Quanti e quali spazi sono stati concessi alla creazione artistica indipendente nella Cina del socialismo di mercato? In quali modi questi spazi sono stati sfruttati per articolare delle critiche dal basso all’ideologia dominante? Quali tattiche, linguaggi e metodi artistici sono stati adottati per garantire l’espressione alternativa in un ambiente culturale dominato dall’alto, stretto fra i dettami del potere politico e le logiche del mercato? Un caso emblematico, che può fornire delle risposte significative a queste domande, è offerto dal lavoro di Caotaiban (草台班), Grass Stage nel suo nome inglese, una compagnia teatrale che per anni, dal 2009 a oggi, ha operato per elaborare degli spazi autonomi di espressione critica, al di fuori dei perimetri fissati dalla diade del Partito-Stato e del mercato.
È per questo che l’agile volume curato da Diego Gullotta, Teatro sociale in Cina. L’esperienza della compagnia teatrale Caotaiban (L’incisiva edizioni, Roma, 2022, pp. 142), è molto utile e prezioso, nella misura in cui, con la sua puntuale e acuta disamina storico-culturale sul lavoro della compagnia, avvalorata da una decennale frequentazione della compagnia da parte dell’autore, ci consente di comprendere e apprezzare in profondità la significanza sociale di questa nella Cina di oggi e il valore intellettuale e artistico della sua opera.
Caotaiban è una compagnia fondata e diretta dal regista Zhao Chuan, che teorizza e mette in pratica un teatro che definisce sociale non potendo definirlo politico, e che manifesta una spiccata vocazione popolare, come suggerisce il nome stesso della compagnia che si riferisce al nome un tempo dato ai palcoscenici su cui si svolgevano le recite di campagna (cao tai 草台, palchi sull’erba), ma che rievoca anche la parola inglese grassroots (caogen 草根 in cinese; mentre caomin 草民, popolo-erba, è una parola che designa tradizionalmente il popolino). Nata e operante nella città di Shanghai, alla cui realtà metropolitana è profondamente legata, Caotaiban si ispira a certe forme sperimentali del teatro moderno occidentale, e vanta una lunga esperienza di scambio con altre compagnie asiatiche, con le quali si è confrontata anche attraverso la partecipazione a numerosi festival internazionali.
Nel presentare il lavoro della compagnia, l’autore fornisce innanzitutto una robusta contestualizzazione delle trasformazioni storiche e sociali più importanti avvenute in Cina all’inizio del Ventunesimo secolo, alle quali la compagnia ha risposto in modo peculiare attraverso la sua formazione e la sua produzione teatrale. Nel fare ciò, si focalizza sulle dinamiche dominanti del periodo che definisce “post-OMC”: quell’arco temporale che si definisce nel primo decennio degli anni Duemila, dopo che la Cina è stata ammessa nel 2001 nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in cui il paese consolida la propria posizione come attore centrale della globalizzazione. Sono gli anni – come ben illustra il saggio di Chris Connery sulla storia della compagnia, tradotto in italiano con il titolo Fabbrica del mondo – in cui il capitalismo conosce in Cina uno sviluppo prodigioso, gettando le basi attraverso un’accumulazione originaria senza precedenti dell’incipiente “ascesa cinese”, ma producendo nel contempo ingenti sfruttamenti ed enormi disuguaglianze che danno vita a una nuova classe di subalterni, destinati a rimanere ai margini nella nuova struttura materiale e simbolica della società cinese incentrata sull’immaginario economico e culturale dell’“emergente classe media”. Nello stesso tempo, le aperture del mercato e la volontà politica di controllare la società “a distanza” consentono l’emergere di nuovi spazi e nuove forme di autonomia del sociale, favorendo, “oltre all’arricchimento e all’individualismo spinto”, anche “dibattiti, critiche, sperimentazioni a livello micro-politico, organizzazioni non governative per la difesa dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente così come dei diritti civili”, capaci di portare “delle resistenze diffuse che minano l’obiettivo governativo della ‘società armoniosa’”. È su questo terreno, spiega l’autore, che nasce Caotaiban, con la sua finalità di “interrogare il corpo sociale” mettendo in discussione le rappresentazioni e i desideri dominanti generati dalle nuove relazioni di potere.
