Quando nel 2012 Xi Jinping ha esposto il concetto di “Sogno cinese”,1)Discorso tenuto nel 2012 al XVIII Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese. Si veda Xing Li, “Interpreting and Understanding ‘The Chinese Dream’ in a Holistic Nexus”, Fudan Journal of the Humanities and Social Sciences 8, 4 (2015): 506. egli ne ha contestualmente evidenziato il presunto carattere di universalità. Immortalata nello slogan costruire una “comunità dal destino condiviso” (人类命运共同体), l’universalità del Sogno cinese deriverebbe dai suoi presunti obiettivi di pace, sviluppo, cooperazione globale e vantaggio reciproco, da perseguire sotto la guida della Repubblica Popolare. Tale “Sogno”, come indicato dagli studiosi, è in parte motivato dalla nostalgia e dal desiderio di riportare in vita il passato del Paese, quando la Cina svolgeva ancora il ruolo di potenza suzerain. La grandiosa visione di un equivalente moderno dell’antico Impero ci obbliga a chiederci fino a che punto il “Sogno cinese” sia diventato egemonico, inteso cioè come un consenso su un insieme di cosiddetti valori cinesi condivisi, consapevolmente o meno, da altri attori mondiali. L’egemonia è qui intesa non nel senso tradizionale di dominio repressivo sugli altri, ma nel senso gramsciano di potere forgiato attraverso alleanze e consenso.2)David Forgacs (a cura di), The Antonio Gramsci Reader: Selected Writings, 1916-1935 (New York: New York University Press, 2000), 422-24.

La questione dell’egemonia è rilevante specialmente per i Paesi vicini e confinanti con la Cina. Nel caso del Vietnam, i due Stati hanno molte cose in comune: in entrambi vige un sistema politico di socialismo di mercato a partito unico; le loro economie sono strettamente interconnesse, come dimostrato dal fatto che la Cina è il maggiore partner commerciale del Vietnam ed è seconda solo agli Stati Uniti come destinazione per i mercati di esportazione del Paese; infine, il Vietnam non solo è legato all’ambizioso progetto cinese della Nuova via della seta, ma è anche una porta verso il Sud-est asiatico, collocato com’è in una posizione strategica dal punto di vista geopolitico, come evidenziato dal valore potenziale delle sue risorse naturali, dall’importanza delle sue rotte marittime e dalle rivendicazioni di influenza di cui è oggetto da parte di altre potenze regionali e mondiali come il Giappone, l’Australia, la Corea del Sud e gli Stati Uniti.3)Peter Dutton, “Three Disputes and Three Objectives: China and the South China Sea,” Naval War College Review 64, 4 (2011); Matthew Baker, “Counteracting Chinese Hegemony in the South China Sea,” American Security Project , 1 agosto 2012.

Pertanto, date le forti relazioni economiche tra Cina e Vietnam, è doveroso chiedersi come e in che misura l’idea del “Sogno cinese” sia stata esportata in Vietnam. Quali sono le visioni prevalenti in merito al cosiddetto “modello cinese” o ai valori e alle pratiche che la Cina trasmette con la sua ascesa? Quali tipi di narrazioni la Cina porta con la sua espansione verso il vicino Vietnam? In breve, è il Sogno cinese un sogno “egemonico”?

Un modo per monitorare l’ipotetica efficacia di una potenza emergente nel promuovere la sua visione del mondo è quello di esaminare la sua cultura di massa e il modo in cui questa viene accolta. Per Ernesto Laclau e Chantal Mouffle, la produzione culturale non è semplicemente una forma di rappresentazione, ma anche un mezzo che gli attori egemoni utilizzano per rafforzare le norme che intendono naturalizzare.4)Ernesto Laclau and Chantal Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy: Towards a Radical Democratic Politics (London: Verso, 1985), 104-05.

Esaminando la polemica che ha accompagnato la proiezione del film cinese Operation Red Sea in Vietnam, sosterrò che l’egemonia cinese incontra degli impedimenti nel contesto vietnamita. Se la presunta naturalezza, il fatto di essere dato “per scontato”, di essere equiparato al “senso comune” [sensus communis] sono indizi del carattere egemonico di un discorso, allora le prove finora disponibili suggeriscono non tanto la capillare diffusione di un “Sogno cinese” universale e universalizzante, quanto la percezione di una minaccia.5)Carlyle A. Thayer, “Vietnamese Perspectives of the ‘China Threat’,” in Ian Storey and Herbert Yee (a cura di), The China Threat: Perceptions, Myths and Reality (London: Routledge Curzon, 2004). Da un lato, il governo vietnamita è consapevole del suo potente vicino, col quale cerca di mantenere relazioni diplomatiche e di fratellanza politica; dall’altro, una forma moderna di nazionalismo vietnamita complica, se non addirittura impedisce, l’implementazione dell’agenda egemonica cinese: il nazionalismo, come suggerisco, è il fattore chiave da considerare quando si valuta la diffusione del cosiddetto “Sogno cinese”.

In questo breve saggio fornirò prima il contesto delle relazioni politiche e diplomatiche tra Cina e Vietnam a partire dalla normalizzazione negli anni Novanta, per poi passare ad esaminare la polemica che ha accompagnato la proiezione del film cinese Operation Red Sea e il dibattito che ne è seguito sui mezzi d’informazione pubblici – dibattito che fornisce nuove prove a dimostrazione dei limiti imposti all’egemonia del “Sogno cinese” in Vietnam.

