Una leggenda giapponese narra che se pieghi e ripieghi degli origami formando mille gru di carta, queste spiccheranno il volo e realizzeranno i tuoi sogni. Ispirandosi a questa antica favola giapponese, l’architetto Wan Yan 万妍 ha creato Paper Crane Tea (2014), un’installazione composta da mille gru di carta ed esposta nel 2014 nello spazio artistico di Handshake 302 (Woshou 握手302) nel villaggio urbano di Baishizhou, Shenzhen, Cina (Fig. 1).1)Mary Ann O’Donnell, “Paper Cranes”, Shenzhen Noted, 2014.  Baishizhou è un villaggio urbano che mette a disposizione dei migranti rurali, stranieri, laureati e dei cosiddetti “colletti bianchi”, alloggi, servizi economici 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e offre loro opportunità di lavoro.2)Mary Ann O’Donnell, “Laying Siege to the Villages: The Vernacular Geography of Shenzhen”, in Mary Ann O’Donnell, Winnie Wong e Jonathan Bach (a cura di), Learning from Shenzhen: China’s Post-Mao Experiment from Special Zone to Model City, (Chicago: University of Chicago Press, 2017), 118–19. L’opera creata da Wan mira a rappresentare i sogni nel cassetto degli abitanti della comunità di Baishizhou e incoraggia il dialogo tra visitatori, artisti e cittadini.3)L’installazione ricorda la serie Wish Trees dell’artista Yoko Ono iniziata nel 1996. Inoltre, l’incessante azione di piegare e ripiegare gli origami simboleggia i ritmi serrati, monotoni e spesso dettati dalla necessità e dalle ambizioni sociali di una classe lavoratrice sottorappresentata. Tramite movimenti misurati e delicati, Wan Yan trasforma un materiale fragile come la carta in un’installazione tridimensionale dove lo stormo di gru rappresenta il carattere individuale di ogni singola persona e, con essa, i suoi sogni.

Figura 1 – Wan Yan, Paper Crane Tea (2014), installation in Handshake 302, paper. Courtesy of Handshake 302.

Paper Crane Tea è una delle opere d’arte che prendo in esame in questo articolo per analizzare la mobilità che caratterizza i lavoratori migranti nei villaggi urbani a Shenzhen. Innanzitutto, la mia analisi intende offrire una serie di rappresentazioni che divergono dalla narrazione negativa del governo centrale e puntano a riabilitare la figura dei soggetti migranti e la nomea dei loro luoghi. Attraverso l’interpretazione delle opere d’arte selezionate di artisti contemporanei cinesi, voglio mettere in luce le problematiche che sottendono la narrazione ufficiale delle autorità e dei media. Ad esempio, prendendo in esame le performances di Zhu Fadong 朱发东(n. 1960) e Luo Zidan 罗子丹 (n. 1971), voglio avanzare la rappresentazione del lavoratore migrante come un individuo pieno di risorse e parte integrante della città. Mentre, attraverso le opere di Weng Fen 翁奋 (n. 1961) e Cao Fei 曹斐 (n. 1978), sottolineo come il governo abbia enfatizzato la separazione tra città e campagna e la superiorità dei centri urbani rispetto alle periferie e i villaggi urbani. Similarmente, l’opera multimediale del gruppo Jiu Society (Jiu xiaozu 啾小组), mi permette di ribadire come i villaggi urbani e i suoi abitanti siano in continua evoluzione e in movimento, seppure con difficoltà. Infine, concludo da dove ho cominciato, citando Handshake 302, una realtà artistica socialmente impegnata che potrebbe indicare una soluzione futura per l’integrazione e lo scambio tra villaggi urbani e città, residenti urbani e migranti.

Prima di prendere in esame le opere citate sopra, è necessario introdurre la narrazione ufficiale del governo centrale per comprendere i punti di divergenza dall’immaginario degli artisti contemporanei. Secondo diversi studi, le autorità e i media cinesi considerano i villaggi urbani come luoghi sporchi e pericolosi e i migranti come individui di cui diffidare.4)Helen F. Siu, “Grounding Displacement: Uncivil Urban Spaces in Postreform South China,” American Ethnologist 34, no. 2 (2007): 330; Bruno De Meulder, Yanliu Lin, and Kelly Shannon, eds., Village in the City: Asian Variations of Urbanisms of Inclusion (Zurich: Park Books, 2014). La loro reputazione è in linea con un “pensiero sedentarista” nel concepire i concetti di mobilità e transitorietà attraverso un’accezione negativa.5)Tim Cresswell, On the Move: Mobility in the Modern Western World and Pete Merriman’s Mobility, Space and Culture (New York and Oxon: Routledge, 2006), 26. Infatti, il termine “mobilità”, essendo difficile da definire, assume significati diversi e anche contradditori.6)Cresswell, On the Move, 2. Per Cresswell, il concetto di mobilità è da intendere come movimento, rappresentazione ed esperienza fisica. Se da un lato ricorda il progresso, la libertà, e la modernità, dall’altro diventa sinonimo di disfunzionalità, “inettitudine, anormalità, resistenza”.7)Ibidem. Perciò non sorprende che le autorità in Cina cerchino ciclicamente di eliminare la presenza dei villaggi urbani e dei migranti dal centro città attraverso “campagne di pulizia”.8)Yani Lai and Xiaoling Zhang, “Redevelopment of Industrial Sites in the Chinese ‘Villages in the City’: An Empirical Study of Shenzhen,” Journal of Cleaner Production, 134 (2016), 70–77. A forza di promuovere questa narrazione, oggi i migranti sono spesso visti come degenerazioni urbane che compromettono l’immagine attraente degli skyline moderni da tanti nelle città.9)Duanfang Lu, Remaking Chinese Urban Form: Modernity, Scarcity and Space, 1949-2005 (Abingdon and New York: Routledge, 2006), 153–54.

