Parlare della guerra in Ucraina senza parlare della guerra in Ucraina. A quasi un mese e mezzo dall’invasione della Russia in Donbass, abbondano i resoconti del conflitto tra Mosca e Kyiv e in molti speculano sul ruolo che la Cina potrebbe giocare in questa guerra. E mentre l’Occidente rimane disorientato dalla neutralità conclamata dal governo cinese e si domanda se quella tra Russia e Repubblica Popolare Cinese sia un’alleanza pronta a saldarsi o una partnership strategica messa alla prova da una guerra che infastidisce Pechino, la rappresentazione del conflitto ucraino in Cina riflette il cauto pragmatismo adottato ai vertici del paese. Da una parte i media di stato, che dopo una prima fase di sgomento che pare aver preso in contropiede le stesse autorità cinesi (come suggerito, per esempio, dalla mancata evacuazione preventiva dei cittadini cinesi presenti sul territorio ucraino), sembrano avere assestato la loro copertura del conflitto su una neutralità a tinte antiamericane, che invece di entrare nel merito della guerra dirotta l’attenzione sulle responsabilità degli Stati Uniti. Dall’altra il movimentato mondo del web cinese, dove commenti nazionalisti in favore di Putin e pallidi tentativi di richiamare alla pace si scontrano con le direttive del Partito Comunista Cinese sull’armonizzazione dei contenuti online. Presente anche la voce degli intellettuali cinesi, le cui posizioni vengono però silenziate per non creare imbarazzo ai vertici di Zhongnnanhai. Ad accomunare i tre livelli di rappresentazione un unico filo rosso: che si tratti di media tradizionali o piattaforme social, la conversazione sulla guerra tra Mosca e Kyiv in Cina è impregnata di retorica. E l’Ucraina, passa in secondo piano.

La guerra in Ucraina nei media tradizionali: il vero (ir)responsabile è Washington

Più persone e meno bombe. Più Stati Uniti e meno Ucraina. Nella copertura mediatica del conflitto in Ucraina, i media statali si fanno megafono della linea di Partito e ripropongono la cauta ambiguità del governo cinese: rammaricarsi per la guerra senza però condannare la Russia. Il linguaggio, così come il contenuto, è spesso moderato. Fino ai primi di marzo agenzie di stampa e quotidiani nazionali hanno evitato il termine “guerra”, riferendosi ai movimenti della Russia solo come “operazioni militari speciali” e a oggi parole come “invasione” e “crimini di guerra” sono assenti dalla copertura mediatica del conflitto. Nei canali televisivi internazionali come CGTN e CCTV poi, le parole di condanna alla guerra pronunciate dal presidente del Comitato internazionale per i Giochi paralimpici durante la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi sono state censurate, mentre delle proteste dei cittadini russi a Mosca e San Pietroburgo non è stato dato riscontro. Ampio spazio è stato invece dedicato a storie di expat cinesi in Ucraina e alla situazione dei rifugiati, riprendendo anche la notizia delle discriminazioni razziali denunciate ai confini con la Polonia, presentata dai media cinesi come esempio dei doppi standard dell’Occidente nella gestione degli immigrati di guerra.

Ma la costante nel racconto della guerra in Ucraina è lontana dal fronte europeo e punta l’attenzione su quelli che sarebbero i veri responsabili del conflitto: gli Stati Uniti. Sin dalle prime manovre militari della Russia in Ucraina, le pagine di quotidiani come il China Daily e il Jiefang Daily hanno puntato il dito sul comportamento “irresponsabile” di Stati Uniti e Nato, colpevoli di avere “gettato benzina sul fuoco” e avere esacerbato le tensioni tra i due paesi. L’attenzione sugli sviluppi del conflitto tra Mosca e Kyiv è quindi dirottata verso la più ampia cornice antiamericana. La colpa è degli Stati Uniti. La posizione di neutralità della Cina legittima e contrapposta alla “mentalità da guerra fredda” di Washington.

Non mancano poi posizioni apparentemente filorusse, a partire dai reportage sul campo del giornalista della Phoenix Tv, Lu Yuguang, l’unico cinese (e l’unico straniero) ad avere avuto accesso al fronte russo del conflitto. Lu si è più volte espresso in favore dell’intervento militare voluto dal presidente Vladimir Putin, e in occasione del primo attacco russo a Mariupol ha auspicato una “pronta vittoria” per l’esercito di Mosca. La posizione di Lu non è l’unico elemento filorusso nella narrazione cinese.  Secondo quanto riportato da Axios, anche alcune agenzie di stampa nazionali avrebbero condiviso contenuti di propaganda russa sulle proprie pagine social, promuovendole a pagamento per raggiungere gli utenti di Hong Kong e di alcuni paesi dell’Asia centrale. Così come non è passata inosservata la condivisione da parte dei media statali della teoria complottista russa sulla presunta scoperta di 26 laboratori biologici militari statunitensi in Ucraina, che proverebbe come gli Stati Uniti hanno “violato l’articolo I della convenzione delle Nazioni Unite sulle armi biologiche”. Anche quando la propaganda russa trapela nei media cinesi dunque, la chiave di lettura rimane quella dell’opposizione agli Stati Uniti.

Ma non solo. Agli osservatori e media stranieri che chiedono una maggiore collaborazione della RPC nella risoluzione del conflitto in Ucraina e a chi denuncia il paese di essere schierato con la Russia, i media cinesi rispondono difendendo la neutralità adottata dal governo, e aggiungono che la copertura mediatica occidentale sta distorcendo la posizione cinese. “È un pettegolezzo che la Cina supporti l’invasione dell’Ucraina. Siete pregati di non diffondere informazioni false”, recita a proposito un avviso dell’account ufficiale del People’s Daily su Wechat, informando così l’utenza locale e quella internazionale. Anche Xinhua, in un editoriale dai toni particolarmente irruenti, denuncia i media occidentali di non essere oggettivi nella copertura del conflitto russo-ucraino e accusa gli Stati Uniti di diffondere informazioni false sulla Cina. Per contrastare la campagna di disinformazione che l’Occidente starebbe portando avanti contro la Cina, il Global Times ha dedicato un’indagine al debunking di profili Twitter che starebbero fornendo una versione disonesta e arbitraria della posizione cinese sulla guerra in Ucraina. Nel mirino è finita anche la piattaforma di informazione statunitense Supchina, accusata di diffondere odio anticinese a seguito di un articolo che raccontava di alcuni commenti sessisti sulle rifugiate ucraine da parte degli utenti di Weibo.

Dove le voci di accusa contro gli Stati Uniti inondano quotidianamente pagine e schermi dei media statali cinesi, un vuoto lampante rimane nella copertura dei dettagli più cruenti della guerra. Demonizzare la Russia, non è un’opzione. Ecco quindi che all’indomani del massacro di Bucha, telegiornali e agenzie di stampa cinesi parlano della “riconquista ucraina” di alcuni territori, senza menzionare il ritrovamento di corpi e fosse civili che testimoniano la violenza russa. Allo stesso modo come nota China Media Project, il nome del presidente ucraino Volodymyr Zelensky risulta completamente assente sulle pagine del quotidiano di Partito People’s Daily. Un silenzio assordante che cade su elementi precisi del conflitto in Ucraina per raccontare la neutralità cinese senza pestare i piedi alla Russia.

Il conflitto in Ucraina visto dal web cinese

Dove i media tradizionali si sono mossi sui binari tracciati dalle direttive statali, sulla questione ucraina il web cinese si è invece pronunciato in diverse direzioni. C’è chi ha espresso empatia per i rifugiati ucraini e si augura la fine del conflitto e chi invece ha mostrato grande ammirazione per Putin in quella che è percepita come una coraggiosa opposizione alla prepotenza occidentale. Ma ci sono anche utenti che hanno letto nell’aggressione russa un monito per i “piccoli taiwanesi” (wanwanmen 湾湾们) e chi infine ricollega la crisi ucraina alla responsabilità statunitense. Alcune delle tematiche già presenti nella narrativa statale, come il sentimento antiamericano e la difesa della neutralità della Cina hanno dunque trovato riscontro anche sui social, mentre altri, quali l’elogio di Putin e il paragone con Taiwan (espresso attraverso dei meme che puntano ad ammonire la “provincia ribelle”, come la chiama Pechino) sono tra gli elementi che la stampa nazionale ha evitato pedissequamente e che anche sui social cerca di appianare. Una delle immagini più condivise sui social durante i primi giorni del conflitto mostrava ad esempio un maiale dal nome Ucraina (o in alternativa una capra) venire macellato, mentre un secondo suino chiamato Taiwan, guardava terrorizzato. Taipei non è Kyiv, sottolineano tanto i media cinesi che quelli taiwanesi, ma il monito degli utenti del web nella RPC resta.

Ma soprattutto, se nelle giornate immediatamente successive all’incursione militare della Russia in Ucraina la voce del popolo digitale cinese è stata particolarmente attiva e gli utenti cinesi si dicevano “troppo presi dal conflitto in Ucraina per poter lavorare” (un neologismo fondato sull’omofonia dei caratteri che trasforma wúxīn gōngzuò 无心工作in wūxīn gōngzuò 乌心工作) , con il passare delle settimane l’attenzione del web ha ripiegato sulle questioni interne e la moderazione (e rimozione) dei contenuti online da parte delle autorità cinesi ha smorzato i toni del dibattito online.

Durante i primi giorni del conflitto, i thread relativi all’intervento militare della Russia sono rimasti nella top ten delle tematiche più discusse della piattaforma di microblogging SinaWeibo e gli hashtag sul conflitto hanno raccolto miliardi di visualizzazioni in poco tempo. Le reazioni degli utenti sono state delle più disparate e il popolo digitale si è mostrato diviso. Da una parte, diversi utenti hanno condiviso un senso di rivincita nel vedere la Russia opporsi all’egemonia statunitense e hanno ricordato il “debito di sangue” che la Nato deve alla Cina (北约至今还欠中国笔血债), un riferimento al bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado del 1999. Dall’altra, le posizioni di condanna alla guerra raramente si sono mostrate in aperta critica con la posizione governativa, dimostrando un dissenso leale1)Johan Lagerkvist e Gustav Sundqvist, “Loyal Dissent in the Chinese Blogosphere: Sina Weibo Discourse on the Chinese Communist Party”, Studies of Media and Communication, 1, 1, 2013, 116-128, 120. caratteristico della sfera social cinese che tende a esprimere disaccordo senza però andare contro alla linea comunicata dai vertici. Si condanna la guerra, ma mai la Russia. Si critica il mancato tempestivo rimpatrio dei cittadini cinesi in Ucraina, ma senza mai mettere in dubbio la posizione cinese sul conflitto. Solo così il dissenso leale trova spazio sui social cinesi, criticando il particolare e mai il generale.

Nel più ampio dibattito sul nazionalismo in Cina, il concetto di “dissenso leale” teorizzato da Lagerkvist e Sundqvist risponde a chi vede nel nazionalismo popolare una potenziale origine dell’opposizione al governo e uno stimolo per l’attivismo popolare, individuando una specifica forma di critica online che esprime pareri di dissenso verso specifiche politiche (o funzionari) senza mettere in discussione l’assetto generale e la legittimità del Partito Comunista. La divulgazione di tale forma di dissenso leale è generalmente accettata e non censurata sul web cinese perché consente alle autorità di individuare elementi di scontento nella popolazione senza che la lealtà al sistema di governo venga messa in discussione.

Come sottolineato da Maya Koetse di WhatsonWeibo, anche chi commenta a favore della pace è stato additato dai leoni da tastiera nazionalisti come “traditore” e “ipocrita”. La retorica è ancora una volta in chiave antistatunitense: se condannate la guerra in Ucraina dovete condannare anche tutte le guerre di cui gli Usa sono responsabili. Le posizioni pro-Putin sui social cinesi sono quindi da leggere non in ottica anti ucraina, ma come parte della ridiscussione identitaria che avviene sui social media cinesi e che passa necessariamente attraverso il sentimento anti-straniero, in particolare quello antiamericano. A consolidare l’identità nazionale infatti non è la presunta vicinanza con la Russia, ormai considerata “fratello minore” della Cina, ma la contrapposizione agli Stati Uniti.

