Il saggio che segue è stato originariamente pubblicato su Made in China Journal lo scorso 25 giugno con il titolo “Leninists in a Chinese Factory: Reflections of the Jasic Labour Organising Strategy” e in seguito pubblicato il 15 dicembre in italiano dalla rivista online DINAMOpress per la traduzione dall’inglese di GioGo. Si ringraziano DINAMOpress e il traduttore per il permesso di ripubblicare questo testo su Sinosfere, preceduto da un’introduzione di Ivan Franceschini.

 

Nel luglio del 2018, una serie di proteste e azioni dimostrative da parte di alcuni lavoratori della Jasic, una piccola fabbrica di macchinari per la saldatura a Shenzhen, ha fatto notizia in tutto il mondo. In un momento in cui l’attivismo operaio in Cina era in crisi a causa della crescente repressione da parte del Partito Comunista Cinese (PCC), questi lavoratori si sono mobilitati per richiedere non solo migliori condizioni lavorative, ma anche il diritto di stabilire un sindacato aziendale realmente rappresentativo dei propri interessi, sfidando così il monopolio sulla rappresentanza operaia che la legislazione cinese assegna alla Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi. Ancor più singolare è stato il fatto che mentre lo scontro si inaspriva, studenti “maoisti” da alcune delle principali università del Paese sono giunti a Shenzhen in aperta solidarietà con i lavoratori, manifestando e arringando il pubblico per il rilascio dei leader operai detenuti. Le conseguenze sono state disastrose, con un’ondata di intimidazioni, arresti e confessioni forzate che ben presto si è allargata ben oltre il caso specifico della Jasic e ha coinvolto attivisti del lavoro da anni impegnati in ben altre campagne – essi stessi già debilitati da precedenti ondate di repressione.

A dispetto di quanti nella lotta della Jasic e nella retorica di “lotta di classe” degli studenti coinvolti hanno visto un segnale di speranza per il futuro del movimento operaio in Cina, con il senno di poi è possibile affermare che gli eventi di quei mesi abbiano avuto come conseguenza un ulteriore restringimento degli spazi disponibili per le mobilitazioni operaie in Cina.

Sull’onda della repressione che ha seguito il caso Jasic, le organizzazioni cinesi della società civile attive nel campo dei diritti dei lavoratori sono state largamente soggiogate, a partire da quei gruppi che alla metà del decennio scorso avevano cercato di rafforzare il movimento operaio attraverso la diffusione di modelli innovativi di contrattazione collettiva. Di quella presunta “alleanza tra studenti e lavoratori” di cui secondo alcuni commentatori Jasic avrebbe rappresentato l’inizio oggi rimangono ben poche tracce – dico ‘presunta’ perché simili collaborazioni tra studenti e lavoratori erano molto diffuse già da anni nelle ONG cinesi del lavoro, anche se avevano una dimensione molto ‘ordinaria’ e raramente facevano notizia.

Nel seguente saggio, pubblicato nel Made in China Journal due anni dopo gli eventi descritti, Zhang Yueran fa luce sulla strategia organizzativa adottata dagli studenti coinvolti nella lotta della Jasic. Il ritratto che ne emerge è ambiguo.

Da un lato vi è il riconoscimento dell’eroismo di questi giovani cinesi, disposti a correre rischi enormi per perseguire i propri ideali politici in solidarietà con la classe operaia. Dall’altro vi è l’amara ammissione di come questa strategia sia fallita a causa di divisioni di classe così profonde da risultare pressoché insuperabili – un problema con cui, per inciso, anche i giovani attivisti del lavoro che fondarono il PCC si trovarono a confrontarsi negli anni Venti del secolo scorso. Sebbene l’impressione complessiva sia quella non particolarmente lusinghiera di un gruppo di studenti-attivisti pronti a dirottare una lotta operaia per propri fini politici in un momento di crisi della propria organizzazione, è difficile non ammirare una simile dedizione a ideali di solidarietà che oggi sono fin troppo spesso ignorati o trascinati nella polvere. Ancora più difficile è non provare compassione per le conseguenze pesantissime pagate da questi giovani per mano di un Partito che in questo tipo di attivismo ha le proprie origini e che a tutt’oggi pretende di rappresentare l’”avanguardia della classe operaia cinese”.

