Metafore concettuali

Nel 1980 il linguista e il filosofo statunitensi George Lakoff e Mark Johnson pubblicarono un volume intitolato «Metaphors We Live By»,1)George Lakoff e Mark Johnson, Metaphors We Live By (Chicago e Londra: University of Chicago Press, 1980). poi tradotto in italiano come «Metafore e Vita Quotidiana», che aprì la strada a una specifica branca della linguistica cognitiva di grandissimo successo non solo tra i linguisti, ma anche tra i filosofi e gli psicologi: si tratta dei metaphor studies (“studi sulle metafore” o, arditamente, “metaforologia”).

Il successo dei lavori di Lakoff e Johnson e della nuova metaforologia è essenzialmente riconducibile al fatto che nella loro teoria, la cosiddetta Conceptual o Cognitive Metaphor Theory (“Teoria delle metafore concettuali o cognitive”, CMT), le metafore non sono viste come un ornamento retorico utile ad abbellire il testo letterario e poetico, bensì come uno strumento cognitivo fondante e fondamentale per mezzo del quale creiamo e pensiamo la realtà che ci circonda, le nostre emozioni e sensazioni, e in generale tutto il nostro pensiero astratto. Questo tipo di metafore prende il nome di Metafore Concettuali o Cognitive (CM). La dimostrazione dell’enorme importanza cognitiva delle metafore è la loro ubiquità in tutte le lingue naturali, tra cui certamente anche il cinese. Il fatto che non ci sia possibile, neppure col più grande degli sforzi, parlare o pensare mentalmente a concetti astratti senza ricorrere a metafore è una delle prove a dimostrazione di quanto esse siano fondamentali. Essendo il diritto una narrazione astratta, ancorché con effetti certamente concreti, è verosimile ritenere che esso sia ricco di metafore. Tuttavia, proprio per la loro onnipresenza nel linguaggio, le CM sono poco visibili e possono passare facilmente inosservate.

Non si tratta (necessariamente) di metafore poetiche quali “Sei il mio sole” o “Tornava un uomo al suo nido” di pascoliana memoria, stranianti e quindi maggiormente visibili, ma di espressioni più comuni, come “Mi sento giù oggi”, “Mi serve qualcosa per tirarmi su” o “Questa sottospecie di essere umano”, o ancora “La situazione non è affatto chiara e serve qualcuno che sappia gettarci luce”. In tutti questi esempi, e in linea generale in tutte le CM, un dominio di partenza (Source Domain, SD) noto, concreto, e del quale abbiamo esperienza sensoriale e corporea è mappato su un dominio di arrivo (Target Domain, TD) ignoto, astratto, e del quale non abbiamo nessuna esperienza fisica. Riprendendo gli esempi sopramenzionati, quando diciamo “Mi sento giù” stiamo mappando il SD “giù” (e in generale l’idea di “basso”) sul TD dell’infelicità e della tristezza, per cui la CM che ne risulta è esprimibile nella formula2)La formula metaforica (metaphor formula) ha sempre una struttura TD è SD, e mai SD è TD, in quanto l’SD può essere utilizzato per diversi TD (per esempio, felicità è su ma anche potere è su). Per prassi, le formule si scrivono in maiuscoletto (al riguardo vedi la versione pdf di questo saggio. TRISTEZZA È GIÙ. Similmente, quando diciamo che “ci serve qualcosa che ci tiri su” stiamo mappando “su” (e dunque “sopra”) sul TD della felicità, donde FELICITÀ È SU – un’altra CM ampiamente riscontrabile in moltissime lingue e per questo candidata a metafora universale. Ogni qual volta esiste una tensione semantica3)Jonathan Charteris-Black, Corpus Approaches to Critical Metaphor Analysis (Hampshire e New York: Palgrave Macmillan, 2004), 21. tra il significato primario (cioè quello maggiormente concreto e collegato all’esperienza corporea) di un’unità lessicale e il suo significato nel contesto in analisi, questa è da considerarsi metaforica. Nel dire che “La situazione non è affatto chiara”, non intendiamo dire che c’è materialmente buio: c’è infatti una tensione semantica tra il significato primario di “chiara” (cioè “limpido, luminoso”, etc.) e quello nel contesto (cioè “di facile comprensione”).

