Nel momento in cui la figura di Lu Xun (1881-1936) viene di nuovo menzionata e analizzata, anche solo in parte, nel mondo culturale italiano grazie a nuove ri-traduzioni e ristampe di vecchie traduzioni, può essere utile riflettere sulla ricezione in Italia di una delle sue opere più significative e conosciute nel mondo: La vera storia di Ah Q (A Q zhengzhuan 阿Q正传, 1921), facendo riferimento alla prima versione pubblicata da Feltrinelli e all’adattamento teatrale concepito da Dario Fo diversi decenni fa e in più fasi. A breve distanza dal centenario della pubblicazione di questa novella avvenuta nel dicembre del 1921, è importante segnalare l’esistenza di relazioni culturali profonde, seppure in certa misura casuali, influenze dirette, ma anche affinità e somiglianze intellettuali mai del tutto indagate, tra il Novecento cinese e quello italiano.

Per giunta, l’opera in questione, sulla quale sono stati scritti fiumi di commenti e interpretazioni sia in Cina sia altrove, è tra le più incisive nel segnalare drammatici e universali rapporti e abusi di potere il cui significato si riverbera tanto nella Cina di ieri, amata e criticata da Lu Xun, quanto nella Cina di oggi.

La storia della traduzione dell’opera di Lu Xun è un tema degno di interesse al di là degli studi sinologici; soprattutto in Italia, dove la statura e la complessità di questo intellettuale hanno attirato l’attenzione di studiosi e studiose, lettori e lettrici in contesti culturali diversi, a tempi alterni, e in misura diversa.1)Ne ho scritto, ricostruendo in parte la storia delle traduzioni italiane della sua opera, in Nicoletta Pesaro, “Ah Q travels to Europe: Christoph Hein’s Die wahre Geschichte des Ah Q (1983) and Dario Fo’s La storia di Qu (2011)”, Annali di Ca’ Foscari. Serie Orientale, 56, 2020, 451-480.

La prima traduzione italiana risale al 1955, in una raccolta di racconti tradotti dalla versione inglese, pubblicata l’anno prima da un’eminente casa editrice di Shanghai che operava per espandere e far conoscere la letteratura cinese al di fuori della neofondata Repubblica popolare. Pur non essendo basata sull’originale cinese, questa traduzione resta significativa perché realizzata da uno scrittore e traduttore rilevante nella storia culturale italiana, Luciano Bianciardi – del quale, proprio l’anno scorso, si è ricordato il centenario della nascita – e in quanto pubblicata da un importante editore, Giangiacomo Feltrinelli. La seconda edizione italiana fu completata nel 1965 da una sinologa, Primerose Gigliesi, che tradusse per la prima volta direttamente dal cinese in italiano l’opera narrativa completa di Lu Xun,2)A esclusione dell’unico racconto scritto in lingua letteraria intitolato “Huai jiu” 怀旧 (Nostalgia, 1911). garantendo una eccellente e accessibile versione dei suoi memorabili racconti. In seguito, la novella è apparsa in altre edizioni antologiche, tra cui, nel 1992, nella traduzione di Anna Nota e Rosella Pelosi che l’hanno inclusa nell’antologia Diario di un pazzo e altri racconti.3)Lu Xun, Diario di un pazzo e altri racconti (Roma: Angelo Signorelli, 1992).

Se la prima edizione storica della novella in italiano era rivolta a un pubblico interessato e coinvolto – principalmente per empatia ideologica verso il popolo cinese –, la traduzione del 1992 si rivolge piuttosto a studenti delle scuole superiori, per integrarne le conoscenze sulla letteratura mondiale con uno dei capolavori che di solito si studiano solo all’università e in ambito strettamente sinologico. Esiste poi una recente traduzione di La vera storia di Ah Q, sorprendentemente (ma purtroppo non più di tanto) tradotta di nuovo (dopo oltre cinque lustri), dalla versione inglese. La collocazione editoriale, in ogni modo, fa pensare a un tentativo di restituire  all’autore cinese la dimensione che gli spetta di grande scrittore, confermandone l’appartenenza al canone internazionale con la pubblicazione di una sua opera in formato economico.4)La traduzione a cura di U. Ledda è stata pubblicata da Newton Compton nel 2016. Nondimeno ciò conferma lo strano status dello scrittore, letto quasi di soppiatto in edizioni parziali e scarsamente visibili, fino a poco tempo fa introvabili se non in polverose biblioteche universitarie, come la prima quasi leggendaria edizione Garzanti (prima ancora De Donato), finalmente ristampata  dopo decenni.5)Lu Hsün, Fuga sulla luna, trad. di P. Gigliesi, con prefazione di E. Masi (Milano: Garzanti 2021). Anche l’edizione a cura di Bianciardi, a dir la verità, è tornata recentemente in commercio, attraverso ristampe (nel 2014 e 2021 per SE).6)Va anche ricordata una edizione pubblicata da O barra O nel 2014 a cura di Ivan Franceschini, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate, che impropriamente riprende il titolo della versione integrale di Gigliesi, pur ritraducendo soltanto la terza raccolta Antiche storie riscritte.

Sebbene la maggior parte di queste ritraduzioni non renda del tutto giustizia a Lu Xun scrittore e pensatore importante e complesso, per mancanza di paratesti che ne spieghino e contestualizzino la grandezza e la controversa fortuna (anche in Cina), la frequenza delle ritraduzioni è comunque una testimonianza dell’identità e dello status dell’autore e dell’opera in questione, non solo nel sistema culturale cinese, ma anche nel sistema letterario italiano. Inoltre, come per tutti i classici, la natura di quest’opera giustifica e richiede anzi la compresenza di diverse traduzioni, svolte con motivazioni e approcci differenti.

