Ciò che lei dice non è assolutamente nuovo. Lei lo ha ricavato da scritti buddhisti e nella scienza l’uso vuole che si citi la fonte da cui si attinge. Chi non lo fa commette un plagio, capisce, un plagio. Lei è un plagiario (Georg Groddeck, 1919).1)Georg Groddeck, Lo scrutatore d’anime. Un romanzo psicoanalitico (Milano: Adelphi, 1976), 196-197. In questa finzione narrativa, Groddeck – l’‘analista selvaggio’ ossessionato dall’originalità delle sue idee – riconobbe nella sua principale teoria secondo la quale l’io, in quanto manifestazione di forze impersonali (l’es, ovvero l’inconscio propriamente detto), non ha un’esistenza indipendente un’idea originariamente buddhista. Il manoscritto risale al 1919.

Introduzione

Discutendo di psicologia e buddhismo in un intervento durante la Buddhism & Australia Conference tenuta tra il 2 e il 4 febbraio 2011, il monaco australiano Bhante Sujato, ordinato secondo il lignaggio theravāda della tradizione della foresta thailandese, sottolineò come

queste due discipline sono state in relazione simbiotica sin dall’inizio dell’era moderna. Ai tempi di Freud, idee buddhiste erano in gran voga nei circoli intellettuali europei. Similmente, le nuove idee provenienti dall’Occidente erano in gran voga nelle terre buddhiste, molte delle quali erano allora colonie, e tutte quante stavano forgiando nuove forme ‘moderniste’ di buddhismo in grado di permettere alla loro antica fede di trovare un nuovo posto in questo mondo nuovo e pericoloso. Molto di ciò che oggi consideriamo ‘buddhismo tradizionale’ fu nei fatti inventato all’inizio del ventesimo secolo, da quando i buddhisti risposero alle critiche occidentali sviluppando versioni razionali e psicologizzate di pratiche buddhiste antiche.2)Bhante Sujato, “How Buddhist traditions are transforming – and being transformed – through their relation with Western psychology” (Sujato’s blog, 2011). https://sujato.wordpress.com/2011/12/05/how-buddhist-traditions-are-transforming-and-being-transformed-through-their-relation-with-western-psychology-2/ (ultimo accesso 03/07/2023). Tda.

Sujato individua una relazione essenziale tra i complessi processi di modernizzazione del buddhismo asiatico – processi dai quali, secondo diversi ricercatori contemporanei, sono emersi approcci modernisti al buddhismo caratterizzati da razionalizzazione, secolarizzazione ed enfasi sull’esperienza personale e sui testi anziché sulle forme rituali3)Sul ‘buddhismo modernista’ si veda David L. McMahan, The Making of Buddhist Modernism (Oxford: Oxford University Press, 2008). Per una ricostruzione del discorso buddhista cinese sulle scienze occidentale si veda Erik J. Hammerstrom, The Science of Chinese Buddhism. Early Twentieth-Century Engagements (New York: Columbia University Press, 2015), in particolare il capitolo 4 dedicato alla psicologia. – e l’affermazione della psicologia come disciplina e pratica terapeutica. A partire dalla fine del diciannovesimo secolo, quest’ultima non solo si andò progressivamente, ma mai del tutto, a emancipare dalla filosofia e teologia, ma sarebbe “emersa dalle fratture della religione nel momento in cui questa si andava a disintegrare in Occidente”.4)Bhante Sujato, “How Buddhist traditions”.

Nelle parole di Sigmund Freud citato da Sujato “la religione è un’illusione che trae la sua forza dalla condiscendenza ai nostri moti pulsionali di desiderio”.5)Sigmund Freud, Opere, vol. 11 (Torino: Boringhieri, 1979), 278. Il venire meno della funzione sociale e individuale del cristianesimo sintetizzata dalla celebre affermazione nietzschiana “Dio è morto” aveva lasciato dunque spazio a un nuovo modo di concepire e trattare l’individuo secondo i principi scientifici della psicologia. Tale vuoto religioso fu inoltre connesso da Carl Gustav Jung al crescente interesse per il buddhismo. Nel 1930 notò come in “Europa il simbolo cristiano ha raggiunto una tale condizione di debolezza che perfino i buddhisti ritengono giunto il momento di intraprendere missioni nel nostro continente”.6)Carl G. Jung, Opere, vol. 13 (Torino: Bollati Boringhieri, 1988), 71-72. Tra questi ricordiamo il monaco riformista cinese Taixu 太虛. Tra il 1928 e il 1929 egli viaggiò in Europa e in Nord America promuovendo la sua idea di un “buddhismo tra gli uomini” (rensheng fojiao 人生佛教/renjian fojiao 人間佛教). All’interno di questo progetto, Taixu riconobbe alla nascente psicologia un ruolo di ‘collante’ tra la società cinese, in via di modernizzazione, e il buddhismo a seguito di una crisi istituzionale, ideologica e spirituale paragonabile a quella europea, ovvero la fine dell’impero.7)Esemplificativo di questo fenomeno sono i numerosi dibattiti apparsi in riviste buddhiste dell’epoca sull’utilità degli insegnamenti del Buddha in relazione alla “ricostruzione psicologica” (xinli jianshe  心理建設) del popolo cinese perseguita dal KMT.

I pochi buddhisti cinesi, sia laici che ordinati, che fecero riferimento alla teorie di Freud e Jung nel primo periodo repubblicano, interpretarono la teoria degli istinti inconsci che determinano gran parte della nostra vita biologica e psichica alla luce dei semi karmici (zhongzi 種子; san. bīja) e della teoria della rinascita a essi associata. In questo modo fu individuato un grado di continuità tra psicoanalisi e buddhismo cinese, in particolare la scuola yogācāra di cui a inizio Novecento si rivendicava un revival dopo secoli di presunto declino.

