A mio avviso, potrebbe anche essere adeguato chiamare “nuova guerra fredda” le tendenze globali contemporanee, senonché il termine non includerebbe gli scossoni, il caos e l’instabilità che invece caratterizzano la situazione mondiale.1)La versione originale dell’articolo è stata pubblicata sul sito Positions, Politics con il titolo “The new Cold War? That is the Question”.

La questione è innanzitutto, che senso dare al termine: è una dizione generica, un’etichetta oppure si ricollega a una fase specifica della storia del secolo scorso? Nel primo senso, di etichetta generica, “nuova guerra fredda” può anche essere accolta, essendo in grado di delineare chiaramente le frizioni e gli antagonismi sempre più acuti del mondo contemporaneo, di rilevare le molteplici vie lungo le quali le forze in contrasto si bilanciano, in assenza, almeno per ora, di un conflitto militare aperto, di una guerra guerreggiata. Ciò nondimeno, sono sicuramente già all’opera molte delle caratteristiche e dei connotati di una “guerra”. Eppure, se il termine “nuova guerra fredda” è impiegato per sottolineare il livello dei conflitti mondiali, delle loro tensioni e pericoli, allora, consapevolmente o no, finisce inevitabilmente per includere la vaga speranza che anche la “pace” possa essere un esito possibile. L’etichetta implica che il mondo d’oggi rimane in un equilibrio fra le varie potenze che impedisce di arrivare allo scoppio della guerra. Si sceglie di mobilitare il prefisso “neo-” o l’aggettivo “nuovo” che estende la dimensione di temporalità e storicità. Sarebbe come dire che gli antagonismi in campo non sono altro che una coda della guerra fredda del XX secolo, che ancora s’agita nel XXI.

È questa la ragione per cui io ho i miei dubbi, ed esito di fronte a questa dizione o etichetta.Accantoniamo le narrazioni egemoniche dei vincitori della Guerra Fredda e di politologi già dimenticati: l’“ultima fase” della Guerra Fredda non può essere ancora puramente definita una rivalità per l’egemonia fra gli interessi in conflitto delle due superpotenze, gli USA e l’URSS. Dobbiamo piuttosto riconoscere che fu una “guerra” senza precedenti nella storia dell’umanità, che spartì le società umane in due campi, e che tale spartizione creò nel secolo scorso una sensazione unica d’urgenza e la consapevolezza storica che il suo esito finale sarebbe stato la morte o la sopravvivenza del capitalismo. Essa dunque non consistette solo in una forsennata corsa agli armamenti fra Usa e URSS, il dopoguerra trascorse nei timori e negli alti e bassi della Guerra Fredda. Dunque, fu l’antagonismo politico, economico e culturale, non la corsa agli armamenti, a costituire la forma dominante della Guerra Fredda, con tutto il mondo obbligato a percorrere nervosamente la strada di uno dei due sistemi o a tentennare al bivio fra i due.

Ovviamente non è difficile, col senno di poi, vedere che nella Guerra Fredda del XX secolo la posizione egemonica degli USA, confermata nel campo occidentale, e la divisione globale del lavoro e gli interessi propri dell’URSS insieme alla realizzazione del progetto di modernizzazione nei piani della Cina socialista nel campo orientale costituirono in duetto i parametri ambigui del finale. Non è neanche difficile rilevare, nel più recente contesto di ripensamento della modernità, che le relazioni fra marxismo e comunismo internazionale furono costellati di problemi. Ciò nondimeno, queste considerazioni non possono cambiare il fatto che la Guerra Fredda costituisce una fase nettamente distinta. Fu infatti l’unico momento, in vari secoli della storia umana, che le società umane scelsero di sperimentare un’alternativa non capitalistica.Siamo molto distanti dalla condanna degli storici revisionisti, che parlano di un “passato illusorio”.

