I piccoli giardini dell’antichità cinese erano indicati con il termine pu 圃: “luogo in cui si coltivano piante” per lo Shuowen jiezi 说文解字, con il carattere che mostra un germoglio o ramoscello tra due sostegni, protetto da una recinzione. Quanto al termine yuan 园, che ha formato il binomio yuanlin 园林, oggi comune sinonimo di “giardino”, la sua connotazione produttiva è evidente: è il “luogo in cui si coltivano alberi da frutto”.1)Maurizio Paolillo, Il giardino cinese. Una tradizione millenaria (Milano: Guerini e Associati, 1996), 17-20.

Nel mondo cinese, l’attenzione e la conoscenza riguardo al mondo vegetale sono già evidenti nel Libro delle odi (Shijing 诗经), i cui componimenti sono almeno in parte risalenti al VII-VI secolo a.C.. In ben 135 dei suoi poemi appaiono delle piante, spesso in riferimento a specifiche caratteristiche di natura estetica o morale. L’utilizzo della flora in chiave di metafora etica si ritrova nel Lunyu 论语 (Dialoghi), in cui Confucio (551-479 a.C.) esalta la resistenza al freddo di specie come il pino e il cipresso, una chiara allusione alla capacità dell’uomo virtuoso di far fronte alle difficoltà contingenti.2)Lunyu, in Ruan Yuan et alii (a cura di), Shisan jing zhush十三經注疏 (Beijing: Zhonghua shuju, 1980), 2.2491. Tale connessione divenne evidente nel giardino cinese tradizionale, in cui la scelta di una determinata specie botanica consisteva in una sorta di allusione significativa, che andava ad aggiungersi al complessivo linguaggio artistico del sito. Basti ricordare qui il tema del ritiro dagli impegni sociali e della tarda età, inestricabilmente legato al crisantemo grazie ai versi di poeti come Tao Qian 陶潛 (Tao Yuanming  陶渊明, 365-427) o Bai Juyi 白居易 (772-846).

La natura microcosmica dello spazio ristretto del giardino, inteso come significativa riproduzione in piccolo dello spazio naturale, è un aspetto che è stato spesso sottolineato; ma, in realtà, esso è già evidente nelle grandi riserve (you 囿) dei principi feudali degli Stati Combattenti e del primo periodo imperiale (V sec. a.C.-II sec. d.C.), con la loro congerie di specie animali e vegetali provenienti da ogni angolo del paese: ne sono testimonianza le descrizioni poetiche dei letterati Han come Sima Xiangru 司馬相如 (179-117 a.C.) e Ban Gu 班固 (32-92), contenute nei prolissi componimenti noti come fu 賦, le cosiddette “rapsodie”.3)Paolillo, Il giardino cinese, 20-25.

La peculiare lettura dello spazio nella tradizione culturale cinese deve indubbiamente molto all’evoluzione della tradizione nota come Daoismo. Peraltro, gli elementi che rimandano alla corrispondenza tra Macrocosmo e Microcosmo, così tipici nelle varie correnti daoiste – si pensi solo all’associazione tra il paesaggio interiore del praticante e le divinità astrali espressa nel Daoismo della Suprema Purezza (Shangqing 上清), o alla struttura ermeneutica dell’alchimia interna (neidan 內丹) – sembrano in realtà essere stati ben presenti già presso l’élite del primo impero Qin (221-206 a.C.). Ad esempio, nella grande riserva detta Suprema Foresta (Shanglin 上林), fu costruita secondo lo storico di epoca Han 漢 Sima Qian 司馬遷 (c. 145-c. 86 a.C.) una monumentale struttura, detta Palazzo Epang (阿房宮). Nei suoi pressi, fu creato un passaggio coperto che “partendo dal [Palazzo] Epang, attraversava il fiume Wei e si ricongiungeva a Xianyang [la capitale], per rappresentare come la costellazione Gedao 閣道 taglia la Via Lattea giungendo alla costellazione Yingshi 營室”.4)Shiji (Beijing: Zhonghua shuju, 1982), 265.

Sempre Sima Qian ci ricorda la realtà microcosmica dello spazio sepolcrale dove fu sepolto il Primo Imperatore Qin, sotto la collina Lishan: qui “si crearono con del mercurio i cento corsi d’acqua […] e il vasto mare […]. In alto erano tutti i segni del Cielo, in basso le venature della Terra”.5)Shiji (Beijing: Zhonghua shuju, 1982), 265.

L’imperatore Wu degli Han (r. 141-87 a.C.) fu un infaticabile costruttore e creatore di spazi simbolici. Sotto di lui furono create imponenti strutture architettoniche, in un periodo in cui ben due terzi dell’area della capitale Chang’an (l’attuale Xi’an) erano occupati dai palazzi di corte. Questa frenesia edificatoria sembra essere stata influenzata dalle descrizioni delle isole degli Immortali, che il sovrano volle fossero riprodotte nei suoi giardini.