Questo primo incontro in prospettiva buddhista riflette idee e una comprensione di fondo in parte alternativa rispetto a quella occidentale. Secondo Sujato, tale incontro avrebbe comportato una ‘scientificazione’ del buddhismo in contrasto con le pratiche e credenze locali: “il rifiuto della rinascita è un luogo comune nel buddhismo psicologico; tuttavia, la maggior parte delle persone, buddhiste o meno, crede nella rinascita”.8)Bhante Sujato, “How Buddhist traditions”. In questo breve articolo esamino il tema dell’inconscio e del suo rapporto con il buddhismo nella Repubblica di Cina e argomento come, lungi dall’essere stata eliminata, la dottrina della rinascita svolse un ruolo centrale. Tale ruolo verrà illustrato sia nel primo periodo repubblicano (1912-1949) che in quello più recente (Taiwan contemporanea), sottolineandone la continuità.

1. Il movimento psicoanalitico e la Cina

Per meglio comprendere l’approccio contemporaneo al dialogo tra psicoanalisi e buddhismo risulta propedeutico illustrare alcuni tratti caratteristici del movimento psicoanalitico e dei suoi legami con la Cina, legami sia interni alla stessa teoria dell’inconscio (potremmo chiamarli: la Cina nella psicoanalisi) che esterni (la psicoanalisi in Cina). Nella prima lettera indirizzata al suo collega Georg Groddeck nel 1917, Freud scrisse che coloro i quali lavorano con l’analisi dell’inconscio e riconoscono il transfert e la resistenza appartengono irrimediabilmente all’“orda selvaggia” (wilden Heer).9)Sigmund Freud e Georg Groddeck, Briefe über das Es (Francoforte sul Meno: Limes, 1974), 14. L’espressione usata dal padre della psicoanalisi si riferisce alla saga germanica in cui la schiera di Wotan fa irruzione in luoghi in cui la gente comune non osa avventurarsi. Questo tema mitologico – richiamato anche dal verso “Acheronta movebo” tratto dall’Iliade e posto in epigrafe a L’interpretazione dei sogni (1899) – suggerisce l’atto eroico con cui Freud e i suoi seguaci avrebbero sondato le profondità oscure, infere, della psiche umana, e pone un ulteriore tassello in quella che è stata definita ‘la leggenda freudiana’, ovvero l’abile narrazione intorno all’origine della psicoanalisi come impresa coraggiosa e solitaria di Freud. A partire dalla monumentale La scoperta dell’inconscio (1970) dello psichiatra svizzero Henri Ellenberger, tale leggenda è stata messa in discussione e progressivamente smantellata. Se è vero, come recenti ricerche storiografiche hanno dimostrato, che il concetto di inconscio è poliforme e ha diverse origini le quali, passando per l’idealismo tedesco (Schelling), risalgono spesso fino alle petites perceptions – percezioni di cui non siamo consapevoli – teorizzate da Leibniz,10)Matt Ffytche, The Foundation of the Unconscious. Schelling, Freud and the Birth of the Modern Psyche (Cambridge: Cambridge University Press, 2012). è tuttavia con Freud che esso ha trovato una definizione più stabile, intellettualmente radicale e circoscritta all’individuo. Definizione che raggiunse la Cina a partire dagli anni ’10 del secolo scorso.

Oltre all’immagine dell’“orda selvaggia” che avanza, fenomeni come i lapsus, i vuoti di memoria, le battute argute, la superstizione, solo per menzionare alcune delle cosiddette psicopatologie della vita quotidiana, indicano come l’attività dell’inconscio non sia necessariamente confinata al lettino. La psicoanalisi esce dal consultorio. Inoltre, come notava un commentatore anonimo nella Cina dei primi anni ’30 – e dunque testimone delle prime fasi di globalizzazione del movimento –, la psicoanalisi (xinli fenxi 心理分析) si è fin da subito avventurata in territori tradizionalmente di pertinenza di altre discipline, come la letteratura (wenxue 文學), la filosofia (zhexue 哲學), la sociologia (shihuixue 社會學).11)Citato in Huang Xianian 黃夏年 (a cura di), Minguo fojiao qikan wenxian jicheng 民國佛教期刊文獻集成 [Raccolta completa della letteratura periodica buddhista di epoca repubblicana] (Pechino: Quanguo tushuguan, 2006), vol. 179, p. 426a. Di seguito abbreviato con MFQ. A questa lista si potrebbero aggiungere anche la storia delle religioni, la linguistica e persino la sinologia.

Le idee di Freud (forse anche grazie alla narrazione che ne è stata fatta) furono così assiduamente discusse, criticate e acclamate al di fuori della clinica che ben presto la loro circolazione divenne globale. La sua Introduzione alla psicoanalisi, che raccoglie le lezioni tenute all’Università di Vienna nel semestre invernale 1916-1917, fu tradotta in numerose lingue e nel 1930 apparve anche in cinese vernacolare (baihua 白話) grazie alla traduzione compiuta da Gao Juefu 高覺敷, pioniere nella psicoterapia in Cina. Tuttavia, non sempre le idee di Freud furono introdotte e discusse in Cina da psicologi: altri attori come scrittori, rivoluzionari e buddhisti, laici e non, furono coinvolti in questo processo.

