Introduzione: alcuni dati sulle relazioni sino-sudcoreane

L’anno nuovo si apre in Corea del Sud con il clima febbrile delle elezioni alla Casa Blu che si sono tenute il 9 marzo 2022 e hanno portato alla nomina del tredicesimo Presidente della sua breve storia repubblicana: il candidato Yoon Seok-youl. Si conclude il mandato del presidente Moon che per Costituzione non potrà essere rieletto, ma che si è insediato sfilando bruscamente il potere al gruppo dei “conservatori”, rappresentati precedentemente da Lee Myung-bak e Park Geun-hye: condannati rispettivamente a quindici e vent’anni di reclusione, i due sperano, dal carcere, in questa nuova svolta politica, che per loro potrebbe tradursi in una scorciatoia per l’amnistia.

Nei continui scontri che hanno arroventato i dibattiti politici durante la campagna elettorale sono trapelate ancora le annose frizioni tra i due principali gruppi antagonisti – progressisti e conservatori – che professano una visione manageriale del Paese fondamentalmente incompatibile l’una con l’altra. Come in un intricato matrioska, i contrasti tra questi due gruppi si replicano su scala sempre più ampia: prima regionale, poi nazionale, poi ancora inter-coreana e sfociano infine nelle questioni di carattere internazionale, che sono particolarmente delicate se si considerano la posizione geopolitica e la struttura economica del Paese. Peraltro l’ascesa della Cina e il ridimensionamento dell’influenza degli USA nell’immaginario globale collettivo inevitabilmente rimescolano le carte identitarie coreane, rimettendo in discussione la posticcia narrativa che la Corea del Sud aveva brevettato nel dopoguerra.

Il nuovo presidente Yoon, un conservatore, dovrà intanto fare i conti con una contraddizione che appare sempre più lampante, quanto irrimediabile: la Corea del Sud rappresenta politicamente, ideologicamente e militarmente un alleato degli USA, ma sul piano strettamente economico la partnership con la Repubblica Popolare Cinese conta ormai di gran lunga più di qualsiasi altra.

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 1: Partner commerciali della Corea del Sud, adattamento da Yeonap News (20 gennaio 2020)

Per un Paese la cui economia si fonda sulle esportazioni e la cui autosufficienza alimentare si aggira intorno al 47%, il commercio con la Cina è diventato la base stessa della propria sopravvivenza. Per dirla in altri termini, la Corea del Sud allo stato attuale dipende economicamente dalla Cina. A partire dalla normalizzazione dei rapporti diplomatici, ovvero dal 1992, a oggi il volume degli scambi commerciali è passato da 6,4 miliardi di dollari a 300, aumentando di circa 50 volte e superando quello di USA e Giappone messi insieme. L’attivo nel bilancio import/export del 2019 era di circa 29 miliardi. Con 21 milioni di unità nuove registrate nel 2020 (quasi il doppio del numero europeo) e una crescita del 6.6 %, la Cina rappresenta il più grande mercato di consumo di auto ed è diventato un bacino di vitale importanza per le vetture coreane, una delle industrie più importanti del Paese,1)Wang Junsheng 王俊生, “Hanjung kwangye kodohwa pang’an” [Orientamento e rafforzamento delle relazioni tra Corea del Sud e Cina], Chŏnhwangi Tongbuga chilsŏ-wa Hanjung kwangye-ŭi chaegusŏng, 29, 2020, 121. ma anche per i semiconduttori, i prodotti di elettronica e tutto il made in Korea. In Cina è operativa una fitta trama di enti nazionali volti a promuovere gli scambi e gli investimenti tra i due Paesi: venti uffici KOTRA (l’Organizzazione per la promozione commerciale), quarantacinque camere di commercio e tre organizzazioni commerciali non a fini di lucro.

Fig. 2: Autosufficienza alimentare della Corea del Sud, grafico adattato da Money Today, 13 aprile 2020.

Nel frattempo gli scambi si sono infittiti anche a livello politico e culturale. Dal 1992 al 2019 sono avvenuti, ad esempio, quarantacinque incontri di vertice tra i due Paesi. Non è forse un caso che la prima visita ufficiale all’estero di Xi Jinping abbia avuto come destinazione la Corea del Sud2)Wang Junsheng, “Hanjung kwangye”, 126. e che, dall’inizio del suo mandato, il Segretario Generale del Partito comunista cinese abbia già incontrato ben cinque volte Kim Jong-un. Gli scambi “umani” sono aumentati di 62 volte dal 1992 al 2019 e, prima della pandemia, oltre mille voli settimanali univano i due Paesi. La rete dei loro fitti rapporti è eloquentemente rappresentatadal numero dei gemellaggi tra città coreane e cinesi che sono a oggi ben 672.

