Introduzione

La divinazione è una pratica molto diffusa tra i Naxi, abita ogni aspetto della quotidianità, proprio come la molteplicità di domande a cui essa tenta di fornire risposte che riflette un modo culturalmente forgiato di pensare se stessi e il cosmo. L’influenza delle culture vicine e delle religioni che hanno trovato accoglienza nei loro territori nel corso dei secoli ha fatto sì che la divinazione si adattasse continuamente sia a queste contaminazioni sia alla vita della popolazione locale, dando origine a un’ampia varietà di pratiche e tecniche impiegate per scrutare tra le pieghe del futuro di persone, bestiame, raccolto, per interrogare la sorte su progetti, malattia, nascite e morti, per ritrovare oggetti smarriti o semplicemente per individuare il giorno propizio in cui dare inizio alla costruzione di una nuova abitazione, celebrare un matrimonio, un funerale; in sintesi, per interpretare quelle forze che, dischiuso il contatto tra il mondo invisibile e la realtà umana, agiscono sugli eventi e sono in grado di modificarne il corso, e per operare su di esse suggerendo, talvolta, anche indispensabili indicazioni correttive.

Non solo la varietà degli intenti, ma anche la diversità delle tecniche mantiche di cui i Naxi fanno uso, hanno valso loro l’appellativo di “popolo della divinazione”.1)Vedi Li Lincan 李霖灿, “Dongbajiao de zhanbu” 东巴教的占卜 [La divinazione della religione dongba], in Guo Dalie 郭大烈 e Yang Shiguang 杨世光, Dongba wenhua lun 东巴文化论 [Sulla cultura dongba] (Kunming: Yunnan renmin chubanshe, 1991), 82–91; Li Guowen 李国文, Ren shen zhi mei. Dongba jisi mianmian guan 人神之媒。东巴祭司面面观 [L’intermediario tra l’uomo e le divinità. Studio completo del dongba come operatore rituale] (Kunming: Yunnan renmin chubanshe, 1993), 54. Quasi a ribadire il ruolo primario di queste pratiche è, inoltre, la presenza di due diverse tipologie di divinatori, le cui attività scandiscono il succedersi degli eventi nella vita sociale e personale degli appartenenti alle comunità di questa etnia.

Nel presente contributo verranno introdotte brevemente le caratteristiche di ciascuna di queste figure, per poi approfondire la divinazione operata dal dongba 东巴 attraverso i manoscritti, mettendola anche a confronto con le pratiche mantiche di popolazioni limitrofe, in particolar modo con quelle dei tibetani, indicando come alcune evidenti analogie possano suggerire fenomeni di ibridazione e interessanti esempi di indigenizzazione.

1. La vista acuta che legge la trama invisibile

 Tradizionalmente, il mondo religioso Naxi è stato caratterizzato dagli offici di tre specialisti rituali: lo sciamano (nei testi cinesi indicato come lübo 吕波 o come shangnie 商蘖, sangni 桑尼 e sani 萨尼2)Secondo Rock, la parola “sani corrisponderebbe alla versione dispregiativa di “lübo”, termine con cui, invece, questi specialisti usavano riferirsi a se stessi. Joseph F. Rock, The Na-khi Naga Cult and Related Ceremonies, Part I (Roma: Is.Me.O., 1952), 101.), il divinatore propriamente detto (pa 帕) e il dongba, che potremmo assimilare alla figura del sacerdote e che si presenta come l’unico depositario della pratica cerimoniale realizzata con l’ausilio dei manoscritti in pittogrammi che egli stesso compila. Nel tempo, tuttavia, le caratteristiche di sciamano e divinatore si sono fuse in un unico officiante, che non risponde nemmeno più ai nomi tradizionali locali e che piuttosto risulta noto con termini che i cinesi hanno reso attraverso shangniepa 商蘖帕, sangnipa 桑尼帕 o sangpa 桑帕, generalmente intendendoli come sinonimi. A permettere a questo operatore rituale la formulazione del vaticinio è la diretta ispirazione delle divinità, benché il vero e proprio stato di trancesembri essere stato relegato alla memoria di alcuni racconti, molti dei quali sopravvissuti alla Rivoluzione Culturale.

Sicuramente, il sangpa oggi non è più esclusivamente di genere femminile – come suggerisce invece la presenza, nel relativo pittogramma, del tipico copricapo usato dalle donne Naxi – e, anzi, si è passati dall’apertura di questa funzione anche agli uomini al farne nella modernità una loro prerogativa. Diversamente, si è conservata inalterata nel tempo la caratteristica originaria del divinatore, ben descritta in un manoscritto rituale intitolato “Apertura della cerimonia”,3)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang 丽江东巴文化研究所 (a cura di), Naxi dongba guji yizhu quan ji 纳西东巴古籍译注全集 [Raccolta di traduzioni annotate degli antichi manoscritti dongba dei Naxi], voll. 1–100 (Kunming: Yunnan renmin chubanshe,1999–2000), vol.16, 31–34. Rock ha tradotto una versione diversa di questo stesso passo del manoscritto, The Na-khi Naga Cult, 190–191. recitato all’inizio della celebrazione di “Sacrificio ai demoni del vento”:

In principio l’oscurità era ovunque, tutto era caos indistinto, il sole non era ancora apparso e nemmeno la luna. Dapprima, a sinistra avvenne la creazione di cielo e terra, il sole irradiò la sua bianca luce e solo allora apparve il divinatore. […] Con la sua vista penetrante riusciva a vedere le linee da interpretare, e sulle ossa e sulle scapole oracolari esse apparvero. (TdA)

Dal testo si coglie innanzi tutto l’antichità del pa, che compare immediatamente dopo la creazione del cielo e della terra, quasi a ricordare ancora una volta l’importanza che, nella società Naxi, rivestono le attività che egli svolge e che si caratterizzano per la sua straordinaria capacità di vedere ciò che rimane invisibile agli occhi delle persone comuni, come testimoniato dalle righe successive.4)È interessante notare, a margine, una delle peculiarità dei manoscritti Naxi ovvero la necessità di narrare la genesi dell’elemento principale attorno al quale ruota l’intero rito: solo se si conosce l’origine delle cose è possibile agire efficacemente su di esse. Senza il suo aiuto – e quello del dongba – i Naxi non avrebbero gli strumenti necessari per affrontare il mondo soprannaturale e quelle forze che continuamente devono essere controllate affinché essi non ne siano travolti. Ciò è efficacemente espresso da un modo di dire che sottolinea il loro potere esorcistico e che risuona spesso tanto nei manoscritti rituali quanto tra gli anziani: “Il dongba e il pa insieme rompono le ossa ai demoni”.