Ivan Franceschini

Zhang Yueran: Leninisti in una fabbrica cinese. Riflessioni sulla strategia organizzativa del lavoro alla Jasic

L’estate del 2020 segna il secondo anniversario del fallito tentativo di sindacalizzazione nella fabbrica Shenzhen Jasic Technology, un episodio della recente storia dell’attivismo sul lavoro cinese che ha attirato una grande attenzione di chi osserva la Cina, dei circoli della sinistra e dei vari commentatori dei media di tutto il mondo. Paragonata alle altre azioni sul lavoro di rilievo portate avanti negli ultimi anni, la lotta alla Jasic è unica per i suoi militanti e la tattica combattiva utilizzata (compreso il fatto di aver portato la protesta davanti a una stazione della polizia), il ruolo prominente di giovani studenti di sinistra nelle azioni di solidarietà, la retorica utilizzata, fortemente politica e maoista, e infine l’eccezionale e vasta repressione che ha comportato. Questi sono gli aspetti su cui la maggior parte dei commentatori si sono concentrati.

Ma poca attenzione è stata data alla strategia organizzativa che ha caratterizzato la lotta. L’attività alla Jasic non è stata affatto spontanea. Si è trattato, al contrario, del culmine di una strategia di organizzazione del lavoro elaborata e ambiziosa, portata avanti in modo sistematico da un gruppo di attivisti per circa un decennio prima che la lotta alla Jasic venisse fuori. Chiarire cosa è stata questa strategia e riflettere criticamente sui suoi risultati e i suoi limiti è cruciale per tracciare i percorsi futuri dell’organizzazione del lavoro in Cina, vista poi la dura realtà che gli attivisti del lavoro si trovano da affrontare nel paese.

Non c’è stata attenzione sulla strategia organizzativa alla Jasic per due ragioni. Primo, perché questa strategia è stata portata avanti in modo segreto, della sua esistenza non se ne era a conoscenza quando la lotta alla Jasic ha preso il via. Secondo, con la dura repressione, chi era al corrente di questa strategia è stato riluttante a renderla pubblica per il timore di compromettere politicamente gli attivisti arrestati coinvolti nella lotta. È anche per queste ragioni che nell’articolo scritto per Made in China Journal della fine del 2018, subito dopo l’imponente irruzione della polizia nel Gruppo di solidarietà ai lavoratori della Jasic, non ho fatto menzione di questa strategia.

La situazione è cambiata da allora. In base a diverse fonti affidabili, risulta chiaro come lo Stato ormai conosca a pieno la strategia e ha smantellato la rete degli attivisti che l’hanno portata avanti. In breve, la ragione principale per cui non ne ho scritto prima non sussiste più. Una discussione aperta su questa strategia è necessaria ora più che mai, visto che lo spazio ristretto per l’organizzazione dopo la lotta alla Jasic ha imposto agli attivisti del lavoro di tornare alla questione del “che fare” basandosi su una riflessione critica delle passate iniziative.

Basandomi su dettagliate conversazioni con con chi ha avuto una stretta e diretta conoscenza di questa strategia, due delle quali sono apparse in una intervista estremamente informata (Reignite 2019), così come con chi ha preso parte alla rete degli attivisti che hanno portato avanti la strategia, in questo articolo presento un quadro generale di questa strategia e alcune riflessioni preliminari sui suoi risultati e i dilemmi che hanno affrontato gli attivisti che hanno portato avanti questa lotta.