Attualmente in Corea del Sud risiedono 247.330 cittadini cinesi. Se si considerano anche i 647.576 sino-coreani la comunità finisce per rappresentare quasi la metà del numero complessivo di stranieri (circa due milioni) al di sotto del 38° parallelo e quasi il 2% della popolazione totale. Si tratta di una reale “minoranza etnica”, per mutuare un’espressione cara alla retorica cinese, in un Paese che però fino a qualche anno fa aveva fatto della sua demografia monoetnica il fattore fondante della sua identità. Particolarmente rilevante è il dato sulla mobilità degli studenti. Quelli coreani in Cina erano già 18.267 nel 2003, ma sono saliti a 73.240 nel 2017, a prova del sempre maggiore riconoscimento attribuito alle istituzioni accademiche cinesi. In Corea del Sud si è assistito a un vero e proprio boom nello studio della lingua cinese, comunemente conosciuto come “fervore dell’idioma Han” (汉语热). Il primo Istituto Confucio in assoluto nel mondo è stato aperto a Seoul il 21 novembre 2004 e attualmente se ne contano ventiquattro (il doppio di quelli italiani). I coreani sono al primo posto per numero nella lista degli studenti stranieri in Cina, di cui rappresentano il 16%. Altrettanto numerosi sono gli universitari cinesi in Corea: nel 2003 erano appena 8.904, ma hanno raggiunto 68.537 nel 2018. Rappresentano il 57.7% degli studenti stranieri e sono una fonte di incassi di inestimabile valore per le disastrate finanze di alcune università, perché permettono provvidenziali entrate extra, essendo invece il numero delle matricole coreane contingentato. Oltre a rappresentare una grande risorsa per le università che puntano sempre più all’internazionalizzazione dei propri percorsi di studio, questa comunità sembrerebbe godere di un sempre maggiore grado di influenza nella vita politica del Paese, come dimostrerebbe, ad esempio, la partecipazione di studenti cinesi alle proteste contro il presidente Park.

Asimmetria del rapporto Cina – Corea del Sud e ripercussioni economiche

Dal 1992 la normalizzazione diplomatica tra Cina e Corea del Sud ha assistito a una costante e rapida evoluzione. L’intesa fra i due Stati concepita inizialmente come “Relazioni di amicale cooperazione” fu progressivamente riqualificata nel corso di un ventennio fino ad approdare al 2014, sotto la reboante veste di “Partnership strategica di cooperazione avanzata”. Sebbene aleggiasse un reciproco clima di diffidenza, come dimostrerebbe il fatto che il governo cinese ha bloccato nel luglio del 2014 Kakao e Line (le principali app made in Korea di messaggistica istantanea) in quegli anni cresceva in Cina l’appeal mediatico della Corea grazie soprattutto al K-pop e a una serie televisiva in particolare: “Discendenti del sole” (태양의후예). Con quasi trecento milioni di visualizzazioni su IQ, la soap batté il record di incassi di un prodotto di entertainment coreano all’estero.

Quello costruito dal 1992 in poi tra i due Paesi si è configurato da subito come un rapporto speciale in cui entrambi i Paesi miravano a massimizzare i benefici economici mettendo da parte la loro visione ideologica – “trade preceding the flag” – e, soprattutto, evitando di provocare eccessivamente Corea del Nord e Taiwan.3)Jae Ho Chung, “From a Special Relationship to a Normal Partnership?: Interpreting the Garlic Battle in Sino-South Korean Relations”, Pacific Affairs, 76, 4, 549. In effetti anche questa presunta discrepanza di “visione ideologica” si ridimensionò significativamente dopo la svolta politica del 1998 che permise ai progressisti nel 1998 di salire al governo e di rimanervi fino al 2008. Nel 1999 Kim Dae-jung annunciò di non intendere partecipare al TMD (sistema antimissile di teatro) a differenza di Tokyo e Taipei, riuscendo così a meritarsi ulteriori consensi da parte di Pechino. In quegli stessi anni toccò, nel frattempo, i massimi il sentimento antiamericano, soprattutto dopo il tragico incidente del 13 giugno 2002, nel quale un veicolo militare statunitense investì due studentesse quattordicenni, uccidendole. Questo inedito clima favorevole e di cambio di orientamento politico evidentemente contribuì a un ulteriore rafforzamento del rapporto economico tra i due Paesi, che in quegli anni agevolò l’uscita della Corea dalla grave crisi finanziaria IMF degli anni Novanta.

