Dalla pubblicazione dei Xinjiang Papers nell’autunno del 2019,1)Austin Ramzey e Chris Buckley, “The Xinjiang Papers: ‘Absolutely No Mercy’: Leaked Files Expose How China Organized Mass Detentions of Muslims”, The New York Times, 16 novembre 2019. https://www.nytimes.com/interactive/2019/11/16/world/asia/china-xinjiang-documents.html (ultimo accesso 3 agosto 2022). il Xinjiang 新疆 – regione autonoma della Cina nord-occidentale territorialmente estesa quanto l’Iran – ha smesso di vivere esclusivamente nei racconti degli studiosi, dei diplomatici o dei viaggiatori occidentali, andando a popolare l’immaginario di tutto il mondo. I drammi – sociale, etnico e politico – di questa regione sono infatti entrati a far parte della nostra quotidianità attraverso canali eterogenei: dalle notizie e inchieste dei media internazionali, le testimonianze degli espatriati e dei rifugiati, le sanzioni imposte dalla/alla Cina e la conseguente pratica di migliaia di aziende di accompagnare le importazioni cinesi con certificazioni attestanti che quelle merci non sono il frutto di una schiavitù del Ventunesimo secolo.2)Si vedano, ad esempio, “China Cables”, International Consortium of Investigative Journalists, 24 novembre 2019, https://www.icij.org/investigations/china-cables/read-the-china-cables-documents/ (ultimo accesso 3 agosto 2022); Gulbahar Haitiwaji e Rozenn Morgat, Sopravvissuta a un Gulag Cinese (Torino: add Editore, 2021); Regolamento Esecutivo (UE) 2021/478 del Consiglio del 22 marzo 2021 Implementante Regolamento Esecutivo (UE) 2020/1998 Concernente Misure Restrittive Contro Gravi Violazioni e Abusi dei Diritti Umani, Official Journal of the European Union, 64, 2021, 1-12.

Sebbene la consapevolezza dell’esistenza del Xinjiang e delle sue problematiche socio-etno-politiche sia, negli ultimi anni, cresciuta a livello internazionale, gli spostamenti da/per la regione sono invece diminuiti, prevalentemente a causa delle limitazioni alla mobilità internazionale imposte dal governo cinese per far fronte alla pandemia da COVID-19. Inoltre, l’adozione di politiche interne miranti a rendere i confini regionali meno permeabili agli ingressi dall’estero e dalle altre province cinesi – eccezion fatta per ragioni turistiche – hanno contribuito all’isolamento della regione autonoma dal resto della Cina e del mondo. La natura del Xinjiang – toponimo di fine Ottocento che si traduce letteralmente in “nuova frontiera” – ha, tuttavia, reso pressoché inattuabile l’esercizio di chiusura della regione in sé stessa, soprattutto per la presenza di numerosi gruppi etnici che legano la regione autonoma ai paesi confinanti come Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Mongolia.3)Si veda “Dati e Dinamiche della Popolazione in Xinjiang” (2021).

Le implicazioni della formazione di un’identità frontaliera in Xinjiang sono ben colte da Alessandro Rippa in un volume del 2015 dedicato all’evoluzione storica della regione dalla preistoria al 1949.4)Alessandro Rippa, Cuore dell’Eurasia: il Xinjiang dalla Preistoria al 1949 (Milano – Udine: Mimesis Edizioni, 2015). Fin dal titolo, Rippa sottolinea infatti quella caratteristica centrale che, ancora oggi, determina l’identità della regione autonoma, ossia la localizzazione del Xinjiang al “centro dell’Eurasia”. Uno spazio, quello della regione autonoma, che per sua natura guarda oltre i propri confini, essendo stato costruito dalle rotte mercantili che ne hanno attraversato i deserti e le montagne, dalle spedizioni commerciali che hanno guardato all’Asia centrale prima e all’Europa poi, secondo la tradizionale direzione della Via della Seta (da est a ovest).5)Peter Frankopan, Le Nuove Via della Seta (Milano: Edizioni Mondadori, 2019). Una connotazione, però, che contrasta con la definizione attribuita alla regione dalla storiografia cinese. In un recente resoconto ufficiale della storia xinjianghese del 2019, infatti, la regione è definita come una “zona interna del continente eurasiatico” (Ya’ou dalu fudi 亚欧大陆腹地), quindi allontanandosi da una visione del Xinjiang come centrale.6)Si veda “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019).

Nella tensione tra queste due caratterizzazioni alternative della regione autonoma – da una parte, l’identità frontaliera del Xinjiang e, dall’altra, le politiche regionali contemporanee – si sono sedimentati i contrasti che ne caratterizzano la situazione attuale di insicurezza. Il presente contributo si propone, quindi, di investigare il Xinjiang in quanto spazio – aperto e chiuso, vecchio e nuovo – e discutere criticamente il significato (spesso duale) a esso attribuito così come è stato sviluppato dalle autorità politiche cinesi in alcuni documenti politici chiave.