La lotta alla Jasic

Prima di discutere la strategia organizzativa del lavoro che ha guidato la contestata campagna di sindacalizzazione alla Jasic, è utile ricapitolare brevemente lo sviluppo di questa lotta. Nel maggio del 2018, diversi operai alla Jasic hanno presentato delle rimostranze relative a varie vertenze sul lavoro alla sezione del distretto di Pingshan del sindacato ufficiale cinese ACFTU (All-China Federation of Trade Unions). Mentre ricevevano gli operai, alcuni membri del sindacato hanno proposto la sindacalizzazione come possibile mezzo per risolvere queste vertenze e hanno informato gli operai sulle procedure legali per farlo.
A giugno, un gruppetto di operai lancia la petizione per la formazione di un sindacato. Nel giro di due settimane, circa 80 operai, quasi il 10% del totale, firmano la petizione. Il padrone scopre subito il progetto di sindacalizzazione, e licenzia gli operai più in vista. Gli operai licenziati hanno protestato fuori la fabbrica, e qui sono stati picchiati dalla polizia. In risposta a questa violenza, gli operai hanno organizzato una protesta di fronte alla locale stazione della polizia, ed è a questo punto che la campagna attira una vasta attenzione. Come risultato, il 27 giugno 30 persone, tra operai della Jasic e i loro solidali, vengono arrestate.

Dopo l’arresto di massa, decine di studenti universitari di sinistra e attivisti maoisti sono andati a Pingshan per creare il Gruppo di solidarietà con gli operai della Jasic. Il mese seguente, il gruppo ha organizzato quotidianamente azioni di solidarietà per richiedere il rilascio degli operai detenuti.

Il 24 agosto, la polizia ha fatto irruzione nell’appartamento dove abitava il Gruppo, i cui membri erano a quel punto arrivati a 50, ne ha mandati via alcuni a casa e altri li ha arrestati. Seguono poi diverse ondate repressive. Una dozzina di attivisti coinvolti con l’organizzazione della lotta e con le azioni di solidarietà vengono arrestati nel novembre del 2018. Le università prendono provvedimenti “disciplinari” sugli studenti che hanno aderito al Gruppo e restringono fortemente le attività delle associazioni studentesche marxiste di cui questi studenti fanno parte.

L’Università di Pechino, per esempio, scioglie il gruppo di studio marxista col pretesto della sua “riorganizzazione” nel dicembre del 2018. Gli studenti che hanno protestato contro queste azioni disciplinari e restrizioni sono stati arrestati all’inizio del 2019; anche chi non è stato formalmente arrestato e accusato ha riferito di controlli, minacce, intimidazioni e abusi, come si legge nell’articolo anonimo pubblicato da Made in China Journal 2019. Successivamente, la scala della repressione si estende agli attivisti del lavoro che non erano legati personalmente alla lotta della Jasic, alcuni di questi detenuti per tutto il 2019.

In base al numero di persone arrestate, la dimensione di questa ondata repressiva è veramente senza precedenti. Più in generale, sulla scia della lotta alla Jasic, lo Stato cinese ha tenuto una posizione ancora più ostile verso l’attivismo sul lavoro. Come risultato diversi attivisti e organizzazioni hanno visto restringersi ancora di più il già limitato spazio organizzativo, portando molti a ritenere che il movimento cinese sul lavoro sia arrivato al livello storico più basso.

La costruzione della strategia

La spinta alla sindacalizzazione alla Jasic non è stato un evento isolato nell’attivismo sul lavoro che è semplicemente “accaduto”. Al contrario, rappresenta l’apice di una sistematica strategia di organizzazione del lavoro di lunga durata. Alla fine del primo decennio degli anni duemila, un gruppo di attivisti maoisti – alcuni dei quali appena laureati, altri con alle spalle esperienze legate alle proteste contro le privatizzazioni portate avanti dagli operai delle imprese di Stato – si stabiliscono nel Guangdong e cercano di intervenire in modo sistematico nella locale scena del lavoro.

Questa decisione strategica era in parte motivata da una valutazione politica che identificava l’area come la nuova frontiera delle lotte della classe operaia, e in parte motivata da una visione ottimistica che considerava la Cina sul punto di svolta per una politica di sinistra. Se ci ricordiamo che in quel periodo il “modello Chongqing” di Bo Xilai rafforzò la fiducia politica di molti gruppi maoisti in tutta la Cina, che gli operai delle imprese di Stato erano ancora il bastione della militanza, e che le lotte sul lavoro degli operai migranti nel Guangdong stavano prendendo lo slancio, non sarà difficile capire da dove veniva questa visione ottimistica.