Dietro una fitta cortina di benefici, l’asimmetria nel livello di dipendenza economica nelle relazioni tra Cina e Corea, però, aveva cominciato a creare inevitabilmente un margine di vulnerabilità strategica. La prima avvisaglia di uno squilibrio in questa ormai decennale luna di miele tra i due Paesi risale all’incidente commerciale comunemente conosciuto come “guerra dell’aglio”, inutile dirlo, uno degli ingredienti più importanti nella cucina coreana. L’aumento delle importazioni dalla Cina portò alla protesta di ottantamila agricoltori coreani che, pur rappresentando meno del 10% della popolazione, evidentemente continuavano a godere di un enorme ascendente politico, soprattutto data l’imminenza delle elezioni presidenziali. Ebbene il primo giugno 2000 Seoul impose una tariffa del 315% sulle importazioni di questo prodotto. Sebbene l’aglio costituisse solamente una parte molto contenuta nei crescenti scambi tra i due Paesi, questo intervento ebbe un forte impatto economico su alcune aree dello Shandong (dove generalmente erano coltivati prodotti agricoli destinati all’esportazione) e in particolare nell’area del Changshan, dove cinque agricoltori si tolsero la vita. Sostenuta da un’opinione pubblica improvvisamente miso-coreana, la Cina rispose pesantemente interrompendo bruscamente le importazioni di telefonini e polietilene dalla Penisola e inferendo così un duro colpo all’export sudcoreano. Parallelamente questo episodio determinò un temporaneo cambiamento della percezione della Corea da parte della Cina, che fu evidente nei commenti negativi di alcuni cronisti cinesi in occasione dell’avanzamento della Corea del Sud alle semifinali dei Mondiali di Calcio 2002.4)Jae Ho Chung, “From a Special”, 559.

Questa ritorsione economica che per la prima volta assaporava Seoul tradiva i limiti di una sempre più sbilanciata dipendenza da un’ascendente superpotenza economica. Questo episodio rappresentò, però, solo il primo di una serie di questioni di una certa rilevanza che hanno saputo ciclicamente incrinare i rapporti tra i due Paesi, mostrandone i potenziali rischi e la sistemica fragilità. Nella sua Costituzione del 1982 la Repubblica popolare cinese si definiva uno “Stato unitario, ma multietnico” (统一的多民族国家) e cooptava al suo interno anche l’etnia chaoxian, ovvero i coreani. Divenendo in questa nuova ridefinizione della Cina la tradizione delle minoranze parte integrante della cultura cinese stessa, si lasciava intendere che, per sillogismo, confluissero in quel calderone multietnico anche tutti gli elementi propri della cultura coreana. Da ciò derivò l’inizio di ciclici scontri sull’attribuzione di “beni culturali” tangibili o meno di cui entrambi rivendicavano la paternità e il diritto di registrazione all’UNESCO. Questa serie di scontri ha riguardato, ad esempio, il festival del Tano di Kangnŭng, le pitture parietali di Koguryŏ, la canzone arirang, gli abiti tradizionali hanbok e, più recentemente, persino il kimch’i.

Questo sofismo contro il quale più volte si sono trovati a collidere i due Paesi infiammava un nervo scoperto della sfera emotiva coreana, rimettendo in discussione, come durante gli anni della colonizzazione giapponese, l’autonomia della cultura della Corea, che tornava a essere trattata come un regno sottomesso (屬國), privo di una sua effettiva indipendenza politica. Particolarmente rilevante è stato a questo proposito nel 2004 il lancio da parte dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, con il supporto di Pechino, del “Progetto del Nord-est” (东北工程), ovvero del “Progetto di ricerca sulla storia e sulla situazione attuale dei territori di frontiera del Nord-est” (东北边疆历史与现状系列研究工程), un ambizioso piano quinquennale di ricerca storica, revisionista, promosso con lo scopo di fare luce sul passato della Manciuria, un territorio di frontiera, appunto, assai delicato e strategico dal punto di vista geopolitico. Questo progetto portò alla riscrittura da parte cinese di alcune pagine della storia del Nord-est asiatico e in particolare quelle che riguardavano Chosŏn antico, Koguryŏ e Parhae: inglobando nella tradizione cinese queste “storie locali” si metteva, però, in discussione la narrativa identitaria della penisola che affondava le sue radici almeno nel XII secolo.

Un contenzioso di carattere territoriale riguarderebbe ancora la Manciuria, l’area del Kando, e in particolare il monte Changbai (Paektu), che alcuni considerano illegittimamente ceduto in parte alla Cina dal regime nord coreano. A far tornare alla ribalta questo problema furono delle atlete di short track che, nel 2007, durante la cerimonia di premiazione dei giochi invernali asiatici a Changchun, sventolarono sul podio dei fogli che riportavano la scritta “il monte Paektu appartiene alla Corea”.

La questione del Thaad e una nuova pagina nelle relazioni sino-coreane

La svolta conservatrice nel 2008 pare non abbia sbilanciato significativamente il rapporto Seoul-Pechino. Sebbene Lee Myung-bak ritenesse opportuno e urgente un rilancio delle relazioni con gli USA, compromesse dai suoi predecessori, la sua visione politica fondata su un “armonioso liberalismo” e un “creativo pragmatismo”5)Hwang Suyŏng, “2010nyŏn ihu Han’guk taet’ongnyŏng-ŭi taejung insig-e kwan-han yŏn’gu” [Ricerca sulla visione delle relazioni con la Cina dei Presidenti coreani dopo il 2010], Social Science Studies, 28, 1, 2020, 53. ammise un ampio margine di cooperazione con la Cina. Alla vigilia del suo incontro con Hu Jintao nel 2008, il portavoce del Ministero degli esteri cinese ebbe a precisare che l’alleanza tra Corea e Usa fosse solo un retaggio della guerra fredda, anacronistico rispetto alle nuove questioni di sicurezza del Nord Est. D’altro canto, anche Seoul si aspettava una rimodulazione del rapporto tra Pechino e P’yŏngyang, soprattutto dopo le due pesanti provocazioni del 2010 della Corea del Nord — l’abbattimento della corvetta Ch’ŏnan e l’attacco all’isola di Yŏnp’yŏng.6)Yi Myŏngbak, Taet’ongnyŏng sikan 2008-13 [Il tempo del Presidente 2008-13] (Seoul : RH Korea, 2015), 287. La Cina che si definiva uno Stato unitario e faticava ad ammettere l’indipendenza di Hong Kong o alcuna forma di autonomia al suo interno, non si curava affatto, invece, che di fianco a lei la Corea fosse dal 1948 smembrata in “Two countries and two systems”. Dato il clima di sfiducia sul tema della sicurezza, Seoul riprese a puntare sull’alleanza americana e acconsentì all’avvio delle esercitazioni congiunte ROK-US nel Mar Giallo. Le Foal Eagle (esercitazioni aquila) inaugurate nel lontano 1997 (e ridimensionate solo nel 2019 da Trump) erano all’epoca tra i maggiori e più dispendiosi addestramenti militari al mondo, ma erano anche una costante provocazione contro i non alleati locali.

Il mandato del successore, Park Geun-hye, iniziò nel 2013 con le migliori intenzioni verso la Repubblica popolare, che servivano anche a bilanciare lo stato compromesso delle relazioni con il Giappone, al punto che la Presidentessa decise di apparire nel 2015 di fianco ai leader cinesi e russi al settantesimo anniversario della vittoria della Seconda Guerra Mondiale, là dove sessant’anni prima aveva presenziato Kim Il Sung. I rapporti tra i due partner sembravano solidi al punto che la Corea del Sud attivò un accordo di libero scambio con la Cina e si iscrisse come Stato fondatore alla AIIB, Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture con quartier generale a Pechino, un’antagonista dell’Asian Development Bank, proposta nel ‘66 da Stati Uniti e Giappone.