Per quanto riguarda il rapporto psicoanalisi-Cina, è interessante notare che nella quindicesima lezione pubblicata in Introduzione alla psicoanalisi Freud discute, in maniera dettagliata e per l’unica volta nella sua intera opera, della lingua e scrittura cinese, stabilendo delle somiglianze tra la sua (presunta) indeterminatezza e quella della scena onirica. Entrambe sarebbero l’espressione del “linguaggioprimitivo” (yuanshi yuyan 原始語言 nella traduzione di Gao) proprio della psiche. Esso attenderebbe di essere reso intellegibile a partire dal contesto e dalla conseguente interpretazione tanto dell’interlocutore, nel caso del cinese parlato, quanto dell’analista, nel caso della psicoanalisi. Ho trattato altrove di questa sorta di “pregiudizio cinese” – concetto introdotto e discusso da Derrida in Della grammatologia (1967) – in Freud, secondo cui il cinese scritto, in quanto “scrittura immaginifica” (Bilderschrift) e antecedente alla scrittura alfabetica, sarebbe inoltre veicolo di un pensiero ‘primitivo’ capace di esprimersi per immagini ma non per concetti, e perciò stesso più vicino alle operazioni dell’inconscio che non a quelle della coscienza e dell’io.12)Matteo Sgorbati, L’I Ching a Eranos. Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti (Napoli: Orientexpress, 2021), 158-178.

Le riflessioni di Freud sulla lingua cinese si inseriscono in uno dei punti più criticati del suo metodo, ovvero quello dell’interpretazione dei sogni e più in generale del materiale inconscio. Nella lezione citata, egli affronta esplicitamente queste critiche e trova una via d’uscita nel paragone simbolismo inconscio-lingua cinese. Come sappiamo dall’unica lettera scritta da Freud a un intellettuale cinese pervenutaci, egli trasse l’informazione sulla lingua cinese da un articolo curato dal sinologo inglese Herbert Giles per l’Encyclopædia Britannica (1910). Il destinatario della lettera era Zhang Shizhao 章士釗, già ministro dell’educazione e della giustizia. Egli aveva tradotto l’autobiografia di Freud in cinese letterario, apportando numerosi adattamenti stilistici e culturali al suo pensiero. Ciò rappresenta un deliberato tentativo di ‘sinizzare’ la psicoanalisi, spogliandola il più possibile di tutti gli elementi estranei alla cultura tradizionale cinese e rivestendola con riferimenti familiari, come ad esempio la sostituzione dell’espressione “sessualità normale” con la coppia yin e yang.13)Jingyuan Zhang, Psychoanalysis in China. Literary Transformations 1919-1949 (Ithaca: Cornell University East Asian Program, 1992), 6, 51. Come nelle società in Occidente, anche in Cina la psicoanalisi fu oggetto di resistenze e distorsioni, per usare la terminologia stabilita da Freud.

Secondo un famoso aneddoto, Freud riteneva che la diffusione della psicoanalisi al di fuori dell’Europa (nel caso particolare si stava riferendo all’America) costituisse una sorta di peste per le società che la ricevevano. Secondo questa metafora, il tentativo di Zhang rappresentò una reazione di difesa immunitaria. Tuttavia non fu un caso isolato. I buddhisti, dal canto loro, trovarono nello yogācāra gli anticorpi adatti per rispondere alle idee nuove introdotte da Freud, illustrandole e riconducendole all’interno della propria dottrina.

2. Inconscio e buddhismo: gli inizi

Durante il suo viaggio in Occidente, Taixu notò come lo studio del buddhismo fosse limitato in gran parte a testi in pāli, sanscrito e tibetano. Egli concluse che il buddhismo cinese non fosse propriamente studiato per via della grande diversità tra la scrittura cinese e quelle occidentali, nonché per la preminenza dello studio del confucianesimo e taoismo presso i sinologi occidentali. Taixu concepì pertanto il suo viaggio come un modo per promuovere il buddhismo (xuanchuan fojiao 宣傳佛教), e a questo proposito pianificò con il sinologo tedesco Richard Wilhelm la traduzione di numerosi testi buddhisti cinesi in tedesco e in inglese. Il progetto non vide la luce per mancanza di fondi e per la prematura scomparsa di Wilhelm.14)TX29, no. 19, p. 57a4-10, secondo la classificazione delle opere di Taixu di CBETA (https://cbetaonline.dila.edu.tw/en/).

Quest’ultimo era da quasi un decennio amico e stretto collaboratore di Jung, che lo ricordò nel necrologio sopra citato in cui è segnalata l’attività missionaria buddhista in Europa. È verosimile, anche se del tutto ipotetico, che durante i diversi incontri accademici e non tra Taixu e Wilhelm le idee di Jung siano state menzionate e discusse. A ogni modo il nome di Jung, così come quello di Freud, non era sconosciuto a Taixu, e pochi anni dopo menzionò entrambi durante una sua conferenza sui sogni sulla quale però non ci soffermeremo qui.15)Per il testo si veda MFQ vol. 184, 409-414. Tanto in Europa (e Nord America) quanto in Cina, i legami tra buddhismo e psicoanalisi si andarono a definire nella prima metà del ventesimo secolo. Ciò avvenne principalmente lungo linee interpretative diverse, in quanto diverse erano le società e i bisogni da esse espressi, ma di tanto in tanto ci si imbatte anche in sorprendenti sovrapposizioni.

Già nel 1925 lo studioso di buddhismo Kimura Taiken 木村泰賢 dell’Università imperiale di Tokyo riteneva che il concetto di inconscio (wuyishi 無意識; giap. muishiki), “divenuto un problema di grande importanza anche nella psicologia moderna occidentale”,16)MFQ vol. 161, 281-282. fosse stato in realtà già oggetto di studio nel sarvāstivāda. In questo contesto, le “impressioni latenti” (xiqi 習氣; san. vāsanā) e le “afflizioni” (fannao 煩惱; san. kleśa) che oscurano la mente secondo il buddhismo indicherebbero gli elementi inconsci (wuyishi de 無意識的) negli esseri senzienti. Inoltre, i semi karmici contenuti nell’ottava coscienza, chiamata ālayavijñāna (coscienza deposito), sono anch’essi da considerarsi inconsci. Secondo lo yogācāra, tali semi rappresentano metaforicamente le ‘potenzialità’ piantante nella mente da azioni precedenti, destinate a maturare in vite future sotto forma di facoltà psichico-fisiologiche ed esperienze di vario tipo, oppure a essere distrutte dalla saggezza.