La più recente traduzione della novella fa parte di un progetto più ampio, che tenta di restituire una maggiore visibilità e pieno riconoscimento allo scrittore anche attraverso una collocazione importante e una traduzione sistematica (sebbene non accademica), a opera della casa editrice Sellerio, che sta pubblicando in tre volumi tutti i racconti del grande intellettuale cinese a cura della sottoscritta (Grida nel 2021, Esitazione nel 2022) e di Fiorenzo Lafirenza che ha curato la traduzione di Antiche storie riscritte (la cui pubblicazione è prevista nel 2023).

Tenendo bene a mente il pensiero di Italo Calvino a riguardo, in un articolo del 2007 Qian Liqun 钱理群7)Eminente studioso di letteratura cinese moderna e uno dei massimi esperti di Lu Xun in Cina, già docente all’Università di Pechino dove ha insegnato per decenni, formando generazioni di menti libere e critiche. Alcune delle sue Lezioni sull’opera di Lu Xun sono tradotte e pubblicate in questo numero di Sinosfere. sostiene che, oltre ai classici antichi, si dovrebbero rileggere anche i “classici moderni”, comprese le opere di Lu Xun, non solo per il gusto di rileggerle, ma anche per riconsiderare il contesto e lo sfondo in cui furono scritte.8)Qian Liqun 钱理群, “Ruhe duitai cong Kongzi dao Lu Xun de chuantong: zai Li Ling ‘Sanjiagou: Wo du Lunyu’ chuban zuotanhuo shang de jianghua” 如何对待从孔子到鲁迅的传统——在李零《丧家狗——我读〈论语〉》出版座谈会上的讲话 [Come affrontare la tradizione da Confucio a Lu Xun: un discorso in occasione del Simposio sulla pubblicazione di Un cane randagio: la mia lettura dei Dialoghi di Li Ling], Lu Xun yanjiu yuekan, 9, 2007, 4-11. Riproporre l’opera e il pensiero di Lu Xun assume una luce del tutto particolare nell’attuale scenario mondiale, ma soprattutto italiano, in cui la letteratura cinese emerge di solito più grazie a operazioni tese a “épater le bourgeois”, ossia assecondare la sete di scandalo e una radicalizzazione ideologica dell’Altro – come per esempio la recente pubblicazione di Il diario di Wuhan dell’ottima scrittrice Fang Fang, uscito persino nelle edicole italiane in una traduzione tratta però dalla versione inglese e non dal cinese.9)Molte case editrici sottovalutano tuttora il valore linguistico-culturale distintivo di un testo letterario in cinese: il medesimo editore ha da poco licenziato un’edizione ancora una volta “indiretta”, dall’inglese, di un altro romanzo di Fang Fang, delle cui gesta letterarie e traversie politiche si è parlato anche su questa rivista a cura di Marco Fumian (“Servire il popolo o servire il Partito. Il diario di Fang Fang e i dilemmi degli scrittori nella Cina di oggi”, Sinosfere 16 aprile 2020). L’opera, Come un seme sepolto dalla neve (la cui versione originale risale al 2016) è stato tradotto dall’inglese da C. Chiappa nel 2022. In tale contesto, si è ritenuto opportuno, se non addirittura urgente, reintrodurre lo scrittore cinese nel panorama culturale italiano, con l’obiettivo di renderlo accessibile a un pubblico più vasto e di recuperarne il vero valore e significato.

Se più celebre e iconico tra i racconti è “Diario di un pazzo” (Kuangren riji 狂人日记, 1918), a poco più di cent’anni dalla prima pubblicazione, La vera storia di Ah Q continua a trasmettere significati e suggestioni, al di là della cultura e società cinese. In un’epoca in cui il mondo editoriale è profondamente trasformato dalla globalizzazione forzata della letteratura, i classici cinesi moderni dovrebbero occupare il posto che loro spetta: la storia di questo bracciante oppresso e oppressore si rivela infatti un testo particolarmente rappresentativo del pensiero di Lu Xun, della sua lucida analisi del potere che assume connotati universali oltre il contesto storico originale. La qualità letteraria dell’opera, poi, la rende degna di figurare tra la grande narrativa del Novecento.

Per quanto riguarda la ricezione in Italia di Lu Xun e di La vera storia di Ah Q,10)Si trovano alcune informazioni più dettagliate in Nicoletta Pesaro, “Sulla ri-traduzione di un ‘classico moderno’. Paradossi e luoghi comuni nell’interpretazione di Lu Xun in traduzione”, Atti del XIII convegno dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (Milano: Franco Angeli), 331-343, e nella mia postfazione alla traduzione di Grida (Palermo: Sellerio, 2021), 233-272. vale la pena soffermarsi sul contributo di due intellettuali che ne hanno in modo diverso saputo cogliere l’eredità morale e la suggestione artistica: da un lato, la pionieristica traduzione di Bianciardi e il significato che l’opera assume nel contesto italiano in cui fu per la prima volta tradotta, e dall’altro l’adattamento teatrale che Dario Fo propose pochi anni prima della sua scomparsa, re-interpretando Lu Xun anche ai fini della sua satira contro i potenti e i corrotti.