La prima occorrenza del termine “immortale” (xian 僊) si ritrova in un’ode dello Shijing, e sembra riferirsi a un andamento saltellante, al librarsi in aria proprio di uno stato di ebbrezza, un attributo che può rimandare allo stato alterato dello sciamano.6)Tiziana Lippiello, “Verso l’immortalità: itinerari del Cielo e della Terra”, in Maurizio Scarpari – Tiziana Lippiello (a cura di), Caro Maestro… Scritti in onore di Lionello Lanciotti per l’ottantesimo compleanno (Venezia: Cafoscarina, 2005), 709-722. Forse da qui parte la tradizione iconografica di epoca Han, che mostra nell’arte plastica alcune immagini di esseri umanoidi dotati di ali e di piume. Ma presto si afferma un’altra forma del sinogramma (仙), in cui si ritrovano associati i caratteri di uomo e montagna: lo spazio naturale di tali esseri è ormai stabilito definitivamente.

Se le metodiche per giungere alla condizione di Immortale variano di caso in caso, un motivo ricorrente nelle tradizioni che li riguardano è il loro stabilirsi sui monti. Luoghi di confine o, meglio, di passaggio tra Terra e Cielo, i monti sacri sono figura di una condizione spirituale particolare, a cui non si può aspirare senza la preparazione necessaria.

L’importanza delle montagne come “spazio liminale”, una “visibile porta per l’invisibile” – per parafrasare René Daumal –, è peraltro costante nell’antichità cinese. Secondo la tradizione, Yu il Grande (Da Yu 大禹), eroe mitico capostipite della dinastia Xia, nella sua opera di regolamentazione delle acque e di ricognizione del territorio cinese avrebbe composto lo Shanhaijing 山海經, complessa opera geografico-cosmografica: la sua sezione più antica (Shanjing 山經) è dedicata ai monti sacri del centro e dei punti cardinali, con un elenco di ben 447 vette che formano una griglia spaziale di 26 percorsi o sequenze unidirezionali (dao 導). Ogni punto di questo spazio reale e sacro a un tempo è caratterizzato da un genio o spirito (shen 神), e associato a determinate attività sacrificali.7)Vera Dorofeeva-Lichtmann, “Mapping a ‘Spiritual’ Landscape: Representations of Terrestrial Space in the Shanhaijing”, in Don Wyatt, Nicola Di Cosmo (a cura di), Political Frontiers, Ethnic Boundaries, and Human Geographies, (London-New York: Routledge-Curzon,  2003), 35-79.

La montagna è anche simbolo di un regno lontano dal mondo stanziale e agricolo dell’umanità terrena: un tema dominante nella straordinaria molteplicità delle esperienze di realizzazione degli xian è infatti l’abbandono dei cereali (bigu 辟穀), che corrisponde a una rottura definitiva con la sedentarietà del vivere sociale.8)Maurizio Paolillo, “Più che la dieta poté il digiuno. Brevi considerazioni sull’alimentazione nel Daoismo tradizionale”, Sulla via del Catai 13, 2015, 21-41.

L’ambiente montano degli Immortali fu collocato in misteriose isole poste nell’Oceano orientale; e va sottolineato che il primo esempio di arte plastica del paesaggio emerse in Cina proprio come rappresentazione di un monte sacro, spesso rappresentato come emergente dalle acque: è un chiaro riferimento alle montagne degli Immortali xian. Questi oggetti, detti in cinese boshan lu 博山爐, sono incensieri o bruciaprofumi, prodotti in grande quantità soprattutto durante la dinastia degli Han anteriori.

Lo stesso tema del monte sacro, Paradiso degli xian, riappare nelle alture spesso poste al centro di specchi d’acqua nei giardini tradizionali cinesi. Nel 104 a.C., dopo aver svolto un rito in onore degli Immortali sulle rive del Mare Orientale, l’imperatore Wu fece costruire, a sudovest delle mura urbane, il Palazzo Jianzhang, con le sue famose riproduzioni delle montagne-isola degli xian: “A nord, l’imperatore fece scavare un grande specchio d’acqua, al centro del quale si trovava la Terrazza Umida, alta più di duecento piedi. Chiamò lo specchio d’acqua Grande Fluido. Al centro di esso vi erano Penglai, Fangzhang, Yingzhou e Huliang, riproduzioni di quelle [isole] che erano nel mare […]”.9)Shiji, 1369-1370.

Il tema delle isole degli Immortali, e dello specchio d’acqua artificiale che le ospita, resterà immutato nell’architettura dei giardini e dei parchi imperiali sino all’ultima dinastia Qing, e vedrà un’estrema, abbagliante espressione nel Palazzo d’Estate (Yihe yuan 頤和園, letteralmente “Giardino che nutre l’Armonia”), fatto costruire a ovest di Pechino dall’imperatore Qianlong (r. 1736-1796).

