Se negli anni immediatamente successivi alla sua fondazione, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) era oggetto d’interesse solo di pochi, negli ultimi decenni, invece, con la sempre più profonda integrazione del Paese nel sistema economico globale e il suo crescente peso sullo scacchiere politico internazionale, l’attenzione verso la Cina è cresciuta in modo esponenziale. Proprio tale integrazione, però, ha reso lo studio della Cina contemporanea ancor più difficile. A complicare ulteriormente il compito si è aggiunta l’estrema polarizzazione del dibattito intorno al gigante asiatico che caratterizza gli ultimi anni, per cui la Cina popolare sarebbe modello per guarire i mali del cosiddetto Occidente oppure minaccia dalla quale quello stesso Occidente dovrebbe cercare di “salvarsi”.1)Si pensi ad esempio al titolo del volume di Federico Rampini, “Fermare Pechino: Capire la Cina per fermare l’occidente” (Milano: Mondadori, 2021) che fa esplicitamente leva sulla visione della Cina come minaccia. Queste visioni antitetiche si fondano in realtà sui medesimi paradigmi, ossia l’eccezionalismo per cui la Cina rappresenterebbe l’Altro intrinsecamente diverso “da noi” e l’essenzialismo che appiattisce tutte le sue pluralità interne riducendole a una serie di “caratteristiche nazionali”.2)Ivan Franceschini, “Cina globale: Appunti per una critica sistemica”, Sinosfere, https://sinosfere.com/2020/11/10/ivan-franceschini-cina-globale-appunti-per-una-critica-sistemica/ Tale contesto, unito allo sforzo sempre più intenso da parte di Pechino di “raccontare bene le storie (approvate dall’alto) della Cina”, pongono una sfida notevole all’ambito della sinologia, sulla quale si è, a ragione, iniziato a discutere anche grazie all’invito di Marco Fumian.3)Marco Fumian, “Sinologi nella nuova era”, Sinosfere, https://sinosfere.com/2020/10/01/marco-fumian-sinologi-nella-nuova-era/
È in questo contesto che, a mio avviso, bisogna leggere il volume Cina: Prospettive di un paese in trasformazione (Bologna: Il Mulino, 2021) curato da Giovanni B. Andornino. Il volume si presenta come uno sforzo collettivo atto a offrire uno spaccato di ampio spettro sulla politica interna ed estera della Repubblica Popolare. Per farlo, raccoglie contributi di studiosi/e tradizionalmente afferenti all’ambito sinologico, al fianco di politologi/he, storici/che nonché economisti/e che da tempo hanno rivolto il loro sguardo verso la Cina. Così facendo, da una parte, dà prova della porosità dei confini disciplinari degli studi di area, in cui rientra la sinologia, e, dall’altra, mette in luce la necessità di adoperare prospettive, approcci e strumenti interdisciplinari per sviscerare la “questione cinese”.
Come specifica il titolo stesso del volume, il focus principale sono le “trasformazioni” in corso nel Paese. Qui risiede uno dei principali meriti di quest’opera corale: confutando la narrazione mainstream che vede la realtà politica e sociale del paese come immutabile e in stasi perenne, i contributi illustrano invece le dinamiche e i cambiamenti che hanno attraversato le varie istituzioni, da quelle politiche, a cominciare dal Partito comunista cinese, a quelle sociali, senza tralasciare altri ambiti – quali l’innovazione scientifico-tecnologica, la questione ambientale e il settore mediatico – che afferiscono alla sfera sociale ma nei quali in realtà lo Stato gioca un ruolo cruciale.