La problematica dinamica tra cittadini urbani/migranti e città/campagna è peggiorata dalla fine del Ventesimo secolo, da quando il governo cinese ha cercato di accelerare la crescita economica del paese attraverso la costruzione di megalopoli moderne e la gentrificazione di certi quartieri. A partire dal 1978, la politica della Porta aperta di Deng Xiaoping ha dato vita a un sistema ibrido che oggi vede coesistere strategie neoliberiste e capitaliste con l’intervento dello stato e la presenza di un unico partito.10)Martin Jacques, When China Rules the World The Rise of the Middle Kingdom and the End of the Western World (London: Penguin Books, 2009), 186-187; Guocang Huan, “China’s Open Door Policy, 1978-1984”, Journal of International Affairs 39, 2, 1986, 1-18; Jude Howell, “The Impact of the Open Door Policy on the Chinese State”, in Gordon White (a cura di), The Chinese State in the Era of Economic Reform: Studies on the Chinese Economy (London: Palgrave Macmillan, 1991), 119–146. Dando priorità alla crescita del prodotto interno lordo (PIL), dal 1980 il governo centrale ha trasformato i centri urbani in veri e propri esperimenti economici.11)Fulong Wu, China’s Emerging Cities (Abingdon: Routledge, 2007); Thomas J. Campanella, The Concrete Dragon: China’s Urban Revolution and What It Means for the World (New York: Princeton Architectural Press, 2008); Anna Greenspan, “The Power of Spectacle”, Culture Unbound 4, 2012, 81–95. Contemporaneamente, il governo centrale cinese ha varato una serie di riforme amministrative che, insieme al già presente sistema di registrazione familiare (hukou 户口), ha ulteriormente accelerato i cambiamenti urbani. Nonostante queste riforme fossero finalizzate a sviluppare certe zone urbane in modo da trainare il resto della Cina, questa strategia ha rinforzato la separazione tra la città come centro di ricchezza, modernità e potere, da una parte, e la campagna come luogo secondario, povero e arretrato dall’altra.

Tra le numerose conseguenze, la crescita urbana ed economica ha portato all’emergere della cosiddetta popolazione fluttuante, ovvero una nuova classe sociale formata da migranti rurali che fluttuano tra la campagna e la città. Questi si sono trasferiti per trovare lavoro e fare fortuna. Tuttavia, molti dei soggetti migranti  hanno costruito la stessa realtà urbana da cui vengono emarginati e denigrati.12)Helen F. Siu, “Grounding Displacement: Uncivil Urban Spaces in Postreform South China”, American Ethnologist 34, 2, 2007, 330; Quanle Huang e Tao Li, “In the Shadow of the Metropolis – Shipai Village”, in Bruno De Meulder, Yanliu Lin, e Kelly Shannon (a cura di), Villages in the City (Zurich: Park Books, 2014), 23; Kam Wing Chan, “The Household Registration System and Migrant Labour in China: Notes on a Debate”, Population and Development Review 36, 2, 2010, 359–360. Nonostante l’ingiustizia, Deleuze e Guattari suggeriscono che gli Stati hanno sempre avuto problemi con le persone nomadi o itineranti e con una classe sociale formata da muratori, falegnami, e fabbri.13)Nomadology: The War Machine, ed. Brian Massumi (Seattle: Wormwood Distribution, 2010), 26. Se da un lato la strategia del governo centrale cinese ha permesso di raggiungere un primato in termini di crescita urbana, dall’altro ha fortemente discriminato la popolazione urbana da quella rurale. Inoltre, questa tattica ha anche incrementato le disparità socioeconomiche interregionali e tra aree urbane e rurali, causando uno dei flussi migratori più ingenti della storia globale.14)Kean Fan Lim e Niv Horesh, “The Chongqing vs. Guangdong Developmental ‘Models’ in Post-Mao China: Regional and Historical Perspectives on the Dynamics of Socioeconomic Change”, Journal of the Asia Pacific Economy 22, 3, 2017, 373; Gen Ying Long, “China’s Changing Regional Disparities during the Reform Period”, Economic Geography 75, 1, 1999, 59–70; Liu Hui, “Changing Regional Rural Inequality in China 1980-200”, Area 38, 4, 2006, 377–389; Liang Zai, “The Age of Migration in China”, Population and Development Review 27, 3, 2001, 503; Laurence Liauw, “Village-in-the-City as a Sustainable Form of Social Housing Communities for China: A Tale of Four Villages in Shenzhen”, in Stefan Al (a cura di), Villages in the City: A Guide to South China’s Informal Settlements (Hong Kong and Honolulu: Hong Kong University Press and University of Hawaii Press, 2014), 50.

Negli ultimi due decenni, sempre più ricercatori hanno preso in esame l’urbanizzazione nella Cina post-socialista e cercato di comprendere questo complesso fenomeno, e con loro anche gli artisti contemporanei. Tra gli studiosi, Robin Visser ha indagato la transizione dalle campagne alle città, mentre Jiang Jiehong e Yomi Braester hanno analizzato le incessanti trasformazioni urbane attraverso il mezzo della fotografia, il primo, e i film, il secondo.15)Robin Visser, Cities Surround the Countryside: Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham and London: Duke University Press, 2010); Jiehong Jiang, An Era Without Memories (London: Thames & Hudson, 2015); Yomi Braester, Painting the City Red: Chinese Cinema and the Urban Contract (Durham: Duke University Press, 2010). Nell’ambito artistico, vari artisti hanno cercato di sensibilizzare gli abitanti della città a questa problematica attraverso le arti performative, la fotografia e, più recentemente, tramite installazioni, opere multimediali e progetti socialmente impegnati. Tra le prime opere, negli anni Novanta, Zhu Fadong ha eseguito una serie di performances ispirate alla migrazione di massa catalizzata dalle riforme economiche che hanno interessato la Cina dalla fine degli anni Settanta. Zhu nasce a Kunming nel 1960 e si laurea alla Yunnan Academy of Fine Arts nel 1985. Tra le sue performances, Person for Sale (ciren chushou 此人出售) (1994) è sicuramente degna di nota; l’artista indossando un’uniforme blu con la scritta “questa persona è in vendita, contrattare il prezzo sul posto” camminava per le strade di Pechino suscitando lo stupore dei passanti.16)Thomas Berghuis, Performance Art in China (Hong Kong: Timezone 8 Limited, 2006), 111–113; Robin Visser, Cities Surround the Countryside: Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham and London: Duke University Press, 2010), 169; Madeline Eschenburg, “Fixing Identities: The Use of Migrant Workers in Chinese Performance Art,” Yishu 16, 3, 2017, 26–36. In un altro progetto a lungo termine, Identity Cards (Shenfen zheng 身份证) (1998-2015), Zhu falsificava i documenti, una pratica illegale, ma comune tra coloro che vivono illegalmente nelle città e non possono accedere ai servizi urbani.17)Per una discussione dettagliata dei lavori di Zhu Fadong, vedi Denisa Tomkova, “Zhu Fadong: Why Art Is Powerless to Make Social Change,” Yishu Online 17, 1, 2018, 85–96. Mentre la prima performance vuole problematizzare le pessime condizioni dei lavoratori migranti, il secondo progetto enfatizza la resilienza di questi individui nel ritagliarsi un proprio posto all’interno della società e della città nonostante le avversità.