Il contributo evidenzia un’ambiguità nell’approccio delle autorità politiche cinesi nel costruire un discorso sul Xinjiang – inteso sia come spazio chiuso in sé stesso per garantirne la sicurezza e la stabilità sia come spazio aperto verso l’Asia centrale e l’Europa a supporto di obiettivi di politica estera. In particolare, il contributo analizza e discute il contenuto dei sette libri bianchi (baipishu白皮书) pubblicati sul Xinjiang dal 2018.7)Si tratta di “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018), “Lotta al Terrorismo e all’Estremismo e la Protezione dei Diritti Umani in Xinjiang” (2019), “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019), “Educazione e Formazione Professionale in Xinjiang” (2019), “Diritti di Occupazione e Lavoro in Xinjiang” (2020), “Rispettare e Proteggere i Diritti di Tutti i Gruppi Etnici in Xinjiang” (2021) e “Dati e Dinamiche della Popolazione in Xinjiang” (2021). I testi sono stati analizzati in lingua cinese, le citazioni in lingua italiana nel testo e nelle note sono traduzioni dell’autrice. I testi dei baipishu sono disponibili al link http://www.gov.cn/zhengce/baipishu/index.htm

Uno spazio chiuso nella storia e nella civiltà cinese

Dall’analisi dei libri bianchi emerge una prima cornice discorsiva che identifica il Xinjiang come uno spazio sviluppatosi storicamente intorno al lascito della civiltà cinese tradizionale. Una cornice che è problematica per diversi aspetti poiché contesta la storia transnazionale e multietnica del Xinjiang e delle comunità che, da secoli, vi risiedono così come è stata ricostruita, negli anni, dal lavoro degli storici, degli antropologi e degli etnografi sia occidentali sia cinesi.8)Tra gli studi chiave sulla storia del Xinjiang si ricorda il volume di James Millward, Eurasian Crossroads: A History of Xinjiang (New York: Columbia University Press, 2007). Per quanto riguarda la storia della regione autonoma dal punto di vista del governo cinese, si veda, soprattutto il volume Il Xinjiang cinese. Storia e situazione attuale (Zhongguo Xinjiang: lishi yu xianzhuang 中国新疆:历史与现状) (Pechino: Wuzhou Communication Press, 2014). La questione delle radici storiche, religiose e culturali del Xinjiang è infatti affrontata nei baipishu attraverso una nuova interpretazione della storia dei gruppi etnici regionali, smussando quegli elementi che caratterizzano la diversità rispetto allo sviluppo del resto della popolazione cinese e, soprattutto, dall’etnia maggioritaria nazionale (quella han).

Il libro bianco del luglio 2019 dal titolo “Alcune Questioni Storiche del Xinjiang” (Xinjiang de ruogan lishi wenti 新疆的若干历史问题) rimane una fonte particolarmente importante per definire il discorso politico costruito sul legame tra la storia dello sviluppo del Xinjiang e la civiltà cinese han. Punto di partenza di questo discorso è, infatti, il rifiuto del panturchismo (fan tujue zhuyi 泛突厥主义) e del panislamismo (fan yisilan zhuyi 泛伊斯兰主义), due movimenti presentati dal governo cinese come le principali cause dell’instabilità regionale.9)Si tratta di quei movimenti che hanno come obiettivo l’emancipazione dei popoli, rispettivamente, di origine turca o di religione islamica. L’argomentazione addotta, infatti, rifiuta la categorizzazione delle minoranze etniche regionali (non solo gli uiguri, ma anche i kazaki, i kirghisi e i tatari) come popoli turchi, sottolineando come “famiglie linguistiche e gruppi etnici siano due concetti diversi, abbiano essenziali differenze”.10)In cinese, Yuzu he minzu shi liang ge bu tong de gainian, you zhe benzhi de qubie 语族和民族是两个不同的概念,有着本质的区别. L’interpretazione presentata nel documento spiega che la diffusione di lingue turcofone tra i gruppi etnici regionali sia semplicemente da ricondurre all’integrazione nel tessuto politico, sociale, linguistico e culturale dei gruppi tribali locali della cultura e della religione di alcune comunità turche emigrate in Asia minore in seguito al crollo del khaganato turco occidentale (Xi tujue 西突厥) nel 657 a.C. circa. Secondo questa visione, viene quindi meno qualsiasi legame profondo tra i gruppi etnici del Xinjiang (in particolare, quello uiguro) e l’affermazione di un’identità principalmente turca. Non a caso, uno dei primi concetti espressi in questo libro bianco sottolinea che:

新疆各民族是中华民族血脉相连的家庭成员…新疆的命运始终与伟大祖国和中华民族的命运紧密相连。

Tutti i gruppi etnici in Xinjiang sono membri della famiglia della nazione cinese a essa legati con il sangue … Il futuro del Xinjiang è sempre stato strettamente connesso con il futuro della grande madrepatria e della nazione cinese.11)Si veda “Alcune Questioni Storiche del Xinjiang” (2019).