Un paio d’anni dopo, Taixu pubblicò un articolo dedicato al comportamentismo nella celebre rivista buddhista Il suono della marea (Haichao yin 海潮音) in cui affermò: “Nella tradizione psicologica occidentale sono pochi coloro che approfondiscono la settima “mentalità afflitta” e l’ottava “coscienza deposito”. Solo la recente teoria dell’inconscio (qianyishi 潛意識) […] fa delle piccole incursioni in esse, anche se gli errori non sono pochi”.17)MFQ vol. 167, 48.

Il suo allievo laico Yu Huiguan 玉慧觀, uomo d’affari di origine coreana, riteneva ugualmente che l’inconscio freudiano (xiayishi 下意識) condividesse alcuni fattori mentali (xinsuo 心所; san. caitta) con la sesta, settima e ottava coscienza. Inconscio e ālayavijñāna furono così comparati in Cina già alla fine degli anni ’20. Per Yu, inoltre, il complesso di Edipo sarebbe già stato illustrato dalla teoria buddhista della rinascita, secondo la quale l’essere intermedio tra un’esistenza e quella successiva entra nel grembo materno (zhongyou rutai 中有入胎) in conseguenza dell’attrazione sessuale per il genitore di sesso opposto e un senso di rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso.18)MFQ vol. 179, 425b. Vale la pena di citare il seguente brano tratto dallo *Yogācārabhūmiśāstra (Yuqie shi di lun 瑜伽師地論, “Discorso sugli stadi della pratica yogica”), un’opera enciclopedica centrale nella scuola yogācāra risalente al quarto secolo:

In quel momento [durante l’esistenza intermedia], vedendo i propri genitori condividere azioni immorali che comportano l’emissione di seme e di sangue sorge uno stato di confusione. Colui che si trova in questo stato, quando vede i propri genitori compiere azioni immorali non ritiene più che siano essi ad agire. Di conseguenza perde la capacità di comprendere e vede sé stesso come colui che agisce, e così sorge la brama. Se vuole diventare una donna si avvicina al padre e sorge il desiderio, se vuole diventare un uomo si avvicina invece alla madre e ugualmente sorge il desiderio: tende così verso ciò che lo interessa. Se è donna desidera che la madre sparisca allontanandosi da lei, se invece è uomo avrà la stessa intenzione nei confronti del padre. Dopo aver sviluppato un tale desiderio, alcuni vedono solo uomini, mentre altri vedono solo donne. Così [l’essere intermedio] si approssima gradualmente in quel luogo, e gradualmente smette di vedere le altre parti [dei corpi] dei genitori e vede solo i genitali maschili e femminili. In quel momento viene catturato e bloccato in quel luogo. I principi di morte e rinascita dovrebbero essere compresi in questo modo.19)no. 1579, 282c15-25, secondo la classificazione dell’edizione Taishō del Canone buddhista cinese.

Come vedremo, questo tema edipico fu ripreso anche in ambito contemporaneo, senza però fare menzione di questo precedente testuale.

Agli occhi dei buddhisti in Asia orientale contemporanei di Freud, la ‘scoperta’ dell’inconscio da lui rivendicata non era affatto qualcosa di originale. L’esistenza di elementi e maccanismi latenti della mente era già nota e discussa nell’abhidharma e compresa a partire dal ciclo delle rinascite, il quale, insieme all’origine dipendente (pratītyasamutpāda), è riconosciuto dall’insegnante laico Zhang Huasheng 張化聲 (n. 1880) come l’oggetto principale della psicologia buddhista (fojiao xinlixue 佛教心理學).20)MFQ vol. 161, 433. A ogni modo, nel primo periodo repubblicano questo confronto fu perlopiù occasionale e mai sistematico, sebbene con esso si siano tracciate le principali linee interpretative che saranno riprese in epoca contemporanea.

Per quanto riguarda l’Occidente, dobbiamo infine notare che le connessioni tra psicoanalisi e buddhismo non furono create esclusivamente a posteriori, ma furono sostenute dagli stessi membri del movimento psicoanalitico della prima generazione. In un incontro informale del 1930 con il collega giapponese Yabe Yaekichi 矢部八重吉, Freud manifestò entusiasmo per l’uso del buddhismo come mezzo per facilitare la diffusione e comprensione della sua teoria in Giappone, riconoscendo in esso una teoria simile a quella dell’istinto di morte da lui descritto e chiamato “principio del nirvana”.21)Yaekichi Yabe, “A Meeting with Professor Freud”, traduzione non pubblicata di Alan W. Fraser (Library of Congress, 1931), 11. https://www.loc.gov/item/mss3999001686 (ultimo accesso 03/07/2023). Sebbene, almeno pubblicamente, Freud non abbia mai manifestato interesse nell’approfondire il buddhismo e la meditazione, successivamente a questo incontro egli iniziò a collezionare statue buddhiste cinesi dall’epoca Ming (1368-1644) a quella repubblicana, oggetti attualmente esposti nella sua casa-museo a Londra.