Le CM hanno il loro fondamento nel nostro corpo, giacché comprendiamo il TD proprio per mezzo di esso. Ricorriamo quindi sempre al nostro corpo per comprendere ciò che già non conosciamo sensibilmente, come appunto l’astratto. Lo facciamo inconsciamente e, soprattutto, spontaneamente: e proprio per questo usiamo le CM senza sforzo alcuno nella nostra vita quotidiana. Per esempio, tra le varie ragioni ipotizzate in letteratura che spiegano l’esistenza di FELICITÀ È SU troviamo il fatto che in generale, e in tutte le culture, quando l’essere umano è felice tende ad avere una postura più eretta, più fiera (i.e., “più su”), e tende più spontaneamente a sorridere (e dunque a portare gli angoli della bocca “più su”), mentre al contrario quando siamo infelici, tristi o dolenti, o quando il nostro stato di salute peggiora notevolmente, ci accasciamo o ci sdraiamo (“giù”), e l’andamento si fa meno fiero, in favore di uno in cui le nostre spalle e il nostro volto sono maggiormente rivolti verso il basso (“giù”). Ciò rende metafore visuali come “:)” e “:(”  immediatamente comprensibili a chiunque – universalmente, appunto –, senza bisogno di una lezione di emoticon. I nostri neuroni specchio ci dicono immediatamente quale faccina associare alla felicità e quale alla tristezza: ci è sufficiente osservare gli angoli della bocca di queste rappresentazioni grafiche, rivolti in alto in un caso, rivolti verso il basso nell’altro, per comprenderne il significato.

Le CM che esprimiamo per mezzo di formule quali appunto FELICITÀ È SU e TRISTEZZA È GIÙ esistono dunque nel nostro pensiero e sono metaphors in thought. Esse sono realizzate da metafore di vario tipo, tra cui quelle visive (come il caso delle emoticon summenzionato), e da quelle nel linguaggio, chiamate metafore linguistiche o metaphors in language (come ad esempio “Mi sento su” e tutti gli altri esempi linguistici citati sopra). In tal senso, un’espressione è un segno semiotico da cui scaturiscono vari significati, tra cui, in alcuni casi, quello metaforico. Varie possono essere le espressioni linguistiche e/o le manifestazioni visive o sonore che esprimono una stessa CM all’interno di una sfera di segni di una certa cultura (semiosfera). Poiché come parlanti madrelingua siamo inconsapevoli4)Alice Deignan, “Corpus-based research into metaphor”, in Lynne Cameron e Graham Low (a cura di), Researching and Applying Metaphor (Cambridge: Cambridge University Press, 1999), 177–199. della lingua che parliamo, e non siamo, cioè, in grado di descrivere attivamente come utilizziamo una certa parola o con quali altre parole essa ricorre (nessuno di noi saprebbe infatti elencare le metafore linguistiche utilizzate per “felicità” o per “potere”, e dire quali usiamo più spesso e in quale contesto), il ricercatore può ricorrere a strumenti informatici. Molti metaforologi ricorrono infatti a grandi banche dati quali corpora linguistici contenenti un cospicuo numero di testi indagabili per mezzo di software appositamente progettati. Mediante la selezione di alcuni indici statistici, i software ci permettono di trovare rapidamente le espressioni che occorrono più frequentemente e/o esclusivamente con una parola oggetto d’analisi.

Va notato che gli studi sul linguaggio giuridico cinese sono estremamente poco sviluppati e riconducibili principalmente a un’unica studiosa, Deborah Cao (Griffith University, Australia), e che non esistono ancora studi avanzati sulle metafore cognitive del diritto cinese, tanto che, più in generale, anche gli studi sulle metafore della lingua cinese sono principalmente rappresentati da quelli di un unico studioso, Ning Yu (The Pennsylvania State University, USA).

