1. La macro-categoria etnica zang negli anni Cinquanta
Il lavoro di classificazione etnica condotto in Cina a partire dagli anni Cinquanta si ispirò alla procedura tassonomica impiegata nelle scienze naturali con l’obiettivo di stabilire un numero limitato di categorie etniche (minzu 民族), presupposto dell’ordinamento multietnico nella neofondata Repubblica Popolare. Nel corso di questa complessa operazione, in alcuni casi i risultati delle ricerche etnografiche di antropologi e linguisti collimarono con l’autopercezione identitaria delle comunità interessate; in altri casi le aspirazioni di alcune comunità numericamente più piccole al riconoscimento dello status di minzu furono disattese, in favore del loro assorbimento in macro-categorie etniche, sulla base della loro presunta o accertata prossimità linguistica e culturale.1)La traduzione della parola ‘minzu’ racchiude una questione a lungo dibattuta che resta tuttora senza una soluzione soddisfacente. In questo saggio, ho scelto di tradurre ‘minzu’ come ‘categoria etnica’ per sottolineare il ruolo svolto dallo stato cinese in un preciso momento storico nella creazione di un sistema formale di classificazione etnica e nell’attribuzione di etnonimi ufficiali. Ricorro alla parola ‘comunità’ invece per sottolineare il senso di condivisione e di autoidentificazione percepito dai singoli individui, proprie di un’etnia formatasi attraverso un processo in cui gli appartenenti si riconoscono, indipendentemente dal fatto di costituire o meno una categoria etnica per lo stato. Il processo della classificazione etnica, che portò alla costituzione di 56 minzu è descritto in Thomas Mullaney, Coming to Terms with the Nation. Ethnic Classification in Modern China (Berkeley: University of California Press 2011).
Pochi anni dopo la conclusione della Rivoluzione Culturale, in un saggio miliare del 1980 Fei Xiaotong 费孝通 scriveva che la classificazione etnica non fosse affatto da considerarsi conclusa, riferendosi con ciò sia ad alcuni dubbi sollevati da antropologi e linguisti sulla pertinenza della categoria stabilita sia alla resistenza di taluni gruppi ad accettare la classificazione loro assegnata.2)Fei Xiaotong 费孝通, “Guanyu wo guo de shibie wenti” 关于我国的识别问题 [La questione della classificazione nel nostro paese], Zhongguo shehui kexue 中国社会科学, 1, 1980, 147-162. L’eminente studioso riportava in particolare l’attenzione alle comunità stanziate nella fascia di confine naturale che segna il passaggio dall’altopiano tibetano alle pianure centrali, in cui si concentra una popolazione multilingue e multiculturale, caratterizzata da una lunga storia di interazioni e processi migratori fittamente intessuti e difficilmente districabili che avevano reso il lavoro di classificazione linguistica ed etnica particolarmente complesso. Per dar conto della convergenza delle influenze linguistiche e culturali esercitate su quest’area rispettivamente da nord-ovest e da sud-est, Fei Xiaotong introdusse l’idea di un corridoio etnico (minzu zoulang) di collegamento tra l’interfaccia han-tibetano nel tratto settentrionale e quella yi-tibetano nel tratto meridionale.Quest’ampia area geografica è successivamente diventata un campo privilegiato per la ricerca linguistica, dietro la spinta iniziale, sostenuta da numerose ricerche successive, del linguista Sun Hongkai 孙宏开.3)Tommaso Previato ha pubblicato un’interessante intervista a Sun Hongkai in cui sono descritti il contesto e gli sviluppi della ricerca dagli anni Cinquanta a oggi nel sudovest cinese attraverso i vividi ricordi e le riflessioni personali dello studioso. Sun Hongkai e Tommaso Previato, “Il ‘corridoio etnico’. Vicissitudini di una nozione centrale negli studi di antropologia linguistica della Cina”, ANUAC, 5, 1, 2016, 293-312.