Come già accennato, gli italiani lessero per la prima volta la novella grazie a Luciano Bianciardi (1922-71), eccellente traduttore e tormentato intellettuale: nell’antologia voluta da Feltrinelli – tratta dall’edizione della Chinese Foreign Languages Press, Selected Stories of Lu Hsun, a cura di una coppia storica di traduttori dal cinese all’inglese – La vera storia di Ah Q occupa una posizione di rilievo non solo perché dà il titolo all’intero volume, ma anche perché apre la raccolta e viene presentata da Bianciardi come “il suo capolavoro e che gli guadagnò la fama di padre del realismo nella moderna narrativa cinese”.11)Luciano Bianciardi, “Notizia sull’autore”, in Lu Hsün, La vera storia di Ah Q e altri racconti, trad. L. Bianciardi (Milano: Feltrinelli [1955] 1970), 198. Scrittore, traduttore e critico, Bianciardi viene dipinto in un saggio pubblicato di recente come il tipico scrittore/editore italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, tipologia intellettuale cui apparteneva in fondo anche Italo Calvino. Pur non conoscendo il cinese, era un ottimo traduttore dall’inglese: oltre ai racconti di Lu Xun, le sue traduzioni comprendono molti capolavori della narrativa britannica e americana. È significativo quanto scriveva nella “Notizia sull’autore” che accompagna la sua traduzione:

In questo racconto lungo Lu Hsün, raccontando le avventure di un vagabondo cinese, volle mettere in luce alcuni fondamentali difetti nazionali: il servilismo, l’autoinganno, l’abitudine a nascondere a se stessi il fallimento e la sconfitta mascherandoli dietro una ipocrita ‘vittoria morale’. Erano i difetti diffusi fra il popolo cinese da una classe dirigente servile, corrotta e velleitaria, abituata all’accettazione passiva del dominio straniero e sempre pronta a sfogare la propria inettitudine sulle spalle degli umili. Erano difetti che, in larga misura, aveva contribuito ad accentuare la vecchia cultura cinese, retriva e filistea, quella cultura contro la quale così brillantemente combatte Lu Hsün nel primo capitolo del racconto. Che Lu Hsün avesse colto nel segno è dimostrato dalla prontezza con cui la nozione dell’Aquismo si diffuse in Cina.12)Bianciardi, 198.

Bianciardi riassume brillantemente la trama e la valenza politica della novella. Si rivela a conoscenza dei sommovimenti culturali legati alla figura di Lu Xun e persino di quella tendenza – che in Cina è detta Ah-quismo, dal protagonista della novella – a proclamarsi vincitori di fittizie e vanagloriose battaglie, vantandosi di una pretesa e inesistente superiorità, male che affliggeva secondo lo scrittore la nazione tutta, compresi gli intellettuali, e non solo la classe contadina.

Nei riferimenti alla società corrotta e filistea, risuona in Bianciardi la convinzione di intellettuale impegnato seppure – analogamente a Lu Xun – egli rifiutasse sempre un coinvolgimento convenzionale e dogmatico.

Bianciardi […] ignora volutamente ogni convenzione tipica del mondo politico, e coltiva con caparbietà il suo stare al limite: scrive su periodici marxisti come “Il contemporaneo” e simpatizza per la sinistra, ma in un periodo in cui cultura e politica hanno da guadagnare nei loro fitti intrecci dichiara di non essere comunista. È fondamentalmente un attivista ma rifiuta una partecipazione diretta alla politica.13)Sandro Montalto, Bianciardi. Una vita in rivolta (Milano, Udine: Mimesis, 2018), 36.

La figura, il pensiero e lo stile di Bianciardi scrittore, oltre che traduttore, presentano sorprendentemente molte caratteristiche in comune con Lu Xun. Non solo l’eclettismo del proprio ruolo di intellettuale engagé su più fronti (creazione letteraria, saggistica, traduzione, critica letteraria, editoria ecc.) che caratterizzò lo stesso Lu Xun, ma anche una somiglianza in termini di atteggiamento: l’acuta critica alla società del tempo, lo spietato spirito di autoanalisi come intellettuale, la posizione impegnata ma antiideologica, il rifiuto di una concezione gerarchica del potere, l’approccio progressista a letteratura e arte, e un gramsciano interesse per l’educazione come strumento di emancipazione sociale. Così per esempio scrive Mazza:

Negli anni ’50 e ’60 gli apparati editoriali riservano grande spazio agli intellettuali-editori: critici letterari, scrittori o uomini di lettere in senso lato, che svolgono ruoli di redazione interna o consulenza esterna per case editrici, influenzandone le scelte e i progetti. Uno di questi è Luciano Bianciardi, figura anomala e di straordinario interesse per il particolare rapporto che ebbe con l’editoria. Il lavoro intellettuale di Bianciardi, che si svolge nel ventennio ’50-’70, include l’attività di scrittore, giornalista, traduttore, oltre che di redattore editoriale e di autore e critico di radio, cinema e televisione. I diversi aspetti della sua attività, articolata e controversa, irregolare e anticonformista, rappresentano in realtà un continuum, una voce profetica contro la nascente industria culturale, tesa al profitto, e succube del successo e del potere […].14)Marta Mazza, “Il lavoro redazionale di Luciano Bianciardi: i risvolti di copertina Feltrinelli”, La Fabbrica del Libro, 1, 2008, 19.

Come è noto, Lu Xun, lui stesso “voce profetica” della modernità cinese, fu promotore di associazioni e riviste letterarie: nell’arco della sua non lunga esistenza fondò, collaborò e contribuì a numerose riviste come Xin qingnian 新青年 (Gioventù Nuova), Yusi 语丝 (Tessitori di parole),  Mangyuan 莽原 (Steppa), Weiming未名 (Senza nome), solo per citarne alcune; lavorò come redattore e curò l’opera propria ma soprattutto quella di molti altri scrittori. Come traduttore la produzione di Lu Xun supera in quantità la sua pur vasta opera saggistica e la narrativa. Nonostante si tratti di un’epoca e di uno spazio culturalmente lontani rispetto all’Italia degli anni ’50 e ’60, sono numerose le suggestioni suscitate dalla figura di Bianciardi se accostata a quella dello scrittore cinese. Anche la scrittura oltre che la personalità e attività dei due autori presenta delle interessanti similitudini.