Una performance molto simile a quella appena citata è Half White-collar/half peasant (Yiban shi bailing, yiban shi nongmin 一半是白领,一半是农民) (1996) di Luo Zidan. Luo nasce nel 1971 a Luzhou, nella regione del Sichuan, dove frequenta il Sichuan Fine Arts College. Negli anni Novanta si trasferisce a Pechino, mentre oggi lavora e risiede a Chengdu. Nella performance del 1996, vestendosi simultaneamente da operaio e colletto bianco, con camicia e cravatta da una parte e uniforme blu dall’altra, l’artista evidenzia le crescenti disparità sociali e le contraddizioni della modernizzazione cinese. Tuttavia, Madeleine Eschenburg suggerisce che l’atto di travestirsi enfatizza la sostanziale differenza tra artista e migrante, così come gli iniqui rapporti di potere che regolano la società cinese contemporanea.18)L’articolo non ha il fine di analizzare la totalità delle opere in risposta a questo fenomeno. Per un approfondimento, vedi: Wu, Contemporary Chinese Art, 406; Eschenburg “Fixing Identities”; Federica Mirra, “Urban Imaginaries: Contemporary Art and Urban Transformations in China since 2001” (Birmingham City University, 2022). Ovviamente, la limitazione nell’interpretazione di Eschenburg, così come la mia e quella di altri intellettuali sta nell’impossibilità di dare veramente voce ai migranti urbani. Citando Spivak, “qualsiasi cosa leggiamo, che sia un’opera critica o meno, sottende il processo di produzione dell’Altro”.19)Gayatry Chakravorty Spivak, “Can the Subaltern Speak?,” in Laura Chrisman and Patrick Williams (a cura di), Colonial Discourse and Post-Colonial Theory: A Reader (New York and Sidney: Harvester Wheatsheaf, 1993), 75. Tuttavia, soffermandosi sulle strategie di rappresentazione dell’Altro, in questo caso il migrante, e riconoscendo le relative dinamiche di potere è forse possibile avvicinarsi ad un’analisi più accurata. Alla fine del XX secolo, mentre le autorità promuovono la rappresentazione della popolazione fluttuante come individui di cui diffidare e da sfruttare, gli artisti riconoscono la posizione di svantaggio di questi soggetti e li ritraggono, consciamente o inconsciamente, come pieni di risorse nel trovare soluzioni quotidiane.

Le difficili condizioni dei migranti si possono sicuramente imputare all’incapacità da parte del governo centrale di assorbire nelle città le migliaia di individui provenienti dalle zone rurali, dando vita ai cosiddetti villaggi urbani. Emersi originariamente nella zona del Fiume delle Perle, i villaggi urbani si possono definire soluzioni dal basso verso l’altro. Sfruttando l’inefficienza delle autorità locali e centrali e la mancanza di chiarezza sui diritti di utilizzo della terra, gli abitanti di questi villaggi hanno aggiunto piani alle proprie abitazioni per affittarle ai migranti rurali.20)C’è una sostanziale differenza tra gli abitanti nativi del villaggio che sono stati integrati nella città e coloro che sono stati esclusi dalla città e vi risiedono temporaneamente. Per una discussione più dettagliata, vedi Ying Liu et al., “Towards Inclusive and Sustainable Transformation in Shenzhen: Urban Redevelopment, Displacement Patterns of Migrants and Policy Implications”, Journal of Cleaner Production 173, 2018, 29; Him Chung, “The Spatial Dimension of Negotiated Power Relations and Social Justice in the Redevelopment of Villages-in-the-City in China”, Environment and Planning A 45, 2013, 2462–2463. Tra le caratteristiche che contraddistinguono questi luoghi vi è la capacità straordinaria di adattarsi alle continue alterazioni urbane, spostandosi, riorganizzandosi e rispondendo ai bisogni di coloro che arrivano e transitano nella città. Oggi, i ricercatori concordano che queste realtà non si possano definire esattamente urbanizzate, ma d’altro canto, neppure rurali.21)Ibidem, 1.

