Da tempo ormai appare superata la tesi, esposta da Fei Xiaotong 费孝通 nel suo celebre studio del 1947, Xiangtu Zhongguo 乡土中国 (La Cina rurale),1)Nella traduzione inglese a cura di Gary G. Hamilton e Zheng Wang, cfr. Fei Xiaotong, From the Soil. The Foundations of Chinese Society (Berkeley: University of California Press, 1992). secondo cui la Cina sarebbe una realtà fondamentalmente rurale. Oggi oltre il 65% della popolazione cinese vive nei centri urbani; il tasso di urbanizzazione potrebbe presto raggiungere e superare il 75%.2)Li Peilin, “China’s Urbanization Level Will Exceed the 75% Ceiling”, China Watch, 2, 39, 2022. Non solo Shanghai, ma anche Pechino e molti altri centri urbani sono ormai vere e proprie città globali (e tali restano ancora, nonostante la pandemia e altre circonvoluzioni politico-economiche), la cui modernità tecnologica – insieme alle loro futuristiche proiezioni – hanno in larga parte sostituito la campagna come epitome della Cina di oggi nell’immaginario comune in entrambi gli emisferi del pianeta. A simboleggiarlo, anche visivamente, vi sono faraonici progetti come la regione urbana Jingjinji, una vera e propria megalopoli generata dall’incontro della costante espansione urbana di Pechino, Tianjin e Shijiazhuang, che hanno finito per incontrarsi e mescolarsi. La disparità rispetto alle aree rurali rimane vastissima, soprattutto per quanto riguarda i servizi essenziali.

L’apporto fondamentale in tal senso è stato costituito dalla migrazione rurale: una migrazione motivata da molteplici fattori, in primis la bassa qualità dell’istruzione nelle aree rurali e l’assenza di istituti universitari prestigiosi nelle loro prossimità, ma anche – soprattutto – dalla ricerca di migliori possibilità di lavoro. La principale migrazione campagna-città è infatti costituita dall’esodo dei lavoratori migranti che, a partire dagli anni Ottanta e ancor più dagli anni Novanta, hanno fornito la manodopera essenziale per lo sviluppo delle città. La migrazione favorisce anche la persistenza di un immaginario culturale e identitario che non ha reciso i propri legami con la campagna, indicato, fra tutti, dalla migrazione di ritorno che ogni anno ingolfa strade e ferrovie cinesi in occasione del capodanno lunare e altre festività. Si tratta però di un legame affettivo sempre più instabile e incerto, via via che le nuove generazioni vedono affievolirsi i legami anche ancestrali con la campagna e si sentono pienamente urbane, persino in presenza di dispositivi – come lo hukou 户口 – che non facilitano questa identificazione.3)Huang Chuanhui, Migrant Workers and the City. Generation Now (Halifax: Fernwood Publishing, 2016). D’altro canto, l’attrattività dei centri urbani ha contribuito a spopolare le campagne, alimentando una situazione di desertificazione e abbruttimento sociali ben descritta nel reportage amatoriale qui tradotto, “La morte del villaggio” (Cunzi yi si 村子已死), pubblicato online nel 2019 e subito diventato virale, che suggerisce, proprio con la sua popolarità, con quanta intensità, conscia o meno che sia, viene vissuta la contraddizione tra lo stato di abbandono delle campagne e la loro identificazione con le radici stesse della cultura tradizionale, nonché della civiltà stessa.