Le comunità del corridoio etnico condividono una posizione di marginalità geografica e culturale nella sinosfera simile a quella di altre popolazioni classificate oggi come minoranze etniche nella Repubblica Popolare. Tuttavia, ad alcune di esse – Minyak, Ersu, Namuyi, Pumi, Baima, Jiarong, Xumi, Guiqiong, Zhaba – è ascritta una condizione periferica anche all’interno della tibetosfera, lo spazio transnazionale che comprende l’altopiano tibetano nella Repubblica Popolare Cinese e i paesi himalayani.4)Dal punto di vista amministrativo, la porzione di tibetosfera che è oggi inglobata all’interno dei confini nazionali della RPC coincide con la Regione Autonoma del Tibet e le numerose Prefetture Autonome Tibetane nelle adiacenti province del Qinghai e Gansu, e del Sichuan e Yunnan occidentali. Nella prospettiva di una concezione tibeto-centrica che distingueva tra centro civilizzato buddhista e periferia barbara da convertire, lingua scritta e dialetti, i tibetani dell’altopiano storicamente avevano considerato le suddette comunità parte integrante della tibetosfera, seppure ai margini geografici e culturali.5)Françoise Pommaret, “The Mon-pa revisited: in search of Mon”, in Toni Huber (a cura di), Sacred Spaces and Powerful Places in Tibetan Culture (Dharamsala: Tibetan Library of Works and Archives, 1999), 52-73; Sara Shneiderman, “Barbarians at the Border and Civilising Projects: Analaysing Ethnic and National Identities in the Tibetan Context”, in Christiaan Klieger (a cura di), Tibetan Borderlands (Leiden: Brill, 2006), 9-34. Negli anni Cinquanta, la maggior parte di esse, ad eccezione della comunità Pumi classificata come minzu distinta, non fu riconosciuta ma confluì nella categoria etnica tibetana (zang 藏).6)La relazione fluttuante tra significante e significato degli etnonimi, incluso quello zang, nel corso della storia pre-comunista costituisce il background della formazione delle categorie etniche degli anni cinquanta. Gros mette in luce l’evoluzione storica della categoria dei ‘barbari occidentali’ (xifan 西番) impiegata durante il periodo imperiale e repubblicano per alcune comunità del corridoio etnico e il suo successivo assorbimento nella categoria zang durante il periodo comunista. Stéphane Gros, “Devenirs identitaires dans les confins Sino-Tibétains: contextes et transformations”, Cahiers d’Extrême-Asie, Ecole française d’Extrême-Orient, Des mondes en devenir. Interethnicité et production de la différence en Chine du Sud-Ouest, Vol. 23, 2014, 63-102. L’inclusione – spesso stabilita sulla base della valutazione di una supposta o plausibile prossimità linguistico-culturale – in una singola macro-categoria etnica ha di fatto permesso la preservazione di una tibetosfera demografica nominale all’interno dell’ordinamento multietnico della Repubblica Popolare che è di grande valore simbolico e ideologico per i tibetani.
2. Il dibattito sulla riclassificazione negli anni Ottanta
All’inizio degli anni Ottanta il clima di distensione politica post-Rivoluzione Culturale aprì uno spiraglio per esaminare le petizioni pervenute alle autorità provinciali e nazionali da parte di alcune comunità classificate come zang che reclamavano di valutare una possibile riclassificazione etnica. Il caso dei Baima, una comunità di circa diecimila persone che abita le regioni montuose a cavallo tra la provincia del Sichuan e del Gansu, è tra quelli che meglio illustrano l’incongruenza tra i risultati prodotti dalle nuove ricerche degli anni Ottanta e la decisione di mantenere lo status quo.7)Un altro caso interessante è quello della comunità Ersu in Sichuan, descritto in dettaglio in: Da Wu, “Three Tongues and Two Identities: A Case Study of Ersu Ethnic Identities in Sichuan, China”, Cultural Diversity in China, 1, 1, 2015, 44–67.
Due raccolte di articoli, pubblicate rispettivamente nel 1980 e nel 1987, offrono un dettagliato resoconto dell’acceso dibattito intercorso tra studiosi di diversa formazione e specializzazione, antropologi, linguistici, storici, ma anche rappresentanti inviati direttamente dai villaggi Baima.8)Sichuan sheng minzu yanjiusuo 四川省民族研究所, Baima zangren zushu wenti taolunji 白马藏人族属问题讨论集 [Raccolta dei dibattiti sulla questione dell’appartenenza etnica dei Baima tibetani], (Chengdu: Sichuan sheng minzu yanjiusuo 四川省民族研究所, 1980). Pingwu xian baimaren zushu yanjiuhui 平武县白马人族属研究会, Baimaren zushu yanjiu wenji 白马人族属研究文集 [Raccolta di saggi sull’appartenenza etnica dei Baima], (Pingwu: Pingwu xian baimaren zushu yanjiuhui 平武县白马人族属研究会, 1987). La maggioranza degli studiosi interpellati sostenne la necessità della riclassificazione. Seguendo uno schema già consolidato per la creazione delle categorie etniche degli anni cinquanta, prove storiche e linguistiche furono combinate con i dati di osservazione etnografica e lette in una prospettiva che dimostrava, o quantomeno suggeriva, che la comunità Baima contemporanea non fosse da classificare come tibetana. Le alternative proposte furono tre: riconoscimento di uno status di minzu indipendente; riclassificazione come parte della minzu Qiang già esistente; istituzione della categoria etnica Di, sulla base di un collegamento di discendenza diretta dei Baima dall’antica popolazione Di.