I rapporti storici tra Vietnam e Cina

I complessi rapporti tra Cina e Vietnam risalgono a più di un millennio fa. Nonostante una serie di schermaglie abbiano generato un’alternanza di periodi di indipendenza e assoggettamento del secondo alla prima,6)Per una panoramica storica si veda John K. Whitmore, “An Outline of Vietnamese History Before the French Conquest,” Vietnam Forum 8, Summer-Fall (1986). l’andamento complessivo, soprattutto nel periodo precedente al XIX secolo, vide la Cina agire da potenza suzerain a cui i vicini Stati vassalli, tra cui il Vietnam, dovevano rendere omaggio.7)Si veda, ad esempio, Alexander Woodside, “Early Ming Expansionism, 1406-1427”, Papers on China 1 (1963). La storiografia recente ha arricchito la dinamica del rapporto suzerain-tributari, mostrandone un quadro più complesso. Si veda Kathlene Baldanza, Ming China and Vietnam Negotiating Borders in Early Modern Asia (Cambridge: Cambridge University Press, 2016), 1-11. All’interno di questo sistema sinocentrico, tutti gli Stati vicini erano considerati dalla Cina entro la propria sfera d’influenza, nonostante il Vietnam rivendicasse di essere uno Stato sovrano indipendente.8)Gli studiosi sono discordi sull’esatta natura di tale sistema tributario. Per alcuni era  indicatore del dominio della Cina, altri invece sostengono che esso rivela i limiti del potere cinese: non riuscendo a rivendicare la propria sovranità sul Vietnam, col sistema tributario la Cina manteneva perlomeno un delicato equilibrio politico, anche se asimmetrico. Si veda Brantly Womack, “Asymmetry and China’s Tributary System”, The Chinese Journal of International Politics 5, 1 (2012); Truong Buu Lam, “Intervention versus Tribute in Sino-Vietnamese Relations, 1788-1790”, in The Chinese World Order: Traditional China’s Foreign Relations, a cura di John King Fairbank (Cambridge: Harvard University Press, 1968).

Nel XX secolo i rapporti tra i due Paesi furono altrettanto mutevoli. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, i leader rivoluzionari della Repubblica Democratica del Vietnam (o Vietnam del Nord) presero in prestito diverse categorie ideologiche e concetti militari dai loro omologhi cinesi. Subito dopo la vittoria del Partito Comunista Cinese sui nazionalisti nel 1949, la Cina – guidata da Mao Zedong – e l’Unione Sovietica, sulla base di interessi geopolitici, dell’affinità ideologica, della comune storia e delle rispettive circostanze politiche, condivisero una serie di motivi per cui offrire assistenza al Vietnam del Nord. Ho Chi Minh si recò più volte in visita ufficiale a Pechino; la Cina, a sua volta, inviò Luo Guibo, uno dei suoi ambasciatori di alto livello, nell’ambito di una delegazione per introdurre in Vietnam tecniche di mobilitazione, riforme fondiarie e piani per creare uno Stato a partito unico, con un’economia e una cultura comunista.9)Si veda Qiang Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, John Lewis Gaddis (a cura di), The New Cold War History (Chapel Hill: The University of North Carolina Press, 2000), 10-42. Keith W. Taylor, A History of the Vietnamese (Cambridge: Cambridge University Press, 2013), 566-69. Il contributo fornito dalla Cina al Vietnam fu talmente profondo che, all’apice dell’alleanza tra i due Paesi, Ho Chi Minh parlò di una relazione tra “fratelli, oltre che compagni”.10)Così citato in Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, 1.

I rapporti cominciarono però a deteriorarsi verso la fine degli anni Settanta, in conseguenza dei mutamenti occorsi negli allineamenti politici internazionali: a quel tempo, la tensione tra Cina e Unione Sovietica derivava in parte da conflitti di frontiera che avevano causato ostilità e diffidenza da entrambe le parti, e che avevano fatto comprendere alla Cina la sofisticatezza degli armamenti dell’Unione Sovietica e la potenziale minaccia da questa rappresentata. Allo stesso tempo, con l’insediamento di Richard Nixon nel 1969 e la sua storica visita in Cina tre anni dopo, i rapporti sino-americani cominciarono a distendersi entrando in un periodo di disgelo: le due parti avviarono colloqui diplomatici compiendo passi in avanti in direzione dell’istituzione di rapporti bilaterali. Tuttavia, mentre la Cina ora vedeva gli Stati Uniti come un potenziale contrappeso all’Unione Sovietica, Hanoi continuava a considerare Washington come un nemico. La rottura nelle relazioni sino-sovietiche portò il Vietnam a riconsiderare i suoi alleati politici e ad avvicinarsi, questa volta, all’Unione Sovietica, allontanandosi dalla Cina. Così, quando nel 1979 scoppiò il conflitto tra Vietnam e Cambogia, la Rpc si alleò con quest’ultima, scontrandosi con il primo lungo il suo confine settentrionale. Le ostilità fra i due Paesi si protrassero per gran parte degli anni Ottanta.11)Per un resoconto più completo dei complessi sviluppi internazionali di quel periodo, si veda il Capitolo 8 in Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, 176-92. Per il conflitto tra Vietnam e Cambogia, si veda Marie Alexandrine Martin, “The Vietnamese Occupation and the Resistance,” in Cambodia: A Shattered Society (Berkeley: University of California, 1994).

Nonostante il precedente periodo di conflitti, gli anni Novanta inaugurarono un’epoca di pace e di cooperazione crescente. Così come aveva normalizzato i rapporti con gli Stati Uniti, il Vietnam cominciò a farlo gradualmente anche con la Cina. Un impulso a questa normalizzazione fu dato dall’istituzione di rapporti amichevoli tra Cina e Unione Sovietica e, infine, dalla dissoluzione di quest’ultima. Ancor più importante fu l’interesse da parte del Vietnam, così come della Rpc, a focalizzarsi sulla modernizzazione e lo sviluppo economico – fattore, quest’ultimo, che contribuì al riallineamento delle rispettive priorità: le ostilità irrisolte del passato furono così semplicemente subordinate ai nuovi obiettivi. Dopo la sigla, nel 1991, degli Accordi di Pace di Parigi relativi alla soluzione politica della questione cambogiana, il Vietnam e la Cina passarono dall’essere solamente “buoni vicini” all’instaurare una “cooperazione globale”.