Il discorso sul rifiuto del pan-turchismo si riflette in quello sul pan-islamismo: in questo contesto, infatti, l’identità turco-islamica (storicamente impugnata dagli esponenti più radicali dei gruppi secessionisti uiguri come prova della legittimità delle proprie richieste di autodeterminazione) è sostituita da un’identità che deriva in tutto e per tutto dall’appartenenza alla civiltà cinese. L’adozione della cultura islamica della civiltà araba da parte dei gruppi etnici turcofoni in Xinjiang è infatti ricondotta ai “conflitti culturali e [alle] guerre di religione”12)In cinese, Zongjiao zhanzheng 宗教战争 e Wenhua tuchong 化文突冲. del nono e del decimo secolo. La diffusione della religione islamica in Xinjiang è, quindi, identificata nei libri bianchi come storicamente imposta, selettivamente assimilata e, soprattutto, modellata su un più antico e permeante sistema sociale e culturale derivante da un incontro del passato tra i gruppi tribali regionali e le tradizioni culturali della civiltà cinese.

In altre parole, quindi, l’Islam in Xinjiang è presentato nei baipishu come sviluppatosi attraverso la sua sinizzazione. Il seguente breve estratto ben esemplifica questa correlazione:

伊斯兰教不是维吾尔族天生信仰且唯一信仰的宗教,与中华文化相融合的伊斯兰教扎根中华沃土并健康发展。

L’Islam non è l’unica religione nella quale il popolo uiguro è nato per credere o in cui crede. L’Islam, integratosi nella cultura cinese, si è radicato nel terreno fertile della Cina e, in esso, si sviluppa in modo sano.13)Si veda “Alcune Questioni Storiche del Xinjiang” (2019).

Tale dinamica è quindi identificata come la motivazione attraverso cui evidenziare la necessità di sviluppare un senso identitario più forte con la cultura cinese per la prosperità delle culture etniche in Xinjiang.14)Si veda “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019).

Questa stretta connessione tra lo sviluppo del Xinjiang come uno spazio legato alla storia e all’identità cinese tradizionale e la prosperità regionale non si limita a risiedere nella retorica o nelle costruzioni discorsive del governo cinese. Al contrario, essa si è concretizzata nella pratica attraverso politiche – definite dalle autorità nazionali come di “anti-terrorismo” (fan kongbuzhuyi 反恐怖主义) – che sono state presentate come sforzi atti a garantire una formazione professionale ed educativa contro la povertà dei gruppi etnici in Xinjiang e allo sviluppo di una consapevolezza maggiore sul ruolo della religione tra le minoranze di fede islamica che contrasti il fenomeno dell’estremismo religioso. Le testimonianze dei numerosi cittadini – uiguri, kazaki, kirghizi, mongoli e tatari – che hanno trascorso periodi in quelle che le autorità politiche e di sicurezza cinese definiscono come strutture di formazione raccontano storie diverse, fatte di reclusioni forzate extra-giudiziali e di violenze su cui la comunità internazionale sta a tutt’oggi indagando soprattutto attraverso il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.15)Si veda il report di Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, sulla prima visita ufficiale in Xinjiang dell’aprile 2022. https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/countries/2022-08-31/22-08-31-final-assesment.pdf (ultimo accesso 20 settembre 2022).

Nonostante le incongruenze, un punto in comune che emerge dal confronto tra queste testimonianze dirette e il racconto degli obiettivi delle politiche di educazione e formazione professionalizzante delle autorità politiche cinesi mette, ancora una volta, in luce il legame tra il Xinjiang e la cultura cinese han. I baipishu reiterano, infatti, un discorso che costruisce una connessione tra un maggiore livello di benessere in Xinjiang e una maggiore integrazione con la cultura cinese han, portando a riprova di questa correlazione favorevoli integrazioni del passato. Una sorta di nesso cultura/civiltà han-sviluppo.