Connessioni concettualmente più interessanti si trovano invece in Jung. Nel suo saggio “Commento psicologico al Libro tibetano dei morti” (1935) riconobbe nel bar do – il periodo intermedio tra un’esistenza e quella successiva – un parallelo con la psicoanalisi. Quest’ultima resta tuttavia limitata al piano biologico di questa vita, incapace di risalire alle vite precedenti e dunque di comprendere la rinascita:

[L’essere intermedio] comincia ad abbandonarsi a fantasie sessuali per mezzo delle quali è attratto da coppie coabitanti per essere poi imprigionato in un utero e messo di nuovo al mondo. Qui entra anche in scena, come si conviene, il “complesso edipico”. […] L’europeo passa per questo campo specificamente freudiano quando si sottopone al processo analitico di presa di coscienza dei suoi contenuti inconsci, ma in senso inverso. Egli ritorna, per così dire, indietro nel mondo delle fantasie sessuali infantili usque ad uterum. […] Con ciò la ragione occidentale raggiunge purtroppo il suo limite, mentre sarebbe stato auspicabile che la psicoanalisi freudiana avesse potuto allegramente inseguire, retrocedendo ancor più, le cosiddette tracce di esperienza intrauterina.

Commentando in seminari privati tenuti a Zurigo alla fine degli anni ’30 l’*Amitāyurdhyānasūtra(Guan wuliangshou jing 觀無量壽經, “Sūtra sulla visualizzazione [del Buddha] della vita incommensurabile”), Jung vide nella “psicologia dell’inconscio” inaugurata da Freud “una psicologia medica, che si occupa specialmente dei kleśa”. Per Jung i kleśa sono le “forze impulsive, disordinate e caotiche” dell’inconscio,22)Carl G. Jung, Opere, vol. 11 (Torino: Bollati, 1979), 579-580. forze che la psicoanalisi può rimuovere o quantomeno ridurre – ma non eliminare, operazione che per lo psichiatra svizzero è possibile solo attraverso la pratica del dhyāna.23)Carl G. Jung, Psychology of Yoga and Meditation (Princeton e Londra: Princeton University Press, 2020), 16.

Nell’arco di circa quindici anni e verosimilmente in maniera del tutto indipendente, Kimura, Yu e Jung videro nelle afflizioni mentali e nel complesso edipico elementi comuni tanto alla teoria e pratica psicoanalitica quanto a quelle del buddhismo. Allo stesso modo Freud individuò nella morte un importante tema ricorrente in entrambe. Al di là delle interpretazioni simboliche, esperienziali e autorealizzative delle dottrine buddhiste tipiche della psicologia junghiana e non solo (vedi ad esempio le riflessioni di Fromm sullo Zen), questi elementi comuni suggeriscono una linea interpretativa poco frequentata in Occidente ma percorsa e ampliata fino ai nostri giorni in ambito cinese. In ciò si ravvisa un’alternativa degna di nota all’approccio fatto proprio da generazioni di analisti occidentali impegnati in riletture terapeutiche del buddhismo.

3. Rinascita e psicoanalisi oggi

Venendo al periodo contemporaneo, il filosofo della mente Owen Flanagan sintetizza nel suo The Bodhisattva’s Brain il punto di vista naturalistico, scientifico e ‘purificato’ da tutti gli elementi superstiziosi a cui il buddhismo modernista (occidentale e non) tenderebbe: “Imagine Buddhism without rebirth”.24)Owen Flanagan, The Bodhisattva’s Brain. Buddhism Naturalized (Cambridge MA e Londra: The MIT Press, 2011), 3. Ciò che resterebbe del buddhismo sarebbe una teoria filosofica e un sistema psicologico accettabili nelle società avanzate del pianeta.

Per quanto riguarda l’inconscio, si consideri invece la seguente affermazione del filosofo sloveno Slavoj Žižek il quale, nella sua monografia su Hegel, cita Pensieri senza un pensatore (1996) di Mark Epstein, uno dei guru americani dell’integrazione terapeutica tra psicoanalisi e buddhismo:

La psicoanalisi condivide con il buddhismo l’insistenza sul fatto che non c’è alcun Sé come attore sostanziale della vita psichica, […] il Sé è l’illusione feticizzata di un nucleo sostanziale di soggettività dove, in realtà, non c’è nulla. È per questo che, per il buddhismo, non è importante scoprire il proprio ‘vero Sé’, ma accettare che una cosa del genere non esiste, che il ‘Sé’ in quanto tale è un’illusione, un inganno. In termini più psicoanalitici: non solo dobbiamo analizzare le resistenze, ma, in definitiva, “non v’è nulla da analizzare se non la resistenza, non esiste alcun vero sé nascosto tra le quinte che attende di essere liberato”.25)Slavoj Žižek, Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico, vol. 1 (Milano: Ponte delle grazie, 2013), 161.

Secondo questi eminenti autori occidentali, ciò che è rilevante nel dialogo con il buddhismo non è tanto la dottrina della rinascita ma quella del non-sé (anātman), confrontata con l’analisi delle resistenze. Quest’ultima, lo ricordiamo, è insieme al transfert il tratto distintivo del movimento psicoanalitico (l’“orda selvaggia”) secondo il suo fondatore. Per quanto riguarda il transfert invece, nel primo articolo noto pubblicato in inglese sui rapporti psicoanalisi-buddhismo l’autore vide in una delle dieci perfezioni (pāramitā), ovvero nelle straordinarie capacità pedagogiche (upāyakauśalya) del Buddha, un esempio di transfert positivo.26)Joe Tom Sun, “Psychology in Primitive Buddhism”, The Psychoanalytic Review, 11, 1, 1924, 43.

Diversamente, autori cinesi che nell’ultimo secolo si sono confrontati con la psicoanalisi avendo come punto di riferimento il Dharma hanno sottolineato piuttosto l’importanza della dottrina del ciclo delle rinascite chiamato sasāra (cin. lunhui 輪迴). Dichiarata inconciliabile con la scienza in Occidente, nella Cina moderna e contemporanea essa risulta invece centrale nel confronto con la psicologia moderna e la psicoanalisi in particolare. Vediamo in che termini.