La decisa diminuzione del numero di sacerdoti attivi ha, tuttavia, segnato una progressiva autonomia del sangpa nello svolgimento delle attività rituali, fino a renderlo, in alcuni villaggi, l’unico su cui gravi la responsabilità di riportare il cosmo all’ordine e all’equilibrio. Questa situazione ha fatto di lui uno specialista itinerante, che ha dovuto rinunciare a molti degli strumenti propri dello sciamano, come il tamburo o il gong. Anche le tecniche mantiche da lui utilizzate risultano semplici e ricadono nel più ampio ambito della cleromanzia. La divinazione, accompagnata dalla recitazione di formule magiche, può avvenire, ad esempio, interpretando la forma che la chiara e il tuorlo d’uovo assumono quando vengono rovesciati in una ciotola d’acqua, “leggendo” i disegni creati dalla brace e dal fumo di un bastoncino d’incenso acceso o, in caso di malattia, persino attraverso le bollicine che si formano scuotendo l’urina raccolta della persona malata.5)La divinazione realizzata attraverso le ossa oracolari di cui si fa menzione nel manoscritto citato, invece, sembra non essere più parte delle attività del sangpa: durante la ricerca sul campo in alcuni villaggi dello Yunnan nord-occidentale, infatti, non ne è stata osservata la presenza. I responsi così ottenuti mostrano una direzione, indicano una via d’uscita, tracciano un solco. Le parole del mondo invisibile si concedono allo spazio del dialogo con l’umano, aprono uno squarcio nella realtà accogliendo la disponibilità del sangpa a essere quello spazio in cui avvengono l’intermediazione e l’incontro con le entità soprannaturali. Grazie alla sua vista, egli sa riconoscere le ragnatele, altrimenti invisibili, che tessono insieme eventi, persone ed esseri soprannaturali, può istituire nuove connessioni, ripristinare equilibri nelle relazioni tra dimensioni estremamente fluide e instabili.

Le peculiarità, le modalità e i tempi che caratterizzano la sua esperienza del mondo invisibile sono culturalmente codificati; persino i gesti e le finalità, gli stessi ritmi del suo incontro con queste entità evanescenti sono determinati dal contesto sociale. Tutto ciò permette alla comunità di riconoscerlo inequivocabilmente nella sua funzione di sangpa, le cui capacità rispondono all’esigenza di saper instancabilmente riportare all’equilibrio le fratture che si determinano a ogni livello del reale, assumendo, in questa veste, anche il ruolo di garante di un sistema.

Al di là della varietà che interessa le pratiche divinatorie Naxi e che sembra sfuggire a qualsiasi analisi che si proponga di ricercarne l’origine e l’uso esclusivamente all’interno di singoli enclave culturali locali, si apprezza la condivisione di una particolare concezione del cosmo e degli esseri che lo abitano che supera, al contrario, certi confini etnici artificiosamente delineati per interessare un’area geografica—che diventa quindi culturale—ben più estesa. La realtà ha per i Naxi quelle stesse caratteristiche con cui essa è concepita presso molte delle popolazioni limitrofe e che presuppongono la reciprocità, oltre che l’esistenza, di un particolare rapporto tra entità soprannaturali e uomini per cui non si possa fare a meno di figure come il divinatore o lo sciamano.

2. La varietà delle pratiche mantiche oltre i confini etnici: il racconto mitologico

Alcuni documenti a carattere mitologico della tradizione religiosa dongba testimoniano come, a partire da una condivisa concezione del cosmo, ciascuna etnia della regione si sia distinta nell’abilità di divinare applicando una specifica tecnica. Nel manoscritto dongba intitolato “Presentarsi al cospetto di Panzishamei per chiedere i libri delle tecniche mantiche”,6)È attualmente conservato al Museo Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma. Fa parte di quei manoscritti che Rock ha accuratamente raccolto nello Yunnan tra il 1922 e il 1949. Nel 1950 fu personalmente donato dallo studioso al museo. recitato durante la “Grande Cerimonia di Purificazione”, si racconta, infatti, della malattia dei figli della prima coppia di antenati post-diluviani dei Naxi e di come, essendo risultati vani i numerosi sacrifici offerti per guarirli, venne affidata al Pipistrello Bianco e alla compagna del Garuda la missione di volare fino alla dimora celeste della divinità femminile che presiede a ogni sorta di divinazione per supplicarla di donare agli uomini i libri contenenti tutte le tecniche mantiche e le indicazioni sui relativi strumenti affinché si potesse identificare con chiarezza la causa della malattia e attuare le conseguenti azioni rituali correttive, necessarie per ottenere la guarigione dei due giovani. Dopo varie peripezie, e dopo aver rifiutato diversi libri sull’arte mantica, il Pipistrello Bianco accettò dalla dea:

i libri sacri attraverso cui operare la divinazione e interpretare i risultati [ottenuti] utilizzando la scapola sinistra di una robusta capra, [quelli] mediante cui operare la divinazione e interpretare i risultati [ottenuti] utilizzando la scapola destra di una pecora molto grassa, quelli attraverso cui operare la divinazione e interpretare i risultati [ottenuti] utilizzando la scapola e la tibia di una gallina, quelli attraverso cui operare la divinazione e interpretare i risultati [ottenuti] rompendo un uovo e lasciandone cadere il contenuto in una ciotola. Panzishamei [gli] diede [anche] i libri sacri attraverso cui operare la divinazione con i fili di lana, dei Moxie. [Gli diede] quelli per praticare la divinazione [che si sarebbe diffusa soprattutto] nella zona di rGya-sde;7)Si tratterebbe della zona centrale del Tibet orientale, in cui è ampiamente diffuso il Bӧn. Rock, The Na-khi Naga Cult, 199, nota 302. Su questo tipo di divinazione non sono state raccolte informazioni sufficienti per poterne presentare una descrizione o i contenuti. Ulteriori ricerche da condurre nel contesto tibetano potranno sicuramente fornire dati importanti. quelli per divinare sottoponendo le scapole a fonte di calore, [che sarebbe stata] dei Niuniu; quelli per divinare con nove fili di canapa, dei tibetani; quelli per divinare con la tibia di gallina, dei Luoluo; quelli per divinare [lanciando] le conchiglie, dei Bai. Inoltre, il Pipistrello Bianco ricevette i trecentosessanta strumenti mantici che sarebbero diventati dei Naxi. Panzishamei mise i trecentosessanta strumenti mantici in una scatola di bambù resistente e la consegnò al Pipistrello Bianco, ammonendolo: “Non dovrai aprire la scatola di robusto bambù prima che tu abbia potuto vedere il volto degli uomini che vivono sul vasto territorio del genere umano”. (TdA)

Questo passo offre numerosi spunti di riflessione e di analisi. Il testo testimonia, innanzi tutto, quella diffusione – a cui  si accennava poc’anzi – di una condivisa concezione della realtà le cui caratteristiche rendono l’attività del divinatore irrinunciabile e, alla luce degli etnonimi citati, si osserva che tale diffusione coinvolge varie popolazioni con cui i Naxi si sono confrontati nel corso della storia e interessa un territorio che potremmo identificare con l’area dello Yunnan nord-occidentale, del Sichuan sud-occidentale e del Tibet.

