Unica tra le tecnologie del diciannovesimo secolo, la fotografia raggiunse una diffusione globale in brevissimo tempo, alterando in maniera profonda e radicale la cultura visiva e la percezione del mondo. Prima della sua invenzione la conoscenza dell’altrove era legata a disegni, pitture e descrizioni testuali: la fotografia cambiò tutto. Ufficialmente la fotografia nacque nel 1839, anno in cui lo studioso e uomo politico François Arago spiegò nei dettagli l’invenzione di Louis Daguerre, la dagherrotipia, all’Accademia di Francia. Ma fu il fisico inglese William Talbot a inventare la tecnica fotografica moderna basta sull’uso di una matrice riproducibile, almeno potenzialmente, all’infinito. La fotocamera per la dagherrotipia era composta da due scatole di legno che scorrono una dentro l’altra per consentire la messa a fuoco, una fessura per la lastra di rame sul retro, e un obiettivo fisso frontale in vetro e ottone. Daguerre protesse il suo apparecchio con un brevetto depositato a Londra nel 1839. Nonostante l’iniziale successo, questi dispositivi erano costosi e scomodi. Il dagherrotipo ebbe vita breve anche perché era un esemplare unico di un’immagine prodotta direttamente su una lastra. La fotografia si voleva multipla e illimitata. Dopo circa quindici anni, il sistema di Daguerre fu soppiantato da quello messo a punto da Talbot e sul quale si basa la fotografia. In Cina, le prime fotografie conosciute furono scattate già nel 1840 ad opera di personale militare e diplomatico e di viaggiatori e mercanti non cinesi. In seguito, la fotografia si diffuse assai rapidamente tra il pubblico cinese, inizialmente a Hong Kong e Shanghai.1)Per una storia della fotografia in Cina si veda Claire Roberts, Photography and China (Londra: Reaktion Books, 2013). Luo Yili 羅以禮 e Zou Boqi 鄒伯奇, attivi tra il 1840 e il 1860, furono tra i primi fotografi di rilevo. Benché vi fosse scarso interesse per le immagini fotografiche come mezzo di comunicazione di massa di fatti di cronaca, la fotografia offriva invece enormi possibilità nel campo della ritrattistica. Un caso esemplare è quello delle immagini dell’influente ufficiale e statista Li Hongzhang 李鴻章, i cui ritratti ebbero grande diffusione sia in Cina che altrove e le cui scelte estetiche furono ispirate dalla cultura visiva cinese tradizionale. La storica dell’arte Patrizia Wue ha osservato che una delle sue fotografie più interessanti è quella scattata da Liang Shitai 梁時泰, un brillante fotografo attivo tra il 1870 e il 1890 a Hong Kong, Shanghai e Tianjin. Grazie a un uso sapiente delle convenzioni pittoriche adattate alla nuova estetica dell’immagine fotografica, l’artista riuscì a mettere in risalto lo status e le predisposizioni dello statista.2)Roberta Wue, “The Mandarin at Home and Abroad: Picturing Li Hongzhang (1823-1901),” Ars Orientalis, XLIII, 2013, 140-156. Per i ritratti di Li opera di Liang Shitai si veda il sito https://loewentheilcollection.com/artist_t/liang-shitai-see-tay/. Per la famosa foto di Li assieme al generale americano Ulysses Grant si veda il sito della Library of Congress https://www.loc.gov/item/2016647812/.

La fotografia e il buddhismo

In Cina, la relazione tra il buddhismo e la fotografia è molto intima e densa di opportunità creative.3)Francesca Tarocco, “Miraculous Bodies: Buddhist Encounters with the Camera”, in Sabrina Crippