Il 15 agosto 2021, in seguito al ritiro statunitense dall’Afghanistan, i Talebani sono entrati a Kabul e hanno ripreso il potere. A lasciare il paese insieme ai soldati americani è stato naturalmente anche il presidente, Ashraf Ghani, che aveva dichiarato di voler “recuperare lo Stato mancato”. Oggi Baoma diffonde l’articolo del prof. Wu Shuang “Il presidente afghano: la fuga di un costruttore di Stati”che darà al lettore l’occasione di riconsiderare le varie teorie di quest’esperto in “fondazione dello Stato”. Nel suo libro Ghani afferma che gli “stati mancati” come l’Afghanistan non dispongono delle energie per fondare la sovranità, ma abbisognano di uno Stato efficace, in grado di raccogliere le risorse e migliorare i diritti civili. Ghani ancora confidava negli aiuti internazionali per raggiungere lo scopo, ma questo significa “far entrare la volpe nel pollaio”. A tutt’oggi, non vediamo la realizzazione del suo “patto bipartito”, al contrario gli Afghani sono ancora impigliati in un gran ginepraio (N.d.R.).1)l’articolo in originale è reperibile su Weixin

Da un paio di giorni, gli schermi sono pieni di parole chiave come “ritiro americano dall’Afghhanistan”, “assalto dei Talebani a Kabul”, “fuga all’estero del presidente afghano Ghani”, “l’ora di Saigon”, “la tomba dell’Impero”. Mentre sono tutti indaffarati a paragonare il ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan con la fuga precipitosa dal Vietnam, su twitter i curiosi hanno sfogliato il Los Angeles Times e trovato uno screenshot inserito nell’articolo del febbraio 1989 intitolato “L’URSS ha lasciato l’Afghanistan, la caduta del governo fantoccio di Kabul è solo questione di ore”. Non solo lo stile è stato lo stesso di quello americano, è stato simile perfino il destino del governo fantoccio, proprio come si dice nel film Let the Bullets Fly : “Qui e adesso, proprio in questo momento, la copia sputata”.

Il “governo fantoccio” in bocca a Ghani è la Repubblica Democratica dell’Afghanistan, guidata dal PDPA (Partito Democratico Popolare Afghano), sostenuto dall’URSS. Però, con gli stessi nemici davanti, i Talebani, il governo Ghani è durato solo quattro mesi, dall’aprile di quest’anno, quando Biden annunciò l’imminente ritiro dell’esercito americano, al 6 agosto, quando i Talebani conquistarono il primo capoluogo e poi fino al 15 agosto quando i Talebani sono entrati a Kabul, una sconfitta cocente, come d’altronde era stato detto da subito: “è solo una questione di tempo”.

All’alba del 16 agosto, con un messaggio su Facebook, Ghani confermava la notizia della sua fuga dall’Afghanistan e aggiungeva che se avesse deciso di restare, Kabul avrebbe dovuto affrontare “la rovina e la distruzione”, oltre che il sacrificio di molti, per cui “onde evitare un bagno di sangue, ho pensato che fosse meglio andarmene”.

Probabilmente Ghani ha scelto la fuga perché ha tenuto conto della lezione fornita dal presidente del “governo fantoccio”, Mohammed Najibullà. Nel settembre 1996, dopo essere entrati a Kabul, i Talebani lo trucidarono. Ghani non ha voluto ignorare la lezione della storia.

In effetti, prima di entrare al governo Ghani faceva l’antropologo. Preso il PhD alla Columbia University, ha insegnato a Berkeley, all’University of California, alla John Hopkins University e in altri celebri atenei statunitensi. Nel mondo anglosassione, l’Afghanistan è universalmente conosciuto come un caso classico di “Stato mancato”. Nella sua qualità di afghano a lungo in circolazione nelle cerchie accademiche anglosassoni, Ghani si è concentrato sulla questione della “fondazione dello Stato” e ha costituito per questo l’Institute for State Effectiveness. Nel 2008, ha pubblicato con altri un libro, “Fixing Failed States: A Framework for Rebuilding a Fractured World”. Nel libro, Ghani riteneva che i 40-60 Stati del mondo, fra cui l’Afghanistan, definibili “mancati”, costituiscono ormai una minaccia sistemica, producendo conflitti, instabilità, contrabbando di armi, droga e lavoro, addirittura esportazione del terrore, la più grave minaccia alla stabilità globale. In questi Stati esiste un enorme “gap di sovranità”. Da un lato, il sistema globale ammette che si tratta di Stati in possesso di una sovranità legale perfetta, dall’altro, essi non dispongono del potere di esercitarla. Di fronte al problema, in passato la comunità internazionale ricorreva solitamente alla forza e imponeva dall’esterno un qualche ordine. Ma come dimostra il caso afghano, la forza non risolve il problema. Nonostante le truppe stanziate dalla NATO in Afghanistan, il paese è al contrario diventato il massimo produttore di eroina al mondo. Il “win hearts and minds” della comunità internazionale s’è solo attirato l’odio degli Afghani.