Dalla struttura del volume, organizzato in sette parti, ben si evince come l’intento sia quello di sviscerare il nesso inscindibile che lega la politica interna a quella estera del Paese, e che è, anch’esso, spesso ignorato nel discorso dominante. Ciò si evince sin dalla prima sezione, la quale si apre con l’analisi di Andornino sulla struttura del PCC che, a cento anni dalla sua fondazione, si presenta oggi come “una forza politica con un livello di organizzazione senza precedenti, sia per dimensioni, sia per capillarità” (p. 27), e che quindi smentisce ogni previsione circa un suo imminente e inevitabile collasso. Mettendo in luce l’impalcatura del Partito, Andornino delinea le trasformazioni che esso ha conosciuto sotto l’attuale dirigenza, caratterizzate da un accentramento del potere nella figura del leader supremo, Xi Jinping. A questo nuovo panorama politico interno, è coinciso un nuovo approccio di Pechino all’ordine internazionale, sviscerato da Caffarena. Qui l’autrice evidenzia come all’approccio europeo al multilateralismo caratterizzato da regole di condotta, percezione dell’indivisibilità dei problemi e reciprocità dei benefici, la dirigenza cinese proponga invece un ordine internazionale “inteso come una struttura leggera e flessibile [che sia di] supporto ai singoli paesi affinché questi perseguano, sul piano interno, i propri obiettivi” senza vincoli di negoziazione con gli altri attori della comunità internazionale (p.51). Lo studio di Dossi sulla modernizzazione delle forze armate, che rispondono direttamente al Partito e non alle istituzioni statali, chiude questa prima parte ben condensando il trait d’union tra la politica del Partito e l’approccio verso l’estero. Grazie alla sua dettagliata disamina dell’evoluzione delle dottrine militari, degli assetti organizzativi nonché del processo di modernizzazione delle forze armate, Dossi evidenzia come anche l’Esercito Popolare di Liberazione (ELP) “esca” (zouchuqu 走出去) dai confini nazionali per difendere gli interessi cinesi all’estero e partecipare alle missioni di pace delle Nazioni Unite.
La seconda parte si concentra su aspetti di natura economica. Anche in questa sezione, che si compone di tre contributi, si evince la volontà di evidenziare la correlazione tra politiche interne e rapporti con l’estero. In apertura, Agamennone rintraccia il percorso di sviluppo economico cinese soffermandosi sulle questioni che più hanno suscitato perplessità e critiche da parte della comunità finanziaria e imprenditoriale estera, ossia l’interferenza del Partito-Stato nell’economia e le restrizioni a cui sono sottoposte le aziende e multinazionali estere che operano in Cina. A questi due focus, l’autore aggiunge una sezione dedicata a Hong Kong, nella quale mette in luce il ruolo dell’ex colonia britannica di propulsore all’economica della Cina continentale, ruolo venuto meno ben prima che Pechino stringesse il cappio all’autonomia dell’isola garantita dal principio “un paese, due sistemi”. Quest’ultima sezione sembra quindi suggerire come per Pechino i tempi fossero ormai maturi per venir meno – con decenni di anticipo – agli accordi stipulati con il Regno Unito e portare a termine quella “rivincita storica” (p. 87) a lungo agognata.
Dopo il contributo di Agamennone che sviscera i meccanismi grazie ai quali la Cina popolare si è trasformata in breve tempo nella seconda economia globale, Gabusi e Prodi approfondiscono le relazioni, e gli attriti, nel settore economico tra la Cina e il resto del mondo. Lo studio di Gabusi offre un’analisi delle relazioni Cina-UE e Cina-USA. Focalizzandosi sul caso della Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, Gabusi sviscera l’approccio “proattivo” (p. 92) da parte europea teso a fare rientrare anche questa iniziativa cinese in un ordine basato su regole promosse dall’UE. Approccio che si differenzia da quello della presidenza Trump teso invece a realizzare il cosiddetto decoupling tra società statunitensi e aziende cinesi. L’oggetto d’indagine di Prodi, invece, è più circoscritto, benché non meno privo di profondità analitica. Prodi offre una disamina dettagliata dei rapporti economici tra Repubblica popolare e Italia, e dimostra come la contestata firma del Memorandum of Understanding nel marzo 2019 non abbia portato a quell’incremento delle esportazioni verso la Cina e degli investimenti cinesi in Italia auspicati da Roma.