L’etnonimo Moxie, il primo riportato, ha un’ampia ricorrenza nei documenti cinesi fino agli anni ’50 del Novecento e nelle cronache locali almeno sin dall’epoca Tang, nelle quali spesso era impiegato per indicare anche i Naxi. Tuttavia, il racconto mitologico qui presentato suggerisce piuttosto che, in questo caso, poiché segue poco dopo un riferimento esplicito ai Naxi, sia più opportuno adottare il suo secondo uso, che intende il termine come sovrapponibile all’etnonimo Mosuo, con cui i Naxi hanno avuto sempre legami molto stretti, tanto che le due popolazioni parlano due dialetti di una stessa lingua. Attualmente, i Mosuo vivono essenzialmente nei distretti di Yanyuan, Yanbian e Muli in Sichuan, e nei distretti di Ninglang e Yongning (nei pressi del lago Lugu) dello Yunnan.

Il metodo di divinazione loro attribuito, ritenuto da Rock uno dei più antichi,8)J. F. Rock, A Na-Khi-English Encyclopedic Dictionary, 2 voll., (Roma: Is.Me.O., 1963), vol. I, 283. consiste nel far rotolare tra i palmi delle mani nove fili di lana della lunghezza di circa 30 centimetri ciascuno. Il divinatore porta le mani all’altezza del volto e soffia sui fili di lana concentrandosi su ciò per cui richiede l’ispirazione al mondo soprannaturale. A occhi chiusi, lega poi le due estremità di ogni filo, inizialmente a sinistra successivamente a destra del proprio corpo, in seguito dietro e di fronte. I fili vengono, infine, ripresi e fatti nuovamente rotolare tra i palmi delle mani dinanzi al viso prima di essere lasciati cadere su un tavolo, quindi interpretati per formulare il vaticinio.9)Rock, The Na-khi Naga Cult, 199.

La tecnica impiegata dai Niuniu10)Su questa etnia non è stato possibile raccogliere ulteriori indicazioni. Secondo Fu Maoji, che ha tradotto un’altra versione dello stesso manoscritto qui presentato, si tratterebbe degli Yi. Fu Maoji 傅懋勣, Naxizu tuhua wenzi “Bai Bianfu qu jing ji” 纳西族图画文字 白蝙蝠取经记 研究 [Studio del manoscritto pittografico dei Naxi “Il Pipistrello Bianco alla ricerca dei libri sacri”], Computational Analyses of Asian and African Languages, Serie monografica n. 9, 1984, 196. Gli Yi vivono oggi nella regione montuosa dei Liang Shan 凉山 tra Sichuan meridionale e Yunnan, in alcune zone del Guizhou nord-occidentale e del Guangxi. consiste nel porre alcuni steli di stella alpina essiccati sulla scapola di un montone e nell’interpretare le spaccature provocate sul periostio dalla loro accensione. Una simile pratica è presente anche tra i Naxi: l’osso viene bollito e privato della carne e vi vengono posti degli steli di stella alpina che, una volta accesi e ridotti in cenere, avranno prodotto delle crepe, le quali saranno interpretate dal dongba con l’ausilio di uno specifico testo, intitolato “Leggere le scapole”, che fa parte di un’ampia categoria di manoscritti pittografici esclusivamente dedicati alla divinazione operata mediante diverse tecniche e chiamata proprio con il nome collettivo di “manoscritti zuola”, di cui si avrà modo di trattare più avanti.

Molto antica è, sicuramente, la divinazione con le corde (ju thig), ascritta ai tibetani, anche se oggi risulta essere poco praticata.11)Poca ricerca è stata dedicata a questa particolare pratica. Alcuni studi in merito sono stati condotti da Donatella Rossi presso l’International Consortium for Research in the Humanities (Friedrich-Alexander-University Erlangen-Norimberga), nell’ambito dei quali è stato prodotto il video disponibile al seguente link, da cui è stata tratta la maggior parte delle informazioni utilizzate nel presente contributo: http://ikgf.fau.de/videos/documentaries/practice-of-divination-rinpoche.shtml Si tratta di una tecnica piuttosto complessa, strettamente legata alla tradizione Bӧn e già attestata nei manoscritti di Dunhuang. La sua origine può essere fatta risalire all’antico regno di Zhang Zhung.12)I suoi confini possono essere approssimativamente indicati come segue: a nord Kothan, a nord-ovest Gilgit, a est la valle dello Yarlung (cuore originario del regno tibetano) e la Cina, a sud l’India nord-occidentale, a ovest il settore orientale dell’altopiano iranico, il Tazig, e la piccola regione dell’Oḍḍiyāna (corrispondente all’attuale valle dello Svāt, in Pakistan). Il monte Kailāsa, non solo è stato cardine di questo regno, ma è anche centro della regione a cui la tradizione attribuisce i natali del riformatore e sistematizzatore del Bòn arcaico, sTon pa gShen rab Mi bo. Samten Gyeltsen Karmay, “A General Introduction to the History and Doctrines of Bon”, Memoires of the Research Department of the Tōyō Bunko, 33, 1975, 171–218; Adriano Clemente (a cura di), Chögyal Norbu Namkhai, Drung, Deu e Bön. Le narrazioni, I linguaggi simbolici e il Bön dell’antico Tibet (Arcidosso: Shang Shung Edizioni, Merigar 1996); John Vincent Bellezza, “gShen-rab Myi-bo, His Life and Times According to Tibet’s Earliest Literary Sources”, Revue d’Etudes Tibétaines, 19, 2010, 31–118, citati in Francesco Maniscalco, “Prolegomeni alla religione bon e ai principi soteriologici del tantra materno (Ma rgyud)”, Annali di Cafoscari. Serie Orientale, 57, 2021, 241–282. In passato, l’auspicio era tratto annodando e sciogliendo nove corde di canapa.13)Rock, The Na-khi Naga Cult, 199. Attualmente, se ne impiegano, invece, sei di lana, una delle quali è lunga il doppio delle altre e tutte terminano con del pelo di zampa di orso bruno himalayano o con del sottopelo di yak. Durante la divinazione, le estremità delle corde vengono annodate in successione, a due a due. Poi, il divinatore le lascia cadere su un apposito pezzo di stoffa o di feltro e suddivide i nodi in base a come si sono presentati cadendo. Infine, con l’ausilio di un particolare manuale interpretativo—in cui sono riferite 360 diverse combinazioni fondamentali di nodi—formula il vaticinio. È interessante notare le similitudini che si riconoscono con il contesto Mosuo: non solo il fatto che le estremità delle corde vengano annodate, ma anche che, nel corso dell’invocazione precedente la divinazione, il divinatore tibetano soffi sulle corde. In questo caso, il gesto viene compiuto esplicitamente per infondere su di esse la forza della chiaroveggenza.