La promozione di pratiche di trasmissione/assimilazione culturale (a seconda del punto di vista), quindi, ricalca l’idea centrale di una tradizione politica del passato che interpreta la stabilità come dipendente dallo sviluppo economico. Quest’approccio, tuttavia, è stato contestato da diversi studiosi, come Rachel Harris, docente della School of Oriental and African Studies di Londra,16)Rachel Harris, “‘A Weekly Mäshräp to Tackle Extremism’: Music-Making in Uyghur Communities and Intangible Cultural Heritage in China”, Ethnomusicology 64 (1), 2020, 23-55. le cui ricerche sulla minoranza uigura hanno evidenziato i rischi di politiche incentrate sull’educazione forzata alle visioni e alle pratiche dominanti della maggioranza han a discapito della trasmissione delle pratiche linguistiche, storiche e culturali delle minoranze etniche, tra cui anche quello di dare il via a quello che sarebbe stato definito come un “genocidio culturale”. Non a caso questi studi sono stati frequentemente contestati nelle posizioni ufficiali governative che, in diversi baipishu, ne contestano la legittimità. Nel documento del 26 settembre 2021, in particolare, si afferma che

中国政府依法保障各民族使用和发展本民族语言文字的自由…高度重视各民族优秀传统文化的传承、保护和发展…新疆坚持尊重差异、包容多样、相互欣赏,充分尊重和保护各种民俗文化,实现多元文化和谐共处。

Il governo cinese garantisce la libertà di tutti i gruppi etnici di utilizzare e sviluppare le proprie lingue scritte e orali in accordo con la legge … dà grande importanza al lascito, protezione e sviluppo dell’eccellenza della cultura tradizionale di tutti i gruppi etnici … Il Xinjiang aderisce al rispetto per le differenze, la tolleranza della diversità e l’apprezzamento reciproco, rispetta pienamente e protegge le varie culture popolari e realizza la coesistenza armoniosa del multiculturalismo.17)Si veda “Lo Sviluppo della Popolazione del Xinjiang” (2021).

Inoltre, nel libro bianco sulla protezione culturale e lo sviluppo del Xinjiang (Xinjiang de wenhua baohu yu fazhan 新疆的文化保护与发展), pubblicato a fine 2018, questa problematica è direttamente affrontata e rifiutata dalle autorità politiche cinesi attraverso la presentazione di progetti scientifici atti alla tutela delle lingue regionali tra cui è portato ad esempio il “Progetto di protezione delle risorse linguistiche della Cina” (Zhongguo yuyan ziyuan baohu gongcheng 中国语言资源保护工程), introdotto nel 2015, e che ha lo scopo di raccogliere, conservare e proteggere i corpora linguistici dei dialetti, delle lingue minoritarie e della cultura orale di tutta la Cina. La questione della trasmissione massiccia della lingua cinese standard (putonghua), inoltre, è legittimata nel testo attraverso un rimando all’articolo 19 della Costituzione che ne prevede un utilizzo prioritario a livello nazionale. Manca totalmente dal documento una discussione sull’articolo 4 che garantisce la libertà delle minoranze etniche di utilizzare e sviluppare la propria lingua, le tradizioni culturali e le abitudini – soprattutto, riguardo il tentativo di bilanciare la diffusione del putonghua e salvaguardare l’utilizzo e l’evoluzione delle lingue minoritarie.18)“Costituzione della Repubblica popolare cinese”, 2018. http://www.npc.gov.cn/englishnpc/constitution2019/201911/1f65146fb6104dd3a2793875d19b5b29.shtml (ultimo accesso 3 settembre 2022).

Entrambe queste politiche hanno l’effetto di chiudere il Xinjiang nella cultura e nella civiltà cinese han: da una parte, le lingue minoritarie acquisiscono quell’eccezionalità che caratterizza un oggetto di studio e ricerca piuttosto che un alternativo (e diffuso) sistema di comunicazione. Dall’altra, la diffusione della lingua cinese standard accresce questo carattere di eccezione, di fatto segregando le lingue minoritarie in contesti prettamente familiari e limitandone lo sviluppo nella società xinjianghese.

Seppur riconoscendo il carattere multiculturale del Xinjiang, la natura della regione autonoma è costruita nei libri bianchi a essa dedicati come uno spazio chiuso, legato a doppio filo alla cultura tradizionale han e alla civiltà cinese. Questa caratterizzazione è articolata su due livelli: il primo, legato allo sviluppo storico regionale, e il secondo, alla contemporaneità. Gli elementi che rendono il Xinjiang diverso e lo accomunano ai paesi vicini (come la diffusione di lingue turcofone o la religione islamica), in particolare, sono messi in discussione dal legame storico con la civiltà cinese han. Quest’ultima è, infatti, utilizzata come un prisma attraverso cui gli stimoli storici, linguistici e culturali sono analizzati e dalla necessità di un’integrazione attraverso la quale, ancora oggi, è visto dipendere tutto lo sviluppo regionale.

