Real Lived Spaces (Oxon e New York: Routledge, 2022), 115-128. Studi più datati parlano invece di un autore capace di intessere trame tra sogno e realtà, di descrivere (o dipingere) il sogno con le parole, e di costruire, tramite il rapporto triangolare fra i tre personaggi principali, un mondo pastorale e quasi al di fuori della civiltà.6)Qian Liqun 錢理群, Wen Rumin 溫儒敏, Wu Fuhui 吳福輝 (a cura di), Zhongguo Xiandai Wenxue Sanshinian 中國現代文學三十年 (Pechino: Beijing Daxue Chubanshe, 1998), 270-271.

Ciò che colpisce dal punto di vista della traduzione è l’approccio molto flessibile al testo e alle comuni convenzioni traduttive, dato che la prosa e lo stile italiano impeccabile del traduttore vengono affiancati da un evidente rispetto per il testo di partenza, una volontà indefessa di preservarne il gusto e financo il ritmo: molte sono infatti le strutture calcate direttamente dal cinese, ad esempio fioccano le domande retoriche che iniziano per “Come posso/Come potrei…”, che riprendono i vari zenme 怎麼 presenti nel testo d’origine. Allo stesso tempo, si segnalano anche dei felicissimi interventi sul testo: si tratta di spiegazioni interpolate nel testo che vengono senza dubbio in aiuto al lettore italiano, ad esempio “In occasione della Festa di Primavera era solita realizzare delle chunlian, le frasi di buon augurio che vengono tradizionalmente scritte su delle strisce da appendere in casa”(p.104); addirittura in un frangente un carattere cinese appare nel testo (niu 牛 a p.146), per fornire un supporto visivo al lettore che altrimenti verrebbe lasciato a immaginare la presenza di caratteri messi per iscritto in annunci (in questo caso vi è un annuncio che dice “Cercansi buoi”).

Ed è a questo punto che la recensione diventa difficile da scrivere; intanto perché, per un lettore italiano non particolarmente avvezzo a uno stile narrativo così particolare come quello di Fei Ming, l’opera potrebbe risultare indigesta, o sconclusionata; e di conseguenza perché, se è vero che di solito aiuta, nella comprensione e nell’apprezzamento di una certa opera, conoscere almeno per sommi capi la vita e gli interessi dell’autore, oltre che il suo contesto di appartenenza, questo sembra essere particolarmente vero per Fei Ming e per il testo in questione. Pertanto, a parere di chi scrive, l’unica pecca di questa versione italiana è la mancanza di un’introduzione aggiuntiva da parte del traduttore (che pure ci appaga con una ricca appendice in cui vengono esplicitati tutti i riferimenti intertestuali non presenti in note a piè di pagina). Tale introduzione avrebbe rappresentato un mezzo funzionale all’orientamento del lettore in un testo dal linguaggio così semplice ma allo stesso tempo dalla concezione così “aliena” per noi; in altre parole, sarebbe potuto essere una preziosa “esca” per attrarre il lettore all’interno del testo. Si è invece preferito che l’autore e il suo testo parlassero da sé, senza ulteriori “ventriloquismi” da parte dei curatori della versione italiana: una scelta senz’altro coraggiosa.

Immagine: particolare dalla copertina del libro.

Antonio Leggieri insegna lingua cinese all’Università di Palermo; sta concludendo il dottorato di ricerca in letteratura cinese presso l’Università del Salento, in cotutela con l’Università di Vienna, in Austria, e si occupa di traduzione, interpretariato, raccolte di barzellette e narrativa tardo-imperiale. Ha trascorso la fase più critica della pandemia da Covid-19 a Taipei (2020-2022), dove ha frequentato un semestre alla National Taiwan University e la Summer School sulla narrativa tardo-imperiale alla National Tsinghua University.

References
1 Gang Zhou, “Modern Consciousness and Symbolist Poetry”, Ming Dong Gu (a cura di), Routledge Handbook of Modern Chinese Literature (New York: Routledge, 2018), 143-154.
2 Gilles Cabrero, in Fei Ming , Jujubes (Parigi: Gallimard, 2016) 2.
3 Gang Zhou, op. cit.
4 Shu-Mei Shih, The Lure of the Modern, Writing Modernism in Semicolonial China, 1917-1937 (Los Angeles: University of California Press, 2001), 191.
5 Melinda Pirazzoli, “Bridging Qing 情 (Emotions) and Jing 境 (Natural Realm). Fei Ming’s Eco-Poetics in Bridge”, in Riccardo Moratto, Nicoletta Pesaro and Di-kai Chao (a cura di) Ecocriticism and Chinese Literature: Imagined Landscapes and Real Lived Spaces (Oxon e New York: Routledge, 2022), 115-128.
6 Qian Liqun 錢理群, Wen Rumin 溫儒敏, Wu Fuhui 吳福輝 (a cura di), Zhongguo Xiandai Wenxue Sanshinian 中國現代文學三十年 (Pechino: Beijing Daxue Chubanshe, 1998), 270-271.