Gao Yuanbao 郜元宝– la cui acuta analisi del contributo di Lu Xun al rapporto tra letteratura creativa e saggio di critica socioculturale è tradotta in questo numero speciale – commenta:

[…] 鲁迅心目中的“文章”(广义的文学) 包括小说,但不限于小说。因为在他看来,小说仅属文学一科, 文章 (文学)大于小说,可以用文章涵盖小说。[…]鲁迅的 “小说模样的文章” 夹带着许多文章做法,甚至就以文章为骨骼、为经脉、为气息、为底子,《呐喊》、《彷徨》、《故事新编》中小说气味最浓厚 的几篇也不例外。15)Gao Yuanbao 郜元宝, “Xiaoshuo bu shi quanbu”小说不是全部 [La narrativa non è tutto], Jiefang ribao, 2 aprile 2013.

[…] La saggistica letteraria (letteratura in senso lato) che Lu Xun aveva in mente includeva la narrativa, ma non si limitava ad essa. Secondo lui, la narrativa era solo un ramo della letteratura, mentre la saggistica letteraria era più grande e in qualche modo copriva anche la narrativa. […] I suoi “saggi a mo’ di racconto” [definizione che ne dà lo stesso Lu Xun nella prefazione a Grida] incorporano vari stili saggistici e addirittura assumono il saggio come ossatura, sistema circolatorio, respiro e base stessa del testo. I racconti in cui più intensa è la venatura narrativa nelle raccolte Grida, Esitazione e Antiche storie riscritte non fanno eccezione.16)Salvo diversa indicazione, le traduzioni dal cinese sono mie.

Tornando a Bianciardi, a proposito della sua versatilità è stato scritto: “I suoi stessi romanzi e articoli di giornale sono una prova di questa oscillazione tra saggio e racconto, in cui è evidente la tendenza a fondere l’uno nell’altro, tendenza che trova conferma nelle scelte editoriali.17)Mazza, 23.

Al di là di queste interessanti analogie, credo che Luciano Bianciardi, il primo grande traduttore italiano dello scrittore cinese, fosse in quell’epoca il più adatto a tradurre Lu Xun – se non si tiene conto del problema linguistico – soprattutto per la sua accorata attenzione, come Lu Xun, alla tragica esistenza del sottoproletariato e per quell’irriducibile valore di missione progressista attribuito all’istruzione dei giovani e degli umili. Cito ancora da uno studio su di lui: “Il Bianciardi dei primi anni Cinquanta sembra dunque ben calato nei panni dell’intellettuale di provincia che si sente investito di una vera e propria missione educativa, impegnato a diffondere la cultura tra i ceti popolari e a stimolarne la consapevolezza sociale e politica”.18)Carlo Varotto, La protesta dello stile (Roma: Carocci, 2017), 51. Il ritratto che leggiamo di Bianciardi ci affascina per alcuni tratti che risuonano nella personalità del grande scrittore cinese di cui ebbe l’occasione di tradurre alcune pagine fondamentali: “Chi lo ha conosciuto ne parla come di un uomo triste, sempre in crisi, incerto su tutto, disilluso e pessimista […]. Da provinciale colto era incline alle tirate a tavola, alle invettive, soprattutto contro il ridicolo, la smania sociale di emergere, di affermarsi. Pinzava l’aspetto meschino delle cose e non lo mollava”.19)Pino Corrias, Vita agra di un anarchico (Milano: Baldini & Castoldi, 1993), 25; 158.

Il romanzo più noto di Bianciardi, La vita agra, in gran parte autobiografico, come è noto ritrae la figura di un traduttore e disegna il disagio crescente nella nuova Italia tra incipiente e già discriminante boom economico, proteste sociali e nuove schiavitù portate dallo sviluppo industriale. Nella parte finale del romanzo, commentando i cosiddetti “specialisti della dirigenza”, Bianciardi scrive: “la rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine”.20)Luciano Bianciardi, La vita agra (Milano: Bompiani 1962), 160.

Trovo interessante accostare queste parole a quanto affermava Lu Xun nel 1927, respingendo l’idea di una letteratura al servizio della politica:

io penso che la questione fondamentale sia se lo scrittore è un “rivoluzionario”. Se sì, di qualunque fatto scriva, qualunque materiale adoperi, sarà sempre letteratura rivoluzionaria. Quello che esce dalle fontane è sempre acqua, e quello che esce dalle vene è sempre sangue.21)Lu Xun, “La letteratura rivoluzionaria”, Letteratura e sudore, scritti dal 1925 al 1936, trad. di Anna Bujatti (Napoli: Editrice Pisani, 2007), 59.

Più complesso e articolato è il rapporto che lega Dario Fo (1926-2016) a Lu Xun; il drammaturgo italiano conobbe l’opera e la figura dello scrittore durante un viaggio in Cina nel 1975, quando ebbe l’occasione di leggere una versione francese dei suoi racconti. In seguito, lesse anche la traduzione italiana. Questo “incontro” fu per lui motivo di profonda ispirazione; in seguito al suo viaggio cinese, Dario Fo ideò alcuni progetti, fra cui un testo teatrale ispirato a “Medicina” di Lu Xun, cui fa riferimento Rossella Ferrari,22)Rossella Ferrari, “Anarchy in the PRC: Meng Jinghui and His Adaptation of Dario Fo’s Accidental Death of an Anarchist”, Modern Chinese Literature and Culture, 17, 2, 2005, 37. mai realizzato.

Fu soprattutto la figura di Ah Q a “impressionarlo” fino agli ultimi anni della sua vita. A un primo adattamento teatrale – nel dialetto padano strampalato ideato da Fo – risalente al 1989, Storia di Qu (di cui ci resta solo una copia dattiloscritta conservata presso l’archivio di Dario Fo e Franca Rame),23)http://www.archivio.francarame.it/scheda.aspx?IDScheda=1150&IDOpera=55ultima fece seguito, parecchi anni dopo, una nuova versione per lo più in italiano rivista con la collaborazione della moglie, Franca Rame e Franca Palumbo.24)Il testo è disponibile presso l’archivio di Dario Fo e Franca Rame a Milano.