La terza parte si concentra su questioni di politica interna ma che incidono profondamente anche sulle relazioni con il resto del mondo. Questa sezione si compone di due contributi: il primo, quello di Silvestri, analizza l’ambiente politico teso a favorire l’innovazione scientifico-tecnologica in Cina. Il secondo, di Lupano, si focalizza invece sull’ambiente mediatico. La disamina di Silvestri, la più corposa dell’intero volume, fa il punto su uno degli aspetti cruciali del momento storico in cui si trova il Paese, ossia il percorso per giungere a una “economia della conoscenza” che permetterebbe alla Cina di lasciarsi alle spalle l’esperienza di “fabbrica del mondo”. Silvestri chiarisce quali siano i meccanismi istituzionali attraverso i quali il governo guida il paese nella trasformazione della struttura economica, offrendo altresì una panoramica sullo stato attuale delle tecniche e pratiche di e-governance, nelle quali rientra anche il controverso sistema dei crediti sociali. Il contributo si chiude con uno sguardo sulla questione del 5G cinese all’estero, mettendo a confronto la perentorietà con cui Stati Uniti e la cosiddetta “Alleanza five eyes” (Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda), eccezione fatta per il Canada, hanno interdetto l’attività delle società di telecomunicazioni cinesi, e la maggiore cautela, nonché frammentarietà, che ha caratterizzato l’approccio dell’Unione Europea.
Se il contributo di Silvestri si occupa di uno degli argomenti che più contribuisce a creare un’immagine distopica della Cina alla black mirror, lo studio di Lupano invece si concentra sulle strategie adottate per crearne una positiva del Paese e “raccontare bene la storia della Cina”. Dopo una disamina sulle principali differenze tra i principi etici e deontologici del modello di giornalismo euroamericano e quello proposto dal Pcc di stampo leninista, nonché una panoramica sulla trasformazione del sistema mediatico interno all’indomani dell’adozione della politica di riforme e apertura, Lupano si concentra sui meccanismi adoperati per rafforzare il potere di influenzare l’opinione pubblica in Cina e all’estero. Sono cinque le colonne portanti della strategia della RPC: 1) potenziamento delle testate cinesi e loro diffusione e traduzione in diverse lingue, di cui la CGTV è un caso emblematico; 2) acquisizione di testate giornalistiche straniere, come il South China Morning Post acquistato dal proprietario di Alibaba Jack Ma; 3) acquisto di inserti pubblicitari su testate estere; 4) collaborazioni tra testate cinesi e testate estere, come quello tra ANSA e Xinhua che permette a quest’ultima la pubblicazione di notizie e articoli senza previa verifica dalla controparte italiana e alcun filtro interpretativo (sulla quale si consiglia anche la lettura di uno studio dedicato a questo tema di Ghiretti e Mariani);4)Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani, “One Belt, One Voice: Chinese Media in Italy”, IAI Papers, 43, 2021, 1-25, https://www.iai.it/sites/default/files/iaip2143.pdf 5) infine, la censura sul mercato interno e l’uso strategico nella strategia rivolta all’estero degli stessi canali “oscurati” in Cina.
Anche la quarta parte che accoglie il contributo di Ponzini e quello di Poletti e Mariano riguarda questioni di politica interna, con una prospettiva che colloca la realtà cinese nel più ampio panorama globale. Ponzini illustra lo stato attuale della disparità di genere attraverso la griglia del Global Gender Gap Index, un sistema di indicatori elaborato dalla comunità internazionale. Tra i risultati più rilevanti vi è il fatto che la trasformazione economica del paese in atto ha acuito, anziché sanare, il divario. Il contributo di Poletti e Mariano confuta quella visione secondo cui la creazione di una società civile in RPC costituisca una minaccia al sistema politico, dimostrando, al contrario, come la società civile in Cina non solo esiste ma è strumentale al potere politico nella misura in cui sopperisce alle mancanze dello Stato in campi quali l’istruzione, il supporto alle categorie deboli e la protezione ambientale.