Durante il periodo medievale, caratterizzato dalla perdita dell’unità territoriale, l’approfondimento delle conoscenze botaniche fu legato anche a nuove realtà culturali, giunte dall’esterno. La diffusione del Buddhismo favorì lo sviluppo di raffigurazioni pittoriche o plastiche di alcune specie vegetali, come il loto. Le vicende storiche avevano favorito questa evoluzione, che si configura anche come la scoperta di un nuovo e differente paesaggio: il crollo della dinastia dei Jin Occidentali 西晉 nel 317, e il conseguente spostamento a sud dell’élite politica e culturale cinese, determinarono il suo insediamento in un nuovo ambiente naturale, popolato da sconosciute e splendide specie botaniche.

Proprio in epoca Tang comincia ad affermarsi l’ideale del ritiro in un mondo naturale privato, che troverà poi espressione completa con il vero e proprio “giardino del letterato”, a partire dai Song settentrionali 北宋 (960-1127). Forse il primo esempio di tale realtà è il giardino fatto costruire a Luoyang 洛阳 nell’829 dal grande poeta Bai Juyi (772-846), che lo descrisse in una breve composizione in prosa. Qui il giardino è un piccolo spazio appartato, realizzazione concreta di un ritiro, che è già ricerca di equilibrio tra l’impegno confuciano di regolamentazione del mondo e la coltivazione interiore daoista (e buddhista: Bai Juyi fu particolarmente vicino a esponenti del Buddhismo Chan).10)Maurizio Paolillo, “Celarsi nel Centro. Il Chan e l’arte del giardino del letterato”, in Pierfrancesco Fedi, Maurizio Paolillo (a cura di), Arte dal Mediterraneo al Mar della Cina. Genesi ed incontri di scuole e stili. Scritti in onore di Paola Mortari Vergara Caffarelli (Palermo: Officina di Studi Medievali, 2015), 439-450.

Con Bai Juyi già si verifica la compenetrazione tra l’arte del giardino e le arti del pennello dei letterati (poesia, prosa, pittura); egli descrisse il proprio giardino sia in prosa che in poesia:

Nella dimora di dieci mu, il giardino ne occupa cinque;
vi sono uno stagno e mille steli di bambù.
Non dite che la terra è scarsa, il luogo angusto:
bastano per ginocchia e spalle.
Vi sono sale e cortili, ponti e battelli,
libri e vino, canti e strumenti a corda.
Un vegliardo è al suo centro, la bianca barba aggraziata:
misurato e contento, non cerca nulla all’esterno.
Come un uccello, si sceglie l’albero, cercando un nido tranquillo;
come una tartaruga, si rifugia nel guscio, senza conoscere le vastità marine.
Vi sono sacri cigni e bizzarre rocce, purpuree ninfee e candidi loti:
tutto ciò che amo è a me vicino.
A volte sollevo la coppa, o intono un’aria;
ho moglie e una marea di figli, galline e cani a piacimento.
Libero e vagabondo, sarò qui fino alla decrepitezza.11)Chishang pian 池上篇 (Sullo stagno). https://sou-yun.cn/Query.aspx?type=poem&id=14553&lang=t

十亩之宅,五亩之园。
有水一池,有竹千竿。
勿谓土狭,勿谓地偏。
足以容膝,足以息肩。
有堂有庭,有桥有船。
有书有酒,有歌有弦。
有叟在中,白须飘然。
识分知足,外无求焉。
如鸟择木,姑务巢安。
如龟居坎,不知海宽。
灵鹤怪石,紫菱白莲。
皆吾所好,尽在吾前。
时饮一杯,或吟一篇。
妻孥熙熙,鸡犬闲闲。
优哉游哉,吾将终老乎其间。

Le rocce del Lago Tai 太湖 , che sarebbero state oggetto di massimo apprezzamento durante i Song, si trovavano già nel giardino urbano di Bai Juyi. L’inserimento di esemplari di roccia nei giardini dell’epoca sembrava anticipare la tradizione della pittura di paesaggio (shanshui hua 山水画) delle Cinque Dinastie 五代 (907-960) e dei Song settentrionali, in cui spesso la parte centrale dello spazio pittorico è occupata da una vetta torreggiante. Sia i maestosi picchi rappresentati nei dipinti, che le rocce di ridotte dimensioni presenti nel giardino o nello studio del letterato, dette jiashan 假山 (letteralmente “montagne imitate”, o “artificiali”: esemplari di roccia modellati dagli agenti atmosferici o dalle acque), erano riflesso di una maggiore accessibilità a uno spazio trascendente: la montagna degli Immortali daoisti.

Con la dinastia Song, la classe dei funzionari letterati (shidafu 士大夫) costituì la spina dorsale del paese. La maggiore diffusione della cultura, e le maggiori conoscenze tecniche e botaniche, furono favorite dalla stampa a caratteri mobili e dalla conseguente creazione di numerose biblioteche private: il mondo vegetale fu al centro degli interessi degli eruditi anche in seguito al miglioramento delle tecniche di coltivazione.