In un’intervista tuttora disponibile su Youtube,25)Dario Fo, “Storia di Qu – Dario Fo”, 2015. Fo omaggia lo scrittore cinese come “fondatore della lingua cinese moderna” e rivela la propria passione per questo personaggio di Lu Xun, il quale fa ridere e commuovere: è un “cialtrone” ma anche “una maschera dotata di grande sapienza e forza satirica”.26)Ivi. Si tratta di un’interpretazione insolita del bracciante ottuso e vanaglorioso che agli occhi dell’autore e di molta critica incarna le peggiori debolezze dell’essere umano (cinese).

La storia di Qu fu messa in scena la prima volta al Piccolo Teatro di Milano nel 2014, l’adattamento è stato uno dei più importanti dell’opera dell’autore e una delle sue ultime produzioni. Per ritracciare questo invisibile e pur forte legame che unisce due autori così distanti e diversi è utile ricordare le riflessioni lasciate dallo stesso Lu Xun sulla sua creazione:

民国元年已经过去, 无可追踪了, 但此后倘再有改革, 我相信还会有阿Q似 的革命党出现。我也很愿意如人们所说, 我只写出了现在以前的或一时期, 但我还恐怕我所看见的并非现代的前身, 而是其后, 或者竟是二三十年之 后。27)Lu Xun 鲁迅, “Ah Q zhengzhuan de chengyin” Q 正传的成因 (La genesi di La vera storia di Ah Q), Lu Xun zawen quanji [Raccolta completa dei saggi], Miyang: Henan renmin chubanshe, [1926] 1994), 250.

Il primo anno della Repubblica è passato e non è rintracciabile, ma se ci saranno riforme in seguito, credo che ci saranno ancora rivoluzionari come Ah Q. Vorrei poter dire che ho scritto solo di un periodo precedente a quello attuale, ma temo che quello che ho visto non sia il predecessore dell’era moderna, ma un periodo successivo, forse anche venti o trent’anni dopo.

Sull’immortalità e universalità del personaggio, si sofferma Ge Baoquan in un volume dedicato interamente alle molteplici influenze, reincarnazioni e rivisitazioni di Ah Q in Cina e nel mondo:

阿Q虽然被枪毙了,但阿Q并没有死;阿Q的形象和所谓  “阿Q相” 或 “阿Q气质” 也并没有因此消失。因为不仅在中国,甚至在世界各国都可以找到类似啊Q形象的农民。28)Ge Baoquan戈宝全, “Tan Ah Q zhengzhuan de shijie yiyi” 谈阿Q 正传的世界意义 [Il significato di La vera storia di Ah Q nel mondo], in Chen Shuyu (a cura di), Shuobujin de Ah Q 说不尽的阿Q [Il discorso inesauribile su Ah Q] (Beijing: Zhongguo wenlian chuban gongsi, 1981), 756.

Anche se Ah Q è stato giustiziato, non è affatto morto; né è scomparsa l’immagine di Ah Q e il suo “temperamento”.  Infatti non solo in Cina ma in ogni paese del mondo si può ritrovare un contadino che abbia caratteristiche simili.

Grazie alla figura di Ah Q non è difficile identificare come tratto comune tra questi due grandi intellettuali del Novecento, Lu Xun e Dario Fo, la medesima ansia di rispondere alla gramsciana domanda (posta dalla filosofa indiano-americana Gayatri Chakravorty Spivak): “Can the subaltern speak?”29)Dal canto suo la filosofa indiano-americana chiude “senza spiragli” il suo famoso saggio “Can the Subaltern Speak?”, in Patrick Williams, e Laura Chrisman, (a cura di), Colonial Discourse and Postcolonial Theory (New York: Columbia University Press, [1988] 1994), 66-111. In realtà, all’epoca, Lu Xun rappresentava con questo personaggio l’intorpidimento e l’impotenza della “Cina muta” (Wusheng de Zhongguo 无声的中国, titolo di un suo famoso saggio del 1927). Il drammaturgo italiano, nel suo adattamento del 2011 di La vera storia di Ah Q, novant’anni dopo la prima pubblicazione, propone invece un altro tipo di personaggio, un’evoluzione positiva del prototipo, e un altro tipo di risposta. Nel dramma il protagonista è un povero cialtrone che vive in un villaggio alle pendici dell’Himalaya. Pur essendo anche in questo caso oggetto di derisione e disprezzo, il personaggio ideato da Fo (e la sua interpretazione) è tuttavia innocente e giocoso, molto simile alla maschera tradizionale dell’idiota saggio, amata e sovente messa in scena da Dario Fo (dallo Zanni all’Arlecchino).

L’Ah Q di Lu Xun è un antieroe che, nelle intenzioni dell’autore, non deve essere compatito, ma suscitare odio e rabbia. Inoltre, come figura subalterna nella società del suo tempo, Ah Q non riesce o non vuole opporsi all’oppressione e allo sfruttamento cui è sottoposto. In una cruciale scena della novella il giudice, pronto a condannare a morte Ah Q per aver solo (e invano) tentato di partecipare ai saccheggi dei rivoltosi, gli chiede: “ ‘你还有什么话说么?’ 阿Q一想, 没有话, 便回答 说, ‘没有’。”30)Lu Xun, “A Q zhengzhuan” Q正传 (La vera storia di Ah Q), Lu Xun quanji  (Opera omnia), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe, [1922] 1982), 525. “‘Hai qualcos’altro da dire?’ Ah Q ci pensò un attimo, non aveva nulla da dire, perciò rispose: ‘No’”.31)Lu Xun, “La vera storia di Ah Q”, 171. Al contrario, nel ritrarre il suo Qu-Randazzo, Dario Fo enfatizza la possibilità che i subordinati abbiano voce e reagiscano ai soprusi. Nella sua resa teatrale l’uomo, pur rinchiuso in carcere e condannato a morte, non solo trasmette messaggi di ribellione e speranza raccolti dai contadini anche dopo la sua esecuzione, ma, grazie al vocabolario di cui gli fa dono una giovane donna, apprende anche a usare come strumento di riscatto sociale quella lingua egemone e complessa di cui l’Ah Q originale rimane invece muta vittima. Oltre a questo sviluppo, nel suo adattamento Fo sfrutta e porta a compimento il valore implicito del tono satirico e grottesco già presente nell’opera di Lu Xun.32)Un approfondimento delle analogie tra i due testi di Lu Xun e Dario Fo si trova in Nicoletta Pesaro, “Ah Q travels to Europe: Christoph Hein’s Die wahre Geschichte des Ah Q (1983) and Dario Fo’s La storia di Qu (2011)”, in Annali di Ca’ Foscari Serie Orientale, 56, 2020, 451-480.

