Il libro di Matteo Dian – La Cina, gli Stati Uniti e il Futuro dell’Ordine Internazionale edito da Il Mulino nel 2021 – rappresenta un ulteriore contributo sul tema dell’ascesa cinese e sulle conseguenze di queste ultime per il futuro dell’ordine internazionale. Le relazioni sino-americane – e più in generale l’inasprirsi della competizione tra Cina e Stati Uniti – sono state descritte da studiosi ed esperti come un contesto di “nuova guerra fredda”. Il tema della competizione sino-americana è infatti da diverso tempo sotto i riflettori di numerosi studi che hanno riempito le pagine delle più autorevoli riviste dedicate alle relazioni internazionali. L’utilizzo di tale formula però, come sottolineato da Dai Jinhua, può andar bene se utilizziamo il termine come un’etichetta generica, al fine di delineare l’antagonismo sempre più acuto e manifesto tra le due superpotenze. L’interpretazione, dunque, è diversa se la competizione tra Cina e Stati è intesa piuttosto come il risultato di un cambiamento economico e sociale più profondo, di fatto causato dagli eterni problemi del capitalismo globale e uniti alla sempre più stringente interdipendenza economica tra paesi. In altre parole, tale etichetta parrebbe l’ennesima – e forse nemmeno l’ultima – diatriba dialettica sulla Cina. In effetti, anche le Relazioni Internazionali in quanto disciplina che studia, descrive, e interpreta il comportamento degli stati nel sistema internazionale, appare oggi fortemente influenzata da tale polarizzazione, presentando spesso due posizioni antitetiche – di fatto opposte – sull’ascesa cinese e le sue conseguenze. Da un lato i realisti – in tutte le loro forme e declinazioni – presentano uno scenario basato essenzialmente sul conflitto. In tale contesto, l’emergere di una grande potenza su scala globale come quella cinese, minaccia la posizione della potenza egemone, ovvero gli Stati Uniti. Il secondo scenario, teorizzato nella maggior parte dei casi dal liberalismo, presuppone una lenta ma costante integrazione della Cina nell’ordine liberale internazionale a guida statunitense. Dopotutto, anche Xi Jinping a Davos nel 2017 ha dichiarato che nonostante i problemi creati dalla globalizzazione, non è ipotizzabile pensare davvero di cancellarla, quanto riadattarla, con l’obiettivo, da parte della Cina, di renderla un processo più equo ed efficiente.
Il contributo di Matteo Dian deve essere contestualizzato all’interno di questo dibattito, all’interno del quale cerca verosimilmente di offrire una via d’uscita. Il volume è suddiviso in cinque capitoli. Il primo capitolo, come specificato dall’autore, vuole offrire una spiegazione teorica sulla questione, e si basa su un approccio denominato “Scuola Inglese”. L’autore, a tale riguardo, offre una prospettiva nuova, una interpretazione diversa “sia rispetto al realismo strutturale sia rispetto agli approcci liberali” (9). In particolare, l’approccio della Scuola Inglese è fondamentale per comprendere come la Cina non intenda distruggere l’ordine internazionale con l’obiettivo di sostituirlo con un altro esclusivamente in linea con gli interessi cinesi, quanto piuttosto rinegoziarlo, attraverso un complesso sistema di contestazione delle norme. Sempre secondo l’approccio della Scuola Inglese, la Cina sosterrebbe una determinata tipologia di ordine, definito come pluralista, nel quale sovranità, non-interferenza, e grandi potenze sono visti come “i custodi della stabilità internazionale” (32).