La quinta parte affronta la questione ambientale e anch’essa si apre con una dettagliata analisi della situazione interna al paese, per poi spostarsi sulla dimensione internazionale e in particolare sul ruolo sempre più propositivo da parte della Cina nella lotta al cambiamento climatico. I contributi di questa sezione sono quelli che più sembrano comunicare tra loro. Infatti, se il contributo di Brombal si focalizza sull’aspetto “ideologico” (ideologia che guida l’azione del governo), quello di Clivio completa e approfondisce il quadro normativo cinese vigente, proiettando la questione ambientale sul campo della diplomazia estera. Più nel dettaglio, il contributo di Brombal è duplice: da una parte, offre una lucida analisi della situazione in cui versa l’ambiente naturale in Cina oggi, in termini di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo nonché di riduzione della biodiversità, senza tralasciare il fatto che “la distruzione sistematica di habitat naturali e biodiversità ha una lunga storia” (p. 212); dall’altra, evidenzia le trasformazioni istituzionali (intese come valori, norme e regole) promosse dal governo e che sono state spronate anche dall’attivismo ambientale dal basso. Nel farlo, non manca di evidenziare come i principi che hanno guidato la creazione e l’evoluzione delle norme e regole in materia di protezione ambientale in Cina siano ascrivibili al “paradigma della sostenibilità debole” caratterizzato dalla volontà di mitigare gli effetti sull’ambiente senza che ciò implichi una ridefinizione dell’obiettivo di incrementare ed estendere il benessere materiale. Su queste premesse, lo studio di Clivio approfondisce e completa il quadro normativo, offrendo una disamina dei vari piani e programmi emanati dal governo nonché degli obiettivi promossi dall’attuale dirigenza, gli ultimi dei quali molto ambiziosi. Il contributo si chiude con un’attenta analisi sulle priorità della RPC che in alcuni casi possono fungere da ostacolo per la partecipazione di Pechino alla lotta ai cambiamenti climatici e all’impegno per la salvaguardia ambientale: 1) tutela della sovranità statale, che potrebbe cozzare con la natura globale della lotta al cambiamento climatico; 2) la priorità accordata al benessere materiale della popolazione, che pone la protezione dell’ambiente in secondo piano; 3) la necessità di garantire la sicurezza energetica.
La sesta parte affronta questioni piuttosto diverse tra loro, ma unite dall’interesse che queste rivestono per l’Italia. Il primo contributo, di Brigadoi Cologna, affronta il ruolo della minoranza cinese in Italia, una questione che è divenuta cruciale sin dai primi giorni dell’era pandemica. Ripercorrendo le tracce dei primi insediamenti in Italia, il paese europeo con la maggiore presenza di cittadini della RPC, traccia il profilo demografico di questa comunità che, considerata erroneamente una comunità “chiusa e autoreferenziale”, in realtà è ben inserita nel tessuto economico italiano ed integrata anche dal punto di vista socioculturale, soprattutto grazie alle nuove generazioni. Brigadoi Cologna si sofferma altresì sul ruolo politico affidato da Pechino ai cinesi d’oltremare, chiamati anch’essi a contribuire alla grande rigenerazione della nazione cinese, e sugli uffici preposti a realizzare il “ricompattamento politico, ideologico e operativo” (p.238) dei cinesi all’estero e di accrescerne il senso di appartenenza “pancinese” (p. 239). Brigadoi Cologna conclude affrontando il controverso tema del ruolo degli Istituto Confucio in Italia che è stato al centro del dibattito accademico negli ultimi anni. Nel farlo, non manca di sottolineare le differenze tra l’inquadramento di questi istituti nelle Università italiane e quelle di altre realtà in Europa e negli Stati Uniti, dove vi è stata una “delega pressoché assoluta” (p. 241); secondo lo studioso, infatti, in Italia il vero problema risiederebbe piuttosto nell’autocensura degli studiosi e delle studiose atta a evitare di incorrere in ostacoli nel corso delle proprie carriere.
