Premessa

Recita l’epigrafe fascista sul Palazzo della Civiltà Italiana, il cosiddetto Colosseo Quadrato dell’EUR, a Roma: “Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”. Due di queste nobili professioni hanno a che fare col viaggio: i navigatori e i trasmigratori. Né l’una né l’altra s’attagliano tuttavia a uno dei più grandi viaggiatori mai visti sulla faccia della terra: il cinese Xu Xiake (1587-1641), che nel corso della sua vita percorse pressoché per intero, soprattutto a piedi, il già sconfinato impero cinese, spingendosi anche nella penisola indocinese.

Ma anche nelle panoplie democratiche dei grandi viaggiatori del mondo il viaggio è monopolio di esploratori, condottieri, missionari, mercanti, figure uniformemente spinte dalla rapacità di conquista, militare, economica, spirituale. Sembra allora il momento di tentare di mitigarne l’infamia inserendovi un grande “viaggiatore senza scopo” come Xu Xiake. Tentativo che ha preso le mosse con la pubblicazione del suo Diario di Viaggio, nell’edizione italiana integrale, bilingue (voll. 2, pp. 1853, Venezia, 2019), è proseguito con la presentazione del viaggiatore alla Società Geografica Italiana, e approda ora a Sinosfere.

In Cina l’uomo è noto, brani delle sue opere sono inserite nelle antologie scolastiche, solca i mari una nave militare col suo nome, a lui è intestato il Festival del Turismo, è oggetto di studi e ricerche. Ma è anche completamente travisato: la sua specificità, ovvero la totale assenza di intenti pratici nel viaggio, è ignorata e le viene sostituita una gamma di figure estranee: l’esploratore, lo scienziato, l’etnologo, perfino il turista e il patriota.

Il recupero delle sue connotazioni autentiche e la diffusione delle sue imprese sembrano funzionali sia alla decostruzione della narrazione ufficialista del viaggio nel mondo, fondata sulla triade esplorazione-assoggettamento-depredazione, sia alla confutazione dell’immagine piegata alla retorica patriottarda che si dà in Cina.

Xu Xiake

L’eccezionalità di Xu Xiake non solo nella letteratura odeporica cinese ma nello stesso tessuto sociale della Cina tardo-imperiale la riconobbero innanzitutto i suoi contemporanei, non è un’invenzione orientalistica.

Xu Xiake, piccolo e assenteista proprietario fondiario del Delta, fu chiamato già ai suoi tempi qi ren 奇人, “uomo eccezionale” (ma anche “eccentrico”, anticonformista, perfino balzano). Questa sua eccezionalità gli fu attribuita non tanto per la smodata passione per i viaggi, che gli occuparono tutta la vita e lo portarono in quasi tutto l’impero e oltre, ma per l’amplificazione estrema che egli operò del concetto di viaggio e della sua narrazione. I suoi viaggi, estesi nello spazio, arrivando a comprendere larghe aree dell’impero, nel tempo, coprendo quasi tutta la sua vita adulta, nella coscienza, soverchiando e scacciando ogni altra occupazione (p. es. i suoi doveri sociali di capofamiglia e piccolo notabile), diventano non intermezzo ma scopo e fine dell’esistenza. Il viaggio fu posto ben oltre le modalità consuete nella Cina dei suoi tempi (e fino a oggi): dal wo you 卧游, “viaggio da sdraiato”, ossia leggendo racconti e relazioni di viaggio stesi sulla stuoia, senza muovere un passo, alla Tartarin di Tarascona;  allo xia you 遐游, “vagabondaggio senza meta”; al lü you 旅游, la marcia, il procedere degli eserciti e delle carovane. Esso fu proposto e attuato come modo di vita, addentramento e fusione orgiastica con la natura estrema nelle sue manifestazioni più lontane da ogni possibile utilizzo umano (per i suoi tempi): burroni, orridi, botri, grotte, picchi vertiginosi, altissime cascate, modalità preventiva e ostacolo a ogni sua violazione. Per cogliere tali manifestazioni, compì lunghe marce d’avvicinamento ai luoghi più promettenti, per poi slanciarsi nel suo ambiente d’elezione e goderne. Solo questo, niente meno che questo. A questa modalità subordinò tutto: affetti, carriera mandarinale, relazioni umane, beni, posizione sociale, conservando solo, strumentalmente, quanto poteva aiutarlo nelle sue peregrinazioni, come per esempio la frequentazione dei notabili locali, che lo ricevevano, ospitavano e scortavano (fin dove potevano farlo), né erano avari di qualche viatico. Strumentali anche gli scarsi compagni di viaggio, funzionali al compimento dei percorsi più ardui, i popolani che incontrava per via, buoni solo come portantini, guide, osti e locandieri. Per nessuno al mondo Xu Xiake sembra mostrare interesse, se non fosse per l’eccezione degli eremiti buddisti e degli anacoreti taoismi, che, sia pure per altri fini, vivevano come lui isolati e distanti. L’altra parallela amplificazione fu quella letteraria: come si è ricordato più sopra, la letteratura imperiale cinese è tutt’altro che avara di racconti di viaggio, ma solo nella limitata dimensione dell’apologo, lo schizzo paesaggistico, l’aneddoto. Poche righe, due o tre pagine, in cui il viaggio è solo strumentale alla stesura di un saggio, una nota, una poesia. Il testo che Xu mise insieme scrivendo quasi ogni giorno di tutta la vita è invece, si può dire, immane, tre volte la Commedia di Dante, pari quasi alla Bibbia.