La situazione cambiò radicalmente tra il 2015 e il 2016 quando la Park acconsentì all’acquisizione e installazione di un sistema di difesa antibalistico americano, conosciuto come “Difesa d’area terminale ad alta quota” (THAAD), che teoricamente serviva a migliorare le capacità di rispondere a un eventuale attacco nord-coreano, ma che, contemporaneamente, poteva essere adoperato anche per contenere attacchi cinesi dallo Shandong. La costante militarizzazione della Penisola significava la connivenza di Seoul con la politica americana di contenimento della Cina, ma d’altronde per la Corea si trattava di una legittima misura in risposta a un quarto test nucleare di P’yongyang avvenuto nel gennaio 2016 a cui non era seguita la risoluta risposta attesa da Pechino. Con l’accrescersi della tensione, fu avviata una prima campagna sistematica cinese di boicottaggio che colpiva in prima linea il settore dell’entertainment coreano. Non riconosciuta ufficialmente dalle autorità, essa è stata ufficiosamente chiamata “ordine di limitazione della Corea” (限韓令) ovvero “dell’onda coreana” (韓流禁止令). Si trattava di una silenziosa ritorsione senza precedenti che colpì soprattutto il settore del turismo che registrò nel 2017 un calo del 48,4%. Oltre alla musica, anche i libri e le pubblicazioni dalla Corea del Sud furono bandite.7)Jae Ho Chung, “From a Special”, 252. All’interno dell’opinione pubblica cinese serpeggiò un condiviso sentimento anti coreano o meglio di “fastidio” verso i coreani (嫌韓), che riuscì ad affievolirsi solo con l’impeachment e la carcerazione di Park Keun-hye, che agli occhi della Cina dovette sembrare una collettiva ammissione di colpa da parte della Repubblica di Corea. Il nuovo presidente progressista Moon cercò di investire significativamente sul miglioramento delle relazioni inter-coreane, così da poter evitare la necessità stessa di ulteriori investimenti nel sistema di difesa antibalistico e dribblando così le pressioni USA. Durante il mandato Moon, però, la questione THAAD è stata solo insabbiata, ma è verosimile che il nuovo inquilino alla Casa Blu dovrà chiarire meglio la posizione sudcoreana rispetto alla cordata di alleanza indo-pacifica e dovrà anche porre un riparo ai problemi sostanziali nell’alleanza US-ROK, esacerbati nei dieci anni di governo progressista: tra questi innanzitutto la gestione delle basi americane e la restituzione di alcune di loro alla Corea; la ripartizione del pagamento delle spese militari e soprattutto la ritrosia di ROK di partecipare all’alleanza con il Giappone per il contenimento della Cina, come d’altronde è emerso nella resistenza della Repubblica di Corea a rinnovare l’accordo GSOMIA. Sebbene il presidente Moon sia stato nel corso del suo mandato estremamente cauto nei rapporti con la Cina,8)Wang Junsheng, “Hanjung kwangye”, 128. all’interno della popolazione è tuttavia costantemente lievitato un sentimento anticinese, che ha raggiunto al momento i suoi massimi storici. Stando al centro di ricerca sull’Asia della Seoul National tra le generazioni di ventenni e trentenni 7 su 10 persone reputano che la Cina influenzi negativamente la Corea e il 90.8% dei rispondenti ha dichiarato di riporre in essa poca o alcuna fiducia. Alle questioni di carattere politico o ideologico analizzate si aggiunge la questione circa le responsabilità della Cina nella gestione del Covid che ha inferto un duro colpo soprattutto alle libere imprese. A questo si aggiunge anche il problema dell’inquinamento, che da solo è in grado di compromettere significativamente la qualità della vita quotidiana dei coreani e di alzarne considerevolmente la soglia di stress. Generalmente l’opinione pubblica, sempre più attenta alle questioni della salute e ambientali, attribuisce infatti alla Cina la colpa del costante aumento delle polveri sottili e ultrasottili, problema particolarmente significativo nel periodo invernale e aggravato dall’uso dei riscaldamenti a carbone e dalla quasi assenza di pioggia. Il dato sulle polveri sottili presente sulle maggiori app meteo coreane è un monito collettivo quotidiano ai rischi per la salute dei Sud coreani, e contribuisce a instillare in loro giorno dopo giorno un sempre più forte risentimento contro i potenti vicini.

(Sotto l’emoticon è riportato: Cattivo: aria pesante, fate attenzione quando uscite!)