Linguisticamente il diritto è una narrazione dell’astratto. Si parla di “sfera dei diritti soggettivi” – ma chiaramente non esiste nessuna sfera che possa essere toccata –, di “contratti vincolanti” — sebbene certo da nessun contratto sorgano catene in ferro che vincolino materialmente i contraenti, di “poteri che vengono conferiti” e di “diritti che vengono trasferiti o alienati” e via discorrendo, senza che, realmente, esista alcun oggetto materiale che si sposti da persona a persona. L’astratto è creato per mezzo di metafore. In un mondo fortemente globalizzato in cui gli ordinamenti nazionali e sovranazionali sembrano apparentemente convergere, permettendo se non altro che in Paesi geograficamente e culturalmente molto distanti tra loro esistano nozioni giuridiche quantomeno strumentalmente affini ancorché non sovrapponibili (quali ad esempio quelle di “diritto oggettivo” (fa 法), “diritti soggettivi” (quanli 权利), “obblighi” (yiwu 义务), “contratto” (hetong 合同), “rappresentanza” (daili 代理), ecc.), pochi concetti paragiuridici sfuggono manifestamente all’uniformità, in quanto meno normati e maggiormente culturospecifici. Tra questi si annoverano quelli di giustizia e ingiustizia. In cinese, i “corrispettivi” di queste nozioni sono racchiusi nei segni semiotici di zhengyi (正义) e yuan (冤) – sebbene sia stato di recente affermato che sia l’uno5)Deborah Cao, “Desperately seeking ‘Justice’ in Classical Chinese: On the meanings of Yi”, International Journal for the Semiotics of Law – Revue Internationale de Sémiotique Juridique, 32, 1, 2018, 13–28. che l’altro6)Deborah Cao, Chinese Language in Law – Code Red (Lanham: Lexington Books, 2018), 65–100. segno si discostano ampiamente dalle corrispettive nozioni occidentali.7)Per gli aspetti interlinguistici e traduttivi di yuan e i suoi traducenti inglesi, si veda Michele Mannoni, “On the translation of conceptual metaphors in legal language: Chinese Yuan () and English ‘injustice’, ‘wrong’, and ‘tort’”, Perspectives: Studies in Translation Theory and Practice, 2020, 1–18. Mediante quali metafore sono conosciute e comunicate la giustizia e l’ingiustizia in Cina? Questo articolo si propone di addurre una prospettiva linguistica esemplificativa sui due concetti in questione, mettendo in luce alcune similitudini e differenze essenziali tra la semiosfera occidentale e quella cinese. Verranno osservati caratteri universali e variazioni culturospecifiche nella concettualizzazione di queste nozioni. Lo scopo principale è mostrare come si parla di giustizia e ingiustizia, anziché cosa sono esse – nell’ottica che le risposte alla prima domanda possano arricchire i contributi sulla seconda.

Metafore dell’(in)giustizia cinese

“Giustizia” e “ingiustizia” non sono linguisticamente antonimici in cinese. Non lo sono forse neppure semanticamente in molte lingue occidentali, a dispetto della dicotomia riscontrabile in varie lingue romanze (per esempio spagnolo justicia e injusticia; portoghese justiça e injustiça, francese: justice e injustice, etc.) e germaniche (tedesco: Gerechtigkeite Ungerechtigkeit).8)Eric Heinze, The Concept of Injustice (Oxon e New York: Routledge, 2013). In cinese il termine per “giustizia” è zhengyi (e per certi versi yi), mentre quello tradizionale per “ingiustizia” è yuan (sebbene esista anche una forma pseudo-nominale negativa quale feizhengyi 非正义“ non [è] giustizia”). Né a livello etimologico né a livello grafico9)Alcuni caratteri cinesi esprimono graficamente l’antinomia semantica; si veda ad esempio zheng 正 (“dritto”) e wai 歪 (“storto”), quest’ultimo graficamente costruito da bu 不 + zheng (“non dritto”). zhengyi e yuan sono, almeno in apparenza, l’uno l’antonimo dell’altro.

La parola zhengyi è composta da zheng e da yi. Il significato primario di zheng non è quello di “giusto”, bensì quello di “dritto, retto”, da cui poi già in epoca preclassica è scaturita l’accezione morale (cf. per esempio il più tardo zhengming 正名 “rettificazione dei nomi”) e, in seguito, quella paragiuridica che apprezziamo oggi in zhengyi. In cinese moderno zhengmian 正面 è la faccia dritta, zhengfang 正方 il quadrato i cui lati sono tutti dritti (retti). Sussiste dunque, almeno per il componente zheng, una tensione semantica tra il significato primario e quello contestuale nella parola per “giustizia” che rende zheng metaforico. Per quanto concerne yi di zhengyi, il suo significato primario non è riscontrabile in dizionari tra i quali il prestigioso Le Grand Ricci numèrique,10)Association Ricci e Descléè de Brouwer, Le Grand Ricci Numèrique: Dictionnaire Encyclopédique de La Langue Chinoise (Pleco add-on, 2001). mentre quelli astratti di “appropriato, secondo le regole, condotta corretta” risalgono già all’epoca dei Zhou Orientali (770-221 a.C.). Se ne evince che, probabilmente, GIUSTIZIA in cinese è realizzata da metafore nell’area semantica di DRITTO, cosa non sorprendente, giacché parole come “retto, rettitudine, corretto” e nondimeno “diritto (oggettivo e soggettivo)” in italiano, e similmente “right, straight” in inglese, sono afferenti al medesimo SD (cf. anche zhengque 正确 “corretto” in cinese). In tal senso sembra aperta l’ipotesi di un’universalità di concettualizzazione cognitiva metaforica tale per cui giusto è dritto.