Spazio ridotto, il giardino del letterato, spesso situato nella caotica realtà urbana, da cui era diviso per mezzo di un muro di cinta, era luogo privilegiato per le attività artistiche o di meditazione dei letterati-funzionari, e rappresentava una nuova, erudita versione – filtrata da una cultura che aveva imparato a convivere con le Tre Dottrine (sanjiao 三教), Daoismo, Confucianesimo e Buddhismo – del ritiro nella natura.

Nel giardino del letterato Song, già convivono i temi fondamentali: il giardino come microcosmo “domestico”, che ha sostituito il più impegnativo eremitaggio vero e proprio; il ritiro dai pericoli e dalle delusioni della vita politica; l’auto-rappresentazione del proprietario del giardino come un “eremita etico”, che vive nel suo rifugio naturale urbano, prendendo a modello i saggi del passato. Il riferimento alle personalità storiche era evidente attraverso la scelta del nome da dare agli elementi naturali o architettonici più importanti del luogo, o all’intero giardino; ne è un esempio lo Canglang ting 沧浪亭  (Giardino delle Onde Blu), ancora oggi esistente (pur se fortemente trasformato nei secoli), situato a Suzhou 苏州.

Creato da Su Shunqin 苏舜钦 (1008-1048), alto funzionario caduto in disgrazia per aver calunniato l’imperatore durante un festino, il giardino possedeva un nome che era un riferimento ad un passo del Mengzi 孟子, in cui si alludeva alle disgrazie provocate da se stessi. Al pari di molti altri intellettuali, Su Shunqin ci ha lasciato delle note sul suo giardino:

Rimosso dall’incarico per una colpa, senza un luogo a cui far ritorno, dirigendomi su un battello verso il meridione giunsi a Wu […]. Pensai così di trovare un posto confortevole e spazioso […]. Un giorno, passai presso l’Accademia della prefettura. Guardando verso est, erbe ed alberi erano rigogliosi e spontanei […]. Non sembrava di essere in città […]. Me ne innamorai, percorrendo il luogo da un punto all’altro, e così lo acquistai per quarantamila pezzi. Costruii un padiglione sul poggio settentrionale, e lo chiamai Canglang. Davanti c’erano bambù e dietro l’acqua, e ancora bambù a sud dell’acqua, senza fine […]. L’uomo è certo un animale: le sensazioni dilagano dentro di lui, e la sua natura ne soffre. Necessariamente, all’esterno egli risiede nelle cose, e poi se ne libera; ma, se vi risiede troppo a lungo, affonda […]. I funzionari sono quelli che affondano maggiormente: numerosi sono i gentiluomini dell’antichità, dotati di sapienza e talento, che hanno errato e sono morti. Questo perché essi non conoscevano la via per prevalere su se stessi. Per quanto sia stato rimosso dall’incarico, io ho ottenuto questo luogo: sono in pace nella vuota vastità, non mi affretto insieme alla massa; di conseguenza, posso tornare a scorgere l’origine di perdite e guadagni interiori ed esteriori […].12)Canglang ting ji 浪亭记 (Note sul Padiglione delle Onde Blu), in Maurizio Paolillo, “Il giardino del letterato in epoca Bei Song (960-1127)”, in Magda Abbiati, Federico Greselin (a cura di), Il liuto e i libri. Studi in onore di Mario Sabattini (Venezia: Edizioni Ca’ Foscari, 2014), 625-626.

予以罪废,无所归。扁舟吴中 […], 思得高爽虚辟之地。[…] 一日过郡学, 东顾草树郁然[…],不类乎城中。[…]予爱而徘徊,遂以钱四万得之,构亭北碕号沧浪焉。前竹后水,水之阳又竹,无穷极。[…]人固动物耳。情横于内而性伏,必外寓于物而后遣。寓久则溺。[…] 惟仕宦溺人为至深。古之才哲君子,有一失而至于死者多矣,是未知所以自胜之道。予既废而获斯境,安于冲旷,不与众驱,因之复能乎内外失得之原[…]。

Un altro esempio di nome significativo per contrassegnare lo spazio privato di un giardino ci è fornito dallo Zhuozheng yuan 拙政园, il Giardino dell’Amministratore inetto, ancora oggi una splendida realtà a Suzhou. Costruito nel 1513, durante la dinastia Ming, dal letterato in ritiro Wang Xianchen 王献臣, il suo nome era un riferimento a una frase pronunciata 1200 anni prima da Pan Yue 潘岳 (247-300), poeta e funzionario proprietario di giardini:

In passato il signor Pan Yue non ottenne la nomina a funzionario. Per tal motivo costruì stanze e piantò alberi, irrigò un giardino e fece crescere le piante, affermando: “Qui è dove anche l’inetto governa”. Da quando sono stato assegnato a un incarico ufficiale sono passati quarant’anni […], e ho avuto solo una sottoprefettura. Vecchio, mi sono ritirato all’ombra degli alberi, dove può governare solo chi possieda l’inettitudine di [Pan] Yue: è ciò per cui il giardino è noto (Wangshi Zhuozheng yuan ji 王士拙政园记).13)Wen Zhengming, Wangshi Zhuozheng yuan ji 王士拙政园记 (Note sul Giardino dell’Amministratore inetto del Signor Wang). http://ylj.suzhou.gov.cn/szsylj/zzy4/202001/265d01fa4b654f8e9e3fda380642978a.shtml Si veda anche Maurizio Paolillo, “L’estetica del giardino Ming fra rispetto e tradimento della tradizione”, in Clara Bulfoni (a cura di), Tradizione e innovazione nella civiltà cinese (Milano: Franco Angeli, 2002), 113-130.