Per contrasto, la situazione mondiale che stiamo vivendo oggi è quella di un rischioso sviluppo interno della crisi del capitalismo globale, connotato da un ennesimo emergere, in nuove forme, degli eterni problemi inerenti al capitalismo globale, su una scala mai raggiunta prima.Se a dominare la scena della crisi è davvero il confronto fra USA e Cina, né l’uno né l’altro rappresentano da soli (o non lo fanno più) alcuna forza o potenzialità globalmente consolidata; né possono offrire alcuna scelta oltre al capitalismo globale, alcuna via d’uscita da esso. Socialismo o democrazia, dittatura o democrazia: è questa la solfa dei nostri dirigenti politici mondiali, senza che tali concetti siano in grado di indicare o suscitare alcuna costruzione di realtà che gli assomigli.

Agli inizi di questo secolo emerse un “discorso sulla civiltà”, o meglio una “teoria dello scontro fra civiltà”, che tuttavia fu sempre impossibilitata a conferire alla nuova guerra fredda USA-Cina un vero significato. All’inizio del XXI secolo l’emergere della Cina avrebbe potuto offrire al mondo una realtà nuova, e invece quello che venne esibito non fu altro che il posizionamento della Cina alla frontiera di una nuova esuberante promessa di vita per il capitalismo grazie al “vantaggio dell’arretratezza”, non certo un potere unico o mistico donato al mondo di intravedere un’alternativa di civiltà (non cristiana). Non c’è bisogno di dirlo, in confronto a quella europea e statunitense, la “via cinese” (o la via dell’emergere della Cina) agisce senza dubbio come un metodo o elemento essenziale di “differenza”. Quando questo metodo giunge a connettersi con l’analisi storica e il pensiero della “nuova sinistra” cinese, la “via cinese” diventa essenzialmente la “via rivoluzionaria cinese”.

Eppure, non è senza ironia che sono stati proprio gli sforzi intellettuali della nuova sinistra a confermare il fatto che il successo della rivoluzione socialista cinese ha coinciso esattamente con la tortuosa via alla modernizzazione dello Stato-nazione cinese; è stata precisamente la via socialista a consentire alla Cina di emergere (negli anni Ottanta) dalla “massa indistinta dei popoli globali” e di conseguire una condizione sovrana adeguata per entrare nel sistema capitalistico globale. L’“ascesa della Cina” è il portato e la “vittoria rossa” della rivoluzione socialista cinese. Alla quale vanno aggiunte le origini della storia moderna cinese: il Movimento del Quattro Maggio per la Nuova Cultura riuscì a mandare in esilio la cultura tradizionale con una determinazione e un’energia rare nella storia delle civiltà. Il valore attribuito alla “rottura radicale” e la tendenza a “privilegiare il presente, non il passato” creati o promossi dalla cultura rivoluzionaria nascose quasi interamente quanto gli elementi di “capitalismo confuciano” sottostanti al miracolo economico dei Quattro Draghi d’Asia operassero anche nell’ascesa della Cina. Tuttavia, nel discorso di Stato cinese “la fiducia in se stessa della cultura cinese” ha mantenuto il “rinascimento del popolo e della nazione cinese”, un elemento ancora presente sulle bandiere e negli slogan. Per questa ragione, per me, qualunque retorica energica o anche solo utile il conflitto sinoamericano possa elaborare, nessuna sarà mai in condizione di avviare o costituire una “nuova guerra fredda” globalmente significativa. Anche a considerare pura retorica la dizione “nuova guerra fredda”, buona per evidenziare gli sconquassi catastrofici del nostro mondo contemporaneo, varie e multiple intensificazioni di conflitti e crisi esplosive comprese, essa conserva quanto meno il valore di un allarme tardivo. A mio avviso, la più saliente caratteristica delle difficoltà nel mondo contemporaneo consiste nella coesistenza e collisione di quanto è “condiviso” e “disintegrato”, connesso e separato, globalizzato e unilaterale. Da un lato, il complesso del capitale finanziario globalizzato, delle autostrade informatiche, in particolare dell’ “internet delle cose”, costituisce una struttura globale straordinariamente connessa. D’altro lato (o simultaneamente), si rilevano dispute e contenziosi basati sugli interessi nazionali verso le risorse, le supremazie, le sfere d’influenza. Da un lato abbiamo capitali, ideologie, forzalavoro, migrazioni globali che danno luogo a fenomeni globali e condizioni materiali globali; dall’altro, constatiamo che un baratro s’apre sempre più rapidamente tra ricchi e poveri, che la dissoluzione e scomparsa della classe media crea le condizioni per i nazionalismi, che fondamentalismi religiosi e populismi appestano e infestano ogni parte del mondo. Nello stesso tempo, mentre infiammano gli spiriti politiche nazionaliste pesantemente razziste ed esperimenti culturali che innescano svariate opposizioni e conflitti internazionali, si constata anche, a livello globale, in particolare nelle nazioni e regioni più sviluppate, un alto grado di violenze, disordini gravi e divisioni comunitarie profonde. Se le innovazioni digitali e biologiche hanno assicurato alla cultura capitalistica un livello mai raggiunto prima d’ammodernamento tecnologico tramite cui gli esseri umani sono stati organizzati in rapporti di familiarità inediti nella storia, nello stesso tempo hanno provocato la rinuncia, a una velocità ed efficienza storicamente mai vista, il massiccio e sistematico abbandono di ampie porzioni della vita umana globale (sia chiaro che qui non c’è alcuna analogia col vecchio concetto di eccedenza di mano d’opera, qui l’abbandono fa scomparire l’esistenza, rende invisibile chiunque sia considerato insignificante, dunque non umano). Proprio mentre il mondo intero viene incessantemente incorporato nel sistema globale, proprio mentre il capitale, la produzione, il lavoro, le risorse, i flussi materiali sono strettamente connessi fra loro, proprio mentre l’espansione globale agisce come il coordinatore e organizzatore di pratiche ideologiche, nello stesso tempo, con i “valori universali” del capitalismo e della modernità che avvincono attualmente il globo, essi destabilizzano e mandano in pezzi implacabilmente i sistemi vigenti, che si disintegrano e crollano gli uni sugli altri. Se l’ascesa della Cina non è stata in grado di offrire al mondo alcun copione, idea o risorsa culturale alternativi, a paragone d’Europa e Stati Uniti, essa mantiene ancora vagamente una logica politica ed economica dominante. L’“enigma” dell’ascesa cinese innegabilmente contribuisce con forza al processo di diffusione disintegrante dei valori universali.In un sistema mondo che diventa di giorno in giorno sempre più connesso, non c’è più alcuna possibilità di sostenere valori comuni (sogni comuni o utopie condivise).