Benché per molto tempo i cinesi abbiano utilizzato i termini “Lulu” 盧鹿 e “Luoluo” 猓猓 per indicare una popolazione con la quale i Naxi hanno intrattenuto spesso rapporti conflittuali—originariamente stanziatasi in una regione non troppo ampia collocabile a est e a sud-est di Lijiang e corrispondente approssimativamente all’attuale distretto di Yongsheng—oggi tali etnonimi sono caduti in disuso, il secondo a causa della sfumatura dispregiativa comunicata dalla presenza del radicale “cane”. Essi sono stati sostituiti prima da caratteri con radicali diversi (倮倮), poi dall’etnonimo “Yi” 彝. Il manoscritto fa riferimento a una loro particolare tecnica di divinazione che prevede l’uso di tendini e ossa di gallina, tra le quali principalmente la tibia. Si può, tuttavia, osservare che non si tratta di una pratica esclusivo appannaggio degli Yi in quanto il passo del manoscritto su citato si apre con un elenco di tecniche di cui la dea Panzishamei fa dono ai Naxi, tra le quali compare anche questa. D’altro canto, presso gli Yi stessi sono documentate, e persino in tempi recenti, diverse altre pratiche mantiche che il manoscritto delinea come caratterizzanti piuttosto l’orizzonte religioso di popolazioni confinanti, come la divinazione con l’uovo o la pratica mediante le scapole di animali,14)Hong Ze, “Ghost, Divination and Magic among the Yi” (2021), disponibile alla seguente pagina: https://www.researchgate.net/publication/353451786_ghost_divination_and_magic_among_the_Yi (consultata il 31.03.2023). soprattutto di pecora. È, dunque, evidente che i frequenti contatti avvenuti in questa zona, la quale è stata anche a lungo attraversata dall’importante, antica via commerciale “del tè e dei cavalli” (chama gu dao 茶马古道), abbiano prodotto una serie di interessanti contaminazioni, che contribuiscono alla definizione di un’area culturale sud-himalayana.

Per quanto concerne i Bai, essi occupano da sempre i territori a sud della regione abitata dai Naxi. Sono stati gli artefici del regno di Nanzhao, la cui capitale non fu distante dall’odierna cittadina di Dali. Oggi vivono non solo nello Yunnan, ma anche in alcune aree del Guizhou. Il manoscritto riferisce come tipico della loro arte divinatoria l’uso delle conchiglie. Questa viene praticata lanciando più volte in una ciotola due conchiglie di ciprea. La parte convessa del nicchio destinato a questo uso viene levigata e appiattita, rendendo così le sue due facce del tutto simili e distinguibili soltanto per il fatto che una delle due venga, in un secondo tempo, annerita. L’auspicio è elaborato interpretando il significato delle combinazioni di bianco e nero che si presentano durante i lanci. Anche in questo caso, è interessante notare come una tecnica di divinazione molto simile non sia sconosciuta ai Naxi, i quali possiedono specifici manoscritti—che fanno parte dei zuola—alla cui consultazione ricorrono per formulare il vaticinio, anch’essi sulla base delle possibili combinazioni. I dongba Naxi preparano le conchiglie riservate a questo impiego—che diventano parte del loro corredo rituale—strofinando la parte convessa contro una pietra per appiattirla e riempiendo la cavità che si viene a formare con dell’argento liquido, cavità che viene in un secondo momento sigillata con la cera. In questo modo, si ottiene un nicchio con la superficie superiore nera e con quella inferiore bianca. Nella seduta possono essere usate tredici, cinque o due conchiglie così ottenute. Per la divinazione con tredici conchiglie, l’officiante effettua tredici lanci, annotando il numero di conchiglie bianche che compare in ciascuno di essi e consultando alla fine il significato di ogni combinazione.15)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 94, 23–68. Una simile procedura segue la divinazione operata con due conchiglie, che prevede tre lanci.16)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 97, 129–154. Infine, nella divinazione con cinque conchiglie, vengono effettuati due lanci, al primo corrisponde un auspicio “interno”, al secondo un auspicio “esterno”. La prima conchiglia bianca che compare durante la divinazione rappresenta l’elemento acqua, la seconda il fuoco, la terza il legno, la quarta il metallo e la quinta la terra. Analoga corrispondenza interessa anche le conchiglie che cadono presentando la faccia annerita. Nel relativo manoscritto, le combinazioni possibili sono interpretate in termini di complementarità e antagonismo tra i cinque elementi.17)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 93, 85–126.

Non si può non rilevare, dunque, come la regione di confine tra Tibet, Yunnan e Sichuan manifesti una notevole porosità delle frontiere culturali locali, talvolta troppo frettolosamente identificate con quelle etniche e a esse sovrapposte. Benché alla luce del manoscritto oggetto di analisi sembra si possa attribuire a ciascuna delle popolazioni citate un’esclusiva abilità nell’ambito delle tecniche di divinazione, ciò che si riscontra è, al contrario, la presenza di notevoli tratti comuni. Infatti, come si è accennato in precedenza, la particolare concezione del mondo e del reale elaborata va al di là dei confini delle singole etnie e le accomuna tutte in una prospettiva geograficamente più ampia. Se, per usare le parole di Overing, “il mondo, dal punto di vista della conoscenza che noi abbiamo di esso, è come lo vediamo attraverso i paradigmi che noi creiamo”,18)Joanna Overing (a cura di), Reason and Morality (Londra: Tavistock, 1985), 2. continui e prolungati contatti tra popolazioni limitrofe hanno qui contribuito a rendere ogni frontiera sfumata, ogni paradigma fluido, ogni confine labile, producendo creativi processi di ibridazione di queste pratiche, tanto da essere pressoché tutte presenti nella più estesa regione indicata.

3. I manoscritti zuola dei Naxi e la divinazione nella tradizione Bӧn: alcune osservazioni iniziali

Particolarmente significative sono le analogie che è possibile riscontrare tra alcuni aspetti della divinazione nel contesto Bӧn e in quello dongba. In quest’ultimo, la formulazione del responso avviene sempre attraverso la consultazione di “manuali”, chiamati zuola. Sono manoscritti che, contrariamente a quelli per i quali i dongba hanno acquisito la loro fama, non vengono recitati durante i rituali, bensì utilizzati esclusivamente a scopo divinatorio anche se, in rapporto alle cerimonie, includono spesso indicazioni in merito a quelle correttive da celebrare in conseguenza dell’esito della divinazione. In alcuni casi, inoltre, possono presentare qualche verso che il dongba recita, ma in genere si tratta di formule magiche necessarie al completamento della stessa pratica mantica.