Molto interessanti sono poi l’opera di transculturazione realizzata da Dario Fo e la sua riflessione che attualizza, senza inficiarne la validità storica, il testo di Lu Xun. Nella sceneggiatura compaiono numerosi riferimenti satirici alla società italiana di fine Novecento, come la corruzione dei politici nella vicenda Mani Pulite, e non manca una critica feroce al comportamento vile e dogmatico dei comunisti rispetto al sacrificio quasi inconsapevole dei contadini colpiti dalla repressione.

La posizione scettica e i distinguo di Lu Xun rispetto al Partito comunista cinese (ironicamente rovesciati dalla quasi “santificazione” cui lo sottopose Mao Zedong dopo la sua morte) si riflettono nelle parole del balordo Qu-Randazzo:

QU-RANDAZZO: Beh… il comunismo si dice che è… utopico. Cosa vuol dire utopico? Vuol dire impossibile…! che è roba di fantasia… come un sogno… che non può essere, che non si può fare… E se una cosa non si può fare… uno che ragiona… la lascia lì… Non si può fare e basta! Il comunista, quello vero, invece lo vuol fare ad ogni costo, anche se è impossibile! Per questo si chiama comunismo utopico… cioè come dire politica dell’impossibile!
SECONDO CARCERATO: Una cosa da matti insomma…33)Dario Fo e Franca Rame, La storia di Qu, testo e traduzione a cura di Franca Rame e Giselda Palumbo (Milano 9 marzo 2011), 51.

Forse Lu Xun non avrebbe condiviso in pieno una definizione così utopistica del comunismo, e tuttavia la sua idea di rivoluzione, qui interpretata da Wang Hui, sembra coincidere con la rappresentazione offerta da Fo:

Lu Xun is not a revolutionary who makes revolution his profession; he has always remained cautious of those who take revolution as their “rice bowl.” Nor is he the spokesperson for any clique or party. He seems always to be deeply suspicious of collective movements. But real revolution is what he truly looks forward to.34)Wang Hui, “Dead Fire Rekindled. Lu Xun as Revolutionary Intellectual”, in The End of the Revolution: China and the Limits of Modernity (London: Verso, 2011), 202.

Può essere utile confrontare questa descrizione con un altro dialogo all’interno di Storia di Qu:

QU-RANDAZZO: […] perché con la rivoluzione tutto si ribalta, anche l’impossibile diventa normale, tutto! diventa il rovescio di prima: guerre, uomini, donne e ragazzini accoppati, stupri, saccheggi… basta! Perché se ci resta ’sta roba, compresi i tribunali, le galere, le banche coi prestiti a strozzo, e ’sta massa di trappole… che comunismo è?
OTTAVO CARCERATO Perché, voi comunisti avete in mente di far tabula rasa di tutto? È questa la rivoluzione?
QU-RANDAZZO: Eh sì, (estrae il grosso libro regalo della ragazza) sapete cos’è questo? È un vocabolario, e qui, alla parola “rivolta” dice che significa “capovolta, rovescio”; e rivoluzione significa “rivolgimento in azione, circonvoluzione”, che poi è anche il capovolgersi della Terra col giorno e la notte.35)Fo e Rame, “La storia di Qu”, 61.

L’idea di “capro espiatorio” ampiamente rappresentata da Lu Xun nella novella36)Il tema è stato discusso da Marston Anderson: “Ah Q’s character is […] at once bound and free. As a transient scavenger, he depends for survival on the odd jobs occasionally offered him by the townspeople, who in turn use him as an all-purpose scapegoat. In this latter capacity, he is frequently made the butt of public ridicule, which is the means by which individuals at all levels of the village society assert their position and bolster their pride”, The Limits of Realism (Berkeley, Los Angeles and Oxford: University of California Press, 1990), 81. viene ripresa e rovesciata da Fo, come emerge dal confronto tra due passaggi tratti rispettivamente dal testo originale e dalla riduzione teatrale: l’Ah Q di Lu Xun, una sorta di Candide che crede sia del tutto naturale al mondo essere arrestato e condannato a morte senza aver commesso alcun crimine, dorme sonni tranquilli nella sua cella:

然而这一夜, 举人老爷反而不能睡: 他和把总呕了气了。举人老爷主张第一要追赃, 把总主张第一要示众。把总近来很不将举人老爷放在眼里了, 拍案打凳的说道, “惩一儆百!你看, 我做革命党还不上二十天, 抢案就是十几件, 全不破案, 我的面子在那里? 破了案, 你又来迂。不成!这是我管的!”举人老爷窘急了, 然而还坚持, 说是倘若不追赃, 他便立刻辞了帮办民政的职务。而把总却道, “请便罢!”于是举人老爷在这一夜竟没有睡, 但幸第二天倒也没有辞。37)Lu Xun, “A Q zhengzhuan”, 424-525.