A mio avviso, la crisi globale contemporanea nasconde anche un altro aspetto. La pandemia scoppiata nel 2020 imperversa ancora furiosamente nel mondo, lanciando allarmi paralizzanti e generando nuove varianti, simile al copione di una tragedia che mette in scena il prodigio di un momento globale ammantato di mistero. Di fronte alle rovine causate dal virus nel globo e all’appiattimento di società umane ugualmente colpite, il rafforzamento delle difese confinarie è diventato un sacro dovere. Le spaventose distruzioni causate dal virus sono dilagate in ambiti nuovi e si sono mutate in nuove varianti; il metodo di propagazione punta il dito contro gli specifici e assurdi tracciati nei quali è stato incanalato il cammino della circolazione globale. La risposta delle “società umane” a un coronavirus che si aggira per il mondo stabilendo per l’umanità un “destino comune” è stata la forsennata intensificazione dei conflitti regionali e delle dispute internazionali. Abbiamo appena fatto esperienza di un evento globale che la dizione “nuova guerra fredda” è chiaramente incapace di racchiudere. Anzi, lo cela addirittura alla vista.

In un certo senso, siamo già entrati in una nuova era storica moderna o addirittura in una nuova fase della civiltà umana. Non ci sono precedenti a cui rifarsi, né esempi storici a portata di mano. Ma di fronte al dilemma amletico “essere o non essere”, sono più che mai urgenti e necessari un pensiero e una pratica creativi.

Traduzione di GioGo

Dai Jinhua 戴锦华 è professoressa all’Istituto di Letterature e Culture Comparate dell’Università di Pechino.Si occupa di critica e ricerca nell’ambito della cultura cinese, cultura popolare di massa, film studies e gender studies.

(L’articolo è stato pubblicato anche sul sito di DINAMOpress)

References
1 La versione originale dell’articolo è stata pubblicata sul sito Positions, Politics con il titolo “The new Cold War? That is the Question”.