Alcuni accordi economici e diplomatici illustrano il contesto di tale cooperazione onnicomprensiva. Dal 1991 al 2000 il commercio tra i due Paesi è cresciuto da 32.3 milioni di dollari a 2.466 miliardi di dollari, superando l’obiettivo originario di due miliardi di dollari fissato dai due governi.12)Joseph Y.S. Cheng, “Sino-Vietnamese Relations in the Early Twenty-First Century,” Asian Survey 51, 2 (March 1 2011): 385. Inoltre, le aziende cinesi hanno investito in più di ottanta progetti per un totale di 180 milioni di dollari, e il governo cinese ha concesso ai vietnamiti finanziamenti e prestiti a tasso zero pari a 45 milioni della stessa valuta. Lo sviluppo dei trasporti e delle infrastrutture ha sicuramente incoraggiato la rapida espansione degli affari e del commercio. I due Paesi hanno festeggiato 60 anni di relazioni diplomatiche bilaterali nel 2010, designato come anno dell’“amicizia tra Cina e Vietnam”.13)Cheng, “Sino-Vietnamese Relations in the Early Twenty-First Century,” 386. Con la cooperazione economica era dunque parso che le due nazioni fossero riuscite a superare le precedenti ostilità per realizzare una pace duratura.

Dopo il 2010, tuttavia, le relazioni bilaterali subirono un drastico cambiamento, mostrando evidenti segni di deterioramento, come testimoniato dalla crisi della piattaforma petrolifera del 2014. A maggio di quell’anno, la Cina piazzò una gigantesca piattaforma per l’esplorazione petrolifera, la Haiyang Shiyou 981, nella Zona Economica Esclusiva (Zee) del Vietnam, provocando scontri tra le navi della Marina dei due Paesi che culminarono nell’affondamento di un’imbarcazione vietnamita. Dopo la crisi poi, quasi come voler aggiungere al danno anche la beffa, la Cina inasprì le tensioni costruendo delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale, un’area contesa che essa rivendica come propria nonostante molte nazioni del Sud-est asiatico, compreso il Vietnam, affermino il contrario.

Ma l’affondamento della nave vietnamita nel 2014 non è stato il primo incidente del Nuovo Millennio: tale episodio ha segnato solo il culmine delle tensioni tra i due Paesi, la cui relazione, tra il 2007 e il 2014, ha fatto registrare all’incirca diciotto schermaglie.14)Hiep Le Hong, Vietnam’s Alliance Politics in the South China Sea, vol. 6, Trends in Southeast Asia (Singapore: ISEAS- Yusof Ishak Institute, 2015), 6-7 Il secondo decennio del Duemila è stato dunque contrassegnato da un’altalena di crescenti ostilità.

Tali rapporti antagonistici sono coincisi con il periodo in cui Xi Jinping ha esposto il suo concetto di “Sogno cinese” . Come indicato da diversi studiosi, tale termine congegna un’idea mitizzata del predominio ininterrotto della Cina in Asia prima dell’arrivo delle potenze occidentali: esso è perciò anche un sogno geopolitico,15)David Arase, The Geopolitics of Xi Jinping’s Chinese Dream: Problems and Prospects, vol. 15, Trends in Southeast Asia (ISEAS: Yusof Ishak Institute, 2016). con cui si esige che la Cina riesca a convincere le nazioni, in Asia e altrove, a “rispettarla” in quanto egemone a livello mondiale.

In quali modi, dunque, la Cina si auto-rappresenta in campo culturale? Come convince gli altri di meritare rispetto in quanto egemone in ascesa? Quali valori diffonde? E in che misura il suo messaggio è efficace? Ovvero, in che misura esso si traduce in consenso? Nel paragrafo successivo, l’articolo esplora tali quesiti, esaminando l’accoglienza vietnamita del blockbuster cinese Operation Red Sea.

I limiti dell’egemonia cinese: la disputa sul film Operation Red Sea in Vietnam

Prima di illustrare le reazioni vietnamite al film cinese Operation Red Sea, vorrei innanzitutto fornire un quadro delle attuali discussioni riguardo l’ascesa della Cina quale egemone mondiale all’interno di cui il film si inscrive. Distribuito nel 2018 e diretto da Dante Lam, la pellicola racconta la storia delle forze speciali della Marina militare della Repubblica Popolare intente a salvare dei cittadini cinesi da un territorio devastato dalla guerra. Benché l’esatta ambientazione sia ignota, il posto in cui si svolge l’azione è presumibilmente un Paese in via di sviluppo situato da qualche parte in Medio Oriente o in Africa, e la storia è in parte tratta da un’operazione di salvataggio di cittadini cinesi nello Yemen avvenuta tempo fa. Il film ha incassato 496 milioni di dollari al botteghino e si è collocato al quarto posto per numero di incassi nella Cina continentale.16)Yujing Liu, “Can China’s latest Military Blockbuster Operation Red Sea Strike a Chord with the West?,” South China Morning Post, 9 Marzo 2018, https://www.scmp.com/news/china/society/article/2136409/can-chinas-latest-military-blockbuster-operation-red-sea-strike. Consultato il 2 Aprile 2022. Esso fa parte di una serie abbastanza recente di film cinesi – precedentemente avviata da Wolf Warrior I (del 2015) e dal suo sequel Wolf Warrior II (2017) – che sviluppano il tema cinematografico del fervore nazionalistico e che proiettano sullo schermo l’immagine di una nazione militarmente, tecnologicamente, economicamente e moralmente superiore.

Wolf Warrior I racconta, ad esempio, la storia di un abile soldato delle forze speciali cinesi, interpretato da Wu Jing, che combatte l’attività di commercio di stupefacenti di alcuni mercenari stranieri, nella fattispecie un uomo bianco, interpretato da Scott Adkins, il quale lavora per dei narcotrafficanti ai confini meridionali della Cina, presumibilmente vicino all’Asia sud-orientale. Il confine nazionale cinese viene mostrato cospicuamente nel film, che si conclude con una scena di combattimento tra il militare della Rpc e il soldato bianco. Anche Wolf Warrior II tratta di un’operazione di salvataggio di civili da parte delle forze armate cinesi, questa volta in uno sconosciuto Paese africano, mettendo nuovamente in scena un conflitto tra un soldato cinese, sempre interpretato da Wu Jing, e dei mercenari occidentali. Come se il sentimento nazionalistico non fosse abbastanza evidente, il film ribadisce il concetto esibendo due messaggi sciovinistici. Il primo è: “Chiunque offenda la Cina verrà ucciso, a prescindere da quanto lontano sia” (犯我中华者虽远必诛). Il secondo: “Cittadini della Repubblica popolare cinese: non vi arrendete se vi trovate in pericolo all’estero! Ricordate che avete una nazione forte alle spalle! (中华人民共和国公民,当你在海外遭遇危险,不要放弃!请记住,在你身后,有一个强大的祖国!).