Questo piccolo gruppo di attivisti maoisti stabilisce strette relazioni con le associazioni studentesche marxiste di diverse università che avevano adottato l’ideologia maoista. Grazie a questi collegamenti, gli attivisti maoisti hanno fatto entrare nelle proprie fila gli studenti universitari. Appena laureati, questi studenti sarebbero diventati operai di fabbrica e quindi avrebbero fatto attività politica sotterranea sul posto di lavoro.

Questi sforzi di reclutamento sono cresciuti col tempo e alcuni di quei laureati sono diventati dei leader di rilievo nella rete dell’attivismo maoista sul lavoro nel Guangdong. L’idea sottostante era di abbandonare la carriera della classe media per l’attivismo sul lavoro a vita, così gli studenti si sarebbero dedicati alla causa rivoluzionaria. Le esperienze degli studenti di sinistra nel movimento del lavoro coreano degli anni Ottanta, come descritte nel “Korean Workers” di Hagen del 2001 sono state spesso citate come fonte di ispirazione.

Questi attivisti cercavano lavoro generalmente in piccole fabbriche note per le pessime condizioni di lavoro. Quindi ci si aspettava che mobilitassero al più presto i loro compagni di lavoro in azioni collettive, e in alcuni casi queste hanno portato a concessioni materiali da parte dei padroni. Attraverso questo processo, ci si aspettava che gli attivisti identificassero gli operai particolarmente coinvolti e li reclutassero per unirsi alle fila dell’attivismo convertendoli al maoismo durante il percorso. Dopo la fine dell’azione collettiva, gli attivisti lasciano la fabbrica e portano con sé i nuovi operai reclutati. Vanno poi a cercare altre fabbriche dove trovare lavoro e svolgere attività sotterranea di agitazione e azioni collettive.

Questa rete di attivisti maoisti cresce reclutando sia studenti laureati sia lavoratori migranti. È stata creata volutamente come un partito d’ avanguardia leninista dove gli intellettuali della “piccola borghesia” edotti di teoria rivoluzionaria e gli elementi politicamente più “avanzati” della classe operaia si uniscono in una totalità organica. In via di principio, i quadri rivoluzionari di estrazione operaia, educati dagli intellettuali, apprendono la teoria rivoluzionaria (nel caso specifico, il maoismo). Infatti questi attivisti vedono la propria rete quasi come un partito. Ingrandendo gradualmente l’organizzazione e aumentando la dimensione dell’agitazione, gli attivisti sperano che la propria rete possa infine giocare un ruolo di guida nel fiorente movimento nel Guangdong e di portarlo su un percorso rivoluzionario. Contemporaneamente, alcuni attivisti della rete vengono mandati a lavorare nelle sedi del sindacato ufficiale, altri stabiliscono delle ONG basate nelle comunità per supportare il progetto organizzativo complessivo.

Questa strategia ha avuto risultati contrastanti. Da una parte, molti studenti laureati erano impreparati a fare una vita da operaio e da attivista clandestino. Lo sforzo fisico del pesante lavoro alla catena di montaggio era soverchiante, così da lasciare poco spazio ed energie all’organizzazione.

Prima di entrare in fabbrica, molti di loro si illudevano che una volta appresa la “corretta” teoria, gli operai migranti avrebbero naturalmente seguito la loro guida. Molto spesso, questa illusione si sfracellava alla catena di montaggio. In particolare, la retorica maoista, l’unico discorso che molti studenti attivisti sapevano utilizzare, non riusciva a comunicare con gli operai comuni. Persi, sfiniti e senza sapere cosa fare, molti hanno deciso di chiudere. Quindi, anche se la rete maoista aveva sempre più successo nel reclutare nuovi studenti laureati, il tasso di abbandono da essa è stato alto.

Dall’altra parte, negli anni alcuni attivisti della rete sono riusciti a organizzare alcune azioni collettive nelle fabbriche dove hanno lavorato e sono riusciti a reclutare operai da inserire nelle fila degli attivisti rivoluzionari. Rispetto a molte ONG del lavoro del Guangdong basate sull’”assistenza” o sul fornire informazioni agli operai per organizzare azioni collettive, gli attivisti maoisti, come operai, non hanno esitato a guidare la lotta in prima persona, affrontando così un rischio politico personale. L’audacia e la sincerità contenuta nella forza dell’esempio ha consentito ad alcuni di questi attivisti di ottenere la fiducia degli operai e di reclutarne alcuni facendoli diventare quadri rivoluzionari. In oltre un decennio, questa rete di attivisti maoisti è stata capace di avere diverse dozzine di appartenenti.