昔潘岳氏仕宦不达,故筑室种树,灌园鬻蔬,曰:此亦拙者之为政也。余自筮仕抵今,馀四十年[…],而吾仅以一郡悴老退林下,其为政殆有拙于岳者,园所以识也。

 In questa fase storica, il giardino, spazio microcosmico, assunse dunque il valore di “segno”, con tutta una ricchezza di riferimenti che, al contrario degli elementi strutturali del sito (vegetazione, acque, architettura), non potevano ricevere un pieno apprezzamento se non da chi condivideva lo stesso linguaggio culturale del suo proprietario. La relazione con le arti del pennello si espresse con pienezza: ne è esempio proprio lo Zhuozheng yuan, che fu celebrato in prosa, poesia e pittura da un amico del proprietario, il famoso pittore e calligrafo Wen Zhengming 文征明 (1470-1559). Il giardino, tuttavia, assolveva ancora a funzioni pratiche, quali la coltivazione e la vendita di specie vegetali, frutta o erbe medicinali, come attestato in alcune fonti, che sottolineano anche come in determinati periodi i giardini privati dei letterati fossero visitabili, con il pagamento di un vero e proprio biglietto di ingresso; i proventi erano poi utilizzati per la manutenzione del luogo.

A partire dalla seconda metà del XVI secolo, il giardino del letterato cominciò a configurarsi sempre più come espressione dell’interiorità del suo proprietario, della sua personalità: diventano diffusi termini indicanti quasi una patologia, come l’“ossessione” (pi 癖), indicante di solito uno smodato attaccamento agli oggetti collezionati – atteggiamento tipico dell’élite in epoca Ming – e qui una forma di inarrestabile mania finalizzata alla creazione di giardini, che poteva portare alla rovina economica. Molto spesso, le stesse specie vegetali, più che per i loro aspetti di utilità, erano introdotte nel giardino unicamente per l’apprezzamento visuale e per le relazioni con gli altri elementi.

Un esempio dei giardini del periodo è lo Yuyuan  豫园, ancora oggi meta dei visitatori, nella cosiddetta “città cinese” di Shanghai. Fu costruito tra il 1559 e il 1577 dal letterato Pan Yunduan  潘允端, il quale espresse nelle sue note in prosa la sua impotenza nel resistere alla ossessione:

La dimora ha richiesto diversi anni per essere edificata, e le proprietà familiari si sono esaurite. Sebbene ne fossi dipendente, sviluppando una ossessione, non vi è traccia di rimorso […]. Se i miei discendenti avranno cura di tenersi lontani dalle tracce del loro predecessore, non accumulando nemmeno un po’ di terra e non piantando neanche un albero, ciò sarà un bene !14)Pan Yunduan, Yuyuan ji 园记, in Paolillo, “L’estetica del giardino Ming”.

第经营数稔,家业为虚,余虽嗜成癖,无所于悔[…]。若余子孙惟永戒前车之辙,无培一土,植一木,则善矣。

Alla fine dei Ming, fu pubblicato l’unico trattato monografico sul giardino: lo Yuanye 园冶 (La Forgia del giardino, 1634), opera del pittore e “mastro” di giardini Ji Cheng  计成 (1582-?). Nella sezione dedicata agli aspetti progettuali e costruttivi (Xingzao lun 興造論), l’autore rilevava l’importanza dei principi denominati jie 借 e yin 因, entrambi correlati allo spazio e inclusi nella categoria di qiao 巧, l’ “abilità” o “maestria”.15)Per un approccio più disteso alle successive sintetiche considerazioni, Maurizio Paolillo, “Forging the Garden.The Yuanye and the Significance of the Chinese Garden in the 17th Century”, East and West 53, 2003, 209-239.

Nel primo periodo Ming, qiao era stato caratterizzato da connotazioni per lo più non positive: considerato più come una espressione di artificialità che come sano frutto dell’umano artificio, era contrapposto alla spontaneità naturale, all’attività non forzata, ben rappresentata da quel termine zhuo拙, reso nello Shuowen con buqiao 不巧 a indicare l’inettitudine, che si ritrova nel nome del già citato Zhuozheng yuan. Qiao fu spesso inteso in senso positivo dopo la metà del XVI secolo, riprendendo una visione estetica che era stata diffusa nel periodo dei Song meridionali (1127-1279), anche in relazione allo spazio del giardino: basti qui citare un passo del Guixin zazhi 癸辛雜識, in cui il famoso letterato Zhou Mi 周密 (1232-1298), nel citare le eccelse capacità di un suo contemporaneo nel disporre le rocce all’interno dei giardini dei letterati di Wuxing, sul lago Tai, affermava che egli “faceva scaturire dal cuore la maestria di un artigiano” (出心匠之巧).16)Zhou Mi, Guixin zazhi 癸辛雜識 (Varie Esperienze del quartiere Guixin) (Beijing: Zhonghua shuju, 1997), 14.