Conclusioni

Alla proficua partnership commerciale tra la Corea e la Cina contribuisce anche il loro rapporto storico basato su un secolare rispetto. La stima verso la tradizione confuciana e la convinzione della sua superiorità era assoluta nella Corea Chosŏn e soprattutto dopo l’intervento dei Ming per respingere l’invasione giapponese la Corea amava firmarsi “Regno Chosŏn che appartiene ai Ming” (有明朝鮮國). La devozione coreana verso l’Impero era assoluta, al punto che fino alla guerra sino-giapponese nel Taebodan venivano praticati riti rivolti agli imperatori della dinastia Ming, ormai dimenticati nella loro stessa terra. Yi Chunghwan (1690-1752) arrivò persino a interpretare la forma della Corea come un vecchio prono verso la Cina in segno di rispetto, sostenendo che per conformazione geomorfologica la penisola fosse la manifestazione geografica del rispetto della sua gente verso l’Impero.9)Kim Yŏngsik, Chunguk-kwa Chosŏn, kŭriko chunghwa [La Cina, Chosŏn e la civiltà cinese] (Seoul : Ak’anet, 2018), 44. La Corea di Chosŏn si riteneva insomma una piccola protesi della civiltà cinese (小中華, civiltà cinese in miniatura) e, dopo l’insediamento della dinastia mancese dei Qing, si fregiò addirittura di esserne la legittima depositaria (朝鮮中華, civiltà cinese di Chosŏn). Ma la Corea è anche quella del generale Ŭlji Mundŏk che aveva nel VII secolo sconfitto l’esercito Sui, quella di Wan Kŏn che nelle sue ingiunzioni reclamava la dipendenza culturale dalla Cina e anche quella degli intellettuali modernisti che alla fine del XIX vollero definitivamente recidere l’atavico rapporto di vassallaggio, contribuendo a quell’umiliazione dei cent’anni (百年国耻) che oggi la RPC rinfaccia al mondo. La Corea è ancora quella che con la Cina si è scontrata negli anni Cinquanta in una guerra che ha strappato alla vita circa un milione di sudcoreani.

Nell’epoca del cosiddetto G-2, la Cina si ritrova nel pieno di un processo di formazione identitaria, affida al conservatorismo e a un rilancio del neoconfucianesimo l’espressione di un riconquistato orgoglio della sua cultura tradizionale e trova in loro una risposta alla crisi morale determinata dal consumismo e dal materialismo (occidentali).10)Cha Taesuh, “Competing Visions of a Postmodern World Order: the Philadelphian System versus the Tianxia System”, Cambridge Review of International Affairs, 31, 5, 2018, 392. In quanto nuovo stato egemonico probabilmente tenderà a ridisegnare l’ordine mondiale modellando la logica delle relazioni internazionali in linea con i propri valori11)Cha Taesuh, “Competing visions”, 394. e creando (o illudendosi di creare) un mondo post-moderno e post-occidentale basato sulle sue esperienze storiche idealizzate. In un’ipotesi di un nuovo ordine mondiale centrato sulla Cina, un nuovo tianxiaismo, non ci si può non chiedere quale sarà il ruolo della Corea che è stata sempre un cardine imprescindibile nella geopolitica dell’Impero. Se è vero che culturalmente e storicamente la penisola coreana ha cesellato nei secoli un rapporto viscerale con la Cina, è anche vero che la Repubblica di Corea è un prodotto strategico degli Stati Uniti, dalla cui alleanza è dipeso il suo concepimento e poi, nel tempo, la sua stessa sopravvivenza.