Intorno al 2015, la crescita della rete si ferma e ristagna. Un senso di demoralizzazione inizia a diffondersi tra le sue fila e, insieme all’ostilità dello Stato contro l’attivismo sul lavoro, pone una sfida all’esistenza stessa della rete. In questa situazione i leader della rete hanno ritenuto necessario svolgere azioni collettive in fabbriche più grandi, sia per ridare vigore ai quadri demoralizzati sia per rafforzare la fiducia sul modello organizzativo. He Pengchao, laureato all’Università di Pechino e che è diventato uno dei più importanti leader di questa rete, ha detto in una video confessione che dopo aver valutato diverse opzioni, la rete ha deciso di mandare sotterraneamente gli attivisti alla Jasic nel 2016 e iniziare a pianificare un’azione conflittuale su larga scala (Jasic Worker Support Group 2019). Ho verificato in modo indipendente il resoconto di He attraverso altri informatori.

Tutti gli operai che hanno guidato la sindacalizzazione alla Jasic nel 2018 erano di fatto attivisti mandati sotterraneamente dalla rete maoista per fare agitazione politica, e quasi nessun altro operaio ha partecipato alle proteste organizzate dagli attivisti.

Aver convinto in due settimane 80 operai a firmare la petizione per la sindacalizzazione è stato un risultato notevole, ma questo supporto non è stato comunque abbastanza forte per assicurare a una vibrante campagna di sindacalizzazione di affrontare la dura repressione dei padroni e dello Stato. In complesso, il coinvolgimento degli operai è stato sempre limitato. Questa debolezza divenne dirimente dopo che gli operai attivisti alla guida dell’azione collettiva vennero arrestati il 27 giugno del 2018; in quel periodo, nessun operaio della Jasic si fece avanti per diventare un nuovo leader alla catena di montaggio e portare avanti la campagna, né gli operai della Jasic provarono a organizzare da sé delle proteste o azioni in solidarietà per gli attivisti arrestati.

Invece il centro dell’azione e dell’attenzione si è subito spostato verso gli studenti di sinistra con la formazione del Gruppo di solidarietà con gli operai della Jasic. Grazie allo stretto legame tra la rete degli attivisti maoisti e i gruppi di studio marxisti di diverse università, gli studenti di sinistra sono stati rapidamente mobilitati per entrare nel gruppo di solidarietà in massa. Infatti, la rete di attivisti maoisti ha usato questa opportunità più o meno come strumento educativo per mobilitare questi studenti universitari e rafforzare la loro volontà di entrare in fabbrica, diventare operai e dedicare se stessi alla causa politica dopo la laurea.

Un’impresa straordinaria

Nonostante la tragica fine della lotta alla Jasic, il fatto che una strategia organizzativa così sofisticata e stratificata sia stata portata avanti per oltre un decennio è già di per se un risultato straordinario. Questa strategia ha richiesto ai suoi partecipanti, di estrazione intellettuale e operaia, un alto livello di coinvolgimento. Il fatto che diverse dozzine di individui si siano sacrificati per una tale strategia è motivo di grande rispetto per la generazione dei giovani cinesi di sinistra.

Fra gli attivisti del lavoro cinesi è quasi unanime il giudizio sul movimento del lavoro cinese, considerato come frammentato e sporadico. Il conflitto è sempre emerso, ma è stato sempre difficile pensare a come incanalarlo in un qualche progetto di organizzazione durevole. Per gli attivisti del lavoro, quindi, è stato molto difficile non sentire la stanchezza derivata da forme organizzative nate caso per caso, difficile non perdere la visione d’insieme per concentrarsi invece solo sui singoli casi, difficile formulare una qualsiasi visione strategica di lungo termine. Questo arduo compito è stato esattamente ciò che la rete dei maoisti ha realizzato nel Guangdong. Gli attivisti maoisti sono stati capaci di legare il proprio contesto organizzativo immediato con una visione di lungo termine per la rivoluzione operaia, quantunque vagamente definita, e sviluppare una modalità per portare questa visione alla realizzazione della rivoluzione.