Nel corpus di cinese giuridico creato presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona,11)Il corpus di cinese giuridico è creato all’interno del Progetto d’Eccellenza “Le Digital Humanities Applicate alle Lingue e alle Letterature Straniere” (2018-2022; https://dh.dlls.univr.it) finanziato dall’allora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) al Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona. comprendente a oggi tutte le norme della RPC in vigore fino a dicembre 2019 e molti loro emendamenti precedenti, ad esclusione, al momento, di alcune norme penali (per un totale di 1,5 milioni di unità lessicali),12)Conteggio e ricerca effettuata mediante il software LancsBox, messo a punto presso la Lancaster University. Vaclav Brezina, Matt Timperley e Tony McEnery, LancsBox: Lancaster University Corpus Toolbox v. 5.0 [Software], 2020, disponibile suhttp://corpora.lancs.ac.uk/lancsbox/download.php. il termine zhengyi ha una sola occorrenza e compare nell’articolo 2 della Legge della Repubblica Popolare Cinese sugli Avvocati (Zhonghua Renmin Gongheguo Lüshi Fa 中华人民共和国律师法):

律师应当维护当事人合法权益,维护法律正确实施,维护社会公平和正义

Gli avvocati devono tutelare i legittimi diritti e gli interessi13)Su hefa quanyi e il suo significato giuridico intralinguistico e interlinguistico, si vedano Michele Mannoni, “Hefa Quanyi: More than a problem of translation.Linguistic evidence of lawfully limited rights in China, International Journal for the Semiotics of Law – Revue Internationale de Sémiotique Juridique, 32, 1, 2018, 29–46; Deborah Cao e Michele Mannoni, Are there ‘illegal rights’ in Chinese law? On the meanings of feifa quanyi”, The Chinese Journal of Comparative Law, 5, 1, 2017, 190–204; Michele Mannoni e Deborah Cao, “On the meaning of feifa quanyi in Chinese legal language: A semiotic and corpus analysis”, Linguistics and the Human Sciences, 12, 2–3, 2016, 177–203. delle parti, garantire la corretta applicazione della legge e mantenere l’equità sociale e la giustizia (zhengyi).

(traduzione nostra; idem sotto)

La totale mancanza di ulteriori occorrenze nel corpus non permette di confermare l’ipotesi pocanzi avanzata né di proporne di nuove. Va tuttavia notato che tale mancanza, unitamente alla totale assenza di yi nel corpus, suggerisce che la nozione di “giustizia” non è giuridica, bensì paragiuridica, e come tale non è normata, lasciando dunque al legislatore e, soprattutto, ai suoi interpreti quali i giudici, ampia possibilità d’interpretazione.

In considerazione di ciò, può essere utile osservare come si parla di giustizia nel discorso ordinario cinese al fine di comprendere come tale concetto astratto sia, in genere, metaforicamente concettualizzato. A tal fine possiamo ricorrere all’utilizzo di un enorme corpus di cinese non specialistico quale ZhTenTen17, contenente 13,5 miliardi di unità lessicali e accessibile online mediante il corpus manager SketchEngine.14)Adam Kilgariff et al., “The Sketch Engine: Ten years on”, Lexicography, 1, 2014, 7–36, Software disponibile su https://www.sketchengine.eu. Accesso fornito dall’Università di Verona. Il termine zhengyi compare ca. 236.567 volte, confermando dunque che mentre “giustizia” è assente nella norma, è invece vivo al di fuori del discorso normativo. Una ricerca preliminare condotta all’interno del corpus mediante un indice statistico particolarmente utile a ricerche lessicografiche15)Pavel Rychlý, “A lexicographer-friendly association score”, in Petr Sojka e Aleš Horák (a cura di), Proceedings of Recent Advances in Slavonic Natural Language Processing, RASLAN 2008 (Brno: Masaryk University, 2008), 6–9. (in grado, per esempio, di trovare zag partendo da zig, e viceversa) evidenzia in primis che la nozione di zhengyi è particolarmente connessa a quella di gongping 公平 (“equità”), come in effetti possiamo notare anche nell’esempio legislativo sopra menzionato, in cui i due termini compaiono l’uno vicino all’altro. Si tratta di un termine astratto e metaforico, giacché ping di gongping significa “piatto, piano, lineare in senso orizzontale”. Un’altra parola che emerge dal corpus grazie all’indice statistico utilizzato e fortemente legata a zhengyi è il verbo shenzhang (伸张). Compare in espressioni riscontrabili in ZhTenTen17 quali ad esempio:

[…] 人民信仰法律,是因为正义能够被伸张 […]

[…] il motivo per cui la gente si fida della legge è che giustizia (zhengyi) può essere fatta (shenzhang) […]

[…] 我坚信正义会得到伸张。[…]

[…] credo fermamente che giustizia (zhengyi) possa esser fatta (shenzhang) […]

L’espressione shenzhang zhengyi (“fare giustizia”) è metaforica, giacché sussiste una tensione semantica tra il significato di shenzhang nel contesto e quello primario di “distendere, espandere, allungare”. Ciò suggerisce che, metaforicamente, GIUSTIZIA È ESPANSIONE (o comunque che CREARE GIUSTIZIA SIA ESPANDERE e ESTENDERE). Di conseguenza, i due esempi sopra possono essere tradotti letteralmente e rispettivamente come “giustizia può essere espansa” e “giustizia può ricevere un’espansione”. In considerazione di quanto detto sopra su gongping, è possibile che a livello cognitivo l’espansione di zhengyi avvenga (perlomeno anche) sul piano orizzontale. In effetti, un altro termine che la ricerca nel corpus indica essere strettamente correlato a zhengyi è pingdeng 平等 (“uguaglianza”), dove di nuovo troviamo ping.

Il modo che abbiamo di espanderci per mezzo del nostro corpo è divaricando le nostre gambe e distendendo le nostre braccia. Tendiamo a farlo quando abbiamo sensazioni positive, mentre emozioni negative come la tristezza, la sofferenza e il dolore ci fanno assumere posizioni compresse: tendiamo a rannicchiarci, ad assumere una posizione fetale, a contenere gambe e braccia in uno spazio più circoscritto.

Ancora, cognitivamente zhengyi è concettualizzato come un oggetto concreto che si sposta nel tempo e nello spazio e può, dunque, arrivare in ritardo (chidao 迟到):

[…] 迟到的正义为非正义[…]

[…] la giustizia (zhengyi) che tarda ad arrivare (chidao) è non-giustizia (feizhengyi) […]

[…] 我们相信正义迟到,但永远不会缺席。[…]

[…] crediamo che la giustizia (zhengyi) possa arrivare in ritardo (chidao), ma non che possa assentarsi per sempre […]

In questo caso osserviamo una tensione semantica tra il concetto astratto di giustizia e tutti i verbi usati per essa, come se questa potesse spostarsi ed essere puntuale o meno alla pari di quanto fa una persona. In tal senso, l’io (o più propriamente l’ego) è statico e attende passivamente che la giustizia, prima o poi, arrivi.

La personificazione della giustizia cinese non è però quella allegorica della dea Iustitia che potremmo avere in mente, spesso rappresentata bendata, e munita di bilancia e spada nelle sue mani. Tale rappresentazione è infatti occidentale e ha origini romane, e prima ancora greche, nelle dee della giustizia Themis e Dike. Questa raffigurazione è viva nei nostri occhi, e compare infatti frequentemente sui timpani dei nostri tribunali o luoghi canonicamente attribuiti alla giustizia, come il Palazzo di Giustizia a Roma. È assente invece nella tradizione e nella modernità cinese, essendo infatti i tribunali cinesi tipicamente ornati col simbolo del Partito Comunista Cinese16)Cf. Tribunale di Pechino. Vedi http://www.bjcourt.gov.cn/store/pic/201312/201312300010.jpg (ultimo accesso 10 agosto 2020). – a rammentare l’orientamento dell’interpretazione giudiziale.

Al contrario, nella cultura cinese rinveniamo invece una parola e un simbolo di ingiustizia assenti nelle principali tradizioni giuridiche occidentali. Si tratta di yuan, già menzionato, e dell’eroina immaginaria Dou E 窦娥.

Il termine yuan significa “ingiustizia” in senso ampio, ma anche “falsa accusa” e “accusa ingiusta”, “errore giudiziario” (come in yuan’an 冤案 e yuanyu 冤狱), “caso falso” (come in yuan jia cuo an 冤假错案) nel quale il condannato è stato dolosamente accusato e condannato, oltre a indicare un qualunque “torto” commesso a un soggetto per opera di un altro. Il termine è tipicamente stragiudiziale, sia per il contesto in cui ricorre tradizionalmente (appunto fuori dai tribunali, nel c.d. sistema delle petizioni17)Sul sistema delle petizioni, tra cui xinfang e shangfang上访, si veda in questa rivista Guido Samarani, “Xinfang, Shangfang. Disagio Sociale e Potere in Cina”, Sinosfere, Costellazioni, 5, 2019, 69–75. tra cui quello delle Lettere e Visite, xinfang 信访18)Eva Pils, “Taking yuan () seriously: Why the Chinese state should stop suppressing citizen protests against injustice”, Temple International and Comparative Law Journal, 25.2 (2011), 285–327., sia perché il suo uso è stato sostanzialmente vietato in Cina.19)Pils, “Taking yuan (冤) seriously”, 294.