Uno spazio aperto verso la costruzione di un’identità centrasiatica cinese

Nonostante il Xinjiang sia principalmente rappresentato nel discorso dei baipishu come uno spazio chiuso nel profondo legame storico con la civiltà e la cultura tradizionale han, la regione autonoma è, al contempo, presentata anche come il punto di incontro tra la Cina e i paesi dell’area centrasiatica – l’ex “estremo oriente” sovietico – e, in particolare, le repubbliche confinanti di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

I punti chiave sul ruolo centrale del Xinjiang nello sviluppo di relazioni cooperative tra la Cina e l’Asia centrale sono ben argomentati dalla lunga intervista raccolta, nel maggio 2019,  sul famoso canale Weibo “Studiosi di politica e diplomazia della Guoguan”19)“Guoguan” 国关 è il termine colloquiale con cui si fa riferimento all’Università di Relazioni Internazionali di Pechino (Guoji guanxi xueyuan 国际关系学院). (Guoguan guozheng waijiao xueren 国关国政外交学人) a Sun Zhuangzhi 孙壮志, Direttore dell’Istituto per lo studio della Russia, dell’Europa orientale e dell’Asia centrale dell’Accademia cinese per le scienze sociali e Vice-presidente dell’Associazione per l’amicizia tra la Cina e l’Asia centrale (Zhongguo zhongya youhao xiehui 中国中亚友好协会), nonché una delle voci più attive e rispettate nel panorama del dibattito pubblico cinese sullo spazio post-sovietico.20)Wang Haimei 王海媚, 21 shiji yilai Zhongguo de Zhongya yanjiu: jinzhang yu buzu——Sun Zhuangzhi yanjiuyuan fangtan 21 世纪以来中国的中亚研究: 进展与不足——孙壮志研究员访谈 [La ricerca cinese sull’Asia centrale dal ventunesimo secolo: progressi e mancanze ——intervista con Sun Zhuangzhi], Guoguan guozheng waijiao xueren, 29 maggio 2019. https://brgg.fudan.edu.cn/articleinfo_1058_1.html (ultimo accesso 28 agosto 2022).

Nel dialogo con l’intervistatore, Sun ci accompagna in quelli che sono stati i momenti salienti e le principali voci nello sviluppo del sapere cinese sull’area centrasiatica, sottolineando quegli elementi che rimandano a uno spazio xinjianghese che ha diverse caratteristiche “in comune” con le repubbliche dell’Asia centrale. In quanto studioso, Sun non può essere considerato un diretto rappresentante delle posizioni ufficiali del governo cinese. Tuttavia, la sua affiliazione e il mezzo attraverso cui le sue considerazioni sono presentate al pubblico cinese – il canale Weibo dell’Università di relazioni internazionali di Pechino – si fanno, in qualche modo, garanti di una certa affinità di pensiero tra le osservazioni presentate dall’accademico e la linea politica adottata dal Partito comunista cinese (Pcc) nel caratterizzare il Xinjiang come un elemento centrale nelle relazioni tra la Cina e i paesi del vicinato occidentale. Ciò che, in primis, traspare dal racconto di Sun è infatti la preminenza delle istituzioni accademiche della regione autonoma (come, per esempio, l’Università del Xinjiang o l’Accademia del Xinjiang per le scienze sociali) nella ricerca scientifica cinese sull’Asia centrale. Sun ci offre una spiegazione per la predilezione delle istituzioni xinjianghesi per questo tema di ricerca che, di fatto, esula da considerazioni meramente geografiche.21)Sebbene la provincia del Gansu, dove è situata la città di Lanzhou, non confini con l’area centro-asiatica, l’Università di Lanzhou è un altro centro di studio e ricerca fondamentale in Cina per le questioni relative all’Asia centrale. Lo studioso, infatti, lega le questioni securitarie proprie del Xinjiang (in particolare, la lotta alle “tre forze” del terrorismo, secessionismo ed estremismo religioso, le san gu shili 三股势力) alle problematiche che affliggono anche i paesi dell’Asia centrale. Sun suggerisce, infatti, che ciò che la Cina affronta in Xinjiang e ciò che Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan affrontano sui propri territori nazionali siano il frutto di un comune ceppo di insicurezza derivante da un simile sviluppo sociale, culturale e religioso e parimenti nocivo al mantenimento della sicurezzanazionale e regionale.