Ah Q non fu affatto sconvolto di essere rimesso per la seconda volta in gabbia: credeva infatti che a questo mondo fosse naturale nella vita di un uomo entrare e uscire di prigione, e che a volte si dovesse disegnare un cerchio su un foglio di carta, e solo se questo non veniva fuori tondo ciò poteva costituire una macchia nei suoi trascorsi. Ma dopo un po’ provò un certo sollievo: solo un ebete sa disegnare cerchi perfettamente rotondi, così si addormentò.
Chi non riuscì a dormire invece quella notte fu il signor juren: era irritato con il capitano. Il juren era convinto che la cosa più importante fosse recuperare la refurtiva, per l’altro invece la priorità era esporre i colpevoli al pubblico ludibrio. Negli ultimi tempi il capitano aveva scarsa considerazione del juren: «Punirne uno per avvertirne cento!», esclamò sbattendo i pugni sul tavolo. «Sono entrato nelle file dei rivoluzionari da nemmeno venti giorni e ci sono già stati diciannove casi di saccheggio. Non ne ho risolto neppure uno. Cosa sarà della mia reputazione? Adesso che ne avrei risolto uno, tu vieni a fare il pedante. Non va bene, queste cose sono di mia competenza!»38)Lu Xun, “La vera storia di Ah Q”, 170-171.

Tuttavia, mentre in Lu Xun l’antieroe viene completamente affossato dal suo ruolo espiatorio e la novella si conclude con l’amara constatazione che l’ordine sociale non è stato scalfito minimamente, in Fo, grazie all’esecuzione esemplare di Qu-Randazzo (in senso quasi cristiano), egli diventa elemento utopico ispiratore e foriero di speranza per il popolo.

Insospettabili analogie e richiami collegano la letteratura di Lu Xun e alcune interpretazioni e traduzioni sviluppatesi nel Novecento italiano e anche oltre. La riscoperta di questo autore cinese potrebbe aiutarci a ripensare e integrare la nostra conoscenza e comprensione del mondo intellettuale italiano del secolo scorso. Il filo rosso di una visione umanitaria, impegnata e di certo ispirata al marxismo lega queste figure, quasi a indicare l’esistenza di una globalizzazione culturale e valoriale che ha unito in determinate epoche e contesti storici differenti la cultura cinese a quella occidentale europea e italiana, forse più di quanto accada nella globalizzazione di oggi messa in crisi da incomprensioni incrociate e sinistri irrigidimenti ideologici.

Pesaro, Pensieri sparsi PDF

Immagine: particolare dalla locandina de La storia di Qu, messo in scena da Dario Fo e Franca Rame il 24 e 25 settembre 2014.

Nicoletta Pesaro insegna lingua, letteratura e traduzione cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove cordina, dal 2023, il corso di Dottorato in Studi sull’Asia e sull’Africa. Si interessa di letteratura cinese moderna con un duplice approccio legato alla teoria della narrativa e agli studi sulla traduzione. Nel 2019 ha pubblicato con Melinda Pirazzoli La narrativa cinese del Novecento: autori, correnti, opere (Carocci). Ha curato alcune raccolte di saggi, tra cui The Ways of Translation: Constraints and Liberties of Translating Chinese (Cafoscarina 2013) e Ecocriticism and Chinese Literature. Imagined Landscapes and Real Lived Spaces (con R. Moratto e D. Chao, Routledge 2022). Dirige la collana di Edizioni Ca’ Foscari Translating Wor(l)ds. Oltre a due romanzi di Yu Hua, Vivere (Donzelli 1997; Feltrinelli 2009) e L’eco della pioggia (Donzelli 1998; Feltrinelli 2019), ha tradotto Il nemico di Ge Fei (Neri Pozza 2001), Nanchino 1937: una storia d’amore di Ye Zhaoyan (Rizzoli 2003), Spaghetti cinesi di Ma Jian (Feltrinelli, 2006) e la raccolta poetica Elegie del Quattro Giugno di Liu Xiaobo (Lanterna ed. 2013). Nel 2021-22 ha pubblicato con Sellerio la traduzione delle prime due raccolte di racconti di Lu Xun, uno dei più grandi intellettuali e scrittori del Novecento.

References
1 Ne ho scritto, ricostruendo in parte la storia delle traduzioni italiane della sua opera, in Nicoletta Pesaro, “Ah Q travels to Europe: Christoph Hein’s Die wahre Geschichte des Ah Q (1983) and Dario Fo’s La storia di Qu (2011)”, Annali di Ca’ Foscari. Serie Orientale, 56, 2020, 451-480.
2 A esclusione dell’unico racconto scritto in lingua letteraria intitolato “Huai jiu” 怀旧 (Nostalgia, 1911).
3 Lu Xun, Diario di un pazzo e altri racconti (Roma: Angelo Signorelli, 1992).
4 La traduzione a cura di U. Ledda è stata pubblicata da Newton Compton nel 2016.
5 Lu Hsün, Fuga sulla luna, trad. di P. Gigliesi, con prefazione di E. Masi (Milano: Garzanti 2021).
6 Va anche ricordata una edizione pubblicata da O barra O nel 2014 a cura di Ivan Franceschini, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate, che impropriamente riprende il titolo della versione integrale di Gigliesi, pur ritraducendo soltanto la terza raccolta Antiche storie riscritte.
7 Eminente studioso di letteratura cinese moderna e uno dei massimi esperti di Lu Xun in Cina, già docente all’Università di Pechino dove ha insegnato per decenni, formando generazioni di menti libere e critiche. Alcune delle sue Lezioni sull’opera di Lu Xun sono tradotte e pubblicate in questo numero di Sinosfere.
8 Qian Liqun 钱理群, “Ruhe duitai cong Kongzi dao Lu Xun de chuantong: zai Li Ling ‘Sanjiagou: Wo du Lunyu’ chuban zuotanhuo shang de jianghua” 如何对待从孔子到鲁迅的传统——在李零《丧家狗——我读〈论语〉》出版座谈会上的讲话 [Come affrontare la tradizione da Confucio a Lu Xun: un discorso in occasione del Simposio sulla pubblicazione di Un cane randagio: la mia lettura dei Dialoghi di Li Ling], Lu Xun yanjiu yuekan, 9, 2007, 4-11.
9 Molte case editrici sottovalutano tuttora il valore linguistico-culturale distintivo di un testo letterario in cinese: il medesimo editore ha da poco licenziato un’edizione ancora una volta “indiretta”, dall’inglese, di un altro romanzo di Fang Fang, delle cui gesta letterarie e traversie politiche si è parlato anche su questa rivista a cura di Marco Fumian (“Servire il popolo o servire il Partito. Il diario di Fang Fang e i dilemmi degli scrittori nella Cina di oggi”, Sinosfere 16 aprile 2020). L’opera, Come un seme sepolto dalla neve (la cui versione originale risale al 2016) è stato tradotto dall’inglese da C. Chiappa nel 2022.
10 Si trovano alcune informazioni più dettagliate in Nicoletta Pesaro, “Sulla ri-traduzione di un ‘classico moderno’. Paradossi e luoghi comuni nell’interpretazione di Lu Xun in traduzione”, Atti del XIII convegno dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (Milano: Franco Angeli), 331-343, e nella mia postfazione alla traduzione di Grida (Palermo: Sellerio, 2021), 233-272.
11 Luciano Bianciardi, “Notizia sull’autore”, in Lu Hsün, La vera storia di Ah Q e altri racconti, trad. L. Bianciardi (Milano: Feltrinelli [1955] 1970), 198.
12 Bianciardi, 198.
13 Sandro Montalto, Bianciardi. Una vita in rivolta (Milano, Udine: Mimesis, 2018), 36.
14 Marta Mazza, “Il lavoro redazionale di Luciano Bianciardi: i risvolti di copertina Feltrinelli”, La Fabbrica del Libro, 1, 2008, 19.
15 Gao Yuanbao 郜元宝, “Xiaoshuo bu shi quanbu”小说不是全部 [La narrativa non è tutto], Jiefang ribao, 2 aprile 2013.
16 Salvo diversa indicazione, le traduzioni dal cinese sono mie.
17 Mazza, 23.
18 Carlo Varotto, La protesta dello stile (Roma: Carocci, 2017), 51.
19 Pino Corrias, Vita agra di un anarchico (Milano: Baldini & Castoldi, 1993), 25; 158.
20 Luciano Bianciardi, La vita agra (Milano: Bompiani 1962), 160.
21 Lu Xun, “La letteratura rivoluzionaria”, Letteratura e sudore, scritti dal 1925 al 1936, trad. di Anna Bujatti (Napoli: Editrice Pisani, 2007), 59.
22 Rossella Ferrari, “Anarchy in the PRC: Meng Jinghui and His Adaptation of Dario Fo’s Accidental Death of an Anarchist”, Modern Chinese Literature and Culture, 17, 2, 2005, 37.
23 http://www.archivio.francarame.it/scheda.aspx?IDScheda=1150&IDOpera=55ultima
24 Il testo è disponibile presso l’archivio di Dario Fo e Franca Rame a Milano.
25 Dario Fo, “Storia di Qu – Dario Fo”, 2015.
26 Ivi.
27 Lu Xun 鲁迅, “Ah Q zhengzhuan de chengyin” Q 正传的成因 (La genesi di La vera storia di Ah Q), Lu Xun zawen quanji [Raccolta completa dei saggi], Miyang: Henan renmin chubanshe, [1926] 1994), 250.
28 Ge Baoquan戈宝全, “Tan Ah Q zhengzhuan de shijie yiyi” 谈阿Q 正传的世界意义 [Il significato di La vera storia di Ah Q nel mondo], in Chen Shuyu (a cura di), Shuobujin de Ah Q 说不尽的阿Q [Il discorso inesauribile su Ah Q] (Beijing: Zhongguo wenlian chuban gongsi, 1981), 756.
29 Dal canto suo la filosofa indiano-americana chiude “senza spiragli” il suo famoso saggio “Can the Subaltern Speak?”, in Patrick Williams, e Laura Chrisman, (a cura di), Colonial Discourse and Postcolonial Theory (New York: Columbia University Press, [1988] 1994), 66-111.
30 Lu Xun, “A Q zhengzhuan” Q正传 (La vera storia di Ah Q), Lu Xun quanji  (Opera omnia), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe, [1922] 1982), 525.
31 Lu Xun, “La vera storia di Ah Q”, 171.
32 Un approfondimento delle analogie tra i due testi di Lu Xun e Dario Fo si trova in Nicoletta Pesaro, “Ah Q travels to Europe: Christoph Hein’s Die wahre Geschichte des Ah Q (1983) and Dario Fo’s La storia di Qu (2011)”, in Annali di Ca’ Foscari Serie Orientale, 56, 2020, 451-480.
33 Dario Fo e Franca Rame, La storia di Qu, testo e traduzione a cura di Franca Rame e Giselda Palumbo (Milano 9 marzo 2011), 51.
34 Wang Hui, “Dead Fire Rekindled. Lu Xun as Revolutionary Intellectual”, in The End of the Revolution: China and the Limits of Modernity (London: Verso, 2011), 202.
35 Fo e Rame, “La storia di Qu”, 61.
36 Il tema è stato discusso da Marston Anderson: “Ah Q’s character is […] at once bound and free. As a transient scavenger, he depends for survival on the odd jobs occasionally offered him by the townspeople, who in turn use him as an all-purpose scapegoat. In this latter capacity, he is frequently made the butt of public ridicule, which is the means by which individuals at all levels of the village society assert their position and bolster their pride”, The Limits of Realism (Berkeley, Los Angeles and Oxford: University of California Press, 1990), 81.
37 Lu Xun, “A Q zhengzhuan”, 424-525.
38 Lu Xun, “La vera storia di Ah Q”, 170-171.