Dal lancio dell’iniziativa delle Nuove vie della seta (Belt and Road Initiative, BRI) nel 2013, la Cina di Xi Jinping ha mostrato in modo sempre più chiaro la determinazione a espandere la propria sfera di influenza negli affari internazionali, spingendosi fino alla proposta di una nuova visione del mondo e dell’ordine globale. L’accettazione da parte degli altri attori internazionali dei fondamenti teorici e ideologici del nuovo assetto proposto da Pechino è essenziale per la realizzazione delle ambizioni cinesi e si traduce in una sempre più marcata consapevolezza da parte della leadership della Repubblica popolare cinese (RPC) dell’importanza dell’esercizio di “potere discorsivo”. Con questa espressione – huayuquan 话语权, oggi parola chiave del discorso politico cinese – si intende la capacità di esprimere idee, concetti, messaggi che ricevano ascolto e raccolgano consenso anche fuori dai confini nazionali, facendo guadagnare alla Cina la forza necessaria per cambiare pensieri e comportamenti, influenzare le percezioni che gli altri Paesi hanno di essa ed eventualmente modellare l’agenda internazionale allineandola ai propri obiettivi. Huayuquan è quindi il controllo sulla narrazione, la riscrittura di rappresentazioni consolidate, il riequilibrio delle posizioni attraverso la comunicazione. È l’incarnazione del potere nel linguaggio.
Huayuquan e soft power: una prospettiva discorsiva
Il debutto della BRI sul palcoscenico internazionale ha più o meno coinciso temporalmente con l’invito di Xi Jinping a tutta la nazione di impegnarsi per migliorare il potere discorsivo internazionale (guoji huayuquan 国际话语权) del Paese, con lo scopo di incrementare il soft power culturale (wenhua ruanshili 文化软实力) nazionale. Il 30 dicembre del 2013, infatti, in occasione della XII Sessione di studio collettivo dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), il Presidente della RPC e Segretario generale del PCC ha sottolineato la necessità di incrementare la “capacità di disseminare [notizie] a livello internazionale” (guoji chuanbo nengli 国际传播能力) e di costruire un “sistema discorsivo rivolto all’esterno”(duiwai huayu tixi 对外话语体系) per conferire alla Cina lo status di “potenza culturale socialista” (shehuizhuyi wenhua qiangguo 社会主义文化强国) e affinché le “storie cinesi vengano raccontate, la voce cinese propagata e le caratteristiche cinesi spiegate” (jianghao Zhongguo gushi, chuanbohao Zhongguo shengyin, chanshihao Zhongguo tese 讲好中国故事,传播好中国声音,阐释好中国特色) come si deve.1)“Xi Jinping: jianshe shehuizhuyi wenhua qiangguo zhuoli tigao guojia wenhua ruanshili” 习近平:建设社会主义文化强国着力提高国家文化软实力 [Xi Jinping: costruire una potenza culturale socialista e puntare a rafforzare il soft power culturale del Paese]. Xinhuawang 新华网, 31/12/2013.
Il tema del potere discorsivo entra quindi a pieno titolo nel dibattito sulla costruzione e sulla proiezione internazionale del soft power cinese. Almeno dalla sua quarta generazione, infatti, la leadership cinese è dichiaratamente impegnata nell’attuazione di una strategia di incremento del soft power nazionale, manovra di cui fanno parte anche la riorganizzazione e l’internazionalizzazione dei media e divenuta più efficace sotto la guida di Xi. Oltre che facendo leva sulle risorse culturali del Paese,2)Il quadro concettuale a cui si fa riferimento è la rielaborazione cinese della teoria del soft power veicolata dal discorso politico e intellettuale cinese. Essa si discosta dalla definizione originaria di Joseph Nye – secondo il quale un Paese esercita soft power nell’ambito della politica globale grazie alla capacità di attrarre, cooptare e influenzare per mezzo di risorse intangibili (la cultura, i valori politici e la politica estera) – e promuove una narrazione che pone al centro la costruzione della cultura. La Cina concentra l’elaborazione e la messa in pratica di molte delle sue politiche di soft power attorno alla coltivazione di risorse culturali. Nel complesso tali politiche mostrano una duplice funzione: sono rivolte verso l’interno, in quanto strumento per una migliore gestione del Paese, e proiettate verso l’esterno, perché puntano a incrementare lo charme cinese nel mondo. Da quest’ottica di sviluppo e impiego olistico delle risorse culturali del Paese consegue il binomio interno-esterno riscontrabile negli obiettivi dell’incremento del soft power (culturale) promosso dalla leadership cinese. Su questo tema si veda, ad esempio, Zhang Guozuo, Research Outline for China’s Cultural Soft Power (Springer: Singapore, 2017). la messa in atto di questa strategia sul piano internazionale comprende lo sfruttamento dei meccanismi della propaganda esterna e di image-building e, naturalmente, la ricerca di un maggiore potere del discorso cinese sulla scena globale.3)David Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”, Foreign Affairs, July/August 2015; Paul SN Lee, “The rise of China and its contest for discursive power”, Global Media and China, 1, 1-2, 2016, 102-20.
Dal punto di vista dello sviluppo della strategia nazionale cinese, mentre l’idea di “incrementare il soft power culturale del Paese” (tigao guojia wenhua ruanshili 提高国家文化软实力) è stata ufficialmente avanzata in occasione del rapporto di Hu Jintao al XVII Congresso nazionale del PCC nel 2007, quella di rafforzare il potere discorsivo internazionale è apparsa formalmente al punto 54)Si tratta del punto intitolato “Tuidong Zhonghua wenhua zou xiang shijie” 推动中华文化走向世界 [Promuovere l’avanzamento della cultura cinese verso il mondo]. della sezione 75)Si tratta della sezione intitolata “Jin yi bu shenhua gaige kaifang” 进一步深化改革开放,加快构建有利于文化繁荣发展的体制机制 [Approfondire ulteriormente la riforma e l’apertura, accelerare la costruzione di sistemi e meccanismi che favoricano lo sviluppo e la prosperità della cultura]. delle linee guida sulla riforma culturale decise dalla VI Sessione plenaria del XVII Comitato centrale nel 2011,6)“Decisioni del Comitato centrale del PCC su alcune questioni importanti riguardanti l’intensificazione della riforma del sistema culturale e la promozione dello sviluppo e della prosperità della cultura socialista” (Zhonggong zhongyang guanyu shenhua wenhua tizhi gaige、tuidong shehuizhuyi wenhua da fazhan da fanrong ruogan zhongda wenti de jueding 中共中央关于深化文化体制改革、推动社会主义文化大发展大繁荣若干重大问题的决定. dove si legge la seguente direttiva:
创新对外宣传方式方法,增强国际话语权,妥善回应外部关切,增进国际社会对我国基本国情、价值观念、发展道路、内外政策的了解和认识,展现我国文明、民主、开放、进步的形象。
Innovare i metodi di propaganda esterna, rafforzare il potere discorsivo internazionale, rispondere adeguatamente alle preoccupazioni che giungono dall’esterno, migliorare la comprensione e la conoscenza da parte della comunità internazionale delle fondamentali caratteristiche nazionali, del sistema di valori, del percorso di sviluppo e delle politiche interne ed estere cinesi e mostrare un’immagine di civiltà, democrazia, apertura e progresso per la Cina.