Per mantenere la pragmatica neutralità voluta da Pechino anche sui social però, i commenti e i contenuti apertamente critici della Russia hanno vita breve. È il caso del video di un cittadino cinese residente a Odessa, che su Wechat ha invitato i connazionali a “non supportare i russi di Putin”. Video rimosso dal web e account bloccato. Scomparse anche le posizioni ostili alla guerra della celebrity transgender Jin Xing 金星, che aveva dato del “pazzo” a Putin. Così come l’account Weibo dell’attrice Ke Lan 柯蓝, bloccato per aver condiviso immagini delle proteste di San Pietroburgo. Allo stesso modo, i contenuti polarizzati in senso opposto, troppo aggressivi e che incitano a una risoluzione violenta da parte della Cina, sono sistemicamente oscurati. Complice anche la stringente legge sugli algoritmi appena introdotta in Cina, diverse piattaforme stanno rimuovendo autonomamente i contenuti che non rispettano la “civiltà digitale” (wangluo wenming 网络文明) positiva e armoniosa voluta da Xi e che rischiano di essere considerate come “informazioni false” ai sensi della nuova norma. Restano invece indisturbate alcune pillole di propaganda russa e sprazzi di disinformazione come la teoria complottista dei laboratori biologici in Ucraina, tematica che su Weibo ha raggiunto 180 milioni di visualizzazioni in un giorno. Ma anche i commenti che rimarcano che “la Russia non sta colpendo i civili” e gli hashtag in favore di Putin.

Chi condanna la Russia e trova troppo moderata la posizione cinese oggi sui social lo fa in modo indiretto, con like strategici a commenti empatici e rispondendo ai nazionalisti più veementi. Una reazione di silenzioso supporto per la pace, che prova a non farsi oscurare dalla neutralità imposta dal Partito.

Il dissenso leale degli intellettuali cinesi

Sotto attento scrutinio anche l’opinione dei vari intellettuali cinesi, le cui analisi sul conflitto tra Russia e Ucraina sopravvivono al setaccio del controllo statale solo se in linea con la dialettica del governo. Tra i resoconti che hanno fatto il giro del web, c’è chi considera lo scontro ucraino un affare europeo e una responsabilità degli Stati Uniti, come l’architetto Zhao Yanjing 赵燕菁, che descrive la posizione cinese attraverso le parole dello storico Sima Qian 司马迁, vedendo la Cina “seduta sulla montagna a guardare le tigri combattere” (zuoshan guan hu dou 坐山观虎斗). Un approvare la posizione di non interferenza adottata in prima battuta dal governo cinese, che individua nel conflitto in Ucraina un’“estensione della lotta interna degli Stati Uniti e una difesa della globalizzazione”. Per l’accademico Shen Yi 沈逸, invece, la guerra in Ucraina è diretta conseguenza dell’espansione a est della Nato, una minaccia paragonabile per la Russia alla crisi missilistica tra Cuba e Usa del 1962 per tensione e difficoltà di risoluzione. Popolare anche l’opinione del ricercatore nazionalista Sima Nan 司马南, che su Weibo ha condiviso il suo entusiasmo per il conflitto in corso sostenendo che la posizione cinese è che “alla fine dei conti la Russia non sarà sconfitta” (zhongguo de dixian shi eluosi buneng bai 中国的底线是俄罗斯不能败) e che la partnership tra Russia e Cina è una questione di “sopravvivenza” in ottica anti statunitense. Largo consenso anche in merito ad alcune teorie complottiste in circolazione su Wechat, come quella espressa in un articolo del professor Tang Shiping 唐世平, che vede nell’invasione russa un articolato piano degli Stati Uniti per approfittarsi della situazione di crisi in Europa e consolidare i propri legami nella regione.

Censurata invece la lettera aperta di cinque storici provenienti da prestigiose università cinesi, nella quale condannavano l’invasione in Ucraina e sottolineavano il rischio per la Cina di essere associata all’egemonia russa. La lettera è rimasta in circolazione su Wechat per qualche tempo prima di essere cancellata e diversi utenti del web cinese hanno dato ai professori dei “traditori della patria” (hanjian 汉奸). A Hong Kong inoltre, alcuni studenti hanno creato una petizione per opporsi all’invasione russa, ma i media locali pro Pechino hanno bollato l’iniziativa come disinformazione sovversiva, invocando la legge sulla sicurezza nazionale per appianare il dissenso. Sparito dal web cinese anche il pezzo di Hu Wei 胡伟, consigliere del governo cinese che era stato eccessivamente critico nei confronti di Putin. Nel suo ragionamento, Hu prevede la disfatta del Cremlino e il conseguente rafforzamento delle potenze occidentali. A seguito del conflitto, sostiene il ricercatore, “il potere dell’Occidente aumenterà in modo significativo e la Nato continuerà a espandersi” (西方力量将得到明显的增长,北约将继续扩大,美国在非西方世界的影响力也将提升) e le “forze anti-occidentali nel mondo ne risulteranno indebolite”. Un commento troppo diretto e in netto contrasto con la retorica ufficiale per potere sopravvivere al vaglio del filtro censorio cinese. La stessa sorte toccherà probabilmente anche alla lunga riflessione pubblicata dall’accademico Su Xiaoling 苏小玲, che oltre a condannare i leoni da tastiera nazionalisti che supportano la guerra, ha aspramente criticato la Russia di Putin, invitando i concittadini a non dimenticare il Secolo di Umiliazione Nazionale e i trattati di Nerchinsk (1689) e di Aigun (1856), due momenti particolarmente critici nei trascorsi storici tra Russia e Cina. “Storicamente il governo russo non è stato amichevole con i cinesi e in molti sono stati calpestati, esiliati e massacrati” (历史上俄国政府对待华人并不友好,被欺凌、被流放和被屠杀的并不在少), racconta Su. E continua: “La Russia ha ereditato l’arroganza dell’Unione sovietica” (并且对外[俄罗斯]承继着前苏联唯我独尊的蛮横外交) e l’impresa militare di Putin sarà un fallimento. Pur contestando la Russia, le voci che come quella di Su escono dai bordi della retorica governativa non mancano però di salvare in ultima analisi la posizione cinese, confermando quel dissenso leale che si concede delle libertà senza però criticare le scelte del Partito.

Dai social media ai quotidiani di stato, passando per le diverse voci degli accademici cinesi, parlare della guerra in Ucraina nella RPC oggi significa parlare di Stati Uniti, di Nato, di Putin e di antiamericanismo, mentre l’Ucraina rimane a corollario e offre un pretesto per mostrare gli sforzi umanitari del governo cinese e al contempo smontare i doppi standard delle democrazie occidentali. Secondo il racconto cinese, la posizione di neutralità della RPC rispetto all’Ucraina è coerente. E per i cittadini cinesi le questioni interne rimangono prioritarie. Come ricordato dallo stesso Su, i cinesi “sono spettatori che osservano per intrattenimento”, ma quando si tratta di analizzare le implicazioni geopolitiche del conflitto in Ucraina “non ci pensano neanche. La cosa più importante, è come arrivare a fine giornata”.

Studiosa di Cina, Lucrezia Goldin è laureata con lode al Master of Arts in Chinese Studies presso la Leiden University. Specializzata sui temi di nazionalismo popolare e cyber governance si interessa anche di cinema e identità culturale. Nel 2017 è stata assistente alla ricerca per il progetto “Chinamen: un secolo di cinesi a Milano”. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni tra Repubblica Popolare Cinese e Paesi Bassi, ora scrive di Cina e cura per China Files la rubrica “Weibo Leaks: storie dal web cinese”.

References
1 Johan Lagerkvist e Gustav Sundqvist, “Loyal Dissent in the Chinese Blogosphere: Sina Weibo Discourse on the Chinese Communist Party”, Studies of Media and Communication, 1, 1, 2013, 116-128, 120.