Il 17 agosto 2021, i Talebani entrati a Kabul hanno convocato la loro prima conferenza stampa: progettano di costituire un governo inclusivo. Secondo Ghani, il metodo è quello della “fondazione dello Stato”, ovvero di uno Stato “efficace”, in grado di promuovere l’economia, la politica, la funzione sociale, la protezione ambientale, un migliore godimento dei diritti civili; saranno allora garantite la pace, la prosperità e la stabilità. Uno Stato del genere sarebbe legittimo.

Ghani propone una “fondazione dello Stato con la partecipazione del popolo”, cioè consentendo alle masse popolari di partecipare al processo di fondazione, ma, a scanso di malintesi, sottolinea che non si tratta solo di elezioni, al contrario, secondo lui, un’elezione unica non garantirebbe la legalità, in fin dei conti, chi vorrebbe mangiare la polvere per un voto? La legalità non può che provenire dalla capacità di estendere e migliorare i diritti civili.

Secondo Ghani, la fondazione dello Stato è il risultato della cooperazione fra forze interne e internazionali, essendo tale fondazione dipendente da un “accordo bipartito”. Il primo è un contratto con i propri concittadini, secondo cui lo Stato migliora e onora i diritti civili. Il secondo è un accordo con la comunità internazionale, garante dell’osservanza della normativa internazionale, della responsabilità verso di essa, della trasparenza e degli altri parametri internazionali.

Il piano di Ghani in effetti riflette molto le difficoltà comuni in cui si dibattono i paesi poveri del Terzo Mondo. Il potere ha un costo, la protezione dei diritti civili è facile a dirsi, ma quali sono i diritti da proteggere e onorare, i soldi necessari, le risorse, in altre parole, la “fondazione dello Stato” brucia molto denaro. Il problema è, da dove vengono questi soldi? Nel pensiero dei cinesi, che per l’edificazione si abbia o tanto o poco bisogno di aiuti esteri poco vale, si deve contare sulle proprie forze, stringere la cinghia, mobilitare al massimo la società nazionale.

Il 17 agosto 2021, nella capitale afghana, Kabul, i cittadini sono scesi in piazza, mentre i Talebani pattugliavano le strade. Chiaramente, lo sguardo di Ghani era puntato all’esterno, egli sperava negli aiuti internazionali. Una volta ricevuti finanziamenti dall’estero, si sarebbe avuta una moneta di scambio con i potentati. Egli si rendeva conto che le elezioni non avrebbero risolto niente, a confronto della “democratizzazione della politica” studiata in passato, erano certo un passo avanti, ma la sua proposta di dare i poteri ai cittadini del suo paese avrebbe mobilitato la società assai debolmente, né aveva proposte migliori per spingere i suoi concittadini a partecipare alla fondazione dello Stato.

Nel 2020, Obama pubblicò le sue memorie, “Una terra promessa”, in cui richiamava il suo viaggio in Afghanistan nel 2008. Obama, che all’epoca competeva per la presidenza, così scriveva:”Gran parte dell’Afghhanistan rurale è fuori dal controllo di Kabul e Karzai si avventura raramente al di fuori, contando non solo sull’esercito statunitense ma anche su sporadiche alleanze con i signori della guerra locali per mantenerlo al potere. … Dall’alto, i villaggi, costruiti in fango e legno, si fondono perfettamente con il paesaggio di pietra circostante, con poco asfalto indurito o linee elettriche visibili. Mi chiedevo come gli afghani laggiù avrebbero visto gli americani e come avrebbero visto il loro presidente. O ancora, cosa pensano dello ‘stato-nazione afghano’? Credo che non ne abbiano una grande idea”.

Traduzione di GioGo

Immagine: dalla serie Quattro destrieri afghani, di Giuseppe Castiglione, custodito presso il National Palace Museum di Taipei.

 

References
1 l’articolo in originale è reperibile su Weixin