Da un punto di vista linguistico, entrambi i termini “ruanshili” 软实力 e “huayuquan” mostrano caratteristiche interessanti. Il primo è stato scelto tra una varietà di traduzioni proposte per rendere in cinese il significato dell’espressione inglese “soft power”. Tra i traducenti appaiono, oltre a “ruanshili”, “ruanliliang” 软力量, “ruanquanli” 软权力 e “ruanguoli” 软国力. Il discorso ufficiale e intellettuale cinese opta primariamente per la formula “ruanshili”, sottolineando l’aspetto del soft power legato alla forza interna del Paese, piuttosto che all’esercizio di autorità a livello internazionale, un approccio rimarcato attraverso l’anteposizione della parola “cultura” (wenhua 文化).
In huayuquan, invece, il “potere” è “quan” 权, nel significato di “autorità” ma anche di “diritto” e sulla base di queste caratteristiche linguistiche si aprono due diverse interpretazioni: ricerca del potere o perseguimento dei propri interessi.7)Wang Hung-jen, “Contextualising China’s Call for Discourse Power in International Politics”. China: An International Journal,13, 3, 2015, 172-89. Similmente, nella definizione di Zhang Zhongjun, vice-segretario della Scuola centrale del Partito,si legge:8)Zhang Zhongjun 张忠军, “Zengqiang Zhongguo guoji huayu quan de sikao” 增强中国国际话语权的思考 [Riflessioni sull’incremento del potere discorsivo internazionale cinese]. Guojishiye 国际视野 [Theoretical Horizon],4, 2012, 56-59.
话语权既是一种说话的“权利”(right),也是一 种说话的“权力”(power)。 作为“权力”意义上的话语权,不仅是指有说话的权利,而且是指能够通过语言的运用,使自己的理念和主张得到他人的尊重和认可,以非暴力、非强制的方式改变他人的思想和行为。
Il potere discorsivo è sia un tipo di “diritto” (right) di parlare, sia un tipo di “potere” (power) di parlare. Nel significato di “potere”, il potere discorsivo non indica soltanto avere il diritto di parola, ma anche riuscire a fare sì che le proprie idee e opinioni ottengano il rispetto e l’approvazione degli altri attraverso l’uso del linguaggio e cambiare il modo di pensare e di agire altrui senza l’utilizzo di metodi violenti e coercitivi.
Zhang sottolinea l’urgenza per la Cina di migliorare il proprio potere discorsivo internazionale al fine di rispondere adeguatamente alla competizione internazionale e proteggere gli interessi nazionali. Nell’analisi dell’autore, il potere discorsivo risulta essere una componente fondamentale del soft power e del potere complessivo nazionale perché possederlo equivale ad avere “la capacità di delineare gli argomenti di discussione, fissare standard e norme e decidere ciò che è giusto o sbagliato nell’ambito delle relazioni internazionali”, “indirizzando l’opinione pubblica” (yindao yulun zouxiang 引导舆论走向) e “modellando una buona immagine nazionale” (suzao lianghai guojia xingxiang 塑造良好国家形象).
A queste affermazioni fa eco quanto espresso da Zhang Weiwei in un’intervista del 2015 in cui sostiene che, al fine di potersi rivolgere chiaramente e assertivamente al proprio popolo e al mondo esterno, la Cina necessita di narrazioni nuove, sia per contenuti che per stile.9)Tatlow Didi Kirsten, “Q. and A.: Zhang Weiwei on Why China Will Succeed Under the Communist Party”. The New York Times, 15/06/2015. Secondo lo studioso, per fare fronte alla faziosità dei media occidentali queste narrazioni devono mirare a superare la barriera imposta da un discorso politico ufficiale – quello cinese – non sempre facile da comprendere. Xi Jinping, continua Zhang, sembra avere compreso questa necessità, prendendo personalmente l’iniziativa di cambiare lo stile comunicativo del PCC.
Aspetti comunicativi della BRI
Partendo da questa prospettiva, il presente contributo propone una riflessione sulla costruzione del potere discorsivo cinese prendendo come spunto la rappresentazione che la leadership fornisce delle passate, presenti e future relazioni tra la Cina e il mondo nel contesto della narrazione ufficiale che accompagna la promozione della BRI. Il sito internet “Yi dai yi lu” pindao “一带一路” 频道 – spazio online dell’agenzia di stampa Xinhua (Xinhua she 新华社) dedicato all’iniziativa – è un importante componente dell’architettura alla base della suddetta narrazione.
Xinhua e “Yi dai yi lu” pindao
Direttamente subordinata al Consiglio di Stato, Xinhua occupa una posizione di esclusività nel sistema gerarchico dei media cinesi. L’agenzia controlla il flusso delle informazioni, agendo all’interno di vincoli ideologici e politici ma subendo al contempo gli effetti dell’esposizione alle forze di mercato e alla globalizzazione, che rendono necessari, tra gli altri aspetti, la differenziazione dei contenuti e il rafforzamento della presenza online.10)Si vedano: Xin Xin, How the Market is Changing China’s News: The Case of Xinhua News Agency (Lexington Books: Lanham, 2012); Hugo De Burgh, China’s Media in the Emerging World Order (The University of Buckingham Press: Buckingham, 2017). Il sito internet Xinhuawang 新华网 è leader nella diffusione di notizie, in quattordici lingue, e ospita il canale dedicato alla BRI, raggiungibile cliccando sull’icona “Yi dai yi lu” 一带一路. Da qui si accede al sito http://www.xinhuanet.com/silkroad/index.htm descritto dalla stessa Xinhua come una piattaforma multilingue specificamente dedicata alla diffusione dell’informazione sulla BRI e avente lo scopo ultimo di aumentare la capacità di influenza del marchio Xinhua nel mondo, accelerando così il ritmo della strategia estera dei media cinesi.11)“Xinhuawang ‘Yi Dai Yi Lu’ pindao zhengshi shangxian dazao ‘xin Silu’ zixun fuwu pingtai” 新华网“一带一路”频道正式上线打造 “新丝路” 资讯服务平台 [“Yi dai yi lu” pindao di Xinhuawang ufficialmente online, crearere una piattaforma di servizi informativi per la “nuova Via della Seta”], Xinhuawang 新华网, 17/06/2016.
Tale strategia non può però prescindere dalla salvaguardia degli interessi nazionali e della legittimità del PCC in patria e all’estero che i media statali sono tenuti ad assicurare, pur nel tentativo di plasmare l’opinione pubblica internazionale.12)Xi Jinping’s 19 August speech revealed? (Translation). China Copyright and media, 12/11/2013. Considerando quindi la posizione di Xinhua in bilico tra Stato-Partito e mercato, la produzione di notizie da parte dell’agenzia negozia tra le priorità imposte dal rispetto della narrazione ufficiale e il crescente bisogno di attrattività, credibilità e competitività. Se è vero che tali caratteristiche si ripercuotono sulla comunicazione rivolta all’estero, sarà possibile rilevarne la presenza anche nel discorso sulle relazioni internazionali destinato prevalentemente al pubblico straniero. Al fine di verificare questa ipotesi, il presente contributo esamina una selezione di articoli pubblicati e diffusi da Xinhua nella sezione in lingua inglese del sito “Yi dai yi lu” pindao. Il caso studio permetterà di evidenziare alcuni tratti distintivi di questo tipo di narrazione e di investigare in che modo e con quale efficacia la Cina utilizza l’aspetto comunicativo della BRI nel contesto dell’articolazione e della diffusione della propria visione del mondo, della promozione dei propri interessi nazionali all’estero e dell’accrescimento del proprio potere discorsivo.
Il caso studio: dati e metodi
La sezione in lingua inglese del sito “Yi dai yi lu” pindao è facilmente raggiungibile dalla pagina http://www.xinhuanet.com/english/ cliccando sull’icona “B&R Initiative” nel menù a tendina “More”. In alternativa, le versioni in inglese, arabo, spagnolo, francese, russo, portoghese, tedesco, giapponese e coreano possono essere consultate selezionando la lingua direttamente dal sito in lingua cinese. Gli articoli oggetto del presente studio sono stati selezionati dal sito http://www.xinhuanet.com/silkroad/english/index.htm e specificatamente dalla sezione “Latest News”, contenente gli annunci più recenti. Essi derivano da studi preliminari dell’autore costruiti su corpora di titoli di notizie raccolti nei due periodi tra il 13 e 20 maggio 2017 e il 24 aprile e primo maggio 2019, ovverosia gli otto giorni a cavallo dello svolgimento del primo e del secondo Belt and Road Forum for International Cooperation (BRF), rispettivamente il 14-15 maggio 2017 e il 25-27 aprile 2019 a Pechino.13)Si veda, ad esempio, Natalia Riva, “China is Speaking, Who is Listening? The BRI, State Media, and Discourse Power: A Case Study”, in Alexander Alexiev e Pawel Zygadlo (a cura di), China And The World: Language, Culture, Politics (Vol. 1) (St. Kliment Ohridski University Press: Sofia, 2020), 71-78. In particolare, verranno qui considerati gli articoli classificati dal sito come “commentary” e che possono quindi essere ricondotti al genere del commento giornalistico (xinwen pinglun 新闻评论), suddivisibile a sua volta in due sottogeneri: “il commento di attualità” (shiping 时评) e l’editoriale (shelun 社论).14)Emma Lupano, “News and Views: Definitions and Characteristics of Genres in Chinese Journalism”, in Hugo de Burgh, Emma Lupano e Bettina Mottura (a cura di) Emerging Chinese Theory and Practice of Media. Languages Cultures Mediation 5, 2019, 51-70. L’importanza del genere del commento giornalistico nel dare voce alla percezione che la Cina ha di sé e del mondo è testimoniata anche della raccolta di commenti dei giornalisti di Xinhua: Xinhua News Agency, China speaks: Commentary from the Xinhua News Agency (2008–2012) (CN Times Books: New York, NY, 2013). Mentre il primo è un pezzo scritto da un commentatore esterno e potrebbe teoricamente divergere dal discorso ufficiale, il secondo non è l’espressione dell’opinione di un individuo ma della redazione.15)Lupano,“News and Views”, 60-5. Dall’etichetta “commentary” non emerge questa distinzione, così come all’interno dei testi selezionati, dove mancano informazioni dettagliate sull’autore.
La tabella sottostante elenca i dieci titoli ottenuti per il 2017 e gli otto titoli ottenuti per il 2019, ordinandoli cronologicamente.