Nella sua analisi del film, Lisa Rofel sostiene come Wolf Warrior II metta in scena un “nazionalismo militarizzato”, rappresentando l’Esercito Popolare di Liberazione come l’incarnazione della forza della Cina.17)“The Said and Unsaid of the New Worlding of China-Africa-U.S. Relations,” Modern Chinese Literature and Culture, Ohio State University, 2018, https://u.osu.edu/mclc/online-series/liu-rofel/#C. Consultato il 2 Aprile 2022 Analogamente, Petrus Liu fa notare come il film, in una sorta di capovolgimento storico, riproduca la fantasticheria nazionale di una Cina che si fa carico di quella “missione civilizzatrice” che assunsero gli europei nel XIX secolo.18)“Women and Children First—Jingoism, Ambivalence, and Crisis of Masculinity in Wolf Warrior II,”Modern Chinese Literature and Culture, Ohio State University 2018, https://u.osu.edu/mclc/online-series/liu-rofel/#A. Consultato il 3 Aprile 2022. Essa afferma la sua modernità eleggendosi a modello morale, politico ed economico mondiale, specialmente nei confronti delle cosiddette regioni meno sviluppate come l’Africa, l’America Latina e l’Asia sud-orientale. Per il nazionalismo estremo che mettono in mostra, tali film sono diventati metafora dell’odierna belligerante diplomazia cinese: l’atteggiamento agguerrito e prepotente dei diplomatici cinesi in Europa, Stati Uniti, Giappone ecc. viene oggi indicato col neologismo Wolf Warrior diplomacy (diplomazia dei lupi guerrieri).19)Riguardo le origini della “Wolf Warrior diplomacy”, Martin sostiene che dagli anni Cinquanta, essa è di fatto un prolungamento delle forze armate cinesi. Peter Martin, China’s Civilian Army: The Making of Wolf Warrior Diplomacy (New York: Oxford University Press, 2021). Si veda anche “China’s ‘Wolf warrior’ Wiplomacy at a Crossroads amid Ukraine Crisis,” Japan Times, 25 Aprile 2022. https://www.japantimes.co.jp/opinion/2022/04/25/commentary/world-commentary/china-wolf-warrior-diplomacy/. Consultato il 28 Aprile 2022.

È nel contesto di questo fervore nazionalista che va interpretato il significato del film Operation Red Sea. Il lungometraggio non è né unico per contenuto tematico, né innovativo per tecnica cinematografica, anzi, coerentemente con pellicole precedenti, esso rafforza il fanatismo nazionale cinese. Il film è stato infatti prodotto per festeggiare il novantesimo anniversario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione e, in quanto tale, risulta debole nella sostanza, ma pieno di grottesche ostentazioni della potenza militare cinese e della guerra; come osserva Song Geng, professore di studi cinesi all’Università di Hong Kong: “La visione del film mi ha lasciato nella mente solo scene sanguinose”.20)Come citato in Liu, “Can China’s Latest Military Blockbuster Operation Red Sea Strike a Chord with the West?.” La stessa sensazione è stata avvertita dalla stampa vietnamita, che ha rimarcato come la censura sia intervenuta nel tagliare alcune scene eccessivamente esplicite. “È stato confermato”, si dichiara in una recensione, “che nella versione vietnamita molte parti sono state censurate, soprattutto quelle che mostravano spargimenti di sangue e violenze eccessive, limitando l’età del pubblico ai maggiori di 18 anni”.21)Traduzione mia dal vietnamita. Anh Thư, “Ngưng chiếu ‘Điệp vụ Biển Đỏ’ ở tất cả các rạp tại Việt Nam” [All theatres in Vietnam stop screening Operation Red Sea], Thanh Niên [Youth] (Thành Phố Hồ Chí Minh [Ho Chi Minh City]), 24 Marzo 2018, https://thanhnien.vn/ngung-chieu-diep-vu-bien-do-o-tat-ca-cac-rap-tai-viet-nam-post743349.htmlConsultato il 28 Aprile 2022.

In linea con il tema del nazionalismo militaristico, la scena finale del film raffigura la Marina militare mentre accerchia una nave straniera presumibilmente  introdottasi nelle acque territoriali cinesi: dichiarando che l’imbarcazione avrebbe sconfinato nel “Mar Cinese Meridionale”, la Marina lascia intendere che quest’ultimo – attualmente conteso tra diverse nazioni dell’Asia sud-orientale, compresa la Repubblica Socialista del Vietnam – appartenga alla Cina.22)Si veda, ad esempio, “The South China Sea Arbitration (The Republic of Philippines vs. The People’s Republic of China)”. https://pca-cpa.org/en/cases/7/ (Consultato il 10 Maggio 2022).

Proprio tale scena ha provocato la protesta della stampa vietnamita: anche se l’identità della nazione a cui appartiene la nave non viene in alcun modo rivelata, alcuni tra il pubblico hanno contestato il messaggio politico implicito nella scena. Come si sostiene in un editoriale, “Questo film ha causato molta rabbia tra le audience locali perché esalta smisuratamente la potenza dell’esercito cinese e trasmette un implicito messaggio politico riguardo le rivendicazioni spudoratamente illegali della Cina sul Mar Cinese Meridionale”.23)Traduzione mia dal vietnamita. Minh Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility], Người Lao Động [The Laborer] (Thành Phố Hồ Chí Minh [Ho Chi Minh City]), 25 Marzo 2018, https://nld.com.vn/van-nghe/vu-diep-vu-bien-do-cuc-dien-anh-hoi-dong-duyet-phim-phai-chiu-trach-nhiem-20180325210228684.htm