Idealmente, è possibile suddividere i manoscritti zuola in tre classi principali, in relazione al tipo di tecnica impiegata: quelli a supporto della cleromanzia, quelli che prevedono l’interpretazione di fenomeni naturali e quelli per la divinazione in base al tempo. Nel caso della cleromanzia, il responso è tratto dall’interpretazione di combinazioni ottenute mediante il lancio casuale di dadi, monete, pietre, conchiglie oppure dall’interpretazione di altri elementi, quali, ad esempio, i sogni, il canto degli uccelli, la forma delle foglie di rododendro raccolte dal cliente lungo il cammino verso l’abitazione del dongba, quella delle crepe prodotte da una fonte di calore sulle scapole di capra (animale prediletto a tale scopo dagli specialisti rituali dell’etnia perché ritenuto capace d’intendere tanto le parole dell’uomo, quanto quelle delle divinità e dei demoni) o l’aspetto di un bastoncino d’incenso portato dal cliente e acceso nel corso della seduta.19)Questa tecnica, insieme pochissime altre—ad alcune delle quali è stato già fatto riferimento—è diffusa sia tra i dongbasia tra i sangpa. A titolo esemplificativo, si presenta di seguito qualche riga del manoscritto “Divinare con i bastoncini d’incenso”:20)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 98, 102–103.

Se la parte del bastoncino accesa è sottile, eccessivamente flessibile e vibra al tocco, è perché si è confusi e inqueti. È a causa di demoni da parte materna e paterna, che chiedono da mangiare; è a causa delle anime di coloro che non hanno ricevuto il sa21)È un sacchetto, che si deve sistemare sotto la lingua degli agonizzanti, contenente sette chicchi di riso per le donne, nove per gli uomini, e un pezzettino d’oro o d’argento, considerati necessari per il viaggio che l’anima dovrà compiere per raggiungere il Regno degli Antenati. in punto di morte e che tornano a chiedere cibo; è a causa delle anime di coloro per i quali dopo la morte non sono state celebrate le cerimonie affinché esse fossero accompagnate al Regno degli Antenati e che tornano a chiedere da mangiare. (TdA)

Queste molteplici pratiche vengono impiegate per formulare auspici in merito a una grande varietà di situazioni, tra cui particolarmente ricorrenti sono, oltre all’eziologia della malattia, anche la perdita di capi di bestiame o di oggetti, la scomparsa di persone, il benessere della prole, l’esito di viaggi e trasferimenti o la realizzazione di progetti. La cleromanzia solitamente conduce in modo molto chiaro a cerimonie di esorcismo contro le numerose tipologie di demoni che funestano la vita quotidiana dei Naxi; rimane, invece, difficile la puntuale classificazione di un singolo manoscritto rispetto al tipo di tecnica in esso descritto in quanto spesso in uno stesso testo sono presentate più pratiche diverse.

Per quanto riguarda la seconda categoria di manoscritti zuola, essi contengono istruzioni per l’interpretazione di fenomeni naturali, quali terremoti, alluvioni, incendi, violenti temporali, e di comportamenti insoliti degli animali, come ad esempio la deposizione di uova troppo piccole o troppo grandi o la nascita di cuccioli deformi. In ogni caso, si tratta di eventi forieri di disgrazie, malattie e, più in generale, di cattiva sorte, per questo motivo è opportuno che si intervenga tempestivamente. Altri responsi possono essere formulati sulla base di eventi straordinari che riguardano i corpi celesti: comete, stelle cadenti, eclissi. In particolare, i Naxi ritengono che le eclissi siano causate dalle fameliche stelle zache divorano a volte il sole, altre la luna. L’apparire di tali stelle è ritenuto, quindi, un evento nefasto, da cui è necessario proteggersi con la celebrazione di apposite cerimonie. Secondo un mito raccontato dal dongba He Jigui, che ha a lungo collaborato con l’Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, quando la luna, sorella minore del sole, venne divorata per la prima volta da una stella za, il sole la liberò squarciando con un coltello la gola della stella. Lo stesso fece la luna quando il sole si trovò nella medesima situazione. Ancora oggi, si dice che i due astri abbiano l’opportunità di comparire di nuovo, dopo essersi oscurati, proprio grazie a quelle ferite, da cui possono uscire nuovamente ogni volta.

Se consideriamo la divinazione in ambito Bӧn, ci accorgiamo non solo che molte delle tecniche usate possono essere intese, come nel caso dei manoscritti zuola, quali forme di cleromanzia, ma anche che, queste forme, in più di qualche occasione, presentano elementi analoghi a quelli della divinazione dongba. Ad esempio, è documentato anche in questo contesto il lancio di dadi e di pietre, le cui combinazioni vengono similmente interpretate dal divinatore attraverso la consultazione di “almanacchi”, che possono presentarsi in forma cartacea o essere stati da lui memorizzati. La stessa scapulomanzia, praticata con ossa di pecora, è annoverata tra le tecniche più antiche del Bӧn22)Réne De Nebesky-Wojkowitz, Oracles and Demons of Tibet (Taipei: SMC Publishing Inc., 1990 [1956]), 455–456. e attribuita, oltre ai Naxi e naturalmente alla Cina antica, anche a diverse popolazioni nomadiche centrasiatiche. I quesiti a cui essa risponde riguardano la cattiva sorte, la salute, i viaggi, gli affari, per citare i più ricorrenti. La letteratura di Dunhuang, inoltre, testimonia la diffusione anche in area tibetana della divinazione operata mediante il lancio di monete.

Nella tradizione Bӧn,23)Le informazioni relative alla tradizione Bӧn, dove non diversamente specificato, sono state tratte da: Alexander K. Smith, Divination in Exile (Leida-Boston: Brill, 2021), 37–104. l’origine mitica della quasi totalità delle pratiche mantiche viene fatta risalire al suo stesso fondatore, il Buddha sTon pa gShen rab, che Rock identifica anche come il padre della religione dei Naxi.24)Joseph F. Rock, “The Birth and Origin of Dto-mba Shi-lo, the Founder of the Mo-so Shamanism, according to Mo-so Manuscripts”, Artibus Asiae, 7, 1937, 5–85. Secondo quanto narrato nel mDo dri med gzi brjid, egli codificò il primo dei “veicoli” della tradizione Bӧn, il phya gshen theg pa, in quattro categorie differenti: la divinazione, l’astrologia, una particolare classe di rituali apotropaici (gTo) e la diagnosi. Ciascuna di queste categorie è stata poi da lui articolata in una sezione generale e una sezione specifica. La sezione generale relativa alla divinazione è costituita da un insieme non meglio definito di 360 diverse tecniche mantiche. Come si ricorderà, esattamente lo stesso riferimento numerico ricorre nel manoscritto dongba presentato nel secondo paragrafo: “Panzishamei mise i trecentosessanta strumenti mantici in una scatola di bambù resistente e la consegnò al Pipistrello Bianco”. Approfondendo la sezione specifica, si nota che le pratiche mantiche Bӧn sono in essa ulteriormente suddivise in quattro gruppi: la divinazione con le corde e la litomanzia; la divinazione con specchi e altre superfici riflettenti, quella con il rosario, con i dadi e altre forme di cleromanzia; l’oniromanzia (probabilmente di origine indiana) e la divinazione mediante l’interpretazione di presagi e portenti; la divinazione mediante diretta ispirazione soprannaturale attraverso la trance o la possessione.