Yuan non ha, in effetti, nessuna occorrenza nel corpus delle norme cinesi sopra citato, mentre in ZhTenTen17 ha all’incirca la stessa frequenza assoluta di zhengyi (243.517). Dal punto di vista delle metafore linguistiche, il corpus rivela la presenza di composti bisillabici quali ad esempio yuanwang 冤枉 e yuanqu 冤屈, dove sia qu che wang indicano metaforicamente un trattamento ingiusto, ma il cui significato primario è quello di “storto, piegato”.20)Alcune delle osservazioni su yuan in prospettiva metaforologica qui riportate sono presenti anche in Mannoni, “On the Translation of Conceptual Metaphors in Legal Language”, all’interno del quale il corpus di riferimento usato per l’indagine linguistica è ZhTenTen11 anziché ZhTenTen17. Ciò rafforza l’idea antonimica avanzata prima che GIUSTO È DRITTO, contrapposto quindi a INGIUSTO È STORTO e quindi PIEGATO rispetto a un asse ideale. Anche in questo caso è plausibile ritenere che l’asse in questione sia quello orizzontale, giacché una delle parole a stringere un legame forte con yuan è pingfan 平反 (“fare giustizia, affrancare un’ingiustizia”), in cui di nuovo compare ping:

在推动平反冤假错案中,胡耀邦发挥了重要的作用。

Hu Yaobang ha avuto un ruolo importante nel far giustizia (pingfan) alle vittime di pseudo errori giudiziari (yuanjia cuo an).

他受十多年了,再不平反,天理难容!

Neanche il cielo potrà dimenticarsi delle ingiuste accuse (yuan) di cui è stato vittima per oltre dieci anni senza che mai venisse fatta giustizia (pingfan)!

Anche in questo caso la tensione semantica rende pingfan metaforico, in quanto è letteralmente interpretabile come “far tornare ping”, dunque “far tornare lineare, piatto”. Ciò significa ulteriormente che la presenza di yuan, e dunque l’assenza di giustizia, è concettualizzata come uno scostamento dall’asse ping. Del resto, è proprio l’asse orizzontale quello più fisicamente noto al nostro corpo essendo quello sul quale camminiamo, e dunque anche quello su cui per primi abbiamo fatto esperienza fisica, sensibile e corporea. L’esperienza di tale asse o, meglio, di tale piano è preverbale e preconcettuale (pregestalt), e dunque fortemente incorporata (embodied) nel nostro sistema neuronale e cognitivo.

Vi è poi un’altra parola fortemente legata a yuan in cinese che rafforza l’idea che GIUSTIZIA È ESPANSIONE, suggerendo infatti, di contro, che INGIUSTIZIA È COMPRESSIONE:

要知道,民有,如果得不到伸张,自然心中会积累怨恨。

È bene sapere che se tra la gente c’è ingiustizia (yuan) e questa non viene affrancata (shenzhang), nel cuore delle persone si accumuleranno risentimento e odio.

Il termine usato in questo esempio per “affrancare un’ingiustizia” è shenzhang, che abbiamo già visto sopra anche in relazione all’ESPANSIONE di zhengyi. Come detto, il termine significa primariamente “distendere, espandere, allungare”. Se ne evince che la sensazione di ingiustizia in cinese è concettualizzata come una compressione corporea nello spazio, mentre il suo annullamento è un’espansione del nostro corpo. In effetti, anche yuanyi 冤抑 (“ingiustizia”), un altro composto di yuan, suggerisce la medesima idea, giacché la parola yi indica primariamente “premere e comprimere”. Inoltre, lo stesso carattere per yuan raffigura un coniglio (兔) in gabbia (冖), come propone il noto dizionario Shuo Wen Jie Zi 说文解字.21) Al di là dell’accuratezza filologica di tale interpretazione suggestiva, va effettivamente notato che la composizione grafica del carattere per yuan è in linea tanto con la CM cinese di GIUSTIZIA che con quelle di INGIUSTIZIA appena evidenziata.