Tuttavia, queste posizioni si scontrarono con la forte opposizione degli unici due studiosi tibetani coinvolti nella valutazione dell’appello alla riclassificazione. In particolare, i due saggi scritti dal noto e rispettato studioso tibetano dMu dge bSam gtan, che hanno avuto ampia diffusione grazie alla traduzione in inglese commentata da Janet Upton,9)Janet Upton, “Notes towards a Native Tibetan Ethnology: An Introduction to and Annotated Translation of dMu dge bSam gtan’s Essays on Dwags po (Baima Zangzu)”, The Tibet Journal, 25, 1, 2000, 3-26. segnano il punto di partenza da cui è rintracciabile la perseveranza insistente della comunità accademica tibetana nel ribadire l’appartenenza Baima al gruppo zang. L’argomentazione di dMu dge bSam gtan si focalizzò sulla decostruzione sistematica delle prove dell’unicità dei Baima addotte dagli altri studiosi, citando al contrario continuità storiche e linguistiche e caratteristiche religiose e culturali che consolidano l’appartenenza passata e presente dei Baima alla popolazione tibetana. In particolare, la non intellegibilità della lingua Baima fu spiegata con la diffusa incomprensibilità tra dialetti tibetani; la cosmologia e le complesse pratiche rituali Baima furono interpretate come l’eredità culturale e religiosa del Bon, l’antica religione tibetana pre-buddhista. Anche l’etimologia dell’etnonimo Baima fu ricondotta al tibetano bod dmag (soldati tibetani), sostenendo che si tratti un appellativo loro attribuito per ricordare l’invio di un’armata dal Tibet centrale da parte del re Songtsen Gampo durante il periodo di espansione dell’impero tibetano e successivamente insediatasi nell’attuale area occupata dalla comunità Baima, dove la popolazione tibetana circostante li chiama dwags po. In questo modo, dMu dge bSam gtan ribadiva la tibetanità dei Baima, collocandoli simultaneamente in una gerarchia etnica interna al gruppo tibetano: ai margini geografici – lontano dal Tibet centrale – e culturali – non convertiti al Buddhismo – della tibetosfera.
La posizione di dMu dge bSam gtan esprimeva quella di molti intellettuali tibetani, preoccupati di garantire che la tibetosfera, pur non essendo un’entità geopolitica indipendente, fosse riconosciuta e sopravvivesse all’interno della Repubblica Popolare così come era percepita dai tibetani, ovvero includendo popolazioni geograficamente e storicamente marginali che erano state influenzate dalla lingua e dalla cultura tibetana.10)Stevan Harrell riporta un possibile, seppur non accertato, intervento di pressione da parte del Decimo Panchen Lama che avrebbe contribuito a mantenere nella categoria zang i Baima, gli Ersu e le altre comunità del corridoio etnico considerate affini ai tibetani. Stevan Harrell, Ways of Being Ethnic in Southwest China (Seattle: Washington University Press, 2001), 210. In qualità di leader religioso riconosciuto dai Tibetani ma anche approvato dal governo cinese, all’indomani della conclusione della Rivoluzione Culturale il Panchen Lama svolse un importante ruolo politico di mediazione tra le parti. Al governo centrale indubbiamente premeva stabilire e consolidare buoni rapporti con la popolazione tibetana e per contribuire a farlo non si può escludere che abbia accettato di non riconoscere uno status separato di minzu per le comunità del corridoio etnico. Nicholas D. Kristof, “The Panchen Lama is dead at 50; Key Figure in China’s Tibet Policy”, Special To the New York Times, January 30, 1989. Si comprende dunque che la reazione contraria al riconoscimento dei Baima non fosse una questione meramente accademica ma rispondesse al timore che un’eventuale proliferazione di gruppi etnici riconosciuti come non zang dal governo centrale potesse ledere l’unità geografica e demografica della tibetosfera. Nel corridoio etnico tale eventualità in effetti si concretizzò solo per i Pumi, un caso ancora oggi molto sensibile per i tibetani dell’altopiano.11)Sulla questione dell’identificazione dei Pumi e del loro etnonimo si veda: Koen Wellens, “What’s in a Name? The Premi in Southwest China and the Consequences of Defining Ethnic Identity”, Nations and Nationalism, 4, 1, 1998, 17-34; Stevan Harrell, “The Nationalities Question and the Prmi Problem”, in Melissa J. Brown (a cura di), Negotiating Ethnicities in China and Taiwan (Berkeley: UC Press, 1996), 274-296.
3. Baima negli anni 2000: un fossile vivente da studiare
L’appartenenza delle comunità Baima alla categoria zang fu dunque confermata negli anni Ottanta e non fu più messa in discussione in funzione dell’obiettivo politico della riclassificazione.