Una strategia a lungo termine, nonostante i difetti, è stata formulata in un contesto in cui praticamente nessun pensiero strategico era ritenuto possibile e, cosa ancora più impressionante, questa strategia è stata realizzata sul campo.

Per rendere operativi i diversi livelli che questa strategia ha approntato, dal reclutamento degli studenti, la scelta delle fabbriche dove mandare gli attivisti, l’agitazione per l’azione collettiva, la propaganda e riuscire a tenere con sé i quadri di estrazione operaia etc etc, c’era bisogno di una stretta coordinazione. Un qualsiasi scollamento fra questi livelli avrebbe portato a minare l’intero progetto. Il funzionamento di questo modello per oltre dieci anni e i progressi che ha reso possibile su vari fronti sono aspetti che sottolineano l’acume organizzativo degli attivisti. Il problema del coordinamento è stata la più dura sfida perché per mantenere la segretezza molti attivisti sul campo non sapevano quello che facevano gli altri. Per questo, il coordinamento interno dipendeva fortemente da diversi nodi centrali della rete. Ma ciò ha significato che la struttura decisionale nella rete era quasi interamente sviluppata dall’alto al basso.

Per sviluppare e portare avanti la strategia, gli attivisti maoisti si sono basati ampiamente sui classici marxisti, specialmente sul Che fare? di Lenin. Per provare a sviluppare una strategia rivoluzionaria di lungo termine per il movimento cinese dei lavoratori, gli attivisti hanno tentato di adattare la visione di Lenin a un contesto politico molto diverso.

Secondo l’interpretazione degli attivisti, Lenin ha offerto un modo peculiare per pensare la relazione fra una politica rivoluzionaria e le lotte operaie concrete. Particolarmente importante è l’idea per cui il partito d’avanguardia fornisce la leadership politica al movimento operaio, in modo che quest’ultimo non rimanga confinato dentro le tendenze riformiste che non sfidano in modo strutturale lo status quo. In questo contesto, il partito deve guidare la classe operaia, e rimanere però distinto da essa nei termini dell’organizzazione; la leadership del partito politico si realizza prima di tutto trasformando gli operai più militanti e con maggiore coscienza politica in quadri rivoluzionari del partito, i quali a loro volta guidano gli altri operai all’azione.

Tradurre ciò nella prassi in un contesto molto differente richiede grande creatività e un’analisi impegnata delle peculiarità del lavoro in Cina. Gli studiosi di sinistra e gli attivisti di varie parti del mondo hanno discusso a lungo sul legame tra teoria e prassi, ma i tentativi per una effettiva organizzazione sono stati rari. Per questo motivo, gli sforzi fatti dai maoisti per applicare la visione del marxismo classico nell’organizzazione sul campo dovrebbero servire da ispirazione.

Bisogna notare che questa strategia è stata portata avanti a fronte di una spaventosa repressione dello Stato. Similmente alla Russia zarista di Lenin, il modello organizzativo utilizzato dai maoisti nel Guangdong doveva combinare alcune attività all’aperto con altre in segreto. Diversi livelli del modello sono rimasti necessariamente clandestini, così come il progetto rivoluzionario a cui questo modello avrebbe dovuto portare. Questa attenta combinazione di lavoro aperto e clandestino ha richiesto capacità organizzative solide.