In un suo scritto sulla morte composto all’inizio della Prima guerra mondiale, Freud dichiarò che “è impossibile per noi raffigurarci la nostra stessa morte”, poiché la morte rappresenta la cessazione delle attività mentali. A questa affermazione ne aggiunge subito un’altra più interessante. Grazie alla psicoanalisi, egli ha potuto constatare come “non c’è nessuno che in fondo creda alla propria morte, o, detto in altre parole, che nel suo inconscio ognuno di noi è convinto della propria immortalità”.27)Sigmund Freud, Opere, vol. 8 (Torino: Boringhieri, 1976), 137. Per Freud vi è dunque un istinto biologico-inconscio che ci lega alla vita, che ci fa desiderare e immaginare la sua continuazione. Tale desiderio è infine responsabile della nostra credenza nell’immortalità.

A questo proposito notiamo che il monaco Yin Shun 印順, poco dopo essersi traferito a Taiwan a seguito della fondazione della Repubblica popolare cinese (1949) e divenuto promotore del buddhismo tra gli uomini sulla scia di Taixu, fece eco alle parole di Freud senza citarle e forse senza averle mai lette. Nell’opera intitolata Il significato fondamentale dello studio del buddhismo (Xue fo zhi genben yiqu 學佛之根本意趣, 1955), affermò che: “ognuno di noi ha un attaccamento alla continuità della vita, e anche se si pensa che la morte sia la fine di tutto, tuttavia nel profondo – nell’inconscio (xiayishi) – non è così. Chi è giovane e in salute non prende mai sul serio la propria morte, la quale semplicemente è inimmaginabile”. Così, concluse Yin Shun, “la vita si sviluppa continuamente di esistenza in esistenza, la vita e la morte non hanno mai fine. Le persone comuni continuano a vagare [di esistenza in esistenza] ininterrottamente, i saggi continuano a evolversi finché non raggiungono la buddhità”.28)Y15, no. 15, pp. 35a04-36a1, secondo la classificazione delle opere di Yin Shun di CBETA (https://cbetaonline.dila.edu.tw/en/). L’attaccamento alla vita e il desiderio inconscio della sua continuazione sono illustrati da questo maestro del Dharma attraverso la teoria buddhista della rinascita e sono ricomprese in essa.

Per quanto riguarda l’inconscio, Yin Shun lo identificò con l’ālayavijñāna. Illustrando la coscienza deposito a metà degli anni ’80, egli la paragonò esplicitamente all’inconscio, in quanto attività mentale non superficiale e difficile da percepire in quanto sottile (weixi 微細):

All’interno [della mente] vi è anche un tipo di processo psicologico più profondo e sottile, che gli psicologi di tutto il mondo stanno attualmente studiando. Alcuni lo chiamano “inconscio” (xiayishi) altri lo chiamano “subconscio” (qianyishi). Si trova al di sotto della coscienza e sembra che non ne siamo consapevoli, ma esiste e non si può dire che non c’è. Attraverso numerose ricerche, teorie e discussioni è stato determinato che esiste una tale attività mentale sottile. L’insegnamento buddhista l’ha chiamata ālayavijñāna.29)Y44, no. 42, p. 272a9-10.

Il discorso di Yin Shun sull’inconscio è in continuità con quello apparso nel primo periodo repubblicano, e oltre ad alcuni temi di fondo condivide con esso lo stesso tipo approccio alla psicoanalisi non sistematico e poco approfondito. Per trovare un approccio comparativo più approfondito dobbiamo spostarci più avanti in anni più recenti. Ed è a uno laico come Yu Huiguan che dobbiamo un confronto sistematico tra yogācāra e psicoanalisi da un punto di vista buddhista.

Lo studioso contemporaneo Wu Rujun 吳汝鈞, originario del Guangdong e attualmente residente a Taiwan, dove è membro dell’Istituto di letteratura e filosofia cinese (Zhongguo wenzhe yanjiusuo 中國文哲研究所) presso l’Academia Sinica a Taipei, ha recentemente dedicato una monografia di oltre 400 pagine al confronto tra yogācāra e psicoanalisi (2014). Segnaliamo che lo storico e studioso di buddhismo Chen Bing 陳兵 ha collocato l’attività intellettuale di Wu all’interno del movimento del revival moderno dello yogācāra.30)Bing Chen, “Reflections on the Revival of Yogācāra in Modern Chinese Buddhism”, in Ulrich T. Kragh (a cura di), The Foundation for Yoga Practitioners (Cambridge MA e Londra: Harvard University Press, 2013), 1060. Wu Rujun fa notare come l’attaccamento alla vita sia collegato all’attaccamento al sé, inteso come entità permanente. A questo proposito, egli afferma che la settima coscienza discussa nella scuola yogācāra è intermedia tra la coscienza e l’inconscio, identificato con l’ālayavijñāna. Essa inoltre “afferrando l’ālayavijñāna, o le sue ‘visioni (erronee)’ (jianfen 見分, san. dṛṣṭi), e scambiandola per il sé permanente e immutabile, la spinge a girare e a vagare senza posa nel mondo delle rinascite come se fosse un sé o come un essere intermedio”.31)Wu Rujun 吳汝鈞, Weishi xue yu jingshen fenxi. Yi alaiyeshi yu qianyishi weizhu 唯識學與精神分析——以阿賴耶識與潛意識為主[Yogācāra e psicoanalisi. Sull’ālayavijñāna e l’inconscio] (Taipei: Taiwan Student Press, 2014), 401.

È l’attaccamento all’ālayavijñāna, scambiata dalla settima coscienza (così come dalle dottrine non buddhiste) per un sé permanente, e alla vita precedente che conduce l’essere intermedio (zhongyou 中有) verso un nuovo corpo e una nuova esistenza. A questo punto per l’essere intermedio è l’attrazione sessuale per il genitore di sesso opposto che lo fa entrare nel grembo materno e ne determina la rinascita: “Entrambi [questi tipi desideri per la madre e per il padre] sono spiegati a livello dell’inconscio, ovvero nell’ālayavijñāna”.32)Ivi, 31.