Tuttavia, a distanza di circa trent’anni, il numero delle pubblicazioni sulla comunità Baima è notevolmente aumentato.12)Una rassegna delle ricerche riguardo i Baima pubblicate in Cina tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila è presentata in: Pu Xiangming 薄向明, “Jin sanshi nian lai baima ren yanjiu zhuangkuang shulun” 近三十年来白马人研究状况述论 [Discussione e descrizione dello stato della ricerca degli ultimi trent’anni riguardo i Baima], Beifang Minzu Daxue Xuebao 北方民族大学学报, 89, 5, 2009, 77-81. Oltre alle numerose e più note ricerche linguistiche di Sun Hongkai e Katia Chirkova, sono da evidenziare le ricerche etnografiche condotte da Lha byams, un etnologo tibetano contemporaneo autore di numerosi articoli sulle pratiche rituali Baima che ha documentato in modo preciso ed approfondito attraverso lo studio dei manuali rituali e di lunghi periodi di ricerca etnografica nella contea di Pingwu in Sichuan.13)Tra le principali pubblicazioni di linguistica che dimostrano come lo status della lingua Baima sia ancora oggi dibattuto tra appartenenza al gruppo tibetano e al gruppo qiangico, si ricorda: Sun Hongkai 孙宏开, “Lishi shang de di zu he chuan gan diqu de baima ren – baima ren zushu chu tan” 历史上的氐族和川甘地区的白马人– 白马人族属初探 [La categoria etnica Di nella storia e i Baima del Sichuan-Gansu – indagine preliminare sull’appartenenza etnica dei Baima], Minzu Yanjiu 民族研究, 3, 1980, 33-43. Sun Hongkai 孙宏开, “Baima yu shi zang yu de yi ge fangyan haishi tuyu? ” 白马语是藏语的一个方言还是土语 [La lingua Baima è un dialetto della lingua tibetana o una lingua locale?], Yuyan Kexue 语言科学, 1, 2003, 65-75. Katia Chirkova, “Between Tibetan and Chinese: Identity and language in Chinese South-West”, Journal of South Asian Studies, 30, 3, 2007, 405-417. Katia Chirkova, “The Baima Tibetans and the Di people of Chinese Historical Records: Challenging the Link”, Bulletin of Chinese Linguistics, 3, 1, 2008, 161-174. Tra le pubblicazioni recenti di Lha byams: La Xian 拉先, “Baima zangzu jiating jisi yishi diaocha yanjiu” 白马藏族家庭祭祀仪式调查研究 [Ricerca sui riti domestici dei tibetani Baima], Xizang Daxue Xuebao 西藏大学学报, 135, 3, 2018, 69-78; La Xian 拉先, “Baima zangzu zongjiao minsu kaoshi” 白马藏族宗教民俗考释 [Studio filologico del folklore religioso dei tibetani Baima], Qinghai Shehui Kexue 青海社会科学, 1, 2019, 8-14.
In uno dei suoi articoli Lha byams prende cautamente le distanze dall’etimologia dell’etnonimo ‘Baima’ che era stata proposta da dMu dge bSam gtan, sostenendo la necessità di coniugare lo studio di documenti cinesi e tibetani. Pur non avendo una formazione specializzata in linguistica, Lha byams si addentra in una serie di ipotesi etimologiche per dimostrare che l’ambito della linguistica comparativa possa fornire prove più affidabili e scientifiche che dimostrino la tibetanità dei Baima. La discussione si sviluppa in una cornice teorica diversa rispetto agli anni Ottanta, che riflette la trasformazione della terminologia e dei concetti nel dibattito antropologico dell’accademia cinese. L’appartenenza al gruppo tibetano è presentata come uno dato di fatto, ma dà risalto alla differenza tra zuqun (gruppo etnico) e minzu (categoria etnica), consentendo al gruppo etnico (zuqun) Baima di essere qualificato e riconosciuto come un ramo (zhixi) nella categoria etnica (minzu) zang, di cui resta in ogni caso inequivocabilmente parte. Questa posizione concettuale si riflette nel testo attraverso l’uso liberamente alternato tra qualificante e qualificato nell’etnonimo: “persone baima” (baima ren 白马人), “tibetani-baima” (baima zang ren 白马藏人), “baima della categoria etnica tibetana” (zang zu baima 藏族白马) e “categoria etnica tibetana (ramo) baima” (baima zang zu 白马藏族).14)La Xian 拉先, “Bianxi Baima zangren de zushu ji qi wenhua tezheng” 辨析白马藏人的族属及其文化特征 [Disambiguazione dell’appartenenza etnica dei tibetani Baima e sue caratteristiche culturali], Zhongguo Zangxue 中国藏学, 2, 2009, 111-116. Per una discussione che ripercorre l’evoluzione generale in ambito antropologico del dibattito sui concetti di zuqun e minzu si veda: Wang, Dongming 王东明, “Guanyu ‘minzu’ yu ‘zuqun’ gainian zhi zheng de zongshu” 关于民族与族群概念之争的综述 [Resoconto della disputa sui concetti di ‘categoria etnica’ e ‘gruppo etnico’], Guangxi Minzu Xueyuan Xuebao 广西学院学报, 27, 2, 2005, 89-97.