2017 | 2019 | ||
13/05 | Commentary: Is China’s B&R initiative just hegemony in disguise? | 24/04 | Commentary: The BRI is here to stay |
13/05 | Commentary: Will the Belt and Road Initiative cause clash of cultures? | 25/04 | Xinhua Commentary: Belt and Road for joint development, shared benefits |
13/05 | Commentary: B&R not to shatter world order, but to fix it | 25/04 | Commentary: China sets no debt trap, but stage for financial integration |
13/05 | Commentary: Can we equate Marshall Plan with Belt and Road Initiative? | 25/04 | Commentary: West needs to let go of outdated Neocolonialism mindset |
14/05 | Commentary: Belt and Road new model of win-win, not outdated geopolitical maneuvering | 25/04 | Commentary: No debt traps on Belt and Road |
14/05 | Commentary: Belt and Road to rebalance global economy | 26/04 | Xi Focus-Commentary: Building more consensus on Belt and Road Initiative |
15/05 | (BRF) Commentary: Revive Silk Road spirit for a shared future | 26/04 | Commentary: No room for backdoor deals in BRI |
15/05 | Commentary: From notion to action, the Belt and Road serves interests of all | 27/04 | Commentary: China reassures world on non-stop opening up |
15/05 | Commentary: Is Belt and Road Initiative just political rhetoric? | ||
19/05 | Commentary: Belt and Road forum gains global applause, refutes smears |
Analisi
Un’osservazione iniziale dei diciotto titoli evidenzia due caratteristiche principali della veicolazione del discorso sulle relazioni internazionali costruito da Xinhua in lingua inglese: la prima è la natura esplicativa di un certo numero di articoli, in particolare quelli risalenti al 2017, introdotti in molti casi da una domanda o da un’affermazione in risposta a un ipotetico quesito; la seconda è il ricorso a un lessico presumibilmente familiare alla audience a cui Xinhua si rivolge, attraverso l’introduzione di concetti quali “hegemony”, “clash of cultures”, “world order”, “Marshall Plan”, “debt trap” e “Neocolonialism”. Le due strategie permettono di ipotizzare che il processo di produzione di notizie in lingua inglese da parte di Xinhua sia influenzato dalla percezione di quali possano essere i temi maggiormente interessanti, o preoccupanti, per il pubblico internazionale in relazione alla BRI e al ruolo della Cina nell’iniziativa. Sfatare le paure attraverso la dichiarazione di cosa la BRI non rappresenta (“not to shatter world order”, “not outdated political maneuvering”, “no debt traps” ecc.) ma anche stimolare l’interesse e incontrare il gusto dei lettori sono gli scopi comunicativi perseguiti dai titoli, che in una prospettiva diacronica sembrano farsi più assertivi nel 2019 (“The BRI is here to stay”, “West needs to let go”).
Entrando nel merito dei testi, è possibile individuare una serie di tematiche – articolate attraverso la ripetizione di parole chiave, formule fisse, espressioni ricorrenti e concetti fondanti della politica estera cinese – che possono essere considerate caratteristiche della nuova visione dell’ordine globale di stampo specificamente cinese.
Il primo aspetto che emerge, e che in larga parte fa da sfondo a tutti gli articoli analizzati, è la volontà di negare timori, pessimismo, scetticismo e dubbi in relazione agli scopi perseguiti dalla BRI e, più in generale, di rispondere alla “teoria della minaccia cinese” (Zhongguo weixie lun 中国威胁论):16)La teoria nasce intorno alla metà degli anni ’90 e vede l’ascesa economica e militare cinese come un potenziale pericolo di rovesciamento dello status quo. “only the fearful see a threat where none is intended”. Negli articoli del 2017, i detrattori della BRI sono definiti “naysayers” e “fearmongers” che per il proprio tornaconto esagerano le paure e sottolineano le difficoltà: “pessimism sells more newspapers and draws more clicks than stories of success”. Il messaggio non è particolarmente innovativo,17)Prima ancora di appoggiarsi all’esercizio del soft power, la leadership cinese faceva leva su teorie quali quella della “responsabilità cinese” (Zhongguo zeren lun 中国责任论) o della “potenza responsabile”, dell’“opportunità cinese” (Zhongguo jiyu lun 中国机遇论) e del “contributo cinese” (Zhongguo gongxian lun 中国贡献论) perdifendersi dall’accusa di costituire una minaccia per l’ordine globale. ma certamente chiaro e diretto: “the hegemony concern is groundless and unnecessary”; “the new Silk Road plan is not and will never be neocolonialism by stealth”; “fears must be dismissed”. E con poca sorpresa, il dito è puntato contro i media occidentali: “the Belt and Road Initiative has made headline. While some Western commentators view it as just political rhetoric, those skeptics have failed to see the facts”; “some Western media reports arbitrarily politicalized the Belt and Road Initiative”. Siamo in presenza di una “discourse war”, per citare le parole di David Shambaugh.18)Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”.
Sei anni dopo la proposta dell’iniziativa da parte cinese e forte dei risultati ottenuti dalla Cina dopo il primo BRF, Xinhua rincara la dose: “groundless criticism keeps arising”; “naysayers may continue to pick faults with bias, but no development opportunities await”; “in spite of remarkable headway, critics have never stopped stigmatizing the mechanism as a debt trap or geopolitical tool”; “the BRI was not suppressed or marginalized as some might have hoped”; “no matter what skeptics have said, it’s important to remember that facts speak louder than words”. E infine:
Malicious calculation of China’s intention for the BRI is not surprising, as the narrow-minded psychology that a stronger China with a greater role in global and regional governance is not desirable for all especially for the West, still prevails.
Il tono è assertivo, quasi aggressivo: “like it or not, the West has to embrace a rising China and its improved capabilities in global and regional governance”; “like it or not, the BRI will show stronger vitality in the future”. È un tono che spicca notevolmente se messo a confronto con la descrizione dei rapporti che la Cina afferma di volere costruire con i Paesi coinvolti nella BRI. Si delinea una demarcazione tra “doubters” e “the expanding circle of friends of the initiative”, con i primi che ricevono l’invito a “jump on board” e i secondi che fungono da testimoni degli intenti benevoli dell’iniziativa: “the proof of the pudding is in the eating. None has a bigger say than those who are involved in BRI cooperation”. Il secondo tema evidenziato è quindi relativo al ruolo non predominante nell’iniziativa che la Cina attribuisce a se stessa: “China has kicked off the initiative, and it is now up to others to play the game”; “the Belt and Road is a solution suggested by China”; “the initiative, raised by China, is multinational in nature”. L’enfasi è sul termine “iniziativa” e la metafora ricorrente quella di un “gioco di squadra” di cui la Cina afferma di non avere alcuna intenzione di stravolgere le regole:
Is this initiative a China-centered plan? The answer is no. […] “Initiative” means taking the lead; getting the ball rolling. The Chinese funding is like a seed and a catalyst. China has kicked off the initiative, but it is up to others to join and play the game together.