Lo studio di Giunipero s’incentra sulle relazioni della RPC con il Vaticano, inquadrandole nel più ampio quadro della politica religiosa in Cina. Giunipero espone nel dettaglio il processo di “sinizzazione politica” delle religioni promosso da Xi Jinping che richiede alle comunità religiose presenti in Cina di partecipare attivamente alla realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PCC e, in questo quadro, analizza l’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi stipulato nel 2018 a Pechino. Sebbene l’accordo non preveda l’istaurazione di rapporti diplomatici tra le due parti, essa nondimeno risulta un evento importante poiché sana una frattura interna alla comunità cristiana cinese tra cattolici “patriottici” e “clandestini”, che esiste sin dalla fondazione della RPC. Nell’ampio contesto politico di stretta sulle attività religiose, l’Accordo appare come un’anomalia rispetto alla prassi politica sulle religioni vigente, ma Giunipero evidenzia come anche l’Accordo sia in realtà un ulteriore strumento per preservare la “stabilità sociale” (p.253).
Il capitolo XV, scritto a otto mani, si concentra sull’area del mediterraneo allargato, dove la Cina è diventata “uno dei principali epicentri trasformativi” (p. 258). Dopo aver messo in luce come a fronte di un volume di interessi economici e politici in crescita, la struttura istituzionale cinese risulti ancora estremamente frammentata, lo studio si focalizza su alcuni casi studio. In particolare, prende in esame alcuni tra paesi più rilevanti per la proiezione cinese nella regione (Iran, Israele, Turchia) nonché i due teatri principali per gli sviluppi delle politiche regionali (Libia e Siria). La dettagliata analisi dimostra che le relazioni con la RPC sono spesso causa di dissidi e fratture interne, mentre, l’azione di Pechino in questi paesi è perlopiù dettata da ragioni interne, legate soprattutto alle politiche nella regione del Xinjiang.
Il contributo che chiude questa sezione è di Vangeli e si focalizza sulla piattaforma “17 + 1” di cooperazione regionale promossa da Pechino, e che rientra a posteriori nella più ampia Belt and Road Initiative. Vangeli ben evidenzia come la piattaforma sia considerata dalla dirigenza cinese come un “laboratorio per la diplomazia ‘multicanale’ cinese” (p.292), e dai paesi dell’Europa centro-orientale e sud-orientale come uno strumento per affinare le proprie capacità da attori indipendenti sullo scacchiere internazionale, allontanandosi così dalla formazione di una “posizione europea” nei confronti di Pechino. Proprio quest’ultimo aspetto ha suscitato malcontento a Bruxelles che vede nell’iniziativa cinese un tentativo di indebolire la già fragile coesione dell’UE. Il contributo si chiude con un focus sulle relazioni tra paesi Balcani e RPC che, alla luce del caso del debito del Montenegro scoppiato nella primavera del 2021 (mentre il volume era già in stampa), risulta una lettura imprescindibile per chiunque voglia comprendere le dinamiche di penetrazione cinese nella regione.