Al tempo stesso, non mancano le inversioni e le svolte di tendenza. L’aumento del costo della vita e la massiccia gentrificazione stanno rendendo più difficile vivere nelle grandi città. In linea con i progetti di ingegneria sociale che hanno dapprima favorito le suddette migrazioni di proporzioni bibliche verso le città, queste dinamiche favoriscono gli spostamenti verso le città di livello inferiore su cui si stanno concentrando gli sforzi pubblici di sviluppo urbano, stimolati anche dall’alleggerimento dello hukou, ovvero del sistema di registrazione anagrafico, che lega l’accesso a diritti pubblici basilari – istruzione, sanità – al luogo rurale o urbano dove si è registrati. In parallelo, la politica di rivitalizzazione rurale (xiangcun zhenxing 乡村振兴) sta cercando di favorire – sia pure in forma ancora embrionale – un limitato ritorno verso le campagne, accentuandone i processi di smartizzazione, turistizzazione e, in ultima analisi, anche urbanizzazione.4)Un’importante e aggiornata inchiesta sulle trasformazioni rurali nella Cina di oggi è presente in Gabriele Battaglia, Massa per velocità. Un racconto dalla Cina profonda (Novate Milanese: Prospero Editore, 2021). Anche in questo si nota una continuazione del fenomeno analizzato da Robin Visser, secondo il quale nel nuovo millennio è l’estetica urbana a essersi imposta come egemone e ad “accerchiare” le campagne (rispetto alla vecchia strategia politico-militare maoista di accerchiare le città dalle campagne) – chiaramente per effetto degli sviluppi economici – costituendo il metro di paragone della modernità a cui queste ultime devono conformarsi.5)Robin Visser, Cities Surround the Countryside. Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham, London: Duke University Press, 2010).

Dinamiche di “disturbo” della dicotomia rurale/urbano si ritrovano non solo nei movimenti di persone, idee e processi socio-economici che sconfinano tra città e campagna: anche all’interno delle città stesse, la migrazione rurale ha portato al formarsi di uno spazio sociale assai variegato, qui inteso non soltanto come spazio fisico, ma anzitutto come “spazio di relazioni sociali”6)Pierre Bourdieu, Language and Symbolic Power (Cambridge, Malden: Polity Press, 1991), 230. che si influenzano vicendevolmente. Un caso emblematico sono i cosiddetti “villaggi urbani” (chengzhongcun 城中村), cioè ex insediamenti rurali assorbiti dalla graduale espansione della città, dove, grazie al costo della vita inferiore, si concentra molta della popolazione migrante.7)Si veda a tal proposito Nellie Chu, Ralph Litzinger, Mengqi Wang e Qian Zhu (a cura di), “Villages Make the City: Displacement, Dispossession, and Class in China’s Urban Villages”, numero speciale di positions: asia critique, 30, 3, 2022. Questi fattori rendono i villaggi urbani spazi sociali a sé, spesso diversissimi rispetto all’immagine che la città dà di se stessa, ma non eterotopie indipendenti rispetto ai rapporti sociali dello spazio urbano: luoghi, insomma, dove si manifesta appieno la dialettica del rapporto tra città e campagna, ma anche la sua specularità, per certi versi, rispetto alle disparità di classe esistenti in città. In generale, la rilevanza economica e sociale dei migranti, ma anche le attività artistiche e culturali con le quali essi tentano di riappropriarsi del diritto di intervenire nel discorso pubblico, rendono ineludibile la questione del diritto alla città: chi sono veramente oggi i cittadini – intesi non solo in senso burocratico-amministrativo, cioè come detentori dello hukou urbano, ma coloro che effettivamente edificano, vivono e caratterizzano la città?

Questa breve disamina vuole evidenziare, con poche battute, come il divario tra città e campagna, tuttora ampio, stia diventando sempre più complesso nella sua fisionomia, e quindi difficile da interpretare. A vecchie e note contraddizioni se ne aggiungono di nuove. La dicotomia rurale/urbano, che come tutte le dicotomie non è mai rigida e inflessibile, si riarticola e, nel farlo, si rende più confusa. I “mondi” della campagna e della città trovano nuovi modi per intersecarsi, influenzarsi vicendevolmente e, in questo processo, trasformarsi. Questa mutevole situazione richiede molteplici approcci di lettura – sociologico, antropologico, economico, culturale – per coglierne le varie sfaccettature e, soprattutto, i rapporti economici, sociali e di potere in gioco.