L’analisi di Wu si sofferma anche su altri temi classici della psicoanalisi, come le nevrosi, la libido, i disturbi psico-fisici e i sogni, trovando per ciascuno di essi una spiegazione alla luce degli scritti yogācāra. A ogni modo egli nota come “il concetto di libido in Freud ha forti connotazioni sessuali, e in un primo momento è difficile trovare un concetto o un punto di vista corrispondente nella scuola yogācāra”.33)Ivi, 333. Nonostante Wu sottolinea come la dottrina della rinascita presente nello *Yogācārabhūmiśāstra presenti una notevole somiglianza con il complesso edipico, egli riflette tuttavia sul fatto che il buddhismo abbia poco da dire sulla sessualità. Egli spiega tale circostanza alla luce della diversa natura del buddhismo e della psicoanalisi:

Per quanto riguarda la questione del desiderio sessuale, il buddhismo non ne parla molto, essendo una religione il cui interesse principale non riguarda gli aspetti mondani ma quelli trascendentali. L’espressione “prendere i voti” (chujia 出家, letteralmente “lasciare la famiglia”) significa esattamente che dobbiamo liberarci dal livello esperienziale mondano per provare e realizzare gli ideali religiosi trascendentali.34)Ivi, 343.

Nella sua opera, Wu sostiene ripetutamente che la dottrina del ciclo delle rinascite è una questione religiosa (zongjiao de 宗教的), mentre la psicoanalisi è una disciplina medica che si occupa dello stato di salute mentale dei pazienti. Pertanto, conclude Wu, non si interessa alla morte e alla rinascita. Questa rigida distinzione ha conseguenze sulla portata pratica della psicoanalisi e del buddhismo. Quest’ultimo, essendo una religione, ha lo scopo di convertire tramite l’insegnamento (jiaohua 教化) e di trasformare la coscienza in saggezza (zhuanshi cheng zhi 轉識成智) attraverso la conoscenza buddhica, e “ciò non può essere paragonato alla psicoanalisi”,35)Ivi, 257. la quale si limita alla salute psico-fisica.

Conclusioni

Dall’inizio dell’età repubblicana fino a tempi più recenti, l’inconscio è stato confrontato con la coscienza deposito descritta dallo yogācāra da diversi autori cinesi. Rovesciando l’osservazione secondo cui “the Western interpretation of ālayavijñāna is the culmination of the search for a Buddhist notion of the unconscious”,36)Tao Jiang, Contexts and Dialogue. Yogācāra Buddhism and Modern Psychology on the Subliminal Mind (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2006), 146. i riferimenti cinesi all’inconscio in ambito buddhista rappresentano il culmine della ricerca orientale del concetto di ālayavijñāna in Occidente. Questo approccio ermeneutico, secondo cui il buddhismo avrebbe spiegato prima della psicoanalisi concetti come l’inconscio e il complesso edipico, non è del tutto esterno al movimento psicoanalitico stesso. Abbiamo visto come un simile punto di vista sia presente anche nelle affermazioni di Jung e in quella di Groddeck in apertura a questo breve articolo, nonché in quelle di Žižek e di Epstein in anni più recenti. Come nel caso della lingua cinese, anche alcune idee buddhiste hanno concorso alla definizione del pensiero psicoanalitico.

Una volta divenuto ‘moneta corrente’ in Cina, l’inconscio – sebbene tradotto in modi diversi (wuyishi, qianyishi, xiayishi, ecc.) – è stato adottato dai maestri e studiosi buddhisti per indicare ciò che vi è di più radicato e ‘profondo’ nella mente, in particolare non solo le attività sottili, ma anche l’attaccamento alla vita, l’illusione di un sé permanente e dunque la rinascita che ne consegue. Freud e Yin Shun hanno ugualmente riconosciuto come sia molto difficile – se non impossibile – concepire la propria morte. Agli occhi di un buddhista come Yin Shun è proprio l’aver compreso la malattia, la vecchia e la morte e le loro cause ad aver condotto il Buddha storico al risveglio, al di là del livello mondano discusso dalla psicoanalisi. Infine, Wu Rujun nel riprendere le fila di questo discorso riflette sulla diversa natura e limiti delle due dottrine, soteriologica l’una, terapeutica l’altra.

Più che in argomenti consumati in Occidente, come la meditazione, il simbolismo e l’approccio esperienziale e di autorealizzazione, abbiamo individuato nel concetto di rinascita un punto focale nella ricezione e assimilazione della psicoanalisi nel buddhismo cinese nell’ultimo secolo. La psicoanalisi è stata riconosciuta da Jung prima e Wu poi come limitata ad agire sul piano mondano-biologico, capace di intervenire sulle afflizioni mentali (kleśa) senza però eliminarle. Con essa, perciò, non è possibile la liberazione (moka) dal ciclo delle rinascite. Questa enfasi esclusiva sull’aspetto ascetico, trascendentale del buddhismo, sembra indicare tanto in Jung quanto in Wu una meta diversa rispetto al buddhismo ‘umanistico’ e per il mondo (renjian fojiao). Nel caso del buddhismo cinese moderno e contemporaneo, il confronto con la psicoanalisi non culmina semplicemente in una psicologizzazione e personalizzazione della pratica. Non produce nemmeno una rimozione della rinascita dal suo contesto dottrinale. Esso tende piuttosto verso un’inedita buddhificazione della psicoanalisi.

Sgorbati Inconscio e rinascita PDF

Immagine: André Maire: La morte di Buddha (1955), Musée Guimet, particolare (foto dell’autore).

