Per Dinamopress e Sinosfere presentiamo qui la traduzione di quattro articoli estratti dal quinto numero di episteme del sito positions, politics: Una nuova guerra fredda?
Con lo scoppio della pandemia nel 2020 abbiamo assistito, fra gli altri, alla formazione di un nuovo discorso ideologico a livello globale, quello della “nuova guerra fredda”. Se la guerra fredda è data come cosa nota, l’attenzione dovrebbe cadere sulla novità. Cosa c’è allora di nuovo? Tutto e niente, con vari gradi intermedi che passano dalla tragedia alla farsa. La novità e la natura dello spettacolo dipendono dal ruolo assegnato nel teatro della gerarchia globale.
Il nuovo di questa guerra fredda è che non si tratta di guerra fredda, ma gli spettatori, dopo decenni di giochi linguistici e di appassionati slittamenti e cambi di posto tra significante e significato, sono abituati a opere e personaggi che modificano nome e natura nel farsi. Nemmeno inizia, e il copione svela subito come la rassicurante rappresentazione di due acerrimi nemici in lotta per una visione del mondo diversa, in realtà è solo uno spettacolo nello spettacolo, un ricordo, una nostalgia, inquadrata in uno specchio, deformata e poi lasciata andare a spasso per media e senso comune. Le due superpotenze, infatti, competono nello stesso sistema e per lo stesso sistema. Come scrivono Rebecca Karl e Fabio Lanza nell’introduzione al numero, “Oggi il terreno è cambiato. La differenza materiale è più evidente quando prendiamo in considerazione gli ultimi quarant’anni di espansione economica della Cina a livello interno – quindi, la dimensione assoluta dell’economia cinese nell’economia globale – e gli ultimi venti o più anni di sostegno alla globalizzazione da parte della Cina verso l’esterno – quindi, i modi in cui la Cina, come economia ed entità geopolitica, agisce nel mondo come cerniera e collante. L’intreccio tra la Cina e il mondo non è mai stato così stretto o più nevralgico per far continuare le relazioni di sfruttamento del capitalismo, in tutte le forme patriarcali, industriali, pre-industriali, e altre in cui queste relazioni sono attualmente espresse nel mondo diseguale dell’economia politica globale.” Dunque il mondo diventerà cinese, come leggiamo da un po’ di tempo nei media di stato cinesi? In Impero, vent’anni, Hardt e Negri così scrivono:
“…nessuno Stato-nazione è oggi in grado di organizzare l’ordine globale e mantenerne il controllo in maniera unilaterale. Coloro che diagnosticano il tramonto dell’egemonia globale statunitense – Giovanni Arrighi è stato uno dei primi e il più perspicace – di solito proiettano su un altro Stato il ruolo di successore egemonico. Questi interpreti pensano che come lo scettro dell’egemonia globale è passato all’inizio del XX secolo dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, così accadrà anche oggi: una volta spenta la stella degli Stati Uniti, un altro Stato sorgerà – e la Cina è il primo candidato della lista. Al contrario, i commentatori istituzionali liberali si aggrappano alla convinzione che, nonostante il disordine internazionale creato da Trump, la stella degli Stati Uniti brilli ancora sul mondo e che parlare di un relativo declino dei suoi poteri militari, economici e politici sia esagerato. Per loro, gli Stati Uniti rimangono l’unico contendente per l’egemonia globale. C’è un fondo di verità in queste osservazioni, ma il punto più importante è che il ruolo degli Stati Uniti, tanto quanto l’emergere di potenze come la Cina, devono essere intese non nei termini di un’egemonia unipolare ma invece come parte dell’intensa competizione tra Stati-nazione sui gradini della costituzione mista dell’Impero. Il fatto che nessun Stato-nazione sia capace di assumere il ruolo egemonico nell’ordine globale che sta emergendo non è sintomo di caos e disordine, ma rivela invece la comparsa di una struttura di potere globale nuova – e, certo, di una nuova forma di sovranità.”