Per tutta risposta, il presidente della Commissione deputata alla censura cinematografica, Vu Xuan Hung, ha difeso la decisione di approvare la pellicola sostenendo che alcuni tra il pubblico vietnamita hanno avuto una reazione spropositata: “Penso che alcuni spettatori eccessivamente suscettibili abbiano tratto conclusioni ingiustificate, che non trovano fondamento nel film”. E ha continuato: “C’è, al suo interno, una parte in cui si dichiara che quel mare appartiene alla Cina e che la nave non identificata debba quindi andarsene; ma non si dice mai niente delle acque marittime vietnamite”;24)Traduzione mia dal vietnamita. Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility]; Tuệ Như, “Phim Điệp vụ Biển Đỏ đột ngột bị rút khỏi các rạp VN: Đại diện Cục Điện ảnh bày tỏ bức xúc” [The film Operation Red Sea suddenly is pulled from theatres: The Film Bureau representative expresses frustration], SOHA (Hà Nội), 26 Marzo 2018, https://soha.vn/phim-diep-vu-bien-do-dot-ngot-bi-rut-khoi-cac-rap-vn-dai-dien-cuc-dien-anh-len-tieng-20180326140013153.htm. in altri termini, per il signor Hung non è chiaro qual sia il “mare” raffigurato nel film. Inoltre, come riconosciuto da un critico,25)Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility]. nel film è ravvisabile una sottile ambiguità linguistica: quello che per i cinesi è il “Mar Cinese Meridionale”, per i vietnamiti è il “Mare Orientale” (Biển đông), per via della sua posizione rispetto al Vietnam.

Ad ogni modo, nonostante i punti potenzialmente ambigui, le giustificazioni della Commissione non sono bastate a calmare le acque: nel già citato editoriale, un altro critico ha insistito affinché il comitato fosse ritenuto “responsabile” per aver autorizzato la proiezione di Operation Red Sea affermando: “Questa non è la prima volta che la Cina propaganda la propria forza militare in un film”. “In passato c’era stato Wolf Warrior II”, che in modo simile a Operation Red Sea esaltava la forza militare cinese e di cui però era stata vietata la proiezione in Vietnam”.26)Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility]. Ne deriva l’irresponsabilità dei censori per non aver vietato anche quest’ultima più recente pellicola.

In un altro articolo è stato rilevato che, sul suo sito, il Ministero della Difesa cinese ha ammesso che l’ultima scena del film rappresenta, in effetti, lo scontro sulle isole Spratly, isole del Mar Cinese Meridionale, sulla cui sovranità è in corso una disputa tra Cina e Vietnam.27)Si veda Gerard Sasges, “Absent Maps, Marine Science, and the Reimagination of the South China Sea, 1922-1939,” The Journal of Asian Studies 75, 1 (2016). Un’ammissione così esplicita da parte del Ministero cinese avvalora, pertanto, le impressioni di molti attenti avventori dei cinema vietnamiti. Alla luce di tali polemiche, a una settimana dall’approvazione della sua proiezione, il film è stato ritirato dalle sale cinematografiche di tutto il Paese.

La disputa sul film Operation Red Sea in Vietnam fornisce informazioni utili sulle peculiari modalità con cui la Cina promuove all’estero il suo status di egemone emergente. Si ricordi, dopotutto, che questo genere di diplomazia, detta Wolf Warrior Diplomacy, è caratterizzata dall’aggressività nelle relazioni internazionali e non è concepita per affascinare, allettare o convincere. Il pubblico vietnamita sembra essere stato deliberatemente offeso, se si considera la reazione della stampa.

Tale tipo di reazione sembra andare al di là delle culture nazionali, dal momento che diversi diplomatici in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, in Australia e altrove hanno condiviso la stessa indignazione per questo tipo di diplomazia. In effetti, da un sondaggio a livello internazionale condotto nell’ottobre del 2020 è emerso come la percezione negativa della Cina abbia raggiunto il suo massimo storico:28)https://www.pewresearch.org/global/2020/10/06/unfavorable-views-of-china-reach-historic-highs-in-many-countries/. Consultato il 29 Aprile 2022 anziché cooptare nuovi alleati, la Wolf Warrior Diplomacy è ricorsa al proverbiale “bastone” per ammonire gli altri Paesi a non ostacolare la Rpc. Richard Buetikofer, capo della delegazione del Parlamento Ue per i rapporti con la Cina, osserva che questa condotta nelle relazioni internazionali rivela, non l’impegno nella cooperazione globale, bensì la “volontà di dire agli altri cosa fare”.29)Come citato in Martin, China’s Civilian Army: The Making of Wolf Warrior Diplomacy, 4. Operation Red Sea, dunque, è una mera esemplificazione, in forma culturale, della crescente bellicosità cinese. Se in patria questo “nazionalismo militaristico” guadagna encomi, altrove, paradossalmente, ha suscitato allarme, specialmente in Vietnam.

In risposta all’ostentazione della potenza militare cinese, il Vietnam ha cautamente modificato la propria politica estera. Dall’inizio del Millennio, il Paese aveva tenuto fede al principio di “non alleanza” – esposto in due Libri Bianchi della Difesa rilasciati nel 1998 e nel 200430)Si veda Hong, Vietnam’s Alliance Politics in the South China Sea, 6, 4-5. –, in base al quale si era astenuto dal prendere parte ad accordi militari, dall’ospitare basi militari straniere e dal partecipare ad azioni belliche che impiegassero le forze armate o che facessero ricorso alla minaccia della forza contro altri Paesi. La crescente aggressività della Cina, però, ha indotto il Vietnam a deviare silenziosamente da questo principio e, benché continui ad evitare trattati di alleanza formali, Hanoi ha dovuto creare legami di tipo difensivo più forti con altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Giappone, l’Australia e la Corea del Sud, nel tentativo di controbilanciare la potenza cinese.31)Arase, The Geopolitics of Xi Jinping’s Chinese Dream: Problems and Prospects, 15

Nel frattempo, in Vietnam è emersa una forma di nazionalismo populista, fermentato a livello nazionale come reazione diretta alla Cina: nei primi due decenni del Nuovo Millennio, il Paese è stato sconvolto da un’ondata di proteste spontanee32)Nonostante la repressione del governo, le proteste vietnamite contro la crescente aggressività della Cina hanno avuto luogo nel 2011, 2012, 2013, 2014 e oltre. Si veda Tuong Vu, “The Party v. The People: Anti-China Nationalism in Contemporary Vietnam,” Journal of Vietnamese Studies 9, 4 (2014). – prive di un leader o di un’organizzazione formale – contro Pechino. Presento qui due esempi di queste proteste che, pur diverse tra di loro, sono entrambe accomunate da una rinascita del sentimento nazionalista vietnamita in risposta al comportamento bellicoso della Rpc.