La riproposizione di Xu Xiake potrebbe essere funzionale allo smascheramento del romanticismo che ammanta ancora le incursioni del mercantilismo prima e la pervasività del capitalismo oggi nel globo e testimonia potentemente di un’altra modalità, innocua, inerme, speculativa mentalmente e non economicamente, che va affrancata dalla sua classificazione come eccezione e elevata a rango d’alternativa.

L’edizione italiana del Diario di Viaggio si è voluta integrale, nonostante la mole, per evitare di sovrapporre scelte allogene a quelle dell’A. Se ne trascrive qui qualche passo a scopo documentario.

La normale escursione (II, pp. 1368-1369)

(si legge qui un locus classicus del testo, l’escursione sì in luoghi noti, ma pur sempre alla ricerca dei punti meno raggiungibili e più pericolosi, p. es. quelli dove vivono fiere carnivore; gli interlocutori infatti informano Xu sui luoghi e cercano invano di distoglierlo dai suoi progetti più spericolati)

Esco a levante e giro a ponente; una pagoda s’erge sul pendio; giunto fin qui, il sentiero cessa. Scalo il precipizio e m’aggiro sul dirupo: non trovo più la strada; ma il figlio di messer Yang e il portantino mi chiamano di lontano, dal basso, così faccio ritorno.

Discendo il burrone da davanti il Sanqingge (il Padiglione dei Tre Puri), nella gola interna, fino in fondo alla gola; dopo una lega in tutto, arrivo allo stagno sull’accesso alla gola; mi reco nella grotta sulla rupe dove sta appollaiato il bonzo; accende il fuoco, fa bollire [l’acqua del]la fonte, vi getta il cibo che è stato portato e manduchiamo insieme. Poi esco insieme con il bonzo dall’accesso della gola e mi dirigo a levante lungo la scarpata di sinistra. Il bonzo addita le falde della scarpata, sporgente fra le pareti della gola di destra; una roccia s’è fessa ed ha formato una gola; scendo fino a una gola precipite; vi sono incastonati precipizi e scarpate; dentro, m’appropinquo direttamente al Mangxieling il Monte dell’Erba Alta, dietro il monte; nella gola usano venire a asserragliarsi tigri e leopardi; nessuno ha l’ardire di addentrarvisi.

Io vorrei scendere dalla scarpata sospesa rivolta a sud. Il bonzo dice: “I sentieri non ci sono, ma ci sono le tigri, perché vuoi proprio provare di persona? In più, fuori ripide scarpate sbarrano il passo, dentro non ci sono torce, anche se non incontri le tigri, non ci puoi entrare lo stesso”. Dice il figlio di messer Yang: “Se scendi subito dal monte, puoi ancora cercare Luoyou Wenquan le Fonti Termali de[lla Catena de]i Lôlô Maggiore; qui non è sicuro, non puoi assolutamente trattenertici.