Questo numero speciale ha lo scopo di affrontare tali problematiche, combinando diverse aree disciplinari per analizzare le attuali interazioni tra città e campagna da più punti di vista. Nel farlo, secondo lo stile di questa rivista, il numero cerca anche di mettere insieme sguardi accademici e giornalistici, sfruttando appieno il potenziale che può scaturire dall’incontro di queste due prospettive, purché accumunate da un rigoroso metodo d’indagine. L’obiettivo è cominciare a rispondere a domande quali: come si sta trasformando il rapporto tra città e campagna negli anni Venti del Duemila? Come vengono vissute tali trasformazioni a partire dalle molteplici esperienze che plasmano il vissuto dagli individui, anche sulla base di diversi fattori (classe, genere, provenienza, sensibilità, ecc.)? Che impatto ha sul presente il modo in cui il rapporto città/campagna viene oggi vissuto, contestato, descritto, immaginato, anche dal punto di vista artistico? Che impatto stanno avendo processi come la rivitalizzazione rurale e l’urbanizzazione delle campagne? È ancora valida la dicotomia tra città e campagna? Come stanno cambiando le vite dei migranti in città?

Quella del villaggio urbano si conferma una prospettiva di analisi privilegiata, in quanto incarna quella che il poeta Xie Xiangnan 谢湘南 – egli stesso un ex migrante – descrive come “linea invisibile” tra città e campagna, “lunga e larga” ma “vuota, nonostante le sue migliaia di fili”.8)Xie Xiangnan 谢湘南, “Zouzai chengshi yu xiangcun de xianshang” 走在城市与乡村的线上 [Camminando sulla linea tra città e campagna], Xie Xiangnan shixuan 谢湘南诗选 [Poesie scelte di Xie Xiangnan] (Changjiang wenyi chubanshe: Wuhan, 2014), 313. Proprio questa invisibile ma concretissima linea di confine è oggetto dell’articolo di Matteo Garbelli, che la esamina proprio a partire dalla poesia dei lavoratori migranti che si trovano a vivere proprio nei villaggi urbani, e per i quali la nostalgia immaginifica all’apparenza rafforza l’apparente dicotomia tra città e campagna, ma ne rivela in realtà la complementarità e i limiti. Restando sul versante della creazione artistica, Federica Mirra prende invece in esame alcuni esempi di arte contemporanea per evidenziare come la presenza – o l’apparente assenza – del migrante faccia emergere gli squilibri sociali che esistono all’interno dello spazio sociale stesso della città, riproducendo in modo quali speculare quelli tra zone urbane e rurali. Entrambi si concentrano sulla realtà di Shenzhen e del Delta del Fiume delle Perle, la destinazione privilegiata della migrazione per lavoro.

Ma i villaggi urbani sono anche realtà stratificate, che rispondono in modo diverso alle conseguenze delle politiche governative, tra cui le spinte gentrificatrici richiamate sopra. Sulla base di un’originale ricerca sul campo, il contributo di Bruno Acosta prende in esame queste dinamiche nella realtà del villaggio urbano di Dongtou, alla periferia di Wuhan, e come vi convivano tanto esperimenti di (micro)capitalismo legato al turismo, quanto esperienze di attivismo culturale dal basso.

Quanto e in che forme l’attivismo, inteso qui generalmente in senso non conflittuale (dati i noti limiti politici del contesto cinese) e come pratica grass-roots, possa contribuire ad alleviare il senso di isolamento, solitudine e atomizzazione vissuto dalla maggior parte dei migranti appartenenti alle classi subalterne nel quadro dei rapporti esistenti nello spazio sociale urbano è anche la domanda che si pone Pablo Ampuero-Ruiz, a sua volta mettendo a frutto il proprio lavoro sul campo (contributo tradotto da Veronica Piersanti).

Ma la solidarietà può essere anche conflittuale, come illustra Vittoria Mazzieri a proposito delle attività parasindacali dei migranti che da diverso tempo costituiscono l’ossatura della gig economy cinese, la cui centralità si è palesata appieno durante la pandemia e i lockdown. Il saggio, ibridato anche da un taglio giornalistico, esamina questo settore cruciale dell’economia urbana e si concentra su come la precarietà determinata dalla migrazione influisca sulle mobilitazioni per i diritti, o addirittura le promuova.