Il primo esempio è relativo al conflitto tra Vietnam e Cina nelle acque territoriali: nell’estate del 2011, due pescherecci cinesi tagliarono i cavi di ispezione sismica per la ricerca del petrolio di una nave vietnamita che stava operando nella Zona Economica Esclusiva del Vietnam33)https://www.bbc.com/news/world-asia-pacific-13723443; https://www.wsj.com/articles/SB10001424127887323717004578157033857113510; https://en.nhandan.vn/politics/external-relations/item/1699602-.html – zona rivendicata dalla Cina, nonostante una decisione unanime della Corte Permanente di Arbitrato abbia decretato che le pretese cinesi non trovino fondamento nel diritto internazionale.34)https://thediplomat.com/2016/07/international-court-issues-unanimous-award-in-philippines-v-china-case-on-south-china-sea/ In risposta al diverbio tra le imbarcazioni vietnamita e cinese, ad Hanoi, centinaia di manifestanti hanno sfilato tutte le domeniche per almeno due mesi,35)“Vietnam Breaks up anti-China Protests.” https://www.theguardian.com/world/2012/dec/09/vietnam-breaks-up-anti-china-protests coinvolgendo nella protesta cittadini di diversa fascia d’età ed estrazione sociale, compresi ex funzionari governativi, scrittori e giornalisti. Le manifestazioni non sono state semplici espressioni di rabbia, ma segni di ciò che alcuni studiosi sostengono essere una forma emergente di nazionalismo vietnamita contemporaneo.36)Vu, “The Party v. The People: Anti-China Nationalism in Contemporary Vietnam.”

Un altro esempio delle proteste nazionaliste sorte in Vietnam in risposta all’aggressività cinese è dato dalle attività di una squadra di calcio maschile, costituita nel 2011 da persone conosciutesi alle manifestazioni anti-cinesi. Questo gruppo informale di trenta giocatori, con sede ad Hanoi, prende il nome di “No U FC”, sigla stampata sulle loro maglie: “No U” fa riferimento al rifiuto da parte del gruppo di riconoscere la linea a nove tratti (disposti a forma di U) tracciata dalla Cina attorno a una vasta porzione di acque da essa rivendicate e confinanti con il Vietnam e con altre nazioni dell’Asia sud-orientale; le lettere “FC”, invece, assumono vari significati, come “football club”, “friendship club” o, come ha spiegato con veemenza un calciatore, “fuck China”.37)Per uno studio accademico di questo gruppo, si veda Benedict J. Kerkvliet, Speaking Out in Vietnam: Public Political Criticism in a Communist Party-Ruled Nation (Ithaca: Cornell University Press, 2019), 60-63. Per gli articoli sui giornali, si veda: https://www.economist.com/asia/2019/12/12/the-vietnamese-football-club-that-defies-china; https://www.reuters.com/article/us-vietnam-china-dissidents-idUSBRE8BM0BB20121223; https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/a-soccer-team-in-vietnam-doubles-as-a-club-for-dissidents/2015/12/19/4bed4fef-4eab-4940-841d-fcecec107440_story.html (Consultato il 20 Aprile 2022). Se questi acronimi possono sembrare criptici, sulle maglie sono riportati anche i nomi vietnamiti delle isole Spratly e Paracelso – “Hoàng Sa” e “Trường Sa” – su cui il Vietnam rivendica la sovranità, ma di cui la Cina si è appropriata con la forza piazzandovi delle basi militari.38)https://www.theguardian.com/world/2022/mar/21/china-has-fully-militarized-three-islands-in-south-china-sea-us-admiral-says; https://thediplomat.com/2014/09/why-is-china-building-islands-in-the-south-china-sea/ (Consultato il 20 Aprile 2022). Oltre a partecipare alle manifestazioni politiche, i giocatori sono anche impegnati in opere di raccolta fondi per sostenere i vietnamiti danneggiati dalle incursioni marittime cinesi e per aumentare la consapevolezza sulla minaccia rappresentata dalla Cina.39)Kerkvliet, Speaking Out in Vietnam: Public Political Criticism in a Communist Party-Ruled Nation, 62.

I due esempi precedenti dimostrano la validità di quello che ho suggerito essere l’elemento necessario a comprendere l’ascesa di Pechino come egemone a livello mondiale: il nazionalismo. La reazione popolare vietnamita può essere intesa come il riflesso speculare della diplomazia di stampo nazionalista-militarista dei “lupi guerrieri”: il sentimento nazionalista tra la popolazione vietnamita sembra uguagliare, se non superare, il fervore patriottico cinese, ed è causa di ogni sorta di problema diplomatico per il governo di Hanoi, che intende, da un lato, mantenere rapporti pacifici col suo potente vicino e, dall’altro, opporre resistenza alle palesi usurpazioni di sovranità.

Questo fervore nazionalista va oltre le ideologie politiche condivise. Le osservazioni di Benedict Anderson sul conflitto, alla fine degli anni Settanta, tra Vietnam, Cambogia e Cina – tutti Stati politicamente marxisti – sembrano valere ancora oggi: “Se l’invasione e occupazione della Cambogia da parte del Vietnam […] ha rappresentato la prima guerra convenzionale su larga scala intrapresa da un regime marxista rivoluzionario contro un altro”, osserva Anderson, “l’aggressione del Vietnam da parte della Cina […] ha confermato tale precedente”.40)Benedict Anderson, Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism (London: Verso, 1991), corsivo nell’originale, 1. In altre parole, la condivisione della stessa ideologia politica marxista-leninista non è sufficiente a estinguere gli impeti nazionalistici. Anderson rimarca che la singolare persistenza del nazionalismo può essere in parte spiegata dal fatto che essa deriva da qualche cosa di meno astratto e più profondamente tangibile delle dottrine politiche, qualcosa di più simile ai legami di sangue. Qualunque siano le sue origini, il nazionalismo rappresenta un elemento chiave per comprendere le sfide, se non i limiti, dell’ascesa della Cina.