Viene quindi dichiarata la volontà di rinnovare il sistema vigente, sulla scia della rinascita della nazione cinese, e di migliorarlo per costruire un mondo più giusto che possa beneficiare sia la Cina stessa che il resto del mondo. Le parole di Xi, “a steadfast champion of globalization”, riportate in uno degli articoli esprimono chiaramente il punto di vista cinese: “the pursuit of the Belt and Road Initiative is not meant to reinvent the wheel”. Non ci saranno quindi “alliances to confront any other country” e tantomeno un “exclusionary bloc or a ‘China club’” perché lo scopo dell’iniziativa, “open to all, with results for all”, è aiutare i Paesi a elaborare le proprie strategie di sviluppo sulla base dei meccanismi di cooperazione transnazionali esistenti.
Strettamente collegato al tema del “China’s proposal”, è la nuova prospettiva sulla globalizzazione che la RPC intende promuovere attraverso la BRI. La Cina si dichiara pronta a supportare l’edificazione di una comunità che lavori per creare “a fairer world order” con lo scopo di “rebalance the things and help restore faith in globalization”. La chiave, identificata da Xi, per risolvere i problemi che inficiano la stabilità nazionale di molti Paesi e delle relazioni internazionali è lo sviluppo, inclusivo e sostenibile, ovverosia “a new model of global economics based on the principles of mutual benefit, a far cry from the current winner-takes-all system”. Indicativo è il seguente passaggio:
We can all pull together, or we can pull apart. […] The B&R initiative is a fresh and energizing force to fix the world at a time when the world is greatly in need of fixing. The weaknesses and flaws in an old-style global economy are obvious to all as the world struggles to recover from crisis after crisis and meltdown after meltdown. Developing countries have a right to sustainable growth. If they want globalization, then globalization they shall have.
As China rises toward national rejuvenation and its economy undergoes structural changes, the B&R initiative brings enormous potential for cooperation between China and countries along the routes. Growth for one can mean growth for all.
La critica all’Occidente – il terzo nucleo tematico – è rivolta agli Stati Uniti, seppure indirettamente, e ai Paesi sviluppati. L’accusa, per nulla velata, è di avere causato il peggioramento delle condizioni di vita dell’intera umanità: “the world today has every reason to carry forward this great heritage [Via della Seta], given poverty, skewed development, terror and turbulence afflicting mankind”; “the Belt and Road forum is not an occasion to assert a new hegemony, but an opportunity to bring an old one to an end”; “Western countries build walls and slam their doors”; “the Western world tinkers with upgrades and recalibrations to a doddering economic model that has brought untold riches to a few”; “resources have been hogged by developed nations”. Parole chiave in questa narrazione dell’Occidente sono “protectionism”, “unilateralism”, “Cold War mentality and bipolar structure”, “Thucydides Trap”, “zero-sum game” e si delinea una contrapposizione tra le “arcaich relationships” del vecchio mondo, caratterizzato da “narrow-minded nationalism and a lack of understanding” e “narcissism”, e il nuovo modello di “win-win cooperation” proposto dalla Cina attraverso la BRI: “as some western countries move backwards by erecting walls, China is contriving to build bridges”.
L’invito ad approfittare della BRI è rivolto in particolare ai Paesi in via di sviluppo – “nations which have for many years been largely neglected by the West” – penalizzati dalla globalizzazione di stampo occidentale: “the impact of the initiative is conspicuous in the least developed nations in Africa and Asia where China offers a once-in-a-lifetime crack at modern prosperity”; “many of the countries involved have been caught in the subsidence of globalization, left forgotten and far behind”. L’azione cinese in Africa, in particolare, al centro dell’attenzione degli articoli del 2019, è descritta in contrapposizione alla “West’s old colonial mentality” che persegue “short-term steep returns”. La BRI sostiene invece “economic take-off” e “long-term development” come soluzione ai danni causati dall’Occidente nel continente africano:
Long gone is the history of enslavement in Africa by the West. But the ills of one-sided economic structure and backward infrastructure, left behind by Western colonizers, are not easily remedied. Today, Africa’s weak status in the global economy is directly related to its past of being colonized.
In sostanza, è l’Occidente a essere ritenuto colpevole del dilagare di situazioni di crisi nel mondo, mentre la Cina si impegna a “patch up the holes in global governance” attraverso la BRI: “the BRI, proposed by China nearly six years ago, is a blessing amidst a world faced with common challenges such as growing uncertainties and destabilizing factors”; “greater connectivity will prevent the world from descending into poverty and backwardness”; “the initiative is positioned as a stimulus for common prosperity in a world fraught with sluggish growth, shrinking trade, stalling investment and emerging de-globalization”.
La responsabilità della Cina nel promuovere la realizzazione della BRI deriva dalla sua storia. Il discorso costruito intorno a questo quarto tema attinge sia al passato imperiale sia al processo di modernizzazione e alla riforma economica che hanno portato il Paese a posizionarsi come seconda potenza economica mondiale. In primo luogo, viene rievocato lo “spirito della Via della Seta”, che incarna i valori della pace e della cooperazione, dell’apertura e dell’inclusione, del mutuo apprendimento e dei mutui benefici. Esso è una basilare eredità comune su cui la BRI è costruita e la cui ripresa nel XXI secolo sarà funzionale non solo alla prosperità cinese ma anche allo sviluppo di tutti i Paesi coinvolti nell’iniziativa. L’obiettivo è la creazione di una “community of shared future for mankind”: “a shared dream brings civilizations together”. Emerge come la Cina ritenga di avere il diritto ma anche il dovere di promuovere la BRI data l’esperienza accumulata in fasi successive della propria storia, a partire dal secolo di umiliazione nazionale subito e fino al successo della modernizzazione: “China stands as a staunch supporter of free trade and multilateralism, as it knows only too well that openness brings progress while seclusion leads to backwardness”; “China knows only too well that such practices [corruzione] undermine the fairness and efficiency of the projects”. La volontà cinese è di condividere con il resto del mondo la prosperità che il Paese è riuscito a raggiungere grazie anche alla collaborazione internazionale: “nor will China use the success of the initiative to undermine the influence of others and jeopardize the regional stability upon which the nation’s astonishing successes have been built”; “these bridges [ponti fisici e metaforici] are China’s important offerings to the world”.