Infine, il contributo di Chiara Cigarini, nell’analizzare come il cinema ripensi la marginalità in risposta alla (o per effetto della) pervasività dell’urbanizzazione attraverso la giustapposizione della demolizione del “villaggio artistico” di Caochangdi (Pechino) e dello snaturamento delle tradizioni rurali in Tibet, porta a sintesi il fil rouge che abbiamo cercato di seguire riflettendo sulle implicazioni della più generale estensione dell’economia, della cultura e degli stili di vita urbani sul territorio.

A corredo e supporto del ragionamento abbiamo voluto offrire la traduzione di due espressioni letterarie del fenomeno qui trattato, interessanti anche nella loro forte diversità testuale e contestuale. La prima è il già citato “La morte del villaggio”, tradotto da Luca Regano, un lungo post contenente un vero e proprio reportage amatoriale sulla fosca situazione di un villaggio spopolato, nel quale l’autore dà voce al proprio disorientamento per lo stravolgimento del volto della campagna e l’evaporare delle tradizionali abitudini rurali per effetto dei processi di urbanizzazione. Il post andò virale nel 2019 e la sua inclusione nel numero è pertanto utile anche alla luce della sua rilevanza sociale.

In secondo luogo, il racconto “Adidas” di A Yi, pubblicato in Cina nel 2008 all’interno della raccolta Hui gushi 灰故事 (Storie grigie) e inedito in italiano, presenta una interessante prospettiva letteraria sull’immaginario consumista connesso alle esperienze della migrazione rurale, irrobustita dalla grande carica espressiva dell’autore ben resa in traduzione da Martina Renata Prosperi.

Naturalmente il tema potrebbe prestarsi a tante altre varietà di letture, interpretazioni, metodologie di analisi: auspichiamo quindi che i contributi raccolti in questo numero, che riguardano un campione giocoforza circoscritto di casi, per quanto rappresentativi, potranno essere da stimolo per discussioni e ulteriori approfondimenti nel prossimo futuro.

 

Immagine: Shenyang, foto di Federico Picerni.

Picerni, Dalla campagna alla città e ritorno

Federico Picerni (federico.picerni@unive.it) è assegnista di ricerca in letteratura cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha anche ottenuto il dottorato in studi asiatici e transculturali, in un programma congiunto con l’Università di Heidelberg. I suoi interessi di ricerca si orientano principalmente sul legame tra letteratura e società, in particolare gli scrittori e poeti operai cinesi, il rapporto tra realismo e irrealismo critico nella narrativa contemporanea, le produzioni artistiche dei cinesi all’estero. Insegna inoltre lingua e letteratura cinese come docente a contratto presso le università di Bologna e Venezia.

References
1 Nella traduzione inglese a cura di Gary G. Hamilton e Zheng Wang, cfr. Fei Xiaotong, From the Soil. The Foundations of Chinese Society (Berkeley: University of California Press, 1992).
2 Li Peilin, “China’s Urbanization Level Will Exceed the 75% Ceiling”, China Watch, 2, 39, 2022.
3 Huang Chuanhui, Migrant Workers and the City. Generation Now (Halifax: Fernwood Publishing, 2016).
4 Un’importante e aggiornata inchiesta sulle trasformazioni rurali nella Cina di oggi è presente in Gabriele Battaglia, Massa per velocità. Un racconto dalla Cina profonda (Novate Milanese: Prospero Editore, 2021).
5 Robin Visser, Cities Surround the Countryside. Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham, London: Duke University Press, 2010).
6 Pierre Bourdieu, Language and Symbolic Power (Cambridge, Malden: Polity Press, 1991), 230.
7 Si veda a tal proposito Nellie Chu, Ralph Litzinger, Mengqi Wang e Qian Zhu (a cura di), “Villages Make the City: Displacement, Dispossession, and Class in China’s Urban Villages”, numero speciale di positions: asia critique, 30, 3, 2022.
8 Xie Xiangnan 谢湘南, “Zouzai chengshi yu xiangcun de xianshang” 走在城市与乡村的线上 [Camminando sulla linea tra città e campagna], Xie Xiangnan shixuan 谢湘南诗选 [Poesie scelte di Xie Xiangnan] (Changjiang wenyi chubanshe: Wuhan, 2014), 313.