Conclusioni

 Se per “egemonia” intendiamo non tanto un dominio repressivo, quanto il tacito consenso da parte degli altri – consenso indicativo del potere di persuasione dell’egemone –, allora la Cina ha mancato di parecchio il bersaglio: il concetto di “Sogno cinese”, pertanto, non può essere connotato come egemonico. La disputa sulla proiezione del film Operation Red Sea in Vietnam suggerisce che il nazionalismo – in entrambi i Paesi – è un fattore chiave che complicherà, se non addirittura impedirà, la diffusione del cosiddetto Sogno cinese.

Fondamentale per il Sogno cinese è la fantasticheria di una moderna rinascita della Cina come potenza suzerain: una proiezione di forza sul mondo da parte di una nazione che vuole essere ubbidita e non contrariata. In Operation Red Sea, incarnazione cinematografica di questa sua aggressività nelle relazioni internazionali, la Cina non ha alcuna pretesa di nascondere tali ambizioni: com’è stato evidenziato, il finale del film mostra un’imbarcazione cinese che esige la ritirata di una nave straniera da quello che sembra essere il Mar Cinese Meridionale, la cui rivendicazione rimane oggetto di una disputa politicamente esplosiva tra Vietnam e Cina.

L’usurpazione territoriale da parte della Rpc implicita nel film non è passata inosservata agli spettatori vietnamiti: invece di ottenere consensi o alleanze, il film ha rimescolato l’indignazione e lo sdegno nazionalista. Dalle manifestazioni in strada, alle società di calcio non ufficiali che contestano simbolicamente le rivendicazioni della Cina, il nazionalismo è un elemento cruciale nel valutare la portata e l’efficacia della progressiva affermazione di quest’ultima in qualità di egemone globale.L’accoglienza vietnamita di Operation Red Sea suggerisce pertanto come il sogno non sia stato felicemente realizzato, quanto piuttosto infelicemente rinviato.

Immagine: Locandina del film Operation Red Sea (particolare)

Richard Tran è ricercatore presso il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterraneo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa di Vietnam e annovera fra i suoi interessi di ricerca la teoria critica, la storia e la teoria del genere, la storia culturale del Diciannovesimo e Ventesimo secolo, insieme agli studi letterari e culturali. È membro e tesoriere del direttivo del Gruppo sugli studi vietnamiti della Association for Asian Studies. 