È proprio la progressiva intensificazione della competizione tra USA e RPC che sta rendendo sempre più difficile per la Corea riuscire a salvaguardare i propri interessi economici in Cina, senza però ridefinire la natura delle sue relazioni bilaterali strategiche e politiche. D’altro canto, la Cina ne è consapevole e ciclicamente ricorre a strumenti economici per influenzare decisioni in merito alla sua sicurezza nazionale. È legittimo che Seoul voglia rafforzare il proprio mercato e la propria economia e, nell’ipotesi di un successo della nuova via della Seta, la Corea potrebbe ampiamente beneficiare sia della rotta settentrionale che di quella meridionale della “one belt one road”. Ma, come sostiene Wang, la crescita delle relazioni commerciali non sarà sostenibile nel tempo. Il vantaggio tecnologico sulla Cina si sta riducendo progressivamente e molti degli articoli esportati dalla Corea sono o saranno prima o poi sostituibili. Se mai la Cina riuscisse nella Quarta Rivoluzione Industriale ad affermare un suo nuovo standard internazionale, sarà piuttosto la Corea a diventare dipendente dalla sua tecnologia. Già negli ultimi anni le vendite della Kia e della Hyundai si sono ridotte del 30% nel mercato cinese, a fronte di un aumento delle macchine locali, lo stesso processo riguarderà probabilmente i cellulari e gli altri prodotti hi-tech in generale. A partire dalla guerra dell’aglio alcune aziende coreane si sono spostate su altri mercati asiatici come India e Vietnam tentando la strada del decoupling. Il gruppo LOTTE a causa della ritorsione dovuta al THAAD ha subito una perdita di quasi due miliardi di dollari e ha finito per sospendere l’attività dei suoi duty free e la costruzione di altri suoi stabilimenti. I suoi centri commerciali hanno poi definitivamente chiuso le operazioni in Cina, potenziando altri mercati come l’Indonesia e il Vietnam dove gestisce attualmente 60 punti vendita.12)Hwang Suyŏng, “2010nyŏn ihu”, p. 54. La Corea del Sud che tanto ha lottato per la conquista della democrazia e per il riconoscimento dei propri diritti umani dovrà prendere prima o poi una posizione rispetto alle questioni di Hong Kong, del Xinjiang, del Tibet e di Taiwan a rischio di perdere appeal proprio tra le altre popolazioni asiatiche che oggi acclamano il sistema Corea e che rappresentano le più valide alternative per gli investimenti di Seoul. Il Presidente Yoon che è stato appena eletto si dovrà confrontare con le profonde contraddizioni che eredita la politica sudcoreana e, probabilmente, nel caso di una guerra commerciale a oltranza tra le due maggiori economie del mondo, avrà più di tutto il duro compito di operare delle impopolari scelte e ridefinire la posizione della Corea nel nuovo scacchiere politico internazionale.

Immagine: da Piqsels.com

Andrea De Benedittis è professore associato presso l’Università di Napoli “L’Orientale”. È autore di vari articoli e testi sulla storia e sulla cultura della Corea. Ha studiato ed è stato visiting scholar presso prestigiosi Atenei coreani e cinesi. Nel 2015 è stato insignito del premio alla didattica dall’università Ca’ Foscari e nel 2021 del Premio Nazionale per la Traduzione.

References
1 Wang Junsheng 王俊生, “Hanjung kwangye kodohwa pang’an” [Orientamento e rafforzamento delle relazioni tra Corea del Sud e Cina], Chŏnhwangi Tongbuga chilsŏ-wa Hanjung kwangye-ŭi chaegusŏng, 29, 2020, 121.
2 Wang Junsheng, “Hanjung kwangye”, 126.
3 Jae Ho Chung, “From a Special Relationship to a Normal Partnership?: Interpreting the Garlic Battle in Sino-South Korean Relations”, Pacific Affairs, 76, 4, 549.
4 Jae Ho Chung, “From a Special”, 559.
5 Hwang Suyŏng, “2010nyŏn ihu Han’guk taet’ongnyŏng-ŭi taejung insig-e kwan-han yŏn’gu” [Ricerca sulla visione delle relazioni con la Cina dei Presidenti coreani dopo il 2010], Social Science Studies, 28, 1, 2020, 53.
6 Yi Myŏngbak, Taet’ongnyŏng sikan 2008-13 [Il tempo del Presidente 2008-13] (Seoul : RH Korea, 2015), 287.
7 Jae Ho Chung, “From a Special”, 252.
8 Wang Junsheng, “Hanjung kwangye”, 128.
9 Kim Yŏngsik, Chunguk-kwa Chosŏn, kŭriko chunghwa [La Cina, Chosŏn e la civiltà cinese] (Seoul : Ak’anet, 2018), 44.
10 Cha Taesuh, “Competing Visions of a Postmodern World Order: the Philadelphian System versus the Tianxia System”, Cambridge Review of International Affairs, 31, 5, 2018, 392.
11 Cha Taesuh, “Competing visions”, 394.
12 Hwang Suyŏng, “2010nyŏn ihu”, p. 54.