Nell’ambito artistico, le opere d’arte di artisti contemporanei cinesi come Weng Fen e Cao Fei ritraggono proprio il divario tra zone rurali e urbane in modo marcato e vivace, offrendo una testimonianza delle straordinarie trasformazioni urbane e sociali nella Cina meridionale tra gli anni Novanta e Duemila. Nato nel 1961 a Hainan, Weng si laurea alla Guangzhou Academy of Fine Arts nel 1985 e, da allora lavora con la macchina fotografica. Weng appartiene a quella generazione di artisti che sono cresciuti durante la Rivoluzione Culturale (1966-76) e hanno vissuto il radicale cambiamento della Cina negli ultimi quarant’anni. Nella serie fotografica che lo ha reso famoso a livello internazionale, Sitting On the Wall (Qi qiang 骑墙) (2002-2005) (Fig. 2), Weng ritrae giovani ragazze sedute di spalle su muri di mattoni o cemento, oppure su arbusti, mentre guardano verso i grattacieli di diverse città.22)Conversazione dell’autrice con l’artista su WeChat, 20 Maggio 2022. Il centro urbano è distante e di un grigio omogeneo. Al contrario, i confini urbani-rurali sono caratterizzati da una miriade di colori e dettagli, forse a simboleggiare la diversità, vivacità e anche transitorietà di questi snodi. Anche se mi concentro sulla rappresentazione della città-campagna, è necessario soffermarsi sulla giovane adolescente che indossa la tipica uniforme dei Giovani Pionieri con un fazzoletto rosso al collo. Se da una parte, la giovane ragazza potrebbe simboleggiare l’era socialista cinese, dall’altra la città sembrerebbe indicare il futuro della Cina moderna.23)Per un approfondimento, consultare: Meiqin Wang, “Tales of Our Time: Two Contemporary Artists From China” (Northridge, CA: California State University Northridge Art Galleries, 2011); Meiqin Wang, “Disappearing Bodies”, in Urbanization and Contemporary Chinese Art (New York and Abingdon: Routledge, 2015), 161–206.

Nel video di Cao, Cosplayers (Juese 角色) (2004), le giovani ragazze pioniere di Weng sono sostituite da avatar, personaggi animati e animali.24)Per una discussione dei lavori di Cao Fei, vedi Hans Ulrich Obrist, “Cao Fei”, Artforum 44, 5, 2006, 180–181; Chris Berry, “Cao Fei’s ‘Magical Metropolises’”, in Minna Valjakka e Meiqin Wang (a cura di), Visual Art, Representations and Interventions in Contemporary China: Urbanized Interface (Amsterdam: Amsterdam University Press, 2018), 209–235; Zack Hatfield, “Cao Fei on the Limits of Truth and Virtuality”, ArtForum, 2020; Ellen Larson, “Cao Fei’s Nostalgia for the Future”, Journal of Contemporary Chinese Art 7, 2–3, 2020, 261–279; Doretta Lau, “Cao Fei (and Me)”, ArtReview, 2019. Appartenendo a una generazione di artisti più recente, Cao si laurea nel 2001 alla Guangzhou Academy of Fine Arts. Figlia di artisti, nasce a Guangzhou nello stesso anno in cui Deng Xiaoping annuncia la riforma di apertura, in una delle regioni maggiormente trasformate dalla crescita economica cinese. Forse per questo motivo, gran parte delle sue opere multimediali indagano gli effetti dello sviluppo economico e urbano in Cina e, più recentemente, la globalizzazione e il progresso tecnologico. In entrambi i lavori di Cao e Weng, il profilo della città si intravede appena e ha contorni confusi di fronte ai colori vividi e saturi con cui viene rappresentata la periferia urbana. Attraverso le loro opere, i due artisti visualizzano quella terra di mezzo tra città e campagna e tentano di problematizzare la tendenza attuale di innalzare sempre più barriere non solo tra Stati, ma anche a livello domestico.25)Tim Cresswell, “Towards a Politics of Mobility”, Environment and Planning D: Society and Space 28, 2010, 26.

Figura 2 – Weng Fen, Sitting on the Wall: Shenzhen (I) (2002), c-print. Courtesy of the artist.

Ad oggi, i lavori artistici più recenti che indagano le dinamiche socio-spaziali tra città e campagna sembrano allinearsi agli studi contemporanei sulla mobilità nel riconoscere il carattere transitorio, resiliente e in continua evoluzione dei migranti e dei i villaggi urbani. Secondo queste ricerche, “il movimento è onnipresente, anche se non uniforme”.26)Traduzione dell’autrice del testo in Peter Merriman, “Introduction: Mobility, Space and Culture”, in Mobility, Space and Culture, ed. John Urry (New York: Routledge, 2012), 7. Sostenendo questo approccio, è inutile pensare ai migranti rurali come bloccati nella loro condizione socio-spaziale da una parte, e gli abitanti urbani come coloro che si possono muovere liberamente dall’altra. Anche se la popolazione fluttuante tende a spostarsi in modo più lento e limitato per accedere ai centri urbani, ha comunque il potere di agire ed è provvisto di una propria mobilità. Infatti, la mobilità sottende processi politici, fisici ed estetici molto diversi e deve essere intesa in scala.27)Ibidem, 6 Perciò bisogna analizzare le varie velocità, le frizioni, i processi e il grado di mobilità per cogliere le sfumature e le potenzialità dei villaggi urbani e dei loro abitanti, senza cadere in una prospettiva dualistica.

Tra le opere d’arte che esprimono quest’interpretazione della mobilità associata ai villaggi urbani e ai suoi abitanti, vorrei prendere in esame l’opera multimediale del gruppo Jiu Society composta dall’installazione immersiva Shenzhen Grand Hotel (Shenzhen da fanguan深圳大饭馆) (2016) e dal video 360° Without Dead Ends (Du wu sijue 度无死绝) (2016) (Figs. 3-4). Jiu Society è formato da tre giovani originari di Shenzhen: Fang Di 方迪, e Ji Hao 稽昊, e Jin Haofan 金浩钒. Figli di migranti, Fang, Ji e Jin si definiscono “prodotti sperimentali dell’era delle ‘Riforme ed Apertura’” e dicono di appartenere alla seconda generazione di lavoratori che si trasferirono a Shenzhen alla fine del ventesimo secolo per cercare fortuna.28)Jiu Society, “Jiu Society,” 2021. Entrambe le opere di Jiu Society menzionate sopra riflettono sulla realtà post-riformista cinese.29)Conversazione dell’autrice con Fang Di su WeChat, 27 aprile-21 maggio 2022. Fang spiega che il progetto nasce dalle considerazioni degli artisti sui sogni dei migranti che arrivano a Shenzhen in cerca di riscatto sociale e di un proprio ruolo all’interno della realtà urbana.30)Tratto dal messaggio di Fang Di su WeChat, 6 gennaio 2022: “zhe ge zuoping helai Shenzhen dagong xun meng de wugongzhe you hen da de guanxi, tamen zai chengshijian buduan de panxuan, xunzhao shuyu de dingwei he chengshi juese这个作品和来深圳打工寻梦的务工者有很大的关系,他们在城市间不断地盘旋,寻找属于自己的定位和城市角色”.  Abbandonando i propri luoghi familiari, questi individui devono ricostruirsi i propri spazi, la propria rete sociale e trovare il proprio posto all’interno di una società e una città in continua trasformazione.