Così, scendo dal monte dietro a loro, a nordest. Dopo una lega, la strada si biforca: un corno scende a nord lungo il monte: è la scorciatoia per entrare nella sede viceprefetturale; l’altro scende direttamente lungo il pendio verso levante: è la strada che ho fatta all’andata. Il bonzo si congeda e se ne va a nord, io continuo a scendere a levante. Dopo una lega, a sinistra della strada c’è un enorme masso, che s’erge di fronte al pendio, a est; vedo in basso il Tuzhumiao il Tempio del Deus Loci e, più indietro, un masso, alto tre zhang.

Il pericolo estremo (I, pp. 310-311)

Jingwen (un bonzo, compagno di viaggio) non s’è imbarcato da molto, che una masnada di pirati urlando e ammazzando sale sul battello, calandovi in folla con torce e coltellacci. Io in quel mentre ancora non dormo; scendo in fretta dal tavolaccio, prendo i denari del viaggio dal cofanetto e li sposto. Passo nella cabina di Ai [Xingke], voglio scendere in acqua da poppa, ma a poppa i predoni hanno appena sguainato le spade e spaccano il portello; non posso più uscire, così sollevo con tutte le forze il casotto e dalla fessura getto il cofanetto nel fiume, dove capita; poi m’affretto al giaciglio, cerco le vesti e me le getto addosso. Jingwen e Gu il servo, insieme con padrone e servo, Ai [Xingke] e Shi [Yaoting], l’uno nudo l’altro avvolto nella coperta, si nascondono tutti insieme. A prua, i pirati avanzano lungo la cabina centrale, a poppa, sfasciano il portello sul retro, in un convulso balenio di coltellacci e alabarde, né c’è alcuno che possa accostarvisi a mani nude. Io penso che cadrò sicuramente nelle loro mani; le vesti di seta spessa che reco in braccio m’impacciano, così le getto tutte via. Si gettano tutti in ginocchio a implorare salva la vita, ma i pirati continuano il massacro, così con un balzo solleviamo il casotto e ci gettiamo in acqua.

Ad entrare nell’acqua per ultimo sono io, con i piedi impacciati dalle gomene di bambù; alla fine, mi ribalto insieme con il casotto; sulle prime, sbatto sul fondo del fiume, con naso e orecchie invasi dall’acqua, poi in fretta risalgo a galla. Per fortuna, l’acqua, poco profonda, arriva solo alla cintola, così cammino nel fiume controcorrente; mi trovo vicino a un battello che s’è scostato per ripararsi e lo raggiungo, poi ci salto dentro. Nel frattempo l’acqua che mi intride è freddissima, un viaggiatore vicino mi copre con la coperta del barcaiolo e giaccio nel battello; risaliamo la corrente a favore per tre o quattro leghe e ormeggiamo a Xianglushan – il Monte a Incensiere; verosimilmente, sono già di là dal fiume!

Mi volto e guardo da lungi il battello rapinato: la vampa delle fiamme è abbagliante, la masnada dei pirati s’allontana fra urla e strepiti di richiamo. Di lì a poco, i battelli ormeggiati col nostro spostano gli ormeggi e s’avvicinano; corre voce che un letterato di Nanchino ( = Xu Xiake) sia stato ferito in quattro punti; a quelle parole rido fra me dei loro vaneggiamenti.

La buona sorte ha voluto che, nell’incrociare delle alabarde e il mulinare dei coltellacci, sul corpo indifeso non si sia aperta una sola ferita: è stata davvero una grazia del cielo! Solo, ignoro dove siano finiti Jingwen e Gu il servo, ma ritengo che siano rotolati in acqua scampando alle fauci della tigre; del bagaglio e dei denari chi si cura!

Solo, il cofanetto con il Nancheng Xuji – “Ricordi del Viaggio nel Meridione, séguito” del marchese Zhang Zonglian, autografo, religiosamente custodito dalla famiglia per oltre duecento anni, non appena pervenuto in mano mia, s’è trovato in periglio: come non gonfiarsi d’indignazione?