Questa tematica, presentata brevemente nell’intervista allo studioso, è ricalcata anche nel discorso sulla regione autonoma presente nei ben più ufficiali libri bianchi. Il concetto chiave in essi reiterato descrive il Xinjiang come un “canale importante per le interazioni tra le civiltà orientali e occidentali”,22)In cinese, Shi dongxi fang wenming jiaoliu de zhongyao tongdao 是东西方文明交流的重要通道. siano esse interpretate positivamente o meno. Lo spazio xinjianghese è, infatti, associato all’immaginario tipico dell’antica Via della Seta, articolato, quindi, in vasti e caotici crocevia e popolato da scambi di merci, persone, tradizioni culturali e religiose. Il topos dello scambio, in particolare, accompagna le numerose tematiche affrontate nei baipishu che caratterizzano la regione e le minoranze che vi abitano: questo è, contemporaneamente, il caso delle interpretazioni offerte sulla storia regionale, sulla tutela del patrimonio tangibile e intangibile del Xinjiang, sull’anti-terrorismo, sulla demografia e sull’educazione. Un esempio chiave di questa tendenza emerge dal libro bianco del 2018 dove si afferma che:

各民族文化长期交流交融。中华文化是凝聚各民族的精神纽带。

 Le culture di vari gruppi etnici hanno sperimentato lunghi periodi di scambio e integrazione. La cultura cinese è il legame spirituale che unisce tutti i gruppi etnici.23)Si veda “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018).

Il Xinjiang, inteso come spazio di scambio, tuttavia, non si limita a legittimare la Cina nell’assumere l’identità storica di paese sulla Via della Seta e, di conseguenza, profondamente interconnesso con l’Asia centrale (e attraverso di essa, con l’Asia occidentale e l’Europa). Questa concettualizzazione, infatti, pone anche la regione autonoma al centro di un sistema di trasmissione di conoscenze, tecnologie e pratiche che, a partire dalla Cina, fluiscono nel mondo, con un profondo impatto per la civilizzazione globale. Gli esempi riportati nei baipishu, in questo senso, riguardano innovazioni nelle scienze e nell’artigianato, come la tessitura della seta e la fabbricazione della carta.24)Si veda, in particolare, “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019). In particolare, si sottolinea che:

历史上新疆是中华文明向西开放的⻔户和中介。丝绸之路的畅通开启了东西方文化交流交融的新篇章。丝绸之路繁盛时期,中国的造纸术、桑蚕丝织等先进技术通过新疆西传,对世界文明产生了深远影响。

Storicamente il Xinjiang fu la porta e l’intermediario dell’apertura verso occidente della civiltà cinese. Il flusso libero della Via della Seta aprì un nuovo capitolo negli scambi e nell’integrazione delle culture orientali ed occidentali. Durante il periodo florido della Via della Seta, tecnologie avanzate cinesi come la produzione della carta e la tessitura della seta di gelso furono trasmesse a occidente attraverso il Xinjiang ed ebbero così un impatto profondo sulla civiltà mondiale.25)Si veda “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018).

Secondo questa concezione, lo “spazio Xinjiang” rappresenta, quindi, il centro di un flusso di conoscenze che, partendo da est, hanno storicamente arricchito l’ovest. Di conseguenza, la regione acquisisce il ruolo di tassello fondamentale della storia globale e connettore responsabile del pieno sviluppo della civiltà eurasiatica. La Cina ha, quindi, sviluppato la propria diplomazia con i paesi dell’Asia centrale facendo perno sulla regione autonoma come materializzazione di un’identità centro-asiatica per il paese. La leadership attuale, in particolare, si è dimostrata ben disposta nell’attivare questa costruzione discorsiva del Xinjiang come spazio di connessione per iniziare una serie di collaborazioni basate sulla condivisione della storia, della cultura e della lingua. Esempi chiave in epoca contemporanea di questa tendenza sono indubbiamente i framework di scambio nell’ambito della formazione universitaria. Prima dello stop alla mobilità internazionale imposto dalla pandemia da COVID-19, infatti, il Kazakistan spiccava tra i principali paesi al mondo a beneficiare di borse di studio finanziate dalla Cina. È importante notare che solo una parte degli studenti kazaki trascorreva il proprio periodo di formazione in centri universitari in Cina fuori dal Xinjiang: le similarità linguistiche e culturali con il contesto sociale kazako erano infatti giudicate come favorevoli dalle autorità politiche cinesi per facilitare lo sviluppo di una percezione positiva della Cina da parte delle giovani generazioni centro-asiatiche.26)Ksenia Muratshina, China – Kazakhstan Cooperation in the Field of Education. INTED2018 Proceedings, 2018, 4091–97. Anche nella pratica della diplomazia pubblica, quindi, il Xinjiang sanciva la propria funzione come spazio rivolto verso l’esterno, facilitatore di scambi di idee e persone tra la Cina e l’Asia centrale.

Conclusione: l’ambiguità nella costruzione di uno spazio xinjianghese

 Il presente contributo ha accennato a quelle che sono le principali costruzioni discorsive attraverso cui la regione autonoma del Xinjiang è presentata, come spazio, nel discorso politico cinese. L’analisi si è concentrata sui sette libri bianchi pubblicati sulla regione autonoma a partire dal 2018 e lo studio ha messo in luce due costruzioni discorsive sul Xinjiang. Mentre la prima chiude la regione autonoma entro i confini regionali e la lega, sottolineandone l’evoluzione storica comune, alla cultura e alla civiltà tradizionale han, la seconda apre i confini occidentali del Xinjiang, strumentalizzando la storia e la memoria collettiva transnazionale per legittimare l’instaurazione di profonde relazioni con i paesi dell’area centro-asiatica. Queste caratterizzazioni, presenti nei documenti, caricano la regione autonoma di due concettualizzazioni concorrenti di spazio.