Il video 360° Without Dead Ends sembra esplicare questa vertiginosa, alienante e faticosa ricerca nel catturare i movimenti di diverse persone che giocano con l’hula hop sullo sfondo di scene urbane che si susseguono veloci. La videocamera riprende il tutto attraverso punti di vista diversi. Mentre lo sfondo urbano sfila rapidamente davanti agli occhi, seguendo traiettorie complicate, i corpi e i movimenti in primo piano sembrano essere ritratti in slow-motion. La narrazione è accompagnata da un sottofondo musicale che ricorda un videogioco; da giocoso e spumeggiante, il ritmo si fa più incalzante, forte e trionfale fino a toccare il culmine. Dopodiché la musica rallenta e il tono pesante viene sostituito da una modulazione più leggera che trasporta lo spettatore in una realtà distante. Questa opposizione tra lo sfondo e il primo piano può essere interpretata come la variazione di mobilità tra quella rallentata dei soggetti migranti e il rapido susseguirsi delle trasformazioni urbane. La narrazione visiva e musicale in 360° Without Dead Ends non è solamente volta a simboleggiare gli incessanti cambiamenti e gli incalzanti ritmi urbani, ma invita anche a riflettere su come queste alterazioni siano percepite in modo ancora più acuto dai lavoratori migranti. Nonostante la mobilità e le possibilità spesso ridotte, i soggetti migranti non si arrendono alla loro condizione, ma ‘fluttuano’, si muovono a spirale e si spostano per la città.

Figura 3 – Jiu Society, 360° Without Dead Ends (2016), video installation, 3’24’’. Courtesy of the artists.

Mentre il video è girato all’interno di alcuni villaggi urbani, nello specifico in luoghi dove si passa il tempo libero, come il parco a tema Windows of the World, il centro commerciale, la sala giochi, il supermercato e le strade di Shenzhen, l’installazione Shenzhen Grand Hotel riproduce la camera d’albergo. L’opera sembra alludere a Shenzhen come città hotel, ma anche luogo “pieno di tentazioni e opportunità”.31)Jiu Society, “Jiu Society”. Recentemente, l’albergo come oggetto di indagine ha suscitato l’interesse dei ricercatori che si occupano di mobilità. Se per Sheller e Urry, l’hotel è uno spazio in grado di produrre mobilità e favorire incontri,32)Mimi Sheller e John Urry, “The New Mobilities Paradigm,” Environment and Planning A 38, 2006, 213, 219. Robert Davidson spiega che è il distacco spaziale e temporale dalla frenetica realtà esterna a favorire diversi tipi di contatto.33)Robert Davidson, The Hotel: Occupied Space (Toronto: University of Toronto, 2018), 3; Robert Davidson, “A Periphery with a View: Hotel Space and the Catalan Modern Experience,” Romance Quarterly 53, 3, 2006, 169-83. Infatti, per Davidson, il pernottamento nell’hotel permette al viaggiatore di lasciarsi temporaneamente alle spalle quelle convenzioni culturali e sociali associate ai luoghi familiari.34)Davidson, The Hotel, 4. Anche nell’installazione di Jiu Society, l’hotel diventa un “luogo di decompressione” ed intrattenimento, agli antipodi della vita urbana di Shenzhen.35)Ibidem. La biancheria bianca e l’insegna a LED “Grand Hotel di Shenzhen dal 1979” appesa sui muri rossi enfatizzano quel distacco dalla vita quotidiana. Tuttavia, la figura del migrante è invisibile e non sembra appartenere all’immaginario urbano proposto nelle due opere multimediali di Jiu Society; tuttalpiù lo si può immaginare mentre lavora in questi luoghi destinati alla classe borghese.

Figura 4 – Jiu Society, Shenzhen Grand Hotel (2016), exhibition view at the Centre For Chinese Contemporary Art (CFCCA), Manchester. Courtesy of the artists.

Anche se i lavoratori migranti sono fisicamente assenti nell’opera di Jiu Society, propongo di interpretare il loro lavoro come un invito a considerare i diversi gradi di mobilità intrinsechi nella società urbana odierna. Tramite il loro lavoro multimediale, i tre artisti osservano il flusso migratorio che si riversa ciclicamente su Shenzhen, nei villaggi urbani. Se da un lato ci sono coloro che possono decidere la velocità dei propri movimenti ed esperienze alloggiando nell’hotel, viaggiando sull’aereo e divertendosi nei casinò, dall’altro ci sono individui che devono continuamente fare i conti con la difficoltà (e spesso impossibilità) di facilitare i propri spostamenti e rallentare i propri ritmi lavorativi.36)Sheller e Urry, “The New Mobilities Paradigm,” 211. Nel caso dei soggetti migranti che lavorano nelle fabbriche, la loro realtà è ben lontana da quella del Shenzhen Grand Hotel. Tuttavia, anch’essi hanno una propria mobilità, sebbene questa sia spesso dettata in una certa misura da necessità.37)Cresswell, “Towards a Politics of Mobility,” 22.