L’ultima parte, la settima, è incentrata sulle relazioni tra la Cina e i Paesi della regione dell’Indo-pacifico. Il primo contributo di Andornino e Grano analizza l’annosa questione delle relazioni tra Pechino e Taipei. Dopo una introduzione storica sulle relazioni tra le due sponde e tra queste e gli Stati Uniti sin dalla prima metà del secolo scorso, gli studiosi inquadrano la questione taiwanese alla luce degli sviluppi occorsi a Hong Kong e le modifiche apportate de facto e de iure al principio di “un paese, due sistemi” con la Legge sulla tutela della sicurezza nazionale della regione amministrative speciale di Hong Kong. Lo studio si chiude con una disamina del modello taiwanese di contenimento dell’epidemia da Sars-Cov2 che ha reso l’isola uno dei luoghi più sicuri al mondo, il che ha contribuito a “elevare il profilo di Taiwan nel dibattito internazionale” (p. 317), benché non sia parte di organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il volume si chiude con alcune considerazioni da parte del curatore sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Senza tralasciare gli elementi di continuità tra l’amministrazione Trump e quella di Biden, Andornino mette in luce come l’attuale Presidente sia più propenso a porre l’accento sull’aspetto valoriale, ossia sui valori e principi fondanti dell’ordine liberale internazionale. Il Summit for Democracy lanciato dal presidente statunitense e tenutosi a dicembre 2021 (dunque in seguito alla pubblicazione del volume), al quale RPC e Russia non sono state invitate, ha confermato la veridicità di questa lettura.
Da quanto esposto si evince come il volume sia un mosaico che restituisce appieno la complessità delle trasformazioni in corso dentro e fuori i confini della Cina. In quanto tale, contribuisce a rispondere alla domanda “come parlare di Cina oggi?”, questione centrale all’interno del dibattito – a cui si è fatto riferimento all’inizio – sul ruolo della sinologia. I diversi approcci disciplinari e strumenti analitici si compenetrano e si integrano a vicenda, dando prova non sono della possibilità, ma altresì della necessità di superare i confini disciplinari per costruire un sapere sulla Cina che rifugga da visioni manichee. Proprio la natura interdisciplinare e corale del lavoro fa si che ogni singolo aspetto dell’evoluzione sociale e politica del Paese non sia solo sviscerato nel dettaglio, ma altresì collocato nel più ampio contesto nazionale e internazionale in modo da comprenderne appieno la portata.
La complessità della materia e l’eterogeneità dei contenuti potrebbero indurre a ritenere che l’opera collettiva manchi di coerenza interna; in realtà, però, benché un apparato più corposo di rimandi interni avrebbe conferito maggiore organicità, il lettore, anche non specialista, non fatica a seguire il fil rougeche lega i vari tasselli.
In breve, Cina è una lettura necessaria sia per chi da anni si occupa di politica e società cinese che per chiunque cerchi di interpretare le dinamiche che ci legano a questo attore già protagonista.
Immagine: particolare dalla copertina del libro.
Beatrice Gallelli insegna lingua e traduzione cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI). Si occupa di discorso politico nella Repubblica popolare cinese e in particolare sulla comunicazione politica come strumento di governance. Si è dedicata a lungo a indagare le sfumature semantiche e le implicazioni politiche del concetto di “sogno cinese”, nonché delle parole chiave che costellano il panorama politico della Cina popolare, ma non disdegna addentrarsi nelle relazioni che legano la Cina al resto del mondo.
Link alla pagina: https://www.unive.it/data/persone/11868067/curriculum
↑1 | Si pensi ad esempio al titolo del volume di Federico Rampini, “Fermare Pechino: Capire la Cina per fermare l’occidente” (Milano: Mondadori, 2021) che fa esplicitamente leva sulla visione della Cina come minaccia. |
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↑2 | Ivan Franceschini, “Cina globale: Appunti per una critica sistemica”, Sinosfere, https://sinosfere.com/2020/11/10/ivan-franceschini-cina-globale-appunti-per-una-critica-sistemica/ |
↑3 | Marco Fumian, “Sinologi nella nuova era”, Sinosfere, https://sinosfere.com/2020/10/01/marco-fumian-sinologi-nella-nuova-era/ |
↑4 | Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani, “One Belt, One Voice: Chinese Media in Italy”, IAI Papers, 43, 2021, 1-25, https://www.iai.it/sites/default/files/iaip2143.pdf |