Nonostante le differenze nell’argomentazione e il lungo intervallo di tempo intercorso tra gli scritti di dMu dge bSam gtan e Lha byams, emerge un importante punto in comune tra i due studiosi: il senso di autoidentificazione e di percezione identitaria dei Baima è trascurato in favore della relativizzazione della differenza linguistico-culturale e della naturalizzazione dell’appartenenza dei Baima alla tibetosfera che, nei termini della classificazione etnica, è sancita dall’inclusione nella categoria zang. L’inconfutabilità di tale inclusione emerge dalla valutazione di due parametri interconnessi, lingua e religione, che servono a dimostrare simultaneamente la tibetanità e la perifericità dei Baima all’interno della tibetosfera.
La lingua Baima è una lingua del gruppo tibeto-birmano che non è mutualmente intellegibile per nessuna delle comunità tibetane circostanti e non ha un sistema di scrittura indipendente. In linea con quanto già scritto da dMu dge bSam gtan, secondo alcuni studiosi tibetani con cui ho avuto occasione di parlare a Chengdu e a Xining, la lingua parlata dai Baima sarebbe un dialetto tibetano alterato, a cui non andrebbe riconosciuto lo status di lingua.15)Dietro loro richiesta, non riporto i nomi dei miei interlocutori. Questo atteggiamento tibetano derogatorio è diffuso ed osservabile anche nei confronti di altre minoranze linguistiche della tibetosfera. Ad esempio per la lingua della comunità rTa’u, giudicata “un derivato degradato o fossilizzato (ma sempre radicalmente diverso)” del tibetano “corretto”. Cfr. Tunzhi (Sonam Lhundrop), Hiroyuki Suzuki e Gerald Roche, “Language Contact and the Politics of Recognition amongst Tibetans in the People’s Republic of China. The rTau’ Speaking ‘Horpa’ of Khams”, inSelma K. Sonntag e Mark Turin (a cura di),The Politics of Language Contact in the Himalaya (Open Book Publishers, 2019), 17-48. La sua incomprensibilità per i tibetani è poi spiegata semplicemente come il risultato della condizione di marginalità geografica dei Baima. Inoltre, in questa stessa prospettiva, in assenza di un sistema di scrittura proprio, la scrittura tibetana impiegata esclusivamente nei manuali rituali utilizzati dalla comunità Baima costituirebbe un’ulteriore evidenza che vada considerata la lingua scritta Baima. Ciò che è però omesso è il fatto che gli esperti rituali Baima siano in grado di leggere ma non di comprendere il significato dei testi scritti in tibetano. Inoltre, la scrittura tibetana non si è mai diffusa come mezzo di comunicazione ordinaria tra la popolazione.
La religione è l’altro ambito principale in cui è proiettata un’interpretazione peculiare delle pratiche rituali Baima. La religione Baima si fonda infatti su un apparato di riti domestici a partecipazione sia familiare sia comunitaria che riflette una cosmologia complessa di relazioni con l’ambiente naturale e comprende sacrifici animali. In tali pratiche rituali è rintracciabile una predominante influenza dalla cosmologia e dalla cultura tibetana, ma sono presenti anche elementi della cosmologia e dalla religione popolare han e di altre comunità circostanti che sono stati sintetizzati in modo unico dai Baima.
Nonostante non sia possibile ascrivere i riti Baima ad un’origine esclusivamente tibetana, questi sono assimilati da dMu dge bSam gtan e da Lha byams, nonché nel corso di conversazioni avute con altri studiosi tibetani, direttamente al Bon antico, la religione pre-buddhista del Tibet che – a differenza del Bon riformato nell’undicesimo secolo molto simile alle altre scuole del buddhismo – è un insieme complesso ed eterogeneo di pratiche rituali e credenze di cui si conosce ancora poco e principalmente attraverso fonti di molti secoli successivi.