È facile riconoscere nell’elenco dei quattro gruppi tecniche già citate in ambito dongba. Inoltre, sono presenti anche delle analogie formali: come avviene presso i Naxi, così anche nella letteratura divinatoria Bӧn un medesimo manoscritto può contenere indicazioni relative a più pratiche mantiche diverse. Si è osservato, infatti, che in entrambi i contesti la divinazione con le corde e la litomanzia sono frequentemente associate. Le caratteristiche comuni fin qui evidenziate, non solo ribadiscono evidenti affinità tra le tecniche divinatorie Bӧn e dongba, ma suggeriscono anche che lo studio della divinazione tibetana realizzata mediante le pietre potrebbe rivelarsi di grande ausilio nella comprensione di una pratica mantica Naxi che nessuno è più in grado di operare pur esistendo il corrispondente manoscritto dongba, conservato presso l’Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang.

Si tratta di una tecnica che richiede l’impiego di trentatré carte, all’estremità di ognuna delle quali è legato un filo che permette al cliente di estrarle più agevolmente dal mazzo. Ciascuna è poi divisa in cinque sezioni: su ogni sezione compare il disegno di una delle combinazioni ottenibili dal lancio di pietre bianche e nere, e un’immagine.25)Un set di questo tipo di carte è conservato presso l’Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba, a Lijiang. Rolf Stein ha tradotto un manoscritto tibetano senza titolo in cui è delineato un tipo di divinazione con trentatré carte e quindici o ventuno sassi, tutti bianchi eccetto uno, di colore nero.26)Rolf Stein, “Trente-trois fiches de divination tibétaines”, Harvard Journal of Asiatic Studies, 4, 3–4, 1939, 297–371. Il futuro confronto tra i contenuti dei testi appartenenti alle due tradizioni sarà il primo passo per cercare di ricostruire in ambito dongba quegli aspetti che ad oggi sembrerebbero essere caduti nell’oblio, sia relativamente al significato della struttura della singola carta, sia al senso delle possibili combinazioni di pietre bianche e nere.

Non poche similitudini riguardano anche la divinazione mediante il canto dei corvi. Si tratta di una tecnica sull’origine della quale gli studiosi hanno formulato ipotesi divergenti: Laufer,27)Berthold Laufer, “Bird Divination among the Tibetans”, T’oung Pao, Second Series, 15, 1, 1914, 1–110. ad esempio, la ritiene di derivazione indiana, mentre Morgan28)Carole Morgan, “La divination d’après les croassements des corbeaux dans les manuscrits de Dunhuang”, Cahiers d’Extrême-Asie, 3, 1987, 55–76. propende piuttosto per un’origine indigena tibetana. Tralasciando le disquisizioni sulla genesi in quanto già ampiamente dibattute, si nota che il manoscritto tibetano Pelliot n. 3530 (ricatalogato 1045) della collezione di Dunhuang studiato da Laufer e quello dongba “Divinare in base al canto del corvo”,29)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 99, 317–347. oltre ad avere in comune l’argomento trattato, condividono anche il metodo di ricavare auspici dal canto del corvo ovvero dall’orientamento dell’animale nello spazio, dall’ora in cui lo si sente e dal tipo di verso prodotto, come testimonia il breve estratto del testo dongba proposto di seguito:

Se si sente cantare un corvo in volo, porta notizie infauste da lontano, è un cattivo presagio, potrebbe morire qualcuno ed essere necessario celebrare una cerimonia in cui siano presentati libagioni e cibo […]. Se il corvo canta nell’ora della tigre, è di buon auspicio. Se il corvo canta nell’ora della lepre, le donne s’imbatteranno in persone che discutono e litigano […]. Se il corvo canta prima di mezzanotte, si udrà il rumore dei demoni che abbattono gli alberi; tra i vicini e nel villaggio, in un arco di tempo compreso tra sei e sedici giorni, è possibile che a qualcuno accada una disgrazia […]. Se il corvo canta facendo “guagua”, in tutte e nove le stanze della casa si metterà carne rossa […]. Se si sente cantare un corvo che rivolge la testa nella direzione della capra [sud-ovest], ci sarà una grande pioggia e grossi alberi potrebbero venire sradicati; si potrà essere molestati dai demoni; si potrà perdere qualcosa entro dieci giorni, si potranno perdere nove coperte di feltro. (TdA)

Non si riscontra, invece, un’identità d’interpretazione del canto del corvo: a parità di condizioni, non corrisponde, nei due testi a confronto, il medesimo auspicio. Ciò potrebbe suggerire che all’ibridazione di certe pratiche si sia anche accompagnato un processo di indigenizzazione, per cui i tratti culturali fatti propri e assorbiti dalla dimensione locale siano stati anche rivisitati attraverso dinamiche di eterogeneizzazione, che hanno creato nuovi significati.

Per questioni di spazio, e per la loro complessità, non è possibile in questa sede affrontare un’analisi comparata delle modalità di divinazione legate alla dimensione del tempo, anche perché essa prevede lo studio delle unità attraverso cui esso è strutturato ovvero anno, mese, settimana, giorno, le quali dipendono strettamente, a loro volta, da altri fattori: le nove direzioni, i cinque elementi, i dodici segni dello zodiaco. Si può, però, anticipare che queste relazioni sussistono in entrambi i contesti culturali e che, inoltre, tanto i Naxi quanto i tibetani considerano il giorno suddiviso in unità temporali di due ore (in area tibetana ha, tuttavia, trovato diffusione dall’India un ulteriore sistema astronomico, che ha affiancato il primo e in cui il giorno è suddiviso in sessanta unità).

Trattandosi di popolazioni fondamentalmente di origine nomadica, lo scorrere del tempo è stato per entrambe sempre immancabilmente connesso, inizialmente, alle attività pastorali e, poi, al sopraggiunto ciclo delle attività agricole. Questa concezione condivisa, già di per sé articolata, è complicata dall’intervento di un altro fattore, costituito da alcune forze demoniache che, per il loro agire nello spazio in determinati momenti, condizionano pesantemente molti aspetti della quotidianità dell’individuo. Vale la pena accennare brevemente almeno a una delle affinità riscontrate. Nella cultura tibetana, una di queste particolari entità è chiamata il “Signore della Terra” (sa bdag) e influenza ogni attività agricola, la costruzione di edifici, la data in cui intraprendere viaggi.30)Petra Maurer, “Preface”, in Petra Maurer, Donatella Rossi, Rolf Scheuermann (a cura di), Glimpses of Tibetan Divination. Past and Present (Leida-Boston: Brill, 2019), VII–XXI. Nel contesto dongba, esiste un manoscritto intitolato “Divinare in base a ciò di cui si nutre lo Spirito della Terra”,31)Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 96, 109–150. in cui è annotato ciò di cui esso si ciba in ognuno dei trenta giorni dei dodici mesi lunari. Questa entità, che ha testa di bovino ed è classificata come “spirito” a causa della sua doppia natura—benevola e malevola—è molto importante in quanto, essendo responsabile della terra, è lei che bisogna interpellare prima della costruzione di nuove abitazioni o prima di qualsiasi attività agricola. Per evitare che si offenda, è possibile abbattere alberi, gettare fondamenta di nuove abitazioni, castrare animali, costruire pagliai solo nei giorni in cui lo spirito si nutre di alimenti privi di sangue, mentre tra le attività permesse esclusivamente nei giorni in cui si ciba di animali, ricordiamo l’andare a caccia, il tenere cerimonie sacrificali o la preparazione di frecce avvelenate. Questo in linea generale, poiché la distribuzione geografica dei villaggi Naxi ha di fatto favorito la diffusione di alcune variazioni nell’interpretazione del manoscritto. Sicuramente, i tratti comuni che caratterizzano non solo la denominazione, ma anche le attività presiedute dal “Signore della Terra” e dallo “Spirito della Terra”, suggeriscono l’auspicabilità di uno studio comparato, che sarà parte delle future ricerche.