Inoltre, l’opera permette di cogliere un’altra sfumatura del villaggio urbano ed immaginarlo come uno spazio in continua evoluzione e pieno di risorse. Infatti, secondo un intervistato anonimo, mentre negli anni Novanta questi villaggi erano spesso sprovvisti di acqua e elettricità e ospitavano unicamente i lavoratori delle fabbriche, oggi offrono servizi, affitti economici e accolgono studenti, start-up e lavoratori migranti che hanno abbastanza capitale per mettere su una propria attività, dare un’istruzione ai propri figli e anche partecipare a iniziative artistiche. Divenendo zone appetibili grazie ai servizi offerti, ai costi e alla posizione strategica, sempre più villaggi urbani vengono rilevati dal governo centrale per la costruzione di centri commerciali, appartamenti e uffici.38)Intervista dell’autrice con intervistato anonimo su Zoom, 21 agosto 2021. Questo è il caso, tra tanti, di Baishizhou, il villaggio urbano che nel 2015 si vantava di essere il più grande e quello con la più ampia stratificazione sociale a Shenzhen.39)Mary Ann O’Donnell, “The End of an Era? Two Decades of Shenzhen Urban Villages”, Made in China, 2, 2021, 13–14. Nel 2016, l’intera area di Baishizhou, si è svuotata dei suoi residenti e della sua vivacità a causa degli sfratti e delle demolizioni imposte dalle autorità locali.

Secondo de Meulder, Lin e Shannon, i villaggi urbani  costituiscono le “vere città”, essendo luoghi fluidi e porosi che “producono vitalità e differenziazione”.40)Village in the City: Asian Variations of Urbanisms of Inclusion, 15. Il ruolo fondamentale svolto dai villaggi urbani per il funzionamento e lo sviluppo della città è tale che Cenzatti e Smith propongono di rinominarli “città nei villaggi” per dare maggiore rilevanza a queste aree informali e transitorie insieme ai loro abitanti.41)Marco Cenzatti, “The City in between the Villages,” in Stefan Al (a cura di), Villages in the City, 16; Nick R. Smith, “City-in-the-Village: Huanggang and China’s Urban Renewal,” in Stefan Al (a cura di), Villages in the City, 29–41. Infatti, il modus operandi e il carattere flessibile di questi villaggi ha incoraggiato un nuovo tipo di urbanesimo che si sviluppa in modo orizzontale attraverso flussi, scambi e negoziazioni multilaterali.42)Cenzatti, “The City in between the Villages,” 17. Posizionandosi tra città e campagna, legalità e illegalità, i migranti urbani e i loro villaggi beneficiano di questa ambiguità. Inoltre, se Merriman suggerisce che la mobilità produce spazio e tempo, allora si può avanzare che i migranti, spostandosi tra zone urbane e rurali, sono individui in grado di produrre dinamicità.43)Merriman, “Introduction: Mobility, Space and Culture,” 1.

Questa idea è sicuramente alla base di molti progetti dello spazio artistico di Handshake 302, con cui ho iniziato e vorrei concludere questo articolo. Handshake 302 nasce da cinque fondatori: Mary Ann O’Donnell, Zhang Kaiqin 张凯琴, Wu Dan 吴丹, Liu He 刘赫, e Lei Sheng ꨭ雷胜. Con background diversi, tra cui l’antropologia, l’educazione e il design, nel 2013 hanno dato vita a questo spazio artistico, e non solo. Infatti, Handshake 302 è pensato come una piattaforma dove gli abitanti locali possano sentirsi inclusi, partecipare e fantasticare sul futuro di Baishizhou attraverso l’arte e l’immaginazione. Nello corso degli anni, workshop, artisti in residenza, programmi didattici ed attività di gruppo volti a creare nuovi legami hanno cercato di responsabilizzare e dare voce ai migranti su temi di loro interesse, come il diritto sull’amministrazione del territorio e l’educazione.44)Tra questi ci sono Dalang Graffiti Festival (2015), Evolution (2014), Urban Fetish: Baishizhou (2013), e i progetti didattici di Handshake Academy e Handshake on Campus, per citarne alcuni. Inoltre, il coinvolgimento di Handshake 302 con la comunità e lo spazio locale si può ulteriormente ritrovare nella ricerca antropologica della co-fondatrice americana. Dal suo arrivo a Shenzhen nel 1995, O’Donnell indaga la comunità di Baishizhou e documenta la storia di Shenzhen attraverso articoli accademici, un blog e visite guidate della città.

Tra i numerosi progetti realizzati, ho ricordato Paper Crane Tea, e vorrei menzionare Baishizhou Superhero (2013) (Fig. 5), ovvero un’installazione a basso costo in cartone, disegnata da Xi Niu 犀牛 e ultimata dal team di Handshake 302 insieme a vari volontari. L’opera riproduce le sagome cartonate di alcuni supereroi dei villaggi urbani: una guardia di sicurezza, una nonna e una cameriera. Ad esempio, il super potere della nonna è quello di creare valore fornendo assistenza gratuita in modo tale che i genitori possano lavorare.45)Traduzione dell’autrice in Mary Ann O’Donnell, “Figuring Post-Worker Shenzhen”, Made in China 3, 1, 2018, 87-95. Il progetto vuole rivalutare la vita di tutti i giorni e con essa tutti quei lavori sottopagati o non retribuiti che sono tuttavia fondamentali. Inoltre, invita la partecipazione dei visitatori, i quali possono scattare foto inserendo il proprio viso nelle sagome cartonate e dare vita e tridimensionalità a quest’ultime. Nonostante il successo nel rendere partecipe la comunità locale, dal 2016 Handshake 302 si è dovuto trasferire online a causa dei progetti di rigeneramento urbano di Baishizhou.

In conclusione, credo che Handshake 302 possa essere un buon punto di partenza per ampliare le rappresentazioni dei migranti e dei villaggi urbani, iniziando proprio dal coinvolgere questi individui e la loro realtà nei progetti artistici. Mentre il governo centrale e i media tendono a considerarli come entità passive, di basso livello e da tenere sotto controllo, la mia interpretazione offre una narrazione più articolata. Non sempre le opere artistiche sono in grado di allontanarsi completamente dalle rappresentazioni ufficiali e proporre un immaginario essenzialmente nuovo: ad esempio, le fotografie di Cao e Weng ripropongano la problematica separazione tra città e campagna; mentre le opere di Jiu Society tentano di sensibilizzare l’osservatore alla migrazione e ai villaggi urbani eliminando la figura del migrante. Tuttavia, attraverso un’analisi critica di queste opere d’arte, è possibile moltiplicare le rappresentazioni dei soggetti migranti e dei villaggi urbani ed enfatizzare la loro mobilità. Infine, anche se non sempre producono risultati immediati, il numero crescente di progetti socialmente impegnati e didattici,46)Wang Meiqin, “Introduction: Voices from Below: The Potential of Art Activism,” in Socially Engaged Art in Contemporary China: Voices from Below (New York: Routledge, 2019), 2. come quelli proposti da Handshake 302, hanno il potere di intervenire sullo spazio circostante ed incoraggiare nuove interconnessioni, relazioni e mobilità.