Quindi lo spettacolo, tra scene di caccia agli ectoplasmi, ritorni (im)previsti di vecchie glorie, orientalismi e occidentalismi cotti e decotti, appelli alla nazione, esaltazione feticistica della potenza tecnologica dello stato, mette tutto nel tritacarne, shakera il polpettone e rende, o vorrebbe rendere, impraticabile l’idea dell’assalto al teatro. La nuova guerra fredda deforma la questione sanitaria in geopolitica dei vaccini, la questione della devastazione ambientale in accordo/disaccordo fra superpotenze e così via. La nuova guerra fredda vorrebbe convincerci che le sorti del sistema globale appartengono a due stati, con pubblico in platea zitto e mosca, con gli ultimi dieci anni di tumulti e rivolte immediatamente dimenticati, o rubricati e depoliticizzati sotto l’etichetta dell’ingerenza straniera. Ancora dall’introduzione di R. Karl e F. Lanza, leggiamo: “Il 19 febbraio, il presidente Biden ha parlato alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, rassicurando gli alleati europei sul fatto che “l’America è tornata”. In questo proclama, Biden ha segnalato con urgenza che il futuro del mondo è in bilico tra “democrazia” e “autoritarismo”, con la Cina e la Russia (quei vecchi rossi) a rappresentare il secondo. In questo quadro dicotomico, qualsiasi azione della Cina nel mondo può essere facilmente interpretata come prova delle sue ambizioni imperiali o della potenziale diffusione del suo modello socio-politico alternativo. Stranamente, questo discorso trova un’eco nella rappresentazione dello stesso PCC del “socialismo con caratteristiche cinesi” inteso come una vera alternativa socialista al capitalismo occidentale. Nelle loro finzioni speculari, il PCC cita riferimenti marxisti e maoisti fuori contesto per dimostrare la loro presunta devozione al socialismo. Ancora più stranamente, l’argomento “Cina come alternativa socialista” del PCC è stato abbracciato da settori della sinistra occidentale, ansiosi di identificare il proprio ripudio dell’imperialismo statunitense con uno stato realmente esistente.”
Il biglietto che abbiamo pagato, caro e amaro, non è per questo spettacolo. Invece, per avere un copione scritto collettivamente e democraticamente, che sia attraversato dalle differenze e dai conflitti, che porti alla ribalta le mille voci che lo stato e la sua truffaldina sovranità vorrebbe ridurre all’Uno, sarebbe necessario innanzitutto sgombrare il campo dalle grossolane semplificazioni che il discorso della nuova guerra fredda produce. Bisognerebbe alzare il livello della riflessione e dell’analisi, prima che questo discorso diventi egemonico, cioè diventi capace di intercettare i malesseri di vaste aree della popolazione mondiale alle più disparate latitudini perché gli fornisce una spiegazione plausibile, per quanto rozza e semplicistica, e allo stesso tempo garantisce una infinita catena di giustificazioni alle azioni più sconsiderate e abiette degli stati e del loro capitalismo predatorio.
Provare ad avviare una riflessione in Italia, sembra molto difficile. Intrappolati tra un atlantismo tragico, un europeismo di maniera e la farsa dell’“occasione cinese”, sembra che ci siano solo voci isolate e sporadiche, senza una reale forza sociale dietro, a irrompere a volte sul palcoscenico. La pubblicazione dei seguenti articoli su Dinamopress e su Sinosfere fa invece ben sperare. C’è bisogno di diffondere in modo sistematico analisi e interpretazioni critiche sulla Cina fra il pubblico, anche formando una nuova generazione di sinologi e sinologhe capaci di intervenire nella società oltre l’accademia. Se la sinologia, o almeno la sua parte più avveduta e critica, saprà intanto mettere nell’apposito recinto le sparate di supposti amici della Cina e supposti multipolaristi (o disordine bipolare da guerra fredda?), ciò indicherà un avanzamento rispetto agli anni precedenti.
Da oltremare, segnaliamo The People’s Map of Global China, un nuovo progetto new cold war-free affiliato all’imprescindibile rivista Made in China Journal
A cura di GioGo
Fra gli articoli presenti nella raccolta, pubblicati in contemporanea su Dinamopress, si trovano:
Tim Pringle, “Da che parte stare?”
Pang Laikwaan, “Le lotte politiche a Hong Kong nel mezzo del nuovo ordine globale”
Dai Jinhua, “La nuova guerra fredda? È questo il problema”