Vale infine la pena menzionare un’altra metafora linguistica fortemente legata a yuan: si tratta di zhaoxue 昭雪, il cui significato primario è “illuminare e innevare”. Il termine, similmente a pingfan, è utilizzato in relazione a yuan per indicarne la scomparsa (per es., “affrancare o riscattare un’ingiustizia”). Nel corpus troviamo espressioni quali, ad esempio:

[…] 岳飞21年前的沉冤才得以昭雪 […]

[…] solo oggi la profonda ingiustizia (chenyuan) fatta a Qiu Fei ventun anni fa è stata riscattata (zhaoxue) […]

In altre parole, similmente all’esempio della “situazione poco chiara” menzionato nell’incipit del presente articolo, yuan è concepito come uno spazio oscuro, per sopravvivere nel quale è fisicamente indispensabile la luce (zhao). Dunque, INGIUSTIZIA È BUIO. La parola xue (“innevare”) che compare in zhaoxue altro non è che una metonimia per il colore bianco (bai 白), sinonimo di luce nella semiosfera cinese. Di conseguenza, innovare yuan significa illuminarlo, e dunque permettere alla vittima di vedere nello spazio che la circonda. Come noto, non c’è vita senza luce, e ciò è chiaro al nostro corpo e all’esperienza sensibile che con esso facciamo sin da neonati.

Ed è proprio la neve ad essere un simbolo chiave nel dramma «Dou E Yuan 窦娥冤» (“L’ingiustizia di Dou E”), particolarmente noto e popolare in Cina, scritto dal drammaturgo Guan Hanqing 关汉卿 (ca. 1230-1300). Dou E, accusata e condannata ingiustamente a morte profetizza che, a prova della sua innocenza, una volta uccisa, sarebbe nevicato il giorno stesso della sua morte in pieno agosto. L’impatto che il dramma ha avuto a livello popolare è considerevole, come comprovato da espressioni comunemente usate dai sinofoni quali “bi Dou E hai yuan o 比窦娥还冤哦!” (“più ingiusto dell’ingiustizia fatta a Dou E!”). Non esiste in occidente un simile simbolo d’ingiustizia.

Riflessioni finali

Lungi dal poter giungere a conclusioni definitive o anche solo solide qui, questo studio preliminare ha mostrato alcune delle possibili metafore cognitive realizzate da zhengyi e yuan in cinese, rispettivamente per i concetti di giustizia e ingiustizia. A dispetto dell’apparente totale assenza di legame antonimico tra i due termini cinesi, è stato invece possibile osservare una parziale antinomia a livello cognitivo, così come evidenziato da alcune metafore. In particolare, GIUSTIZIA è articolata sull’idea di LINEARE, DRITTO e su quella di ESPANSIONE, mentre INGIUSTIZIA sull’esatto opposto di STORTO, PIEGATO e COMPRESSO. Entrambi i termini sono verosimilmente assenti nella vigente normativa della RPC e dunque tipici del lessico stragiudiziale o, perlomeno, di quello non normativo, mentre entrambi sono ampiamente rappresentati nel linguaggio ordinario delle persone comuni, a suggerire che il senso di cos’è giusto e ingiusto è più radicato nel sentire comune rispetto a quanto sia possibilmente inquadrabile all’interno dei confini normativi in cui apparentemente non c’è spazio per il sentire. Infine, zhengyi è personificato nel linguaggio, sebbene non esista una personificazione allegorica nella cultura materiale moderna cinese paragonabile a Iustitia occidentale, mentre yuan non è personificato, sebbene esista un’eroina popolare, Dou E, viva nella mente e nella cultura dei cinesi. Yuan, in tal senso, origina direttamente dalla radice della nostra esistenza, in quanto si presenta come quanto di più spaventoso e nocivo possa esistere per noi e per la nostra vita: l’assenza totale di luce.

Mannoni, Metafore di giustizia e ingiustizia nella semiosfera cinese PDF

Immagine: Uomo piegato su sé stesso.

Michele Mannoni è ricercatore t.d. di lingua cinese presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona all’interno del Progetto d’Eccellenza “Le Digital Humanities Applicate alle Lingue e alle Letterature Straniere” (2018-2022). Si occupa di semantica della lingua giuridica cinese in prospettiva intralinguistica e interlinguistica.

