La vita nell’Oceano rosso di Han Song è fragile e brutale. L’umanità immaginata dall’autore cinese si è adattata a vivere negli abissi marini, le cui acque, sature di mercurio, arsenico e rame, hanno assunto un inquietante colore rosso.
Il volume, tradotto in italiano da Chiara Cigarini e Martina Renata Prosperi per add editore, si struttura in due parti, intitolate rispettivamente Il nostro presente e Il nostro passato. Nella prima parte, l’autore ci introduce a questo nuovo mondo sottomarino, e lo fa attraverso la voce narrante del protagonista, Stellamarina. Già pochi momenti dopo la sua nascita, Stellamarina è messo di fronte alla violenza dell’oceano rosso: la tribù in cui vive viene attaccata da un gruppo di predatori, sua sorella cade vittima tra le spire di una tentacolare pianta subacquea.
Le forme di vita sottomarina, dal popolo acquatico ai ratti di mare, sono divise in gruppi tribali il cui unico orizzonte di senso è la sopravvivenza della specie: tutto ruota intorno al procacciarsi cibo e non soccombere ai predatori. In altre parole, la forma dell’esistenza, in questo mondo liquido, è organizzata in ripetizioni pedisseque di cicli di morte e rinascita, di creazione e distruzione, senza un’apparente teleologia o principio ordinatore.
Stellamarina da un lato è parte di questo universo primordiale, ma allo stesso tempo è dotato di uno stato di coscienza superiore rispetto alle altre creature, il che gli conferisce una prospettiva privilegiata sui meccanismi che regolano la vita sociale dell’oceano. Ad esempio, il nostro protagonista precisa che “L’umanità oceanica non aveva cognizione del tempo”, e che egli stesso ne fa esperienza consapevole solo a un certo punto della sua vita, descrivendola come “una sensazione terrificante”.
Dopo aver abbandonato il nucleo tribale originale, Stellamarina incontra altre umanità acquatiche e aggregati sociali che popolano l’oceano, e qui, di nuovo, colpisce la brutalità e la violenza attraverso cui si articola la vita comunitaria di questi gruppi. A causa delle frequenti carestie, infatti, i popoli sottomarini fanno sistematico ricorso al cannibalismo, avendo alcuni di essi messo in piedi un inquietante sistema di (ri)produzione basato sullo sfruttamento delle donne, soggiogate, ingravidate e poi costrette a dare alla luce la prole, che diverrà l’orrido pasto.
In principio, l’idea di cibarsi di propri simili turba Stellamarina (“Possibile che tutti gli esseri umani, prima o poi, fossero destinati a cibarsi dei propri simili?” si chiede il nostro protagonista). Ma l’amnesia è uno degli “istinti naturali delle nuove generazioni del popolo acquatico” e Stellamarina, proclamato “legittimo figlio della specie umana” diventerà di fatto il Re dell’oceano, incaricato di salvare la sua specie dall’estinzione alla ricerca di una leggendaria Città Sottomarina.
Quello del cannibalismo è tema esploratissimo nella cultura cinese, cristallizzato definitivamente da Lu Xun all’inizio del Novecento, che qui Han Song chiaramente evoca, riprendendo l’amara ma pungente riflessione sulla natura prevaricatrice (metaforicamente antropofaga) della società e cultura cinese. Il romanzo è peraltro fitto di richiami intertestuali, che attingono alla tradizione cinese così come a quella straniera, e che ci vengono opportunamente precisati nella nota delle traduttrici a fine romanzo.
La seconda parte del volume, Il nostro passato, è strutturalmente molto diversa dalla prima, essendo composta di frammenti più brevi che ripercorrono la storia mitologica dell’umanità acquatica che abbiamo conosciuto nella parte precedente. È una narrazione a ritroso dell’involuzione della specie umana in quella acquatica, in cui l’esistenza dei “terriani” non è che un’eco spettrale e nostalgica (“un tempo gli abitanti delle terre emerse, i terriani, erano in dieci miliardi, prima di estinguersi tutti in una notte. Dove erravano, in fondo, i loro spiriti senza dimora?”)
Nonostante il romanzo sia popolato da un grande numero di personaggi, nessuno di essi – nemmeno Stellamarina – viene caratterizzato in maniera complessa, in quanto creatura con desideri, conflitti, dotata di agentività. La prospettiva dell’autore è invece macroscopica, attenta ai meccanismi dell’universale, piuttosto che alle singole soggettività che abitano l’oceano rosso. D’altronde, la produzione fantascientifica di Han Song è sempre stata interessata alle realtà sociali – visibili e invisibili – piuttosto che a quelle individuali, e a immaginarne possibili evoluzioni (o involuzioni) col mutare delle condizioni ambientali.
Con questo romanzo, Han Song ci consegna una mitologia perturbante e grottesca, una visione dell’umano (o qualsiasi cosa lo sostituirà) involuto su sé stesso, incapace di avere una progettualità orientata verso il futuro e che preveda una qualsiasi visione di civiltà. Questa nuova estetica dell’esistenza, fatalisticamente caratterizzata da morte, sfruttamento e violenza, riflette una critica disincantata alla (in)capacità umana e sociale di aggiustare le sorti del mondo. In questo senso, Oceano rosso è un’amara riflessione sull’idea di progresso, su cui si è ossessivamente schiantata gran parte della storia cinese moderna (ed è tuttora un concetto tanto ineffabile quanto abusato da parti dell’élite di governo per giustificare queste o quelle direzioni politiche).
In ultima analisi, quella che Han Song ci presenta non è la fine della storia annunciata da Fukuyama, piuttosto l’inerzia della storia, l’inevitabile ciclicità del passato che torna a perseguitarci e a infestare il nostro presente senza che noi ne abbiamo coscienza o memoria, e quindi nemmeno possibilità di fuga.
Immagine: particolare dalla copertina del libro
Serena De Marchi ha conseguito il dottorato presso Stockholm University con una tesi sulla letteratura del carcere in Cina. Nel 2021 ha ottenuto la Taiwan Fellowship ed è stata visiting researcher presso la National Taiwan Normal University. Dal 2022 è tornata a Stockholm University con un progetto di ricerca postdoc sulla memoria del Terrore bianco (1949-1987) nella narrativa taiwanese contemporanea.