Infine, entrano in gioco alcuni dei fondamenti della teoria cinese delle relazioni internazionali, come il rispetto reciproco e la non ingerenza, inseriti nel quadro dottrinale del confucianesimo:
China had suffered colonial and semi-colonial rule in modern times and now truly knows the bitterness of being colonized. China has never intended to control other countries as it lives by motto of confucianism “Do unto others as you would have them do unto you”.
Proprio come la carta, la polvere da sparo e la seta, la BRI è presentata come un prodotto cinese orientato alla fruizione internazionale. Essa simboleggia e promuove l’armonia, in particolare nella visione tradizionale cinese di “harmony without uniformity”: “a piano does not bang out one note again and again”. Il richiamo è alla teoria del “mondo armonioso” (hexie shijie 和谐世界), proposta da Hu Jintao nel 2005, che persegue obiettivi quali pace e prosperità per tutti i Paesi e popoli. Il discorso costruito intorno a questo tema è strettamente collegato alla sua controparte interna – la “società armoniosa” (hexie shehui 和谐社会), formula chiave del discorso politico della quarta generazione della leadership del PCC – e al concetto confuciano di “da tong” 大同 (grande armonia).
Una grande famiglia di coesistenza armoniosa
“In this world full of conflicts and frictions, can this genuine aspiration be well received? We have every reason to be optimistic, as good will prevails and great things sell”. Così si conclude uno degli articoli del corpus analizzato lasciando in sospeso il quesito sull’effettiva comprensione a livello globale dell’ambizione cinese di fare del mondo un posto migliore. La domanda offre uno spunto per concludere questa breve trattazione che si è concentrata sugli aspetti comunicativi della BRI e, nello specifico, sull’efficacia di metodi e messaggi in relazione al potere discorsivo.
In primo luogo, è possibile rilevare come la specifica narrazione qui analizzata risulti costruita, per la maggior parte, in reazione a un consolidato discorso occidentale sulle relazioni internazionali percepito dalla Cina come ostile nei propri confronti. È una narrazione che mira tuttora a rifiutare la “teoria della minaccia cinese”, o accuse affini, mostrando il carattere solo “difensivo” di strategie di soft power quali il rafforzamento del potere discorsivo internazionale. Gli articoli analizzati non spiccano quindi per originalità dei contenuti proposti o del linguaggio utilizzato e si conformano alla tradizionale pratica comunicativa estera in cui permane l’elemento retorico tipico del discorso politico cinese,19)Tanina Zappone, La comunicazione politica cinese rivolta all’estero (Ledizioni: Milano, 2017). pur nell’ambito di un’iniziativa al centro di una campagna di comunicazione di grande impatto sull’opinione pubblica internazionale.20)Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”. I testi contengono un numero cospicuo di dati che corroborano il successo della BRI, ma la cornice del corpus rimane prettamente propagandistica, assumendo a tratti un tono assertivo e critico nei confronti di un assetto globale ritenuto dannoso e obsoleto. La scelta di un canale mediatico che intende attrarre un pubblico più ampio, con lo scopo di aumentare il potere discorsivo internazionale della RPC, non è pertanto elemento sufficiente per distinguere la narrazione costruita in “Yi dai yi lu” pindao dal discorso ufficiale, veicolato ad esempio da documenti e comunicati che regolano la BRI, di cui Xinhua riprende le formule.
In questa narrazione si riconoscono elementi assimilabili a “slogan politici”, una costante del discorso ufficiale cinese che ha lo scopo di legittimare le azioni della leadership, non solo nell’ambito degli affari interni, e quindi della comunicazione con le audience nazionali, ma anche, come si è visto, nella sfera globale.21)Falk Hartig, “Political Slogans as Instruments of International Government communication – the case of China”, The Journal of International Communication, 2018. La rappresentazione della Cina come Paese che contribuisce alla pace e alla prosperità del mondo è ricorrente nella comunicazione esterna e direttamente riconducibile a uno dei più noti slogan di politica estera: “sviluppo pacifico” (heping fazhan 和平发展).22)Hartig, “Political slogans”. Il sopracitato “mondo armonioso” è uno slogan simile e la lista potrebbe allungarsi includendo le nuove formule usate per descrivere la BRI e i suoi scopi, primo tra tutti la “comunità umana dal destino condiviso” (renlei mingyun gongtongti 人类命运共同体).23)Interessante a tale proposito l’approccio di Zeng Jinghan che paragona i tre concetti di politica estera più importanti della leadership di Xi – “New Type of Great Power Relations”, “Belt and Road Initiative” e “Community of Shared Future for Mankind” – a slogan multifunzionali della comunicazione politica in ambito nazionale e internazionale. Si veda Zeng Jinghan, Slogan Politics: Understanding Chinese Foreign Policy Concepts (Palgrave Macmillan, 2020).
È pertanto presumibile che le audience straniere non si trovino spaesate tanto dalla terminologia utilizzata, che come si è visto tende ad avvicinarsi a loro appoggiandosi a un lessico familiare per rispondere a ipotetici quesiti, quanto dalla difficoltà di distinguere tra propaganda e realtà e accettare come veritiere le notizie ricevute. L’efficacia degli slogan politici sta nella semplicità – riscontrabile anche nella retorica costruita intorno alla BRI – ovverosia la capacità di presentare in poche, chiare parole come la Cina vuole essere vista e quale visione ha del mondo; d’altro canto è proprio questa mancanza di complessità a essere percepita come ambiguità dagli osservatori stranieri, specialmente se la narrazione non è supportata da azioni concrete.24)Hartig, “Political slogans”.