Il Rilassamento

(nella sua veste di letterato itinerante, Xu veniva ben accolto e ospitato nelle dimore dei notabili locali, orgogliosi di poter sfoggiare un ospite dalla capitale – Nanchino, anche se solo dalle vicinanze; qui Xu per una volta è bonario: s’interessa alle specialità culinarie locali e si dedica ai passatempi del saggio, fra cui la musica; appare nondimeno molto interessato al fenomeno della geotermia e traspare la sua insofferenza per la folla)

 S.E. He [Chao’e] non torna ancora; alle prime luci, i due figli maggiori m’aspettano a colazione, poi, recando le scatole con i cibi e con i liuti sottobraccio, percorriamo la diga verso oriente, quindi visitiamo Jiuqitai (la Terrazza dei Nove Soffi). Pensavo di bagnarmi nello stagno, ma non ci sono cabine coperte, per giunta quest’oggi c’è la fiera e i bagnanti fanno ressa, così rinuncio. Allora, al nuovo convento, sollevo nelle mani a coppa le acque termali di Shekou (le Fauci del Serpe); dopo essermi riposato e trastullato per lunga pezza, torno a Jiuqitai (la Terrazza dei Nove Soffi), carezzo il liuto e ordino di mescere. I figli di S.E. He [Chao’e] possono non solo vantare una vena letteraria, ma anche una loro maestria con le sete e i bambù. Alla fonte di Guikou (il Becco della Tartaruga) bollisco per desinare uova di gallina; il sapore è migliore di quelle bollite nell’acqua. Di lì a poco, i bonzi del tempio portano le scatole di cibo e mi porgono i nappi; faccio ritorno solo nel pomeriggio.

Si leva un forte vento di libeccio; i figli di S.E. He [Chao’e] marciano incontro al vento coi liuti sottobraccio, in modo che le corde del liuto vibrino: ne scaturisce un suono argenteo, la melodia dei monti e delle acque, che aggiunge spessore alla natura!

Gli ambienti urbani

(basterà probabilmente questa nota, quasi paradigmatica, della visita di Xu a una città per cogliere la sua avversione totale per i luoghi abitati: qui entra da una porta urbica, sosta brevemente in un tempio per chiedere informazioni sui luoghi remoti, quelli degli eremiti, poi riesce da un’altra porta urbica, “di fretta”; non è certo da escludersi che vi si rifocillasse e rifornisse, ma non trova queste attività degne d’interesse né di menzione)

Varco Dongmen (la Porta a Levante), traverso Nanmen (la Porta a Meriggio) e passo a ovest per il Bao’ensi (il Tempio del Contraccambio della Bontà), con l’intenzione di entrare e chiedere di Wuzunshi (la Roccia del Nappo Concavo); vedo che il sole splende, così mi trattengo, m’informerò sulla strada del ritorno. Esco in fretta da Ximen (la Porta a Occaso), svolto a sud sullo Yiyunqiao (il Ponte che Alia fra le Nubi) e mi trovo a un bivio.

Immagine: Il diario di viaggio di Xu Xiake, Wikimedia Commons.

Giorgio Casacchia, già Professore Ordinario di filologia cinese, si è occupato prevalentemente di storia della linguistica cinese, di lessicografia e di letteratura classica, vernacolare e dialettale cinese. Fra le opere, segnaliamo: Gli studi grammaticali di cinese moderno nella Repubblica Popolare Cinese: gli esordi 1949-1952 [1984], Gli studi grammaticali di cinese moderno nella Repubblica Popolare Cinese: il dibattito sulle classi grammaticali 1953-1956 [1990], la Storia della linguistica cinese [2012], La scienza della raffinatezza (yaxue) nella Cina Imperiale; il Grande Dizionario Cinese-Italiano (con Bai Yukun) [2013]; Un romanzo nel dialetto di Suzhou: (“Le vite di fiori sul mare”) [1982-83]; “The Lexicon of the Suzhou Dialect in the Nineteenth Century Novel Sing-song Girls of Shanghai”, Parigi 1984. Fra le traduzioni in italiano figurano Apparizioni d’Oriente. Novelle cinesi del Medioevo [1986], I trentasei stratagemmi. L’arte cinese di vincere [1990]; Spettri e fantasmi cinesi [1991]; Nuove e antiche meraviglie. Racconti cinesi del Seicento [1992]; Vita di una pazza [2017], Il Diario di viaggio di Xu Xiake [2020]. Sulla Cina contemporanea ha pubblicato il Trattato di economia politica [1975-1978]; Come risolvere le contraddizioni. Manuale di materialismo dialettico cinese [1978]; Città senza limiti (con D.Gullotta) [2016]. Attualmente sta ultimando l’edizione commentata del Libro della poesia (Shijing), in 6 voll.