Da una parte, il Xinjiang è infatti presentato come uno spazio chiuso i cui confini regionali si fondono, anche se solo parzialmente, con il resto del territorio cinese. Questo è lo spazio delle attuali politiche di securitizzazione/anti-terrorismo che interpretano la sicurezza della regione autonoma come il prodotto di una chiusura del Xinjiang in sé stesso e nella costruzione di un legame tra la regione e le tradizioni culturali e la storia della maggioranza etnica han. Questo è anche lo spazio della contestazione, da dentro/fuori la Cina e la regione autonoma, che fa sì che l’attuale regime di sicurezza in Xinjiang rimanga al centro dei riflettori e dei dibattiti internazionali sui diritti umani nel paese.

Dall’altra parte, la regione autonoma è presentata come uno spazio aperto i cui confini occidentali si perdono nel retaggio delle connessioni sviluppate attraverso la storica Via della Seta. Questo è lo spazio della politica di vicinato cinese e di una diplomazia dedicata ai paesi dell’area centro-asiatica. In questo contesto, il Xinjiang è quindi interpretato come uno spazio di connessione – geografica, storica e culturale – tra la Cina e l’Eurasia che si poggia su un’identità condivisa legittimata dalla storia delle rotte commerciali della Via della Seta.  Questo è quindi uno spazio di scambio e cooperazione, tra la Cina, l’Asia centrale e, potenzialmente, l’Europa, di cui il Xinjiang si fa il principale fautore.

Queste diverse interpretazioni di spazio associate al Xinjiang non soltanto mostrano un’incongruenza nella funzione della regione autonoma nell’agenda politica e di sicurezza cinese che, allo stesso tempo, apre e chiude il Xinjiang a seconda del contesto. Queste costruzioni mostrano anche i limiti di una strumentalizzazione della storia e della memoria collettiva rivolta sia a un’audience interna sia a un’audience esterna che, come in questo caso, rischia di fare affidamento su visioni della storia contrastanti tra di loro.

Seppur fortemente limitato dalle fonti selezionate, questo breve saggio ha contribuito alla letteratura sugli studi sul Xinjiang offrendo nuove evidenze per quelle che sono alcune delle maggiori cause di tensione socio-etno-politica nella regione. Il contributo ha inoltre fornito un’ulteriore (per quanto circoscritta) prova empirica della necessità di sviluppare teoricamente gli studi sull’utilizzo della memoria storica come strumento attivo della diplomazia, un’agenda di ricerca ancora fortemente sottorappresentata nella letteratura di riferimento.27)Si veda, tra gli altri, Kathrin Bachleitner, Diplomacy with Memory: How the Past Is Employed for Future Foreign Policy. Foreign Policy Analysis 15 (4), 2019, 492–508.

Sciorati Xinjiang, uno spazio verso il mondo PDF

Immagine: Moschea Id Kah di Kashgar, da Wikimedia Commons.

Giulia Sciorati è assegnista di ricerca presso l’Università di Trento e docente a contratto in Storia della Cina contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Le sue ricerche vertono sulla politica estera e di sicurezza cinese con particolare riferimento alla regione autonoma nord-occidentale del Xinjiang e all’utilizzo strumentale della memoria storica nelle relazioni con il vicinato post-sovietico.