Il termine jie può essere reso come “presa in prestito”. Si riferisce alla capacità, derivante dall’abilità dell’artefice progettista dello spazio del giardino, di ottenere un ampliamento delle qualità caratteristiche di un determinato angolo dello scenario (jing 景), attraverso un dispositivo che permetta l’abolizione o per meglio dire il superamento delle limitazioni spaziali a esso associate.

Dal punto di vista pratico, tale principio può essere espresso in vari modi: la costruzione di strutture architettoniche elevate al fine di poter apprezzare il paesaggio esterno alle mura del giardino, una tradizione questa molto antica (riflessa nell’importanza estetica ma anche rituale delle terrazze tai 臺), ripresa nei giardini dei letterati Song, come il famoso Dule yuan dello statista Sima Guang (1019-1086);17)Maurizio Paolillo, “L’estetica del giardino Song. Il giardino di Sima Guang (1019-1086) come signum naturae”, Asiatica Venetiana 5, 2000, 107-122. la “presa in prestito” di uno scenario interno, che avviene attraverso una serie di elementi non più solo decorativi, come le aperture presenti nei corridoi coperti (lang 廊), che permettono al visitatore di ampliare la propria limitata esperienza spaziale grazie all’apprezzamento visivo di elementi paesaggisticisituati al di là delle pareti del passaggio; o la presenza delle strutture dette xie 榭 (termine da Ji Cheng non a caso associato a jie), sorta di padiglioni con un belvedere, poste presso specchi d’acqua o ampie aree ricoperte da vegetazione fiorita.

Questo tipo di disposizione spaziale è spesso collegata più o meno espressamente alla relazione tra “vuoto” (shi 實) e “pieno” (xu 虛), emblemi simbolici peraltro propri dell’estetica pittorica. In architettura, non è possibile separare la forma dallo spazio: queste due realtà sono state per così dire naturalmente associate con shi e xu, in una mutua interazione dove il “pieno” era reso dalle variazioni spaziali e il “vuoto” era limitato e di conseguenza percepito per contrasto attraverso le strutture architettoniche.18)Paolillo, Il giardino cinese, 180-186.

Questa sorta di correlazione ritmica, che in ultima analisi rimanda alla dialettica dello Yin e dello Yang – termini che, per inciso, possedevano inizialmente connotazioni spaziali, indicando rispettivamente il lato in ombra e al sole di un’altura –, si configura nel giardino cinese tradizionale come un vero linguaggio dello spazio; al riguardo, si può affermare che l’alternanza di “pieni” e “vuoti” nel giardino cinese presenta similarità con i caratteri della scrittura cinese, in cui la qualità dell’interazione tra i tratti del pennello (i “pieni”) e gli spazi vuoti è misura dell’eccellenza in calligrafia.

Secondo Ji Cheng, l’abolizione delle limitazioni spaziali propria dello jie si accompagna a un sapiente uso dei fattori temporali, capaci di trasformare un determinato scenario, sino a far sì che il visitatore si senta come “un vagabondo nel paesaggio”:19)Chen Zhi (a cura di), Yuanye zhushi 冶注釋 (Commento e note allo Yuanye) (Beijing: Zhongguo jianzhu gongye chubanshe, 1988), 243. un “vagabondare” libero e senza costrizioni (you 遊), che è un locus classicus nelle descrizioni della letteratura daoista sugli esseri che hanno trasceso la condizione umana.

Nello Yuanye, la presa in prestito dello scenario non appare quindi come una mera disposizione fondata sull’allineamento prospettico tra il punto di osservazione e un elemento paesistico: è anche “a matter of timing and events as well”.20)Stanislaus Fung, “Here and There in the Yuan ye”, Studies in the History of Gardens & Designed Landscapes, 19, 1, 1999, 43. Anche la stretta correlazione tra una “situazione” specifica e un determinato “momento” temporale non è certo una invenzione tarda: essa appare come uno dei tratti fondamentali del cosiddetto pensiero correlativo, che ha forgiato la cultura cinese sin dalla fine del periodo degli Stati Combattenti (IV-III sec. a.C.).

Il termine yin può invece essere reso come “conformarsi”, “seguire”, “basarsi su”. Non è un caso che esso trovi un utilizzo nel fengshui 風水, in cui l’obiettivo dell’analisi dello spazio era l’individuazione di un sito adatto alle dimore dei vivi o dei defunti. Già nello Zangshu 葬書 (fine epoca Tang), l’energia cosmica nota come qi viene considerata come fluire in un moto che si conforma (yin) alle configurazioni della terra.21)Testo in Maurizio Paolillo, La lingua delle montagne e delle acque. Il Libro delle Sepolture (Zangshu) e la tradizione della geomanzia cinese (fengshui) (Treviso: Fondazione Benetton Studi Ricerche-Canova, 2013), 116. All’epoca della composizione dello Yuanye, il fengshui era uno dei criteri di base per la scelta del sito in cui creare un giardino; alcuni letterati dell’epoca ebbero peraltro parole critiche nei confronti degli eccessi di tali pratiche.