Figura 5 – Handshake 302, Baishizhou Superhero (2013), installation in Jianghan Baihuo department store plaza. Courtesy of Handshake 302.

 

Immagine: Handshake 302, Baishizhou Superhero.

Mirra Mobilità sociale ed artistica nei villaggi urbani in Cina PDF

Federica è Leverhulme Early Career Research Fellow presso il Centre for Chinese Visual Arts at Birmingham City University, Regno Unito, dove sta attualmente conducendo la sua ricerca post-dottorale triennale, The City as Art: Living Aesthetics in Twenty-First Century China. Ha ottenuto il dottorato presso la stessa università nel 2022, finanziato dal AHRC-Midlands3Cities Doctoral Training Partnership. In precedenza Mirra ha lavorato come Research Fellow presso la Chair of Chinese Culture and Society, University of St Gallen, Svizzera, visiting lecturer alla Birmingham City University, e assistente di ricerca e assistente curatore in vari istituti educativi e artistici.

References
1 Mary Ann O’Donnell, “Paper Cranes”, Shenzhen Noted, 2014.
2 Mary Ann O’Donnell, “Laying Siege to the Villages: The Vernacular Geography of Shenzhen”, in Mary Ann O’Donnell, Winnie Wong e Jonathan Bach (a cura di), Learning from Shenzhen: China’s Post-Mao Experiment from Special Zone to Model City, (Chicago: University of Chicago Press, 2017), 118–19.
3 L’installazione ricorda la serie Wish Trees dell’artista Yoko Ono iniziata nel 1996.
4 Helen F. Siu, “Grounding Displacement: Uncivil Urban Spaces in Postreform South China,” American Ethnologist 34, no. 2 (2007): 330; Bruno De Meulder, Yanliu Lin, and Kelly Shannon, eds., Village in the City: Asian Variations of Urbanisms of Inclusion (Zurich: Park Books, 2014).
5 Tim Cresswell, On the Move: Mobility in the Modern Western World and Pete Merriman’s Mobility, Space and Culture (New York and Oxon: Routledge, 2006), 26.
6 Cresswell, On the Move, 2. Per Cresswell, il concetto di mobilità è da intendere come movimento, rappresentazione ed esperienza fisica.
7 Ibidem.
8 Yani Lai and Xiaoling Zhang, “Redevelopment of Industrial Sites in the Chinese ‘Villages in the City’: An Empirical Study of Shenzhen,” Journal of Cleaner Production, 134 (2016), 70–77.
9 Duanfang Lu, Remaking Chinese Urban Form: Modernity, Scarcity and Space, 1949-2005 (Abingdon and New York: Routledge, 2006), 153–54.
10 Martin Jacques, When China Rules the World The Rise of the Middle Kingdom and the End of the Western World (London: Penguin Books, 2009), 186-187; Guocang Huan, “China’s Open Door Policy, 1978-1984”, Journal of International Affairs 39, 2, 1986, 1-18; Jude Howell, “The Impact of the Open Door Policy on the Chinese State”, in Gordon White (a cura di), The Chinese State in the Era of Economic Reform: Studies on the Chinese Economy (London: Palgrave Macmillan, 1991), 119–146.
11 Fulong Wu, China’s Emerging Cities (Abingdon: Routledge, 2007); Thomas J. Campanella, The Concrete Dragon: China’s Urban Revolution and What It Means for the World (New York: Princeton Architectural Press, 2008); Anna Greenspan, “The Power of Spectacle”, Culture Unbound 4, 2012, 81–95.
12 Helen F. Siu, “Grounding Displacement: Uncivil Urban Spaces in Postreform South China”, American Ethnologist 34, 2, 2007, 330; Quanle Huang e Tao Li, “In the Shadow of the Metropolis – Shipai Village”, in Bruno De Meulder, Yanliu Lin, e Kelly Shannon (a cura di), Villages in the City (Zurich: Park Books, 2014), 23; Kam Wing Chan, “The Household Registration System and Migrant Labour in China: Notes on a Debate”, Population and Development Review 36, 2, 2010, 359–360.
13 Nomadology: The War Machine, ed. Brian Massumi (Seattle: Wormwood Distribution, 2010), 26.
14 Kean Fan Lim e Niv Horesh, “The Chongqing vs. Guangdong Developmental ‘Models’ in Post-Mao China: Regional and Historical Perspectives on the Dynamics of Socioeconomic Change”, Journal of the Asia Pacific Economy 22, 3, 2017, 373; Gen Ying Long, “China’s Changing Regional Disparities during the Reform Period”, Economic Geography 75, 1, 1999, 59–70; Liu Hui, “Changing Regional Rural Inequality in China 1980-200”, Area 38, 4, 2006, 377–389; Liang Zai, “The Age of Migration in China”, Population and Development Review 27, 3, 2001, 503; Laurence Liauw, “Village-in-the-City as a Sustainable Form of Social Housing Communities for China: A Tale of Four Villages in Shenzhen”, in Stefan Al (a cura di), Villages in the City: A Guide to South China’s Informal Settlements (Hong Kong and Honolulu: Hong Kong University Press and University of Hawaii Press, 2014), 50.
15 Robin Visser, Cities Surround the Countryside: Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham and London: Duke University Press, 2010); Jiehong Jiang, An Era Without Memories (London: Thames & Hudson, 2015); Yomi Braester, Painting the City Red: Chinese Cinema and the Urban Contract (Durham: Duke University Press, 2010).