References
1 Austin Ramzey e Chris Buckley, “The Xinjiang Papers: ‘Absolutely No Mercy’: Leaked Files Expose How China Organized Mass Detentions of Muslims”, The New York Times, 16 novembre 2019. https://www.nytimes.com/interactive/2019/11/16/world/asia/china-xinjiang-documents.html (ultimo accesso 3 agosto 2022).
2 Si vedano, ad esempio, “China Cables”, International Consortium of Investigative Journalists, 24 novembre 2019, https://www.icij.org/investigations/china-cables/read-the-china-cables-documents/ (ultimo accesso 3 agosto 2022); Gulbahar Haitiwaji e Rozenn Morgat, Sopravvissuta a un Gulag Cinese (Torino: add Editore, 2021); Regolamento Esecutivo (UE) 2021/478 del Consiglio del 22 marzo 2021 Implementante Regolamento Esecutivo (UE) 2020/1998 Concernente Misure Restrittive Contro Gravi Violazioni e Abusi dei Diritti Umani, Official Journal of the European Union, 64, 2021, 1-12.
3 Si veda “Dati e Dinamiche della Popolazione in Xinjiang” (2021).
4 Alessandro Rippa, Cuore dell’Eurasia: il Xinjiang dalla Preistoria al 1949 (Milano – Udine: Mimesis Edizioni, 2015).
5 Peter Frankopan, Le Nuove Via della Seta (Milano: Edizioni Mondadori, 2019).
6 Si veda “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019).
7 Si tratta di “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018), “Lotta al Terrorismo e all’Estremismo e la Protezione dei Diritti Umani in Xinjiang” (2019), “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019), “Educazione e Formazione Professionale in Xinjiang” (2019), “Diritti di Occupazione e Lavoro in Xinjiang” (2020), “Rispettare e Proteggere i Diritti di Tutti i Gruppi Etnici in Xinjiang” (2021) e “Dati e Dinamiche della Popolazione in Xinjiang” (2021). I testi sono stati analizzati in lingua cinese, le citazioni in lingua italiana nel testo e nelle note sono traduzioni dell’autrice. I testi dei baipishu sono disponibili al link http://www.gov.cn/zhengce/baipishu/index.htm
8 Tra gli studi chiave sulla storia del Xinjiang si ricorda il volume di James Millward, Eurasian Crossroads: A History of Xinjiang (New York: Columbia University Press, 2007). Per quanto riguarda la storia della regione autonoma dal punto di vista del governo cinese, si veda, soprattutto il volume Il Xinjiang cinese. Storia e situazione attuale (Zhongguo Xinjiang: lishi yu xianzhuang 中国新疆:历史与现状) (Pechino: Wuzhou Communication Press, 2014).
9 Si tratta di quei movimenti che hanno come obiettivo l’emancipazione dei popoli, rispettivamente, di origine turca o di religione islamica.
10 In cinese, Yuzu he minzu shi liang ge bu tong de gainian, you zhe benzhi de qubie 语族和民族是两个不同的概念,有着本质的区别.
11 Si veda “Alcune Questioni Storiche del Xinjiang” (2019).
12 In cinese, Zongjiao zhanzheng 宗教战争 e Wenhua tuchong 化文突冲.
13 Si veda “Alcune Questioni Storiche del Xinjiang” (2019).
14 Si veda “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019).
15 Si veda il report di Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, sulla prima visita ufficiale in Xinjiang dell’aprile 2022. https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/countries/2022-08-31/22-08-31-final-assesment.pdf (ultimo accesso 20 settembre 2022).
16 Rachel Harris, “‘A Weekly Mäshräp to Tackle Extremism’: Music-Making in Uyghur Communities and Intangible Cultural Heritage in China”, Ethnomusicology 64 (1), 2020, 23-55.
17 Si veda “Lo Sviluppo della Popolazione del Xinjiang” (2021).
18 “Costituzione della Repubblica popolare cinese”, 2018. http://www.npc.gov.cn/englishnpc/constitution2019/201911/1f65146fb6104dd3a2793875d19b5b29.shtml (ultimo accesso 3 settembre 2022).
19 “Guoguan” 国关 è il termine colloquiale con cui si fa riferimento all’Università di Relazioni Internazionali di Pechino (Guoji guanxi xueyuan 国际关系学院).
20 Wang Haimei 王海媚, 21 shiji yilai Zhongguo de Zhongya yanjiu: jinzhang yu buzu——Sun Zhuangzhi yanjiuyuan fangtan 21 世纪以来中国的中亚研究: 进展与不足——孙壮志研究员访谈 [La ricerca cinese sull’Asia centrale dal ventunesimo secolo: progressi e mancanze ——intervista con Sun Zhuangzhi], Guoguan guozheng waijiao xueren, 29 maggio 2019. https://brgg.fudan.edu.cn/articleinfo_1058_1.html (ultimo accesso 28 agosto 2022).
21 Sebbene la provincia del Gansu, dove è situata la città di Lanzhou, non confini con l’area centro-asiatica, l’Università di Lanzhou è un altro centro di studio e ricerca fondamentale in Cina per le questioni relative all’Asia centrale.
22 In cinese, Shi dongxi fang wenming jiaoliu de zhongyao tongdao 是东西方文明交流的重要通道.
23 Si veda “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018).
24 Si veda, in particolare, “Alcune Questioni Storiche sul Xinjiang” (2019).
25 Si veda “Protezione Culturale e Sviluppo in Xinjiang” (2018).
26 Ksenia Muratshina, China – Kazakhstan Cooperation in the Field of Education. INTED2018 Proceedings, 2018, 4091–97.
27 Si veda, tra gli altri, Kathrin Bachleitner, Diplomacy with Memory: How the Past Is Employed for Future Foreign Policy. Foreign Policy Analysis 15 (4), 2019, 492–508.