In realtà, yin appare come un principio chiave già in testi dell’epoca classica. A esso è dedicata una sezione del Lüshi chunqiu, che associa yin all’attività dei mitici sovrani arcaici, accomunata dalla caratteristica di “non opporre resistenza”.22)Chen Qiyou (a cura di), Lüshi chunqiu jiaoshi 呂氏春秋校釋 (Collazioni e annotazioni al Lüshi chunqiu) (Shanghai: Xuelin chubanshe, 1990), 1.925-927. Nel famoso brano dello Zhuangzi sul cuoco Ding, l’attività dell’umile protagonista è espressione del suo elevato status spirituale: nell’usare il coltello per depezzare la carcassa di un bue, egli “si conforma alla sua natura fissa” (yin qi guran 因其固然), riuscendo così a non fare alcuno sforzo.23)Zhuangzi (Shanghai: Shanghai guji chubanshe, 1989), 20b-21a. Per le connessioni con lo stato espresso con il termine wuwei (di solito tradotto come “non agire”), si veda Maurizio Paolillo, Il Daoismo. Storia, dottrina, pratiche (Roma: Carocci, 2014), 112-113.

Yin è infine associato in un brano delle Memorie sui Riti (Liji 禮記), uno dei Cinque Classici della tradizione confuciana, con la corretta condotta rituale degli antichi sovrani, qui identificati con il “saggio” shengren 聖人, unico mediatore tra Cielo e Terra: “Gli antichi sovrani […] conformandosi al Cielo servivano il Cielo, conformandosi alla Terra servivano la Terra, rivolgevano il loro annuncio al Cielo conformandosi alle famose montagne. Si conformavano a un sito di buon auspicio per presentare le offerte al Sovrano Supremo nei sobborghi[…]. Per tal motivo, il Saggio sta con il volto rivolto a sud, e nel mondo c’è il Grande Ordine”.24)Liji, in Ruan Yuan et alii (a cura di), Shisanjing zhushu (Commento dettagliato ai Tredici Classici) (Beijing: Zhonghua shuju, 1980), 2.1440b.

Il “conformarsi” dello Yuanye poggia dunque su una lunga e solida tradizione; insieme all’altro principio jie, come prodotto della “maestria” qiao, forma una coppia espressiva della necessità di un’unione tra architettura e spazio ambientale. Come sottolineato dallo studioso cinese Zhang Jiaji, la presenza di jie senza lo yin porterebbe all’artificiosità; quella dello yin senza jie ad un piatto naturalismo.25)Zhang Jiaji (a cura di), Yuanye quanshi 冶全釋 (Annotazioni complete allo Yuanye) (Taiyuan: Shanxi renmin chubanshe, 1993), 349-350.

Il giardino cinese classico, in conclusione, costituisce un esempio di spazio ridotto e liminale, posto in una Terra di Mezzo tra realtà urbana e paesaggio, in cui la stratificazione delle esperienze e delle dottrine di secoli di civiltà ha forgiato un esempio concreto di integrazione tra cultura e natura.

Paolillo Lo spazio del giardino cinese PDF

Immagine: “Sala degli Immortali dell’Eterna Primavera” (Changchun xianguan), Wikimedia Commons.

Maurizio Paolillo è professore di Filologia cinese presso l’Università di Napoli L’Orientale. Si interessa alle tradizioni religioso-filosofiche della Cina, con una particolare attenzione alle fonti del Daoismo, e ai contatti culturali e religiosi tra Occidente e Oriente. Ha inoltre pubblicato studi sul fengshui e sulla letteratura del giardino cinese. Ha al suo attivo circa cento pubblicazioni in lingua italiana, inglese, francese e cinese, tra cui alcune monografie; la prima è dedicata alla cultura del giardino in Cina (Il giardino cinese. Una tradizione millenaria, Guerini e Associati, Milano 1996). È prossima la pubblicazione per Giunti di una sua traduzione del Daodejing.