Difficile quindi pensare che, impiegando i suddetti metodi comunicativi, Xinhua possa esercitare un ampio potere discorsivo. D’altro lato, la domanda da porsi è anche se la narrazione che ne risulta può fare presa su una larga fetta di pubblico straniero grazie ai messaggi che comunica, riuscendo nell’intento di allargare il consenso intorno alla BRI anche tra quelle audience che non sono già a favore dell’iniziativa e del Paese che l’ha proposta. Considerando i contenuti, una potenziale chiave di lettura è che l’Occidente possa non essere il target di una simile propaganda esterna in lingua inglese, che otterrebbe invece ascolto in quei Paesi che si pongono in contrapposizione ai valori del “mondo occidentale”. Il secondo aspetto su cui riflettere è quindi la nuova prospettiva sulle relazioni internazionali che la BRI incarna e lo charmeche la proposta cinese può esercitare. Gli articoli supportano fortemente il modello di rapporti globali proposto dalla Cina, che riprende l’eredità dell’antica Via della Seta e si basa sui valori dello scambio e del dialogo tra civiltà e culture diverse. Il futuro della globalizzazione secondo Pechino sorpassa i tradizionali aspetti economici e si articola grazie a una maggiore connettività di politiche, infrastrutture, commercio, finanze e, soprattutto, legami tra persone. La BRI non è soltanto un progetto materiale ma una metafora concettuale dal significato globale: è la visione di un mondo multipolare – e quindi non unipolare sotto l’egemonia americana – culturalmente diversificato ma globalizzato attraverso l’ampia consultazione e la partecipazione di tutti. La Cina fa quindi una promessa indubbiamente allettante: la BRI porrà fine all’attuale assetto economico che favorisce i Paesi ricchi e forti e penalizza quelli poveri e deboli, valorizzando il dialogo anziché lo scontro e l’amicizia anziché l’alleanza e creando “una grande famiglia di coesistenza armoniosa”. La volontà dichiarata è di promuovere un rinnovato incontro di civiltà, un ordine mondiale cosmopolita,25)Enrico Fardella, “La Belt & Road Initiative e il nuovo globalismo sinocentrico di Pechino”, T.wai, 27 febbraio 2017. una globalizzazione dal volto umano,26)Michelangelo Cocco, Una Cina “perfetta” (Carocci: Roma, 2020). in cui non ci sarà un leader.
C’è però anche l’altra faccia della medaglia: in questo sistema di amicizia tra civiltà, la Cina, come in epoca imperiale, è il “centro gravitazionale”.27)Alec Chance, “The Belt and Road Initiative and the Future of Globalization”, The Diplomat, 31 ottobre 2017. Ed è qui che il messaggio può dare adito a diverse, controverse interpretazioni. Ad esempio, nella cultura cinese, la metafora della “grande famiglia” sottintende il rispetto di una serie di ruoli gerarchici in cui il capofamiglia si assume la responsabilità verso gli altri membri e riceve riconoscimento per la propria benevolenza.28)Simone Dossi, “Come in una ‘grande famiglia’. Il vertice Apec 2014 e l’autorappresentazione del ruolo regionale della Cina”, in Emma Lupano (a cura di), La Cina dei media. Analisi, riflessioni, prospettive (Unicopli: Milano, 2016), 51-69. Proprio come nei rapporti tra padre e figlio, la centralità della gerarchia si ritrovava nella concezione della struttura dell’impero cinese come presupposto dell’armonia tra governo e popolo. Traslare la metafora della famiglia sul piano globale significa perciò essere in presenza di “una precisa gerarchia della convivenza internazionale” all’interno della quale la Cina ha una posizione centrale grazie alla sua superiorità materiale e morale.29)Dossi, “Come in una ‘grande famiglia’”, 64. Così, in virtù dei benefici di portata mondiale che la BRI promette, il ruolo della Cina risulterebbe ancora più rafforzato.
In sostanza, un discorso sulle relazioni internazionali che, come si è visto, riprende idee di stampo confuciano, suggerisce altri concetti fondanti di questo sistema politico-filosofico, primo tra tutti la tradizionale rappresentazione dell’identità nazionale cinese come tianxia 天下, “tutto quanto sta sotto il Cielo”. Conseguenze di questa visione sull’impostazione e la gestione degli affari esteri sono stati il sistema sinocentrico e i rapporti tributari sulla base dei quali la Cina ha legittimato per secoli le proprie relazioni con il mondo esterno. Nel mondo contemporaneo, il ritorno in auge di una tale prospettiva, non esplicitata nel corpus analizzato, farebbe presuppore per la Cina un ruolo marcatamente centrale, anche se dichiaratamente benevolo, nella rete di connessioni alla base della “big family of harmonious co-existence” che intende creare. Un’immagine per molti poco accattivante.
Immagine: panorama Silk Road.
Natalia Riva ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Storia, Istituzioni e Relazioni Internazionali dell’Asia e dell’Africa Moderna e Contemporanea nel 2016 presso l’Università degli Studi di Cagliari. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore dove partecipa al progetto “Analisi dell’impatto dei prodotti mediali italiani sul mercato cinese contemporaneo” nel quadro del PRIN 2017 “Italian na(rra)tives: il brand Italia attraverso i media contemporanei in una prospettiva globale”. I suoi studi si concentrano sulla cultura, società e politica della Cina contemporanea, sulle strategie culturali, il soft power e le pratiche discorsive cinesi e su aspetti socio-linguistici della lingua cinese moderna. Si occupa inoltre di traduzione letteraria e saggistica dal cinese all’italiano.
↑1 | “Xi Jinping: jianshe shehuizhuyi wenhua qiangguo zhuoli tigao guojia wenhua ruanshili” 习近平:建设社会主义文化强国着力提高国家文化软实力 [Xi Jinping: costruire una potenza culturale socialista e puntare a rafforzare il soft power culturale del Paese]. Xinhuawang 新华网, 31/12/2013. |
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↑2 | Il quadro concettuale a cui si fa riferimento è la rielaborazione cinese della teoria del soft power veicolata dal discorso politico e intellettuale cinese. Essa si discosta dalla definizione originaria di Joseph Nye – secondo il quale un Paese esercita soft power nell’ambito della politica globale grazie alla capacità di attrarre, cooptare e influenzare per mezzo di risorse intangibili (la cultura, i valori politici e la politica estera) – e promuove una narrazione che pone al centro la costruzione della cultura. La Cina concentra l’elaborazione e la messa in pratica di molte delle sue politiche di soft power attorno alla coltivazione di risorse culturali. Nel complesso tali politiche mostrano una duplice funzione: sono rivolte verso l’interno, in quanto strumento per una migliore gestione del Paese, e proiettate verso l’esterno, perché puntano a incrementare lo charme cinese nel mondo. Da quest’ottica di sviluppo e impiego olistico delle risorse culturali del Paese consegue il binomio interno-esterno riscontrabile negli obiettivi dell’incremento del soft power (culturale) promosso dalla leadership cinese. Su questo tema si veda, ad esempio, Zhang Guozuo, Research Outline for China’s Cultural Soft Power (Springer: Singapore, 2017). |
↑3 | David Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”, Foreign Affairs, July/August 2015; Paul SN Lee, “The rise of China and its contest for discursive power”, Global Media and China, 1, 1-2, 2016, 102-20. |
↑4 | Si tratta del punto intitolato “Tuidong Zhonghua wenhua zou xiang shijie” 推动中华文化走向世界 [Promuovere l’avanzamento della cultura cinese verso il mondo]. |
↑5 | Si tratta della sezione intitolata “Jin yi bu shenhua gaige kaifang” 进一步深化改革开放,加快构建有利于文化繁荣发展的体制机制 [Approfondire ulteriormente la riforma e l’apertura, accelerare la costruzione di sistemi e meccanismi che favoricano lo sviluppo e la prosperità della cultura]. |
↑6 | “Decisioni del Comitato centrale del PCC su alcune questioni importanti riguardanti l’intensificazione della riforma del sistema culturale e la promozione dello sviluppo e della prosperità della cultura socialista” (Zhonggong zhongyang guanyu shenhua wenhua tizhi gaige、tuidong shehuizhuyi wenhua da fazhan da fanrong ruogan zhongda wenti de jueding 中共中央关于深化文化体制改革、推动社会主义文化大发展大繁荣若干重大问题的决定. |
↑7 | Wang Hung-jen, “Contextualising China’s Call for Discourse Power in International Politics”. China: An International Journal,13, 3, 2015, 172-89. |
↑8 | Zhang Zhongjun 张忠军, “Zengqiang Zhongguo guoji huayu quan de sikao” 增强中国国际话语权的思考 [Riflessioni sull’incremento del potere discorsivo internazionale cinese]. Guojishiye 国际视野 [Theoretical Horizon],4, 2012, 56-59. |
↑9 | Tatlow Didi Kirsten, “Q. and A.: Zhang Weiwei on Why China Will Succeed Under the Communist Party”. The New York Times, 15/06/2015. |
↑10 | Si vedano: Xin Xin, How the Market is Changing China’s News: The Case of Xinhua News Agency (Lexington Books: Lanham, 2012); Hugo De Burgh, China’s Media in the Emerging World Order (The University of Buckingham Press: Buckingham, 2017). |
↑11 | “Xinhuawang ‘Yi Dai Yi Lu’ pindao zhengshi shangxian dazao ‘xin Silu’ zixun fuwu pingtai” 新华网“一带一路”频道正式上线打造 “新丝路” 资讯服务平台 [“Yi dai yi lu” pindao di Xinhuawang ufficialmente online, crearere una piattaforma di servizi informativi per la “nuova Via della Seta”], Xinhuawang 新华网, 17/06/2016. |
↑12 | Xi Jinping’s 19 August speech revealed? (Translation). China Copyright and media, 12/11/2013. |
↑13 | Si veda, ad esempio, Natalia Riva, “China is Speaking, Who is Listening? The BRI, State Media, and Discourse Power: A Case Study”, in Alexander Alexiev e Pawel Zygadlo (a cura di), China And The World: Language, Culture, Politics (Vol. 1) (St. Kliment Ohridski University Press: Sofia, 2020), 71-78. |
↑14 | Emma Lupano, “News and Views: Definitions and Characteristics of Genres in Chinese Journalism”, in Hugo de Burgh, Emma Lupano e Bettina Mottura (a cura di) Emerging Chinese Theory and Practice of Media. Languages Cultures Mediation 5, 2019, 51-70. L’importanza del genere del commento giornalistico nel dare voce alla percezione che la Cina ha di sé e del mondo è testimoniata anche della raccolta di commenti dei giornalisti di Xinhua: Xinhua News Agency, China speaks: Commentary from the Xinhua News Agency (2008–2012) (CN Times Books: New York, NY, 2013). |
↑15 | Lupano,“News and Views”, 60-5. |
↑16 | La teoria nasce intorno alla metà degli anni ’90 e vede l’ascesa economica e militare cinese come un potenziale pericolo di rovesciamento dello status quo. |
↑17 | Prima ancora di appoggiarsi all’esercizio del soft power, la leadership cinese faceva leva su teorie quali quella della “responsabilità cinese” (Zhongguo zeren lun 中国责任论) o della “potenza responsabile”, dell’“opportunità cinese” (Zhongguo jiyu lun 中国机遇论) e del “contributo cinese” (Zhongguo gongxian lun 中国贡献论) perdifendersi dall’accusa di costituire una minaccia per l’ordine globale. |
↑18 | Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”. |
↑19 | Tanina Zappone, La comunicazione politica cinese rivolta all’estero (Ledizioni: Milano, 2017). |
↑20 | Shambaugh, “China’s Soft-Power Push”. |
↑21 | Falk Hartig, “Political Slogans as Instruments of International Government communication – the case of China”, The Journal of International Communication, 2018. |
↑22 | Hartig, “Political slogans”. |
↑23 | Interessante a tale proposito l’approccio di Zeng Jinghan che paragona i tre concetti di politica estera più importanti della leadership di Xi – “New Type of Great Power Relations”, “Belt and Road Initiative” e “Community of Shared Future for Mankind” – a slogan multifunzionali della comunicazione politica in ambito nazionale e internazionale. Si veda Zeng Jinghan, Slogan Politics: Understanding Chinese Foreign Policy Concepts (Palgrave Macmillan, 2020). |
↑24 | Hartig, “Political slogans”. |
↑25 | Enrico Fardella, “La Belt & Road Initiative e il nuovo globalismo sinocentrico di Pechino”, T.wai, 27 febbraio 2017. |
↑26 | Michelangelo Cocco, Una Cina “perfetta” (Carocci: Roma, 2020). |
↑27 | Alec Chance, “The Belt and Road Initiative and the Future of Globalization”, The Diplomat, 31 ottobre 2017. |
↑28 | Simone Dossi, “Come in una ‘grande famiglia’. Il vertice Apec 2014 e l’autorappresentazione del ruolo regionale della Cina”, in Emma Lupano (a cura di), La Cina dei media. Analisi, riflessioni, prospettive (Unicopli: Milano, 2016), 51-69. |
↑29 | Dossi, “Come in una ‘grande famiglia’”, 64. |