Sin dall’introduzione del Buddhismo in Tibet, il Bon è stato demonizzato dalle scuole del Buddhismo tibetano come una religione barbara e sanguinaria. Tuttavia, in una prospettiva culturale nativista emersa nell’ultimo decennio nell’ambito degli studi accademici tibetani nella Repubblica Popolare, un altro aspetto del Bon ha preso il sopravvento: il fatto che sia considerata la più antica e autoctona religione del Tibet, a differenza del più tardo ed esogeno Buddhismo. Pur se distante dalla sensibilità della maggior parte dei tibetani che oggi continua ad identificarsi con la civiltà buddhista, questa tendenza degli studi si concentra sul Bon antico, in quanto ritenuto il sostrato culturale e religioso autentico che accomuna i tibetani e racchiude l’essenza della tibetanità.16)Per un’analisi molto interessante che mette a fuoco questa recente tendenza degli studi tibetani in Cina in relazione ai finanziamenti governativi per la ricerca sulla terra mitica dello Zhangzhung si veda: Per Kvaerne, “Zhangzhung, Bön, and China: The Construction of an Alternative Tibetan Historical Narrative”, in Shelly Bhoil e Enrique Galvan-Alvarez(a cura di), Tibetan Subjectivities on the Global Stage. Negotiating Dispossession (New York: Lexington Books, 2018), 3-22.
In quest’ottica, il valore della ricerca sui riti contemporanei praticati dai Baima e da altre comunità del corridoio etnico classificate nel gruppo zang risiede principalmente nell’aspettativa di poter osservare pratiche sopravvissute ai margini della Tibetosfera che si suppone esistessero in forme molto simili o identiche sull’altopiano tibetano fino all’avvento del Buddhismo. I Baima rappresentano dunque per gli studiosi tibetani un fossile linguistico e religioso che paradossalmente condensa due identità divergenti: la sopravvivenza dell’essenza autentica delle popolazioni tibetane antiche e una declinazione contemporanea della tibetanità che appare periferica e deviante. In sintesi, dal punto di vista tibetano fare ricerca sulla comunità Baima significa da una parte applicare un approccio filologico-archeologico all’etnografia che permetta di riconnettersi con il passato pre-buddhista e dall’altra ignorare i discorsi dell’identità Baima contemporanea.
Nonostante l’attribuzione della categoria etnica zang, sostenuta con veemenza dalla comunità di studiosi tibetani, la ricerca identitaria dei Baima è un processo in evoluzione che si svolge essenzialmente a livello locale. È auspicabile che lo studio di comunità del corridoio etnico, come quella Baima, si sottragga all’orbita esclusiva della tibetosfera – e dell’annessa condizione di formale inclusione nella categoria etnica zang – e si ricollochi nel più ampio contesto diacronico e sincronico delle interazioni locali inter e intra-comunitarie.
Punzi, Ai margini della tibetosfera PDF
Immagine: tamburo e altri oggetti rituali predisposti per un rito in un campo incolto vicino al villaggio Baima di Kadè (foto di Valentina Punzi)
Valentina Punzi ha ricevuto un dottorato presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale (Asia Orientale) e la Minzu University of China (Studi Tibetani). Attualmente è assegnista di ricerca al Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo dell’Orientale. Nel corso delle sue ricerche si è occupata di storia locale, geografia sacra e religione popolare tibetana nel Qinghai. Più di recente si è occupata di questioni identitarie, relazioni interetniche e religione popolare tra le comunità del Sichuan occidentale. Inoltre collabora presso l’Institute of Cultural Research dell’Università di Tartu al progetto “Vernacular Interpretations of the Incomprehensible: Folkloristic Perspectives Towards Uncertainty” (PRG670).