Gullotta si dedica quindi a sintetizzare il “metodo” della compagnia, incentrato non sulla volontà di esprimere delle prese di posizione, quanto appunto su quella di porre delle domande stringenti (zhuiwen 追问) sulla natura e sugli effetti dei rapporti sociali. La caratteristica principale di Caotaiban è il suo posizionarsi ai margini, dato che, rifiutando di operare secondo le logiche della cultura ufficiale e di quella commerciale, essa rimane priva di una base tanto istituzionale quanto economica, e non ha dunque la possibilità di avere una sua sede stabile né degli attori fissi. Tale marginalità, tuttavia, è la condizione che consente alla compagnia di interrogare l’egemonia culturale del centro, sfruttando la creazione collettiva portata avanti assieme agli attori non protagonisti e il pubblico che partecipa attivamente agli spettacoli, e ricreando gli spazi ricavati dagli “interstizi urbani” che vengono resi di volta in volta disponibili (librerie, sottoscala, gallerie e teatri privati, vicoli della città o musei di arte contemporanea, a seconda), che la compagnia “attraversa” per “risignificarli” facendoli diventare “luogo di dibattito, di riflessione e di immaginazione”. Criticando in particolare il controllo che il potere esercita a partire dai corpi, per esempio attraverso la sorveglianza o la manipolazione del desiderio, la compagnia mette il lavoro sul corpo al centro della propria rappresentazione artistica (ispirandosi soprattutto ad Artaud e al teatro giapponese), al fine costruire, attraverso la sperimentazione del linguaggio corporeo, un’estetica liberatoria che consenta, nelle parole del regista, di “non restare bloccati nelle relazioni di forza, presi alla gola dal potere”. Inoltre, favorendo l’improvvisazione artistica e il dialogo non gerarchizzato fra regista, attori e pubblico, la compagnia non solo ribalta la pratica teatrale tradizionale basata su una separazione fra platea e palcoscenico, ma istituisce per giunta, in modo forse ancor più significativo, un modello di comunicazione alternativo che “mette sotto scacco” il modello autoritario dominante incentrato su una comunicazione dall’alto verso il basso.
Infine, molto preziose sono le traduzioni tratte da alcuni dei lavori della compagnia – fra le quali spicca una versione italiana dell’intero testo di Fabbrica del mondo (Shijie gongchang 世界工厂), l’opera forse più significativa dell’autore – utilissime per apprezzare fino in fondo l’originalità artistica, la validità poetica e la profondità intellettuale di Zhao Chuan. Il volume viene quindi concluso con un saggio scritto a quattro mani da Gullotta e Lin Lili, che analizza l’ultimo lavoro teatrale della compagnia, L’isola di Geli (蛤蜊岛, dove geli significa vongola, ma è anche omofona della parola 隔离, che significa quarantena o isolamento), un lavoro allestito durante la pandemia, e incentrato tematicamente sull’esperienza della pandemia. Rappresentato in uno spazio privato (il salotto di un appartamento reso per l’occasione semi-pubblico), e dedicato a esplorare alcune questioni stringenti emerse con la pandemia, come la segregazione, la restrizione dei movimenti, e, più in generale, il biopotere e il controllo sulla verità, l’opera si presta a diventare una metafora paradigmatica delle costrizioni dell’espressione culturale nella Cina di Xi Jinping. Come infatti sottolinea l’autore, il corso politico inaugurato da Xi Jinping nel 2013 è un processo che impone una chiusura progressiva degli spazi diautonomia del sociale, rendendo sempre più precarie e isolate le sperimentazioni tese a esprimere delle voci critiche che erano emerse nel periodo precedente. Osservare l’evoluzione attuale e futura del lavoro della compagnia, pertanto, è utile anche come cartina di tornasole per evidenziare come si stanno modificando, e si modificheranno, gli spazi disponibili per l’espressione autonoma e alternativa nella Cina di oggi e dei prossimi anni.
Immagine: particolare dalla copertina del libro.
Il volume è ad accesso aperto ed è reperibile a questo link.