References
1 Maurizio Paolillo, Il giardino cinese. Una tradizione millenaria (Milano: Guerini e Associati, 1996), 17-20.
2 Lunyu, in Ruan Yuan et alii (a cura di), Shisan jing zhush十三經注疏 (Beijing: Zhonghua shuju, 1980), 2.2491.
3 Paolillo, Il giardino cinese, 20-25.
4 Shiji (Beijing: Zhonghua shuju, 1982), 265.
5 Shiji (Beijing: Zhonghua shuju, 1982), 265.
6 Tiziana Lippiello, “Verso l’immortalità: itinerari del Cielo e della Terra”, in Maurizio Scarpari – Tiziana Lippiello (a cura di), Caro Maestro… Scritti in onore di Lionello Lanciotti per l’ottantesimo compleanno (Venezia: Cafoscarina, 2005), 709-722.
7 Vera Dorofeeva-Lichtmann, “Mapping a ‘Spiritual’ Landscape: Representations of Terrestrial Space in the Shanhaijing”, in Don Wyatt, Nicola Di Cosmo (a cura di), Political Frontiers, Ethnic Boundaries, and Human Geographies, (London-New York: Routledge-Curzon,  2003), 35-79.
8 Maurizio Paolillo, “Più che la dieta poté il digiuno. Brevi considerazioni sull’alimentazione nel Daoismo tradizionale”, Sulla via del Catai 13, 2015, 21-41.
9 Shiji, 1369-1370.
10 Maurizio Paolillo, “Celarsi nel Centro. Il Chan e l’arte del giardino del letterato”, in Pierfrancesco Fedi, Maurizio Paolillo (a cura di), Arte dal Mediterraneo al Mar della Cina. Genesi ed incontri di scuole e stili. Scritti in onore di Paola Mortari Vergara Caffarelli (Palermo: Officina di Studi Medievali, 2015), 439-450.
11 Chishang pian 池上篇 (Sullo stagno). https://sou-yun.cn/Query.aspx?type=poem&id=14553&lang=t
12 Canglang ting ji 浪亭记 (Note sul Padiglione delle Onde Blu), in Maurizio Paolillo, “Il giardino del letterato in epoca Bei Song (960-1127)”, in Magda Abbiati, Federico Greselin (a cura di), Il liuto e i libri. Studi in onore di Mario Sabattini (Venezia: Edizioni Ca’ Foscari, 2014), 625-626.
13 Wen Zhengming, Wangshi Zhuozheng yuan ji 王士拙政园记 (Note sul Giardino dell’Amministratore inetto del Signor Wang). http://ylj.suzhou.gov.cn/szsylj/zzy4/202001/265d01fa4b654f8e9e3fda380642978a.shtml Si veda anche Maurizio Paolillo, “L’estetica del giardino Ming fra rispetto e tradimento della tradizione”, in Clara Bulfoni (a cura di), Tradizione e innovazione nella civiltà cinese (Milano: Franco Angeli, 2002), 113-130.
14 Pan Yunduan, Yuyuan ji 园记, in Paolillo, “L’estetica del giardino Ming”.
15 Per un approccio più disteso alle successive sintetiche considerazioni, Maurizio Paolillo, “Forging the Garden.The Yuanye and the Significance of the Chinese Garden in the 17th Century”, East and West 53, 2003, 209-239.
16 Zhou Mi, Guixin zazhi 癸辛雜識 (Varie Esperienze del quartiere Guixin) (Beijing: Zhonghua shuju, 1997), 14.
17 Maurizio Paolillo, “L’estetica del giardino Song. Il giardino di Sima Guang (1019-1086) come signum naturae”, Asiatica Venetiana 5, 2000, 107-122.
18 Paolillo, Il giardino cinese, 180-186.
19 Chen Zhi (a cura di), Yuanye zhushi 冶注釋 (Commento e note allo Yuanye) (Beijing: Zhongguo jianzhu gongye chubanshe, 1988), 243.
20 Stanislaus Fung, “Here and There in the Yuan ye”, Studies in the History of Gardens & Designed Landscapes, 19, 1, 1999, 43.
21 Testo in Maurizio Paolillo, La lingua delle montagne e delle acque. Il Libro delle Sepolture (Zangshu) e la tradizione della geomanzia cinese (fengshui) (Treviso: Fondazione Benetton Studi Ricerche-Canova, 2013), 116. All’epoca della composizione dello Yuanye, il fengshui era uno dei criteri di base per la scelta del sito in cui creare un giardino; alcuni letterati dell’epoca ebbero peraltro parole critiche nei confronti degli eccessi di tali pratiche.
22 Chen Qiyou (a cura di), Lüshi chunqiu jiaoshi 呂氏春秋校釋 (Collazioni e annotazioni al Lüshi chunqiu) (Shanghai: Xuelin chubanshe, 1990), 1.925-927.
23 Zhuangzi (Shanghai: Shanghai guji chubanshe, 1989), 20b-21a. Per le connessioni con lo stato espresso con il termine wuwei (di solito tradotto come “non agire”), si veda Maurizio Paolillo, Il Daoismo. Storia, dottrina, pratiche (Roma: Carocci, 2014), 112-113.
24 Liji, in Ruan Yuan et alii (a cura di), Shisanjing zhushu (Commento dettagliato ai Tredici Classici) (Beijing: Zhonghua shuju, 1980), 2.1440b.
25 Zhang Jiaji (a cura di), Yuanye quanshi 冶全釋 (Annotazioni complete allo Yuanye) (Taiyuan: Shanxi renmin chubanshe, 1993), 349-350.