↑1 | La traduzione della parola ‘minzu’ racchiude una questione a lungo dibattuta che resta tuttora senza una soluzione soddisfacente. In questo saggio, ho scelto di tradurre ‘minzu’ come ‘categoria etnica’ per sottolineare il ruolo svolto dallo stato cinese in un preciso momento storico nella creazione di un sistema formale di classificazione etnica e nell’attribuzione di etnonimi ufficiali. Ricorro alla parola ‘comunità’ invece per sottolineare il senso di condivisione e di autoidentificazione percepito dai singoli individui, proprie di un’etnia formatasi attraverso un processo in cui gli appartenenti si riconoscono, indipendentemente dal fatto di costituire o meno una categoria etnica per lo stato. Il processo della classificazione etnica, che portò alla costituzione di 56 minzu è descritto in Thomas Mullaney, Coming to Terms with the Nation. Ethnic Classification in Modern China (Berkeley: University of California Press 2011). |
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↑2 | Fei Xiaotong 费孝通, “Guanyu wo guo de shibie wenti” 关于我国的识别问题 [La questione della classificazione nel nostro paese], Zhongguo shehui kexue 中国社会科学, 1, 1980, 147-162. |
↑3 | Tommaso Previato ha pubblicato un’interessante intervista a Sun Hongkai in cui sono descritti il contesto e gli sviluppi della ricerca dagli anni Cinquanta a oggi nel sudovest cinese attraverso i vividi ricordi e le riflessioni personali dello studioso. Sun Hongkai e Tommaso Previato, “Il ‘corridoio etnico’. Vicissitudini di una nozione centrale negli studi di antropologia linguistica della Cina”, ANUAC, 5, 1, 2016, 293-312. |
↑4 | Dal punto di vista amministrativo, la porzione di tibetosfera che è oggi inglobata all’interno dei confini nazionali della RPC coincide con la Regione Autonoma del Tibet e le numerose Prefetture Autonome Tibetane nelle adiacenti province del Qinghai e Gansu, e del Sichuan e Yunnan occidentali. |
↑5 | Françoise Pommaret, “The Mon-pa revisited: in search of Mon”, in Toni Huber (a cura di), Sacred Spaces and Powerful Places in Tibetan Culture (Dharamsala: Tibetan Library of Works and Archives, 1999), 52-73; Sara Shneiderman, “Barbarians at the Border and Civilising Projects: Analaysing Ethnic and National Identities in the Tibetan Context”, in Christiaan Klieger (a cura di), Tibetan Borderlands (Leiden: Brill, 2006), 9-34. |
↑6 | La relazione fluttuante tra significante e significato degli etnonimi, incluso quello zang, nel corso della storia pre-comunista costituisce il background della formazione delle categorie etniche degli anni cinquanta. Gros mette in luce l’evoluzione storica della categoria dei ‘barbari occidentali’ (xifan 西番) impiegata durante il periodo imperiale e repubblicano per alcune comunità del corridoio etnico e il suo successivo assorbimento nella categoria zang durante il periodo comunista. Stéphane Gros, “Devenirs identitaires dans les confins Sino-Tibétains: contextes et transformations”, Cahiers d’Extrême-Asie, Ecole française d’Extrême-Orient, Des mondes en devenir. Interethnicité et production de la différence en Chine du Sud-Ouest, Vol. 23, 2014, 63-102. |
↑7 | Un altro caso interessante è quello della comunità Ersu in Sichuan, descritto in dettaglio in: Da Wu, “Three Tongues and Two Identities: A Case Study of Ersu Ethnic Identities in Sichuan, China”, Cultural Diversity in China, 1, 1, 2015, 44–67. |
↑8 | Sichuan sheng minzu yanjiusuo 四川省民族研究所, Baima zangren zushu wenti taolunji 白马藏人族属问题讨论集 [Raccolta dei dibattiti sulla questione dell’appartenenza etnica dei Baima tibetani], (Chengdu: Sichuan sheng minzu yanjiusuo 四川省民族研究所, 1980). Pingwu xian baimaren zushu yanjiuhui 平武县白马人族属研究会, Baimaren zushu yanjiu wenji 白马人族属研究文集 [Raccolta di saggi sull’appartenenza etnica dei Baima], (Pingwu: Pingwu xian baimaren zushu yanjiuhui 平武县白马人族属研究会, 1987). |
↑9 | Janet Upton, “Notes towards a Native Tibetan Ethnology: An Introduction to and Annotated Translation of dMu dge bSam gtan’s Essays on Dwags po (Baima Zangzu)”, The Tibet Journal, 25, 1, 2000, 3-26. |