Il quadro che si è cercato di delineare indica come i frequenti contatti intercorsi nel tempo tra tibetani e Naxi lungo l’antica “Via del tè e dei cavalli” abbiano prodotto forti contaminazioni culturali, spesso originali nella loro produzione di significati, dal cui confronto sarà probabilmente possibile ricostruire, tra le altre, le caratteristiche di alcune tecniche mantiche dongba non più in uso, ma di cui si sono conservati i manoscritti relativi alla formulazione degli auspici. L’esistenza di tali contaminazioni non fa che ribadire la necessità di considerare le culture sempre in termini processuali e creativi, confermando le parole di Hannerz, secondo cui esse “non possono mai risultare completamente sistemi stabili e coerenti; sono eterni work in progress”.32)Ulf Hannerz, “The World in Creolisation”, Africa, 57, 4, 1987, 550.

Conclusioni

Il contributo proposto, lungi dal voler essere una trattazione esaustiva sull’argomento, ha presentato alcuni risultati preliminari di uno studio sull’arte divinatoria nella Cina sud-occidentale. Nella zona di confine tra Yunnan, Sichuan e Tibet, così come in tutta l’area tibetana, appare diffusa e condivisa una concezione della realtà in cui la vita dell’individuo è intessuta in una trama di relazioni intrattenute con forze soprannaturali e naturali, che è possibile interrogare attraverso la divinazione. Essa crea un varco che permette al mondo invisibile di manifestarsi nell’umano in una dimensione dialogante e all’essere umano di indagare nelle pieghe del cosmo.

Significativa si è rivelata la fluidità dei confini culturali locali, troppo spesso artificiosamente sovrapposti a quelli etnici. Continui e prolungati contatti tra popolazioni limitrofe hanno contribuito alla produzione di creativi processi di contaminazione tra le pratiche divinatorie della zona, che manifestano una diffusione e una varietà che supera le frontiere della distribuzione geografica delle singole etnie per andare piuttosto a configurare un’area ben più ampia, che potremmo definire di “ibridazione culturale”. L’ipotesi che l’origine di molte delle tecniche mantiche presentate possa essere ricondotta esclusivamente all’interno di singoli enclave locali o che esse possano avere una natura “incontaminata” appare, quindi, difficilmente sostenibile. Esse riflettono piuttosto molteplici sistemi rituali e religiosi, i cui processi di ibridazione implicano adattamenti e appropriazioni, che si sovrappongono ai flussi provenienti da Cina, India e Asia Centrale.

In questo caleidoscopio, sono emerse rilevanti analogie tra la divinazione Bӧn e quella Naxi, in particolare. Innanzi tutto, in entrambi i contesti sono documentate una divinazione per ispirazione diretta delle divinità e una divinazione realizzata mediante la consultazione di manoscritti funzionali alla formulazione del responso e nella quale si osserva la centralità dell’interpretazione testuale dello specialista rituale. Inoltre, si riscontra la presenza di diverse tecniche comuni, persino nelle modalità di associazione delle stesse all’interno della letteratura divinatoria. I dati relativi alla divinazione operata mediante il canto del corvo suggeriscono, infine, il parallelo sviluppo di dinamiche di eterogeneizzazione, attraverso cui sono stati creati nuovi significati per i tratti culturali di cui la dimensione locale si è appropriata.

La divinazione in questa regione sembra essere, dunque, un fenomeno composito e poroso. Sorprende, al momento, il fatto che questa fluidità non abbia prodotto anche un processo di revisione interno alla letteratura divinatoria, finalizzato all’introduzione di nuovi contenuti e significati, più adeguati alla modernità. Ma, forse, nelle maglie della produzione transculturale delle periferie, la creazione di diversità alternative è già silenziosamente all’opera.

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Immagine: Strumento mantico dei Naxi (foto dell’autrice)

Cristiana Turini insegna cinese all’Università di Macerata. Dopo aver perfezionato lo studio della lingua all’Università di Lingue e Culture di Pechino e all’Università di Wuhan, ha conseguito il titolo di Master of Arts in Antropologia Medica presso la School of Oriental and African Studies di Londra e quello di dottore di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale all’Università “La Sapienza”. I suoi interessi di ricerca si rivolgono all’antropologia della Cina sud-occidentale, in particolare allo studio delle etnomedicine nella regione di confine tra Yunnan, Tibet e Sichuan. Alcune delle sue pubblicazioni riguardano le esperienze di malattia e guarigione tra i Naxi dello Yunnan, la traduzione di manoscritti dongba e la scrittura pittografica Naxi, l’arte dongba contemporanea, la relazione tra cibo e identità culturale lungo le ultime propaggini dell’altopiano himalayano.