Matteo Sgorbati è dottorando presso l’Università degli Studi di Perugia in cotutela con l’Università di Ghent. La sua ricerca è incentrata sui rapporti tra la psicologia occidentale e il pensiero buddhista nella Cina della prima metà del ventesimo secolo. È autore della monografia L’I Ching a Eranos: Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti (Napoli 2021).

References
1 Georg Groddeck, Lo scrutatore d’anime. Un romanzo psicoanalitico (Milano: Adelphi, 1976), 196-197. In questa finzione narrativa, Groddeck – l’‘analista selvaggio’ ossessionato dall’originalità delle sue idee – riconobbe nella sua principale teoria secondo la quale l’io, in quanto manifestazione di forze impersonali (l’es, ovvero l’inconscio propriamente detto), non ha un’esistenza indipendente un’idea originariamente buddhista. Il manoscritto risale al 1919.
2 Bhante Sujato, “How Buddhist traditions are transforming – and being transformed – through their relation with Western psychology” (Sujato’s blog, 2011). https://sujato.wordpress.com/2011/12/05/how-buddhist-traditions-are-transforming-and-being-transformed-through-their-relation-with-western-psychology-2/ (ultimo accesso 03/07/2023). Tda.
3 Sul ‘buddhismo modernista’ si veda David L. McMahan, The Making of Buddhist Modernism (Oxford: Oxford University Press, 2008). Per una ricostruzione del discorso buddhista cinese sulle scienze occidentale si veda Erik J. Hammerstrom, The Science of Chinese Buddhism. Early Twentieth-Century Engagements (New York: Columbia University Press, 2015), in particolare il capitolo 4 dedicato alla psicologia.
4 Bhante Sujato, “How Buddhist traditions”.
5 Sigmund Freud, Opere, vol. 11 (Torino: Boringhieri, 1979), 278.
6 Carl G. Jung, Opere, vol. 13 (Torino: Bollati Boringhieri, 1988), 71-72.
7 Esemplificativo di questo fenomeno sono i numerosi dibattiti apparsi in riviste buddhiste dell’epoca sull’utilità degli insegnamenti del Buddha in relazione alla “ricostruzione psicologica” (xinli jianshe  心理建設) del popolo cinese perseguita dal KMT.
8 Bhante Sujato, “How Buddhist traditions”.
9 Sigmund Freud e Georg Groddeck, Briefe über das Es (Francoforte sul Meno: Limes, 1974), 14.
10 Matt Ffytche, The Foundation of the Unconscious. Schelling, Freud and the Birth of the Modern Psyche (Cambridge: Cambridge University Press, 2012).
11 Citato in Huang Xianian 黃夏年 (a cura di), Minguo fojiao qikan wenxian jicheng 民國佛教期刊文獻集成 [Raccolta completa della letteratura periodica buddhista di epoca repubblicana] (Pechino: Quanguo tushuguan, 2006), vol. 179, p. 426a. Di seguito abbreviato con MFQ.
12 Matteo Sgorbati, L’I Ching a Eranos. Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti (Napoli: Orientexpress, 2021), 158-178.
13 Jingyuan Zhang, Psychoanalysis in China. Literary Transformations 1919-1949 (Ithaca: Cornell University East Asian Program, 1992), 6, 51.
14 TX29, no. 19, p. 57a4-10, secondo la classificazione delle opere di Taixu di CBETA (https://cbetaonline.dila.edu.tw/en/).
15 Per il testo si veda MFQ vol. 184, 409-414.
16 MFQ vol. 161, 281-282.
17 MFQ vol. 167, 48.
18 MFQ vol. 179, 425b.
19 no. 1579, 282c15-25, secondo la classificazione dell’edizione Taishō del Canone buddhista cinese.
20 MFQ vol. 161, 433.
21 Yaekichi Yabe, “A Meeting with Professor Freud”, traduzione non pubblicata di Alan W. Fraser (Library of Congress, 1931), 11. https://www.loc.gov/item/mss3999001686 (ultimo accesso 03/07/2023).
22 Carl G. Jung, Opere, vol. 11 (Torino: Bollati, 1979), 579-580.
23 Carl G. Jung, Psychology of Yoga and Meditation (Princeton e Londra: Princeton University Press, 2020), 16.
24 Owen Flanagan, The Bodhisattva’s Brain. Buddhism Naturalized (Cambridge MA e Londra: The MIT Press, 2011), 3.
25 Slavoj Žižek, Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico, vol. 1 (Milano: Ponte delle grazie, 2013), 161.
26 Joe Tom Sun, “Psychology in Primitive Buddhism”, The Psychoanalytic Review, 11, 1, 1924, 43.
27 Sigmund Freud, Opere, vol. 8 (Torino: Boringhieri, 1976), 137.
28 Y15, no. 15, pp. 35a04-36a1, secondo la classificazione delle opere di Yin Shun di CBETA (https://cbetaonline.dila.edu.tw/en/).
29 Y44, no. 42, p. 272a9-10.
30 Bing Chen, “Reflections on the Revival of Yogācāra in Modern Chinese Buddhism”, in Ulrich T. Kragh (a cura di), The Foundation for Yoga Practitioners (Cambridge MA e Londra: Harvard University Press, 2013), 1060.
31 Wu Rujun 吳汝鈞, Weishi xue yu jingshen fenxi. Yi alaiyeshi yu qianyishi weizhu 唯識學與精神分析——以阿賴耶識與潛意識為主[Yogācāra e psicoanalisi. Sull’ālayavijñāna e l’inconscio] (Taipei: Taiwan Student Press, 2014), 401.
32 Ivi, 31.
33 Ivi, 333.
34 Ivi, 343.
35 Ivi, 257.
36 Tao Jiang, Contexts and Dialogue. Yogācāra Buddhism and Modern Psychology on the Subliminal Mind (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2006), 146.