↑10 | Stevan Harrell riporta un possibile, seppur non accertato, intervento di pressione da parte del Decimo Panchen Lama che avrebbe contribuito a mantenere nella categoria zang i Baima, gli Ersu e le altre comunità del corridoio etnico considerate affini ai tibetani. Stevan Harrell, Ways of Being Ethnic in Southwest China (Seattle: Washington University Press, 2001), 210. In qualità di leader religioso riconosciuto dai Tibetani ma anche approvato dal governo cinese, all’indomani della conclusione della Rivoluzione Culturale il Panchen Lama svolse un importante ruolo politico di mediazione tra le parti. Al governo centrale indubbiamente premeva stabilire e consolidare buoni rapporti con la popolazione tibetana e per contribuire a farlo non si può escludere che abbia accettato di non riconoscere uno status separato di minzu per le comunità del corridoio etnico. Nicholas D. Kristof, “The Panchen Lama is dead at 50; Key Figure in China’s Tibet Policy”, Special To the New York Times, January 30, 1989. |
↑11 | Sulla questione dell’identificazione dei Pumi e del loro etnonimo si veda: Koen Wellens, “What’s in a Name? The Premi in Southwest China and the Consequences of Defining Ethnic Identity”, Nations and Nationalism, 4, 1, 1998, 17-34; Stevan Harrell, “The Nationalities Question and the Prmi Problem”, in Melissa J. Brown (a cura di), Negotiating Ethnicities in China and Taiwan (Berkeley: UC Press, 1996), 274-296. |
↑12 | Una rassegna delle ricerche riguardo i Baima pubblicate in Cina tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila è presentata in: Pu Xiangming 薄向明, “Jin sanshi nian lai baima ren yanjiu zhuangkuang shulun” 近三十年来白马人研究状况述论 [Discussione e descrizione dello stato della ricerca degli ultimi trent’anni riguardo i Baima], Beifang Minzu Daxue Xuebao 北方民族大学学报, 89, 5, 2009, 77-81. |
↑13 | Tra le principali pubblicazioni di linguistica che dimostrano come lo status della lingua Baima sia ancora oggi dibattuto tra appartenenza al gruppo tibetano e al gruppo qiangico, si ricorda: Sun Hongkai 孙宏开, “Lishi shang de di zu he chuan gan diqu de baima ren – baima ren zushu chu tan” 历史上的氐族和川甘地区的白马人– 白马人族属初探 [La categoria etnica Di nella storia e i Baima del Sichuan-Gansu – indagine preliminare sull’appartenenza etnica dei Baima], Minzu Yanjiu 民族研究, 3, 1980, 33-43. Sun Hongkai 孙宏开, “Baima yu shi zang yu de yi ge fangyan haishi tuyu? ” 白马语是藏语的一个方言还是土语 [La lingua Baima è un dialetto della lingua tibetana o una lingua locale?], Yuyan Kexue 语言科学, 1, 2003, 65-75. Katia Chirkova, “Between Tibetan and Chinese: Identity and language in Chinese South-West”, Journal of South Asian Studies, 30, 3, 2007, 405-417. Katia Chirkova, “The Baima Tibetans and the Di people of Chinese Historical Records: Challenging the Link”, Bulletin of Chinese Linguistics, 3, 1, 2008, 161-174. Tra le pubblicazioni recenti di Lha byams: La Xian 拉先, “Baima zangzu jiating jisi yishi diaocha yanjiu” 白马藏族家庭祭祀仪式调查研究 [Ricerca sui riti domestici dei tibetani Baima], Xizang Daxue Xuebao 西藏大学学报, 135, 3, 2018, 69-78; La Xian 拉先, “Baima zangzu zongjiao minsu kaoshi” 白马藏族宗教民俗考释 [Studio filologico del folklore religioso dei tibetani Baima], Qinghai Shehui Kexue 青海社会科学, 1, 2019, 8-14. |
↑14 | La Xian 拉先, “Bianxi Baima zangren de zushu ji qi wenhua tezheng” 辨析白马藏人的族属及其文化特征 [Disambiguazione dell’appartenenza etnica dei tibetani Baima e sue caratteristiche culturali], Zhongguo Zangxue 中国藏学, 2, 2009, 111-116. Per una discussione che ripercorre l’evoluzione generale in ambito antropologico del dibattito sui concetti di zuqun e minzu si veda: Wang, Dongming 王东明, “Guanyu ‘minzu’ yu ‘zuqun’ gainian zhi zheng de zongshu” 关于民族与族群概念之争的综述 [Resoconto della disputa sui concetti di ‘categoria etnica’ e ‘gruppo etnico’], Guangxi Minzu Xueyuan Xuebao 广西学院学报, 27, 2, 2005, 89-97. |
↑15 | Dietro loro richiesta, non riporto i nomi dei miei interlocutori. Questo atteggiamento tibetano derogatorio è diffuso ed osservabile anche nei confronti di altre minoranze linguistiche della tibetosfera. Ad esempio per la lingua della comunità rTa’u, giudicata “un derivato degradato o fossilizzato (ma sempre radicalmente diverso)” del tibetano “corretto”. Cfr. Tunzhi (Sonam Lhundrop), Hiroyuki Suzuki e Gerald Roche, “Language Contact and the Politics of Recognition amongst Tibetans in the People’s Republic of China. The rTau’ Speaking ‘Horpa’ of Khams”, inSelma K. Sonntag e Mark Turin (a cura di),The Politics of Language Contact in the Himalaya (Open Book Publishers, 2019), 17-48. |
↑16 | Per un’analisi molto interessante che mette a fuoco questa recente tendenza degli studi tibetani in Cina in relazione ai finanziamenti governativi per la ricerca sulla terra mitica dello Zhangzhung si veda: Per Kvaerne, “Zhangzhung, Bön, and China: The Construction of an Alternative Tibetan Historical Narrative”, in Shelly Bhoil e Enrique Galvan-Alvarez(a cura di), Tibetan Subjectivities on the Global Stage. Negotiating Dispossession (New York: Lexington Books, 2018), 3-22. |