È con sommo piacere che salutiamo questa prima edizione italiana degli scritti della anarco-femminista He-Yin Zhen 何殷震 (nota anche come He Zhen 何震, 1884-1920 ca.), tradotti e curati dalla sinologa Cristina Manzone, già fondatrice di Gender China, l’unico sito nella nostra lingua dedicato agli studi di genere e ai women’s studies cinesi. Il tuono dell’anarchia, pubblicato ora dalla coraggiosa e lungimirante casa editrice D Editore, rappresenta un tassello essenziale nel complesso mosaico della storia del femminismo in Cina; inoltre, arricchisce il quadro della storia intellettuale tardo-Qing e, in particolare, del pensiero anarchico, antimonarchico e anti-confuciano, alla vigilia della rivoluzione Xinhai (1911).
Il volume raccoglie sette saggi risalenti al 1907 (l’anno della morte di un’altra celebre femminista, Qiu Jin 秋瑾); He-Yin Zhen li pubblicò su Giustizia Naturale (Tianyi bao 天义报), la rivista che dirigeva insieme al marito Liu Shipei 刘师培 (1884-1919). Giustizia Naturale, peraltro, merita una menzione a parte, perché, ferma restando la sua linea editoriale dichiaratamente libertaria, fu la prima testata cinese a proporre una traduzione, ancorché parziale, del “Manifesto del Partito Comunista”. I sette documenti qui tradotti, insieme al ricco saggio introduttivo di Cristina Manzone, offrono un accesso inedito al pensiero di questa teorica, sorprendentemente sofisticata (soprattutto se si considera che fu una femminista della primissima generazione), e altresì illuminano da una nuova angolazione i dibattiti intellettuali che erano in corso in quel momento.
Tutti i grandi temi dell’epoca sono sul piatto: la critica all’impero e alle sue istituzioni, e quindi alla morale confuciana, congiunta a uno sguardo sul resto del mondo che è curioso, acuto, ma mai subalterno, perché gli anticorpi all’imperialismo sono già in azione. Grazie alla sua originale elaborazione del femminismo e dell’anarchismo, l’autrice prende le distanze dal nazionalismo di tanti pensatori maschi anti-manciù a lei coevi, anche qualora si tratti della variante ‘illuminata’ del patriottismo rivoluzionario: “noi rifiutiamo lo straniero per il suo sistema dispotico, non perché non appartiene all’etnia han” (p. 55). Il problema per He-Yin Zhen è il governo in quanto tale, più che la singola dinastia al potere: il nemico è la struttura gerarchica, la differenza apparentemente ontologica fra chi governa e chi è governato, che va poi a riprodursi a livello individuale e familiare, micropolitico, nel binomio uomo/donna. E dal suo punto di vista di femminista, risulta altrettanto ovvia, per non dire dovuta, l’adesione all’antimilitarismo, a cui è dedicato l’ultimo saggio tradotto da Cristina Manzone. La quale nella sua introduzione propone un interessante parallelismo fra questo testo e “Le Tre Ghinee” di Virginia Woolf.
È però nello scritto “Sulla Vendetta delle Donne” (Nüzi Fuchou lun 女子复仇论) che He-Yin Zhen elabora la propria visione del femminismo nel modo più sistematico, andando a scandagliare i labirintici meandri delle fonti classiche alla ricerca della radice, cinese ma anche universale, del patriarcato. La “vendetta” invocata nel titolo indica la giustizia che le donne si fanno da sé, a distanza dagli apparati dello Stato, ed essa inizia quando ci si appropria, a forza e senza chiedere il permesso, del capitale simbolico del nemico, dei saperi prodotti sul genere e sulla relazione uomo/donna in secoli e secoli di dominio patriarcale. È quanto fa He-Yin Zhen, il cui anticonfucianesimo parte da uno studio meticoloso e rigorosissimo delle fonti confuciane. Parte pure, ancor più radicalmente, da una riflessione sulla lingua e sul sistema di scrittura in cui quelle fonti furono redatte: difatti, per l’autrice è già insita nei caratteri cinesi la divisione fra i generi e perciò la gerarchizzazione dei ruoli, all’interno della famiglia così come nella vita pubblica. Che “donna” (fu 妇, nella grafia non semplificata: 婦) si scriva affiancando al radicale nü 女 (femmina) una scopa (zhou 帚) è spaventosamente esplicativo di quale sia il ruolo sociale assegnato al genere femminile. Se non fosse già di per sé abbastanza chiaro, He-Yin Zhen vi aggiunge la spiegazione fornita dal Classico dei Riti: “nel presentare una donna al Signore, viene detto: questa è per lavare e spazzare i pavimenti” (p. 61). La morfologia di caratteri come nu 奴 (schiavo) o bi 婢 (serva, domestica), che contengono al loro interno un radicale con il significato appunto di “donna”, a sua volta si rivela illuminante per comprendere come con “donna” si indichi una costruzione sociale, funzionale a un determinato dispositivo di potere.