16 Thomas Berghuis, Performance Art in China (Hong Kong: Timezone 8 Limited, 2006), 111–113; Robin Visser, Cities Surround the Countryside: Urban Aesthetics in Postsocialist China (Durham and London: Duke University Press, 2010), 169; Madeline Eschenburg, “Fixing Identities: The Use of Migrant Workers in Chinese Performance Art,” Yishu 16, 3, 2017, 26–36.
17 Per una discussione dettagliata dei lavori di Zhu Fadong, vedi Denisa Tomkova, “Zhu Fadong: Why Art Is Powerless to Make Social Change,” Yishu Online 17, 1, 2018, 85–96.
18 L’articolo non ha il fine di analizzare la totalità delle opere in risposta a questo fenomeno. Per un approfondimento, vedi: Wu, Contemporary Chinese Art, 406; Eschenburg “Fixing Identities”; Federica Mirra, “Urban Imaginaries: Contemporary Art and Urban Transformations in China since 2001” (Birmingham City University, 2022).
19 Gayatry Chakravorty Spivak, “Can the Subaltern Speak?,” in Laura Chrisman and Patrick Williams (a cura di), Colonial Discourse and Post-Colonial Theory: A Reader (New York and Sidney: Harvester Wheatsheaf, 1993), 75.
20 C’è una sostanziale differenza tra gli abitanti nativi del villaggio che sono stati integrati nella città e coloro che sono stati esclusi dalla città e vi risiedono temporaneamente. Per una discussione più dettagliata, vedi Ying Liu et al., “Towards Inclusive and Sustainable Transformation in Shenzhen: Urban Redevelopment, Displacement Patterns of Migrants and Policy Implications”, Journal of Cleaner Production 173, 2018, 29; Him Chung, “The Spatial Dimension of Negotiated Power Relations and Social Justice in the Redevelopment of Villages-in-the-City in China”, Environment and Planning A 45, 2013, 2462–2463.
21 Ibidem, 1.
22 Conversazione dell’autrice con l’artista su WeChat, 20 Maggio 2022.
23 Per un approfondimento, consultare: Meiqin Wang, “Tales of Our Time: Two Contemporary Artists From China” (Northridge, CA: California State University Northridge Art Galleries, 2011); Meiqin Wang, “Disappearing Bodies”, in Urbanization and Contemporary Chinese Art (New York and Abingdon: Routledge, 2015), 161–206.
24 Per una discussione dei lavori di Cao Fei, vedi Hans Ulrich Obrist, “Cao Fei”, Artforum 44, 5, 2006, 180–181; Chris Berry, “Cao Fei’s ‘Magical Metropolises’”, in Minna Valjakka e Meiqin Wang (a cura di), Visual Art, Representations and Interventions in Contemporary China: Urbanized Interface (Amsterdam: Amsterdam University Press, 2018), 209–235; Zack Hatfield, “Cao Fei on the Limits of Truth and Virtuality”, ArtForum, 2020; Ellen Larson, “Cao Fei’s Nostalgia for the Future”, Journal of Contemporary Chinese Art 7, 2–3, 2020, 261–279; Doretta Lau, “Cao Fei (and Me)”, ArtReview, 2019.
25 Tim Cresswell, “Towards a Politics of Mobility”, Environment and Planning D: Society and Space 28, 2010, 26.
26 Traduzione dell’autrice del testo in Peter Merriman, “Introduction: Mobility, Space and Culture”, in Mobility, Space and Culture, ed. John Urry (New York: Routledge, 2012), 7.
27 Ibidem, 6
28 Jiu Society, “Jiu Society,” 2021.
29 Conversazione dell’autrice con Fang Di su WeChat, 27 aprile-21 maggio 2022.
30 Tratto dal messaggio di Fang Di su WeChat, 6 gennaio 2022: “zhe ge zuoping helai Shenzhen dagong xun meng de wugongzhe you hen da de guanxi, tamen zai chengshijian buduan de panxuan, xunzhao shuyu de dingwei he chengshi juese这个作品和来深圳打工寻梦的务工者有很大的关系,他们在城市间不断地盘旋,寻找属于自己的定位和城市角色”.
31 Jiu Society, “Jiu Society”.
32 Mimi Sheller e John Urry, “The New Mobilities Paradigm,” Environment and Planning A 38, 2006, 213, 219.
33 Robert Davidson, The Hotel: Occupied Space (Toronto: University of Toronto, 2018), 3; Robert Davidson, “A Periphery with a View: Hotel Space and the Catalan Modern Experience,” Romance Quarterly 53, 3, 2006, 169-83.
34 Davidson, The Hotel, 4.
35 Ibidem.
36 Sheller e Urry, “The New Mobilities Paradigm,” 211.
37 Cresswell, “Towards a Politics of Mobility,” 22.
38 Intervista dell’autrice con intervistato anonimo su Zoom, 21 agosto 2021.
39 Mary Ann O’Donnell, “The End of an Era? Two Decades of Shenzhen Urban Villages”, Made in China, 2, 2021, 13–14.
40 Village in the City: Asian Variations of Urbanisms of Inclusion, 15.
41 Marco Cenzatti, “The City in between the Villages,” in Stefan Al (a cura di), Villages in the City, 16; Nick R. Smith, “City-in-the-Village: Huanggang and China’s Urban Renewal,” in Stefan Al (a cura di), Villages in the City, 29–41.
42 Cenzatti, “The City in between the Villages,” 17.
43 Merriman, “Introduction: Mobility, Space and Culture,” 1.
44 Tra questi ci sono Dalang Graffiti Festival (2015), Evolution (2014), Urban Fetish: Baishizhou (2013), e i progetti didattici di Handshake Academy e Handshake on Campus, per citarne alcuni.
45 Traduzione dell’autrice in Mary Ann O’Donnell, “Figuring Post-Worker Shenzhen”, Made in China 3, 1, 2018, 87-95.
46 Wang Meiqin, “Introduction: Voices from Below: The Potential of Art Activism,” in Socially Engaged Art in Contemporary China: Voices from Below (New York: Routledge, 2019), 2.