 

 

References
1 George Lakoff e Mark Johnson, Metaphors We Live By (Chicago e Londra: University of Chicago Press, 1980).
2 La formula metaforica (metaphor formula) ha sempre una struttura TD è SD, e mai SD è TD, in quanto l’SD può essere utilizzato per diversi TD (per esempio, felicità è su ma anche potere è su). Per prassi, le formule si scrivono in maiuscoletto (al riguardo vedi la versione pdf di questo saggio.
3 Jonathan Charteris-Black, Corpus Approaches to Critical Metaphor Analysis (Hampshire e New York: Palgrave Macmillan, 2004), 21.
4 Alice Deignan, “Corpus-based research into metaphor”, in Lynne Cameron e Graham Low (a cura di), Researching and Applying Metaphor (Cambridge: Cambridge University Press, 1999), 177–199.
5 Deborah Cao, “Desperately seeking ‘Justice’ in Classical Chinese: On the meanings of Yi”, International Journal for the Semiotics of Law – Revue Internationale de Sémiotique Juridique, 32, 1, 2018, 13–28.
6 Deborah Cao, Chinese Language in Law – Code Red (Lanham: Lexington Books, 2018), 65–100.
7 Per gli aspetti interlinguistici e traduttivi di yuan e i suoi traducenti inglesi, si veda Michele Mannoni, “On the translation of conceptual metaphors in legal language: Chinese Yuan () and English ‘injustice’, ‘wrong’, and ‘tort’”, Perspectives: Studies in Translation Theory and Practice, 2020, 1–18.
8 Eric Heinze, The Concept of Injustice (Oxon e New York: Routledge, 2013).
9 Alcuni caratteri cinesi esprimono graficamente l’antinomia semantica; si veda ad esempio zheng 正 (“dritto”) e wai 歪 (“storto”), quest’ultimo graficamente costruito da bu 不 + zheng (“non dritto”).
10 Association Ricci e Descléè de Brouwer, Le Grand Ricci Numèrique: Dictionnaire Encyclopédique de La Langue Chinoise (Pleco add-on, 2001).
11 Il corpus di cinese giuridico è creato all’interno del Progetto d’Eccellenza “Le Digital Humanities Applicate alle Lingue e alle Letterature Straniere” (2018-2022; https://dh.dlls.univr.it) finanziato dall’allora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) al Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona.
12 Conteggio e ricerca effettuata mediante il software LancsBox, messo a punto presso la Lancaster University. Vaclav Brezina, Matt Timperley e Tony McEnery, LancsBox: Lancaster University Corpus Toolbox v. 5.0 [Software], 2020, disponibile suhttp://corpora.lancs.ac.uk/lancsbox/download.php.
13 Su hefa quanyi e il suo significato giuridico intralinguistico e interlinguistico, si vedano Michele Mannoni, “Hefa Quanyi: More than a problem of translation.Linguistic evidence of lawfully limited rights in China, International Journal for the Semiotics of Law – Revue Internationale de Sémiotique Juridique, 32, 1, 2018, 29–46; Deborah Cao e Michele Mannoni, Are there ‘illegal rights’ in Chinese law? On the meanings of feifa quanyi”, The Chinese Journal of Comparative Law, 5, 1, 2017, 190–204; Michele Mannoni e Deborah Cao, “On the meaning of feifa quanyi in Chinese legal language: A semiotic and corpus analysis”, Linguistics and the Human Sciences, 12, 2–3, 2016, 177–203.
14 Adam Kilgariff et al., “The Sketch Engine: Ten years on”, Lexicography, 1, 2014, 7–36, Software disponibile su https://www.sketchengine.eu. Accesso fornito dall’Università di Verona.
15 Pavel Rychlý, “A lexicographer-friendly association score”, in Petr Sojka e Aleš Horák (a cura di), Proceedings of Recent Advances in Slavonic Natural Language Processing, RASLAN 2008 (Brno: Masaryk University, 2008), 6–9.
16 Cf. Tribunale di Pechino. Vedi http://www.bjcourt.gov.cn/store/pic/201312/201312300010.jpg (ultimo accesso 10 agosto 2020).
17 Sul sistema delle petizioni, tra cui xinfang e shangfang上访, si veda in questa rivista Guido Samarani, “Xinfang, Shangfang. Disagio Sociale e Potere in Cina”, Sinosfere, Costellazioni, 5, 2019, 69–75.
18 Eva Pils, “Taking yuan () seriously: Why the Chinese state should stop suppressing citizen protests against injustice”, Temple International and Comparative Law Journal, 25.2 (2011), 285–327.
19 Pils, “Taking yuan (冤) seriously”, 294.
20 Alcune delle osservazioni su yuan in prospettiva metaforologica qui riportate sono presenti anche in Mannoni, “On the Translation of Conceptual Metaphors in Legal Language”, all’interno del quale il corpus di riferimento usato per l’indagine linguistica è ZhTenTen11 anziché ZhTenTen17.