References
1 Vedi Li Lincan 李霖灿, “Dongbajiao de zhanbu” 东巴教的占卜 [La divinazione della religione dongba], in Guo Dalie 郭大烈 e Yang Shiguang 杨世光, Dongba wenhua lun 东巴文化论 [Sulla cultura dongba] (Kunming: Yunnan renmin chubanshe, 1991), 82–91; Li Guowen 李国文, Ren shen zhi mei. Dongba jisi mianmian guan 人神之媒。东巴祭司面面观 [L’intermediario tra l’uomo e le divinità. Studio completo del dongba come operatore rituale] (Kunming: Yunnan renmin chubanshe, 1993), 54.
2 Secondo Rock, la parola “sani corrisponderebbe alla versione dispregiativa di “lübo”, termine con cui, invece, questi specialisti usavano riferirsi a se stessi. Joseph F. Rock, The Na-khi Naga Cult and Related Ceremonies, Part I (Roma: Is.Me.O., 1952), 101.
3 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang 丽江东巴文化研究所 (a cura di), Naxi dongba guji yizhu quan ji 纳西东巴古籍译注全集 [Raccolta di traduzioni annotate degli antichi manoscritti dongba dei Naxi], voll. 1–100 (Kunming: Yunnan renmin chubanshe,1999–2000), vol.16, 31–34. Rock ha tradotto una versione diversa di questo stesso passo del manoscritto, The Na-khi Naga Cult, 190–191.
4 È interessante notare, a margine, una delle peculiarità dei manoscritti Naxi ovvero la necessità di narrare la genesi dell’elemento principale attorno al quale ruota l’intero rito: solo se si conosce l’origine delle cose è possibile agire efficacemente su di esse.
5 La divinazione realizzata attraverso le ossa oracolari di cui si fa menzione nel manoscritto citato, invece, sembra non essere più parte delle attività del sangpa: durante la ricerca sul campo in alcuni villaggi dello Yunnan nord-occidentale, infatti, non ne è stata osservata la presenza.
6 È attualmente conservato al Museo Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma. Fa parte di quei manoscritti che Rock ha accuratamente raccolto nello Yunnan tra il 1922 e il 1949. Nel 1950 fu personalmente donato dallo studioso al museo.
7 Si tratterebbe della zona centrale del Tibet orientale, in cui è ampiamente diffuso il Bӧn. Rock, The Na-khi Naga Cult, 199, nota 302. Su questo tipo di divinazione non sono state raccolte informazioni sufficienti per poterne presentare una descrizione o i contenuti. Ulteriori ricerche da condurre nel contesto tibetano potranno sicuramente fornire dati importanti.
8 J. F. Rock, A Na-Khi-English Encyclopedic Dictionary, 2 voll., (Roma: Is.Me.O., 1963), vol. I, 283.
9 Rock, The Na-khi Naga Cult, 199.
10 Su questa etnia non è stato possibile raccogliere ulteriori indicazioni. Secondo Fu Maoji, che ha tradotto un’altra versione dello stesso manoscritto qui presentato, si tratterebbe degli Yi. Fu Maoji 傅懋勣, Naxizu tuhua wenzi “Bai Bianfu qu jing ji” 纳西族图画文字 白蝙蝠取经记 研究 [Studio del manoscritto pittografico dei Naxi “Il Pipistrello Bianco alla ricerca dei libri sacri”], Computational Analyses of Asian and African Languages, Serie monografica n. 9, 1984, 196. Gli Yi vivono oggi nella regione montuosa dei Liang Shan 凉山 tra Sichuan meridionale e Yunnan, in alcune zone del Guizhou nord-occidentale e del Guangxi.
11 Poca ricerca è stata dedicata a questa particolare pratica. Alcuni studi in merito sono stati condotti da Donatella Rossi presso l’International Consortium for Research in the Humanities (Friedrich-Alexander-University Erlangen-Norimberga), nell’ambito dei quali è stato prodotto il video disponibile al seguente link, da cui è stata tratta la maggior parte delle informazioni utilizzate nel presente contributo: http://ikgf.fau.de/videos/documentaries/practice-of-divination-rinpoche.shtml
12 I suoi confini possono essere approssimativamente indicati come segue: a nord Kothan, a nord-ovest Gilgit, a est la valle dello Yarlung (cuore originario del regno tibetano) e la Cina, a sud l’India nord-occidentale, a ovest il settore orientale dell’altopiano iranico, il Tazig, e la piccola regione dell’Oḍḍiyāna (corrispondente all’attuale valle dello Svāt, in Pakistan). Il monte Kailāsa, non solo è stato cardine di questo regno, ma è anche centro della regione a cui la tradizione attribuisce i natali del riformatore e sistematizzatore del Bòn arcaico, sTon pa gShen rab Mi bo. Samten Gyeltsen Karmay, “A General Introduction to the History and Doctrines of Bon”, Memoires of the Research Department of the Tōyō Bunko, 33, 1975, 171–218; Adriano Clemente (a cura di), Chögyal Norbu Namkhai, Drung, Deu e Bön. Le narrazioni, I linguaggi simbolici e il Bön dell’antico Tibet (Arcidosso: Shang Shung Edizioni, Merigar 1996); John Vincent Bellezza, “gShen-rab Myi-bo, His Life and Times According to Tibet’s Earliest Literary Sources”, Revue d’Etudes Tibétaines, 19, 2010, 31–118, citati in Francesco Maniscalco, “Prolegomeni alla religione bon e ai principi soteriologici del tantra materno (Ma rgyud)”, Annali di Cafoscari. Serie Orientale, 57, 2021, 241–282.
13 Rock, The Na-khi Naga Cult, 199.
14 Hong Ze, “Ghost, Divination and Magic among the Yi” (2021), disponibile alla seguente pagina: https://www.researchgate.net/publication/353451786_ghost_divination_and_magic_among_the_Yi (consultata il 31.03.2023).
15 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 94, 23–68.
16 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 97, 129–154.
17 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 93, 85–126.
18 Joanna Overing (a cura di), Reason and Morality (Londra: Tavistock, 1985), 2.
19 Questa tecnica, insieme pochissime altre—ad alcune delle quali è stato già fatto riferimento—è diffusa sia tra i dongbasia tra i sangpa.
20 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 98, 102–103.
21 È un sacchetto, che si deve sistemare sotto la lingua degli agonizzanti, contenente sette chicchi di riso per le donne, nove per gli uomini, e un pezzettino d’oro o d’argento, considerati necessari per il viaggio che l’anima dovrà compiere per raggiungere il Regno degli Antenati.
22 Réne De Nebesky-Wojkowitz, Oracles and Demons of Tibet (Taipei: SMC Publishing Inc., 1990 [1956]), 455–456.
23 Le informazioni relative alla tradizione Bӧn, dove non diversamente specificato, sono state tratte da: Alexander K. Smith, Divination in Exile (Leida-Boston: Brill, 2021), 37–104.
24 Joseph F. Rock, “The Birth and Origin of Dto-mba Shi-lo, the Founder of the Mo-so Shamanism, according to Mo-so Manuscripts”, Artibus Asiae, 7, 1937, 5–85.
25 Un set di questo tipo di carte è conservato presso l’Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba, a Lijiang.
26 Rolf Stein, “Trente-trois fiches de divination tibétaines”, Harvard Journal of Asiatic Studies, 4, 3–4, 1939, 297–371.
27 Berthold Laufer, “Bird Divination among the Tibetans”, T’oung Pao, Second Series, 15, 1, 1914, 1–110.
28 Carole Morgan, “La divination d’après les croassements des corbeaux dans les manuscrits de Dunhuang”, Cahiers d’Extrême-Asie, 3, 1987, 55–76.
29 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 99, 317–347.
30 Petra Maurer, “Preface”, in Petra Maurer, Donatella Rossi, Rolf Scheuermann (a cura di), Glimpses of Tibetan Divination. Past and Present (Leida-Boston: Brill, 2019), VII–XXI.
31 Istituto di Ricerca sulla Cultura Dongba di Lijiang, Naxi dongba guji, vol. 96, 109–150.
32 Ulf Hannerz, “The World in Creolisation”, Africa, 57, 4, 1987, 550.