Un’applicazione delle teorie delle Relazioni Internazionali tout court per comprendere il ruolo della Cina negli affari internazionali offrirebbe però solo una interpretazione parziale, la quale, ben lontana dall’essere esaustiva, rischierebbe di risultare estremamente euro-centrica, considerato che la disciplina delle Relazioni Internazionali è, appunto, di origine prevalentemente angloamericana. In tal senso il secondo capitolo risulta fondamentale per discutere del ruolo della Cina nel sistema internazionale, e, in particolare modo, della necessità di considerare anche le determinanti ideologiche, o ancor meglio “ideazionali”, che contribuiscono a influenzare la visione dell’ordine cinese, e in un’ottica che potremmo definire comparativa, analizzarle alla luce della concezione dell’ordine internazionale portata avanti dagli Stati Uniti. Nel caso cinese, si sottolinea la rilevanza delle tradizioni politiche, filosofiche ed ideologiche che più hanno influenzato la visione dell’ordine regionale: nazionalismo post-coloniale, marxismo-leninismo, confucianesimo. Ognuna di queste tradizioni appare fondamentale per comprendere il collegamento tra politica interna e politica estera della RPC, ovvero tra prospettiva cinese – nella quale ritroviamo regole, valori, idee tipicamente cinesi – e comportamento della Cina a livello internazionale. Ne è un esempio il modello regionale sinocentrico proposto dalla Cina – di fatto alternativo a quello statunitense – basato su sovranità, non-interferenza, e capitalismo di stato. Tuttavia, come è già stato ricordato da Marco Fumian in questa sede, una corretta interpretazione della contesa tra valori occidentali e valori cinesi sottolinea altresì come il nocciolo della questione sia di fatto riconducibile non propriamente – o comunque non esclusivamente – al sistema valoriale, quanto piuttosto a quello politico, ovvero la distinzione tra democrazie liberali occidentali da un lato, e il sistema politico (autoritario e dunque illiberale) cinese dall’altro. Una dimensione, quella politica, che certamente influenza anche i due diversi modelli di ordine proposti rispettivamente dalla Cina e dagli Stati Uniti a livello sia regionale che globale. Il terzo capitolo tratta della competizione militare tra Cina e Stati Uniti, definita dall’autore come questione “centrale” per il processo di rinegoziazione dell’ordine internazionale attualmente in atto, nello specifico, relativamente a quella che i teorici della Scuola Inglese definiscono essere una vera e propria istituzione primaria, ovvero la gestione dell’ordine da parte delle grandi potenze. Per Dian, è attualmente in atto una rinegoziazione dell’ordine in merito a guerra e deterrenza tra Cina e Stati Uniti, sebbene la competizione sempre più aspra coinvolgerebbe anche dimensioni meno tradizionali e sempre più a-territoriali, quali ad esempio il cyber-spazio. Sicurezza internazionale e competizione militare non sono le uniche questioni che dettano l’agenda delle relazioni sino-americane e il quarto capitolo si focalizza dunque sulla rinegoziazione dell’ordine da un punto di vista economico. Anche in questo caso, la crescente competizione tra due diverse visioni di ordine, quello americano, transpacifico, e quello cinese, sinocentrico, sono determinanti per comprendere il destino dell’ordine internazionale liberale. Il quinto capitolo si concentra sul ruolo dei paesi alleati: Giappone, Corea del Sud, Australia, l’organizzazione regionale ASEAN, ma anche Filippine, Thailandia, Singapore, Indonesia, Malesia e Myanmar. Ciò che accomuna sostanzialmente questi paesi, è l’essere esposti a una rinegoziazione dell’ordine regionale da parte di due superpotenze e il loro (limitato) contributo. Si tratta di un gruppo di paesi estremamente eterogeneo dal punto di vista delle risorse economiche e della popolazione, così come piuttosto diversa appare essere l’influenza politica esercitata da ognuno di essi nel contesto delle relazioni internazionali dell’Asia e dunque, destinati ad essere di fatto influenzati dalle due diverse concezioni di ordine portate avanti rispettivamente da Washington e Pechino. Ultime, ma non meno importanti, giungono le considerazioni conclusive in cui l’autore sottolinea la centralità degli “agenti” relativamente al processo di rinegoziazione dell’ordine, e dunque nel caso specifico il ruolo giocato dai leader politici. In effetti, a margine di qualsiasi analisi, potrebbe apparire piuttosto controverso non considerare come le relazioni sino-americane siano andate sempre più deteriorandosi proprio a partire dal 2016, anno in cui il futuro Presidente degli Stati Uniti, giunge ad affermare che la Cina stava “violentando” l’economia americana, in riferimento alla politica commerciale cinese e agli effetti – nefasti a detta di Trump – su imprese e lavoratori americani.
In conclusione, il libro di Matteo Dian appare come una lettura estremamente interessante e ricca di spunti. Nonostante il taglio accademico, il volume aiuta a capire la complessità del sistema internazionale, evitando interpretazioni eccessivamente polarizzate (e superficiali) in relazione al ruolo di attore globale “conquistato” dalla Cina negli ultimi decenni. Se davvero la competizione sino-americana resterà al centro della politica internazionale per i prossimi anni, la visione cinese dell’ordine internazionale come modello alternativo a quello occidentale richiederà in futuro una maggiore attenzione e conoscenza non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti coloro che intendono essere davvero pronti alla sfida cinese.
Immagine: da Pixabay
Silvia Menegazzi è EAVI Research Fellow presso la Elliott School of International Affairs, George Washington University e insegna Relazioni Internazionali e Chinese Studies presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Università Luiss Guido Carli. La sua ricerca si concentra principalmente sulla politica estera e la diplomazia pubblica della Cina contemporanea. È autrice del volume Rethinking Think Tanks in Contemporary China (Palgrave, 2018).