References
1 Discorso tenuto nel 2012 al XVIII Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese. Si veda Xing Li, “Interpreting and Understanding ‘The Chinese Dream’ in a Holistic Nexus”, Fudan Journal of the Humanities and Social Sciences 8, 4 (2015): 506.
2 David Forgacs (a cura di), The Antonio Gramsci Reader: Selected Writings, 1916-1935 (New York: New York University Press, 2000), 422-24.
3 Peter Dutton, “Three Disputes and Three Objectives: China and the South China Sea,” Naval War College Review 64, 4 (2011); Matthew Baker, “Counteracting Chinese Hegemony in the South China Sea,” American Security Project , 1 agosto 2012.
4 Ernesto Laclau and Chantal Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy: Towards a Radical Democratic Politics (London: Verso, 1985), 104-05.
5 Carlyle A. Thayer, “Vietnamese Perspectives of the ‘China Threat’,” in Ian Storey and Herbert Yee (a cura di), The China Threat: Perceptions, Myths and Reality (London: Routledge Curzon, 2004).
6 Per una panoramica storica si veda John K. Whitmore, “An Outline of Vietnamese History Before the French Conquest,” Vietnam Forum 8, Summer-Fall (1986).
7 Si veda, ad esempio, Alexander Woodside, “Early Ming Expansionism, 1406-1427”, Papers on China 1 (1963). La storiografia recente ha arricchito la dinamica del rapporto suzerain-tributari, mostrandone un quadro più complesso. Si veda Kathlene Baldanza, Ming China and Vietnam Negotiating Borders in Early Modern Asia (Cambridge: Cambridge University Press, 2016), 1-11.
8 Gli studiosi sono discordi sull’esatta natura di tale sistema tributario. Per alcuni era  indicatore del dominio della Cina, altri invece sostengono che esso rivela i limiti del potere cinese: non riuscendo a rivendicare la propria sovranità sul Vietnam, col sistema tributario la Cina manteneva perlomeno un delicato equilibrio politico, anche se asimmetrico. Si veda Brantly Womack, “Asymmetry and China’s Tributary System”, The Chinese Journal of International Politics 5, 1 (2012); Truong Buu Lam, “Intervention versus Tribute in Sino-Vietnamese Relations, 1788-1790”, in The Chinese World Order: Traditional China’s Foreign Relations, a cura di John King Fairbank (Cambridge: Harvard University Press, 1968).
9 Si veda Qiang Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, John Lewis Gaddis (a cura di), The New Cold War History (Chapel Hill: The University of North Carolina Press, 2000), 10-42. Keith W. Taylor, A History of the Vietnamese (Cambridge: Cambridge University Press, 2013), 566-69.
10 Così citato in Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, 1.
11 Per un resoconto più completo dei complessi sviluppi internazionali di quel periodo, si veda il Capitolo 8 in Zhai, China and the Vietnam Wars, 1950-1975, 176-92. Per il conflitto tra Vietnam e Cambogia, si veda Marie Alexandrine Martin, “The Vietnamese Occupation and the Resistance,” in Cambodia: A Shattered Society (Berkeley: University of California, 1994).
12 Joseph Y.S. Cheng, “Sino-Vietnamese Relations in the Early Twenty-First Century,” Asian Survey 51, 2 (March 1 2011): 385.
13 Cheng, “Sino-Vietnamese Relations in the Early Twenty-First Century,” 386.
14 Hiep Le Hong, Vietnam’s Alliance Politics in the South China Sea, vol. 6, Trends in Southeast Asia (Singapore: ISEAS- Yusof Ishak Institute, 2015), 6-7
15 David Arase, The Geopolitics of Xi Jinping’s Chinese Dream: Problems and Prospects, vol. 15, Trends in Southeast Asia (ISEAS: Yusof Ishak Institute, 2016).
16 Yujing Liu, “Can China’s latest Military Blockbuster Operation Red Sea Strike a Chord with the West?,” South China Morning Post, 9 Marzo 2018, https://www.scmp.com/news/china/society/article/2136409/can-chinas-latest-military-blockbuster-operation-red-sea-strike. Consultato il 2 Aprile 2022.
17 “The Said and Unsaid of the New Worlding of China-Africa-U.S. Relations,” Modern Chinese Literature and Culture, Ohio State University, 2018, https://u.osu.edu/mclc/online-series/liu-rofel/#C. Consultato il 2 Aprile 2022
18 “Women and Children First—Jingoism, Ambivalence, and Crisis of Masculinity in Wolf Warrior II,”Modern Chinese Literature and Culture, Ohio State University 2018, https://u.osu.edu/mclc/online-series/liu-rofel/#A. Consultato il 3 Aprile 2022.
19 Riguardo le origini della “Wolf Warrior diplomacy”, Martin sostiene che dagli anni Cinquanta, essa è di fatto un prolungamento delle forze armate cinesi. Peter Martin, China’s Civilian Army: The Making of Wolf Warrior Diplomacy (New York: Oxford University Press, 2021). Si veda anche “China’s ‘Wolf warrior’ Wiplomacy at a Crossroads amid Ukraine Crisis,” Japan Times, 25 Aprile 2022. https://www.japantimes.co.jp/opinion/2022/04/25/commentary/world-commentary/china-wolf-warrior-diplomacy/. Consultato il 28 Aprile 2022.
20 Come citato in Liu, “Can China’s Latest Military Blockbuster Operation Red Sea Strike a Chord with the West?.”
21 Traduzione mia dal vietnamita. Anh Thư, “Ngưng chiếu ‘Điệp vụ Biển Đỏ’ ở tất cả các rạp tại Việt Nam” [All theatres in Vietnam stop screening Operation Red Sea], Thanh Niên [Youth] (Thành Phố Hồ Chí Minh [Ho Chi Minh City]), 24 Marzo 2018, https://thanhnien.vn/ngung-chieu-diep-vu-bien-do-o-tat-ca-cac-rap-tai-viet-nam-post743349.htmlConsultato il 28 Aprile 2022.
22 Si veda, ad esempio, “The South China Sea Arbitration (The Republic of Philippines vs. The People’s Republic of China)”. https://pca-cpa.org/en/cases/7/ (Consultato il 10 Maggio 2022).
23 Traduzione mia dal vietnamita. Minh Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility], Người Lao Động [The Laborer] (Thành Phố Hồ Chí Minh [Ho Chi Minh City]), 25 Marzo 2018, https://nld.com.vn/van-nghe/vu-diep-vu-bien-do-cuc-dien-anh-hoi-dong-duyet-phim-phai-chiu-trach-nhiem-20180325210228684.htm
24 Traduzione mia dal vietnamita. Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility]; Tuệ Như, “Phim Điệp vụ Biển Đỏ đột ngột bị rút khỏi các rạp VN: Đại diện Cục Điện ảnh bày tỏ bức xúc” [The film Operation Red Sea suddenly is pulled from theatres: The Film Bureau representative expresses frustration], SOHA (Hà Nội), 26 Marzo 2018, https://soha.vn/phim-diep-vu-bien-do-dot-ngot-bi-rut-khoi-cac-rap-vn-dai-dien-cuc-dien-anh-len-tieng-20180326140013153.htm.
25 Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility].
26 Khuê, “Vụ ‘Điệp vụ biển Đỏ’: Cục Điện ảnh, Hội đồng Duyệt phim phải chịu trách nhiệm” [The afffair surrounding the film ‘Operation Red Sea’: the Film Bureau must accept responsibility].
27 Si veda Gerard Sasges, “Absent Maps, Marine Science, and the Reimagination of the South China Sea, 1922-1939,” The Journal of Asian Studies 75, 1 (2016).
28 https://www.pewresearch.org/global/2020/10/06/unfavorable-views-of-china-reach-historic-highs-in-many-countries/. Consultato il 29 Aprile 2022
29 Come citato in Martin, China’s Civilian Army: The Making of Wolf Warrior Diplomacy, 4.
30 Si veda Hong, Vietnam’s Alliance Politics in the South China Sea, 6, 4-5.
31 Arase, The Geopolitics of Xi Jinping’s Chinese Dream: Problems and Prospects, 15
32 Nonostante la repressione del governo, le proteste vietnamite contro la crescente aggressività della Cina hanno avuto luogo nel 2011, 2012, 2013, 2014 e oltre. Si veda Tuong Vu, “The Party v. The People: Anti-China Nationalism in Contemporary Vietnam,” Journal of Vietnamese Studies 9, 4 (2014).
33 https://www.bbc.com/news/world-asia-pacific-13723443; https://www.wsj.com/articles/SB10001424127887323717004578157033857113510; https://en.nhandan.vn/politics/external-relations/item/1699602-.html
34 https://thediplomat.com/2016/07/international-court-issues-unanimous-award-in-philippines-v-china-case-on-south-china-sea/
35 “Vietnam Breaks up anti-China Protests.” https://www.theguardian.com/world/2012/dec/09/vietnam-breaks-up-anti-china-protests
36 Vu, “The Party v. The People: Anti-China Nationalism in Contemporary Vietnam.”
37 Per uno studio accademico di questo gruppo, si veda Benedict J. Kerkvliet, Speaking Out in Vietnam: Public Political Criticism in a Communist Party-Ruled Nation (Ithaca: Cornell University Press, 2019), 60-63. Per gli articoli sui giornali, si veda: https://www.economist.com/asia/2019/12/12/the-vietnamese-football-club-that-defies-china; https://www.reuters.com/article/us-vietnam-china-dissidents-idUSBRE8BM0BB20121223; https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/a-soccer-team-in-vietnam-doubles-as-a-club-for-dissidents/2015/12/19/4bed4fef-4eab-4940-841d-fcecec107440_story.html (Consultato il 20 Aprile 2022).
38 https://www.theguardian.com/world/2022/mar/21/china-has-fully-militarized-three-islands-in-south-china-sea-us-admiral-says; https://thediplomat.com/2014/09/why-is-china-building-islands-in-the-south-china-sea/ (Consultato il 20 Aprile 2022).
39 Kerkvliet, Speaking Out in Vietnam: Public Political Criticism in a Communist Party-Ruled Nation, 62.
40 Benedict Anderson, Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism (London: Verso, 1991), corsivo nell’originale, 1.