“Sulla vendetta delle donne” ci offre poi una incredibile carrellata di tutti gli enunciati patriarcali rinvenibili nei Classici e nei loro commentari: un elenco da capogiro, un dedalo di citazioni incrociate, in cui l’autrice comunque non si perde, dato che, purtroppo, le definizioni si ripetono e reiterandosi si rinforzano, a cominciare dal leitmotiv “la donna non si occupa degli affari esterni”. Relegata nella dimensione domestica delle stanze interne (nei 内), chiusa in una sfera opposta e subordinata a quella del fuori (wai 外), ossia alla vita pubblica, politica, il soggetto “donna” di He-Yin Zhen, con il suo scopettone assegnato alla nascita, sembra anticipare di svariati decenni le analisi di Silvia Federici sulla riproduzione sociale, sul lavoro domestico non retribuito e sul lavoro di cura: il lato in ombra, yin 阴, dell’accumulazione originaria. O anche, come scrive Cristina Manzone nell’introduzione, per la critica feroce alla morale dei testi canonici, gli scritti di He-Yin Zhen possono ben ricordare quelli di Carla Lonzi, solo che anziché “sputare su Hegel”, l’anarco-femminista cinese sputa su Confucio.
Sono davvero numerosi i ponti che queste pagine slanciano verso i femminismi che si sono sviluppati al di fuori della Cina nell’ultimo secolo. La dimensione transnazionale del pensiero di quest’autrice salta all’occhio ed è stata messa in luce già in un testo uscito una decina di anni fa, The Birth of Chinese Feminism, di Rebecca Karl, Lydia Liu e Dorothy Ko (2013). Secondo le tre sinologhe, come del resto per Manzone, He-Yin Zhen può parlare a un pubblico al di là della Muraglia non perché si serva del nostro stesso armamentario concettuale, bensì perché le categorie analitiche che lei sviluppa hanno un valore universale – non malgrado, ma piuttosto proprio grazie al loro radicamento nel discorso politico e filosofico cinese. Sia in The Birth of Chinese Feminism che ne Il Tuono dell’Anarchia, ad esempio, ci si interroga su come interpretare il binomio nannü 男女, “uomo/donna”: la traduzione è meno ovvia di quanto potrebbe parere, poiché il termine risulta pienamente intelligibile solo tenendo conto della logica binaria, dicotomica e gerarchizzante confuciana, che per secoli legittimò l’esercizio della disuguaglianza, dentro e fuori le quattro pareti domestiche. Se lo si traduce con il semplice e neutro “genere”, si rischia di cancellare la gerarchia implicita e la presenza del potere, che invece è un tema centrale per questa pensatrice. D’altro canto, però, a prescindere dall’intransitività dei concetti singoli, è anche grazie all’analisi specifica delle strutture culturali e delle istituzioni tipicamente cinesi che il pensiero femminista può espandersi in una più universale critica di tutti i meccanismi di potere, delle gerarchie e dei rapporti di forza. Visto dalla Cina, è particolarmente evidente il nesso fra la costruzione del genere e il discorso del potere. (Perciò, tra l’altro, non dovrebbe stupirci la convergenza, in He-Yin Zhen, fra femminismo e anarchismo).
La traduzione di questi scritti, infine e per concludere, è dunque utile allo studio della storia moderna cinese, così come alla storia dei femminismi in generale, in un’epoca in cui si assiste a un “ritorno a Confucio” in Cina (p. 22), mentre in Europa e nelle Americhe da più parti si spinge perché rinasca e si riaffermi una morale patriarcale ottocentesca. Una fonte critica preziosa, da conservare nella propria scatola degli attrezzi.
Per approfondire:
Federici, Silvia, Calibano e la Strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Milano, Mimesis, 2020.
Liu, Lydia; Karl, Rebecca; Ko, Dorothy, The Birth of Chinese Feminism. Essential Texts in Transnational Theory, New York, Columbia University Press, 2013.
Lonzi, Carla, Sputiamo su Hegel, Milano, Scritti di Rivolta Femminile, 1970.
Zarrow, Peter, He Zhen and Anarcho-feminism in China, “The Journal of Asian Studies”, vol. 47, n. 4, 1988, pp. 796-813
(He Zhen and anarcho-feminism in China – Peter Zarrow | libcom.org )