Sfide

È in qualche modo ironico che questa strategia organizzativa si è dimostrata più debole quando è venuta ad affrontare la questione di organizzare gli operai, di come discuterci, di come costruire un gruppo di leader operai alla catena di montaggio, di come ottenere la fiducia tra i lavoratori, di come smuovere apatici e impauriti operai verso l’azione collettiva etc. Informatori che hanno fatto parte di questa rete di attivisti hanno detto di non essere stati messi al corrente su come organizzarsi prima di essere mandati in fabbrica, per esempio su come approcciare e parlare con gli operai. Come organizzatori senza esperienza, hanno operato senza una guida su cosa fare precisamente nelle fabbriche e hanno dovuto pensarci da soli. Ciò, in parte, spiega l’alto tasso di abbandono fra gli attivisti di estrazione universitaria. Ugualmente, poco è stato fatto per trasformare gli operai appena reclutati alla causa in attivisti, nonostante ci si sia preoccupati di educarli all’ideologia maoista. La mancanza di una conoscenza condivisa sulle capacità concrete di organizzare la lotta sul lavoro è in netto contrasto con i materiali che la rete ha diffuso su come costruire una base di supporto e come reclutare gli studenti. Ciò non significa che tutti gli attivisti maoisti non sono stati bravi organizzatori, alcuni di loro lo sono stati. Ciò che è mancato, comunque, è non aver dato enfasi alla crescita di buoni organizzatori nelle lotte del lavoro.

Quindi, l’identità che gli attivisti maoisti si sono dati nel Guangdong è stata di quadri rivoluzionari, piuttosto che di organizzatori delle lotte sul lavoro. Di fronte a un movimento del lavoro sporadico e frammentato, questa rete di attivisti non ha cercato di costruire un gruppo di leader operai organici ai propri posti di lavoro, che avrebbero poi potuto collegarsi agli altri lavoratori generando così una rete duratura, cosa questa che avrebbe potuto ovviare alla frammentazione del movimento cinese del lavoro. Invece, gli attivisti maoisti hanno provato a dare coerenza a un movimento frammentato tramite il modello di un partito politico, da cui ci si aspettava non solo che crescesse quantitativamente ma che propagasse anche la politica rivoluzionaria maoista presso la classe operaia. La priorità, dunque, è stata di costruire il partito, piuttosto che puntare sulla capacità organizzativa dei lavoratori stessi. Il problema di questa strategia sta nel fatto che il partito d’avanguardia molto facilmente perde contatto con la più vasta base operaia, perché manca dei collegamenti organici con i leader operai.

Parte del problema origina dal modello leninista stesso che questi attivisti hanno provato ad adattare. In questo modello, viene fatta una distinzione concettuale e organizzativa tra il partito d’avanguardia operaia rivoluzionario e la più ampia classe operaia, il primo guida e fissa l’agenda politica, laddove il secondo si suppone segua la guida del partito in modo abbastanza passivo. L’enfasi non è sulla costruzione delle necessarie capacità organizzative per i lavoratori che passano all’azione, è invece sulla certezza che la lotta degli operai segua la direzione politica corretta, sotto la guida della teoria rivoluzionaria. In altre parole, il ruolo del partito è considerato come politico e non organizzativo. La rete dei maoisti ha ereditato questa concezione considerando come proprio compito il reclutamento degli operai per la politica rivoluzionaria, e l’organizzazione a livello di fabbrica aveva senso solo per servire questo obiettivo primario. Non si sono curati affatto del rafforzamento delle capacità e della militanza collettiva degli operai per sé. Tali capacità, infatti, sarebbero state una minaccia, perché il partito avrebbe trovato molto difficile controllare la direzione politica della lotta degli operai.

Una differenza cruciale data dal contesto qui conta. Quando Lenin scrisse il Che fare? il movimento russo dei lavoratori aveva già intrapreso un lungo cammino per ovviare alla frammentazione imprimendo un impulso basato sulla forza organizzativa data dai rapporti fra diverse industrie e diverse regioni. La questione dirimente fu chiedersi che tipo di politica servisse a questo movimento. Nella Cina odierna, dove il movimento del lavoro manca proprio di questo slancio, la questione fondamentale da porsi prima è “come organizzarsi”. Mettendola in secondo piano, la rete degli attivisti maoisti nel Guangdong non è riuscita a costruire un cammino percorribile capace di ovviare alla natura frammentata e sporadica del movimento dei lavoratori cinese, nonostante lo sforzo sia stato ammirevole. Ogni altro tentativo futuro che voglia superare questa sfida, penso, deve porre al centro la questione dell’organizzazione.

Immagine: Sunlight Toy Factory Tangxia China

Zhang Yueran è dottorando in sociologia presso la University of California, Berkeley. La sua ricerca si concentra sull’economia politica, l’interazione tra gli stati e le forze di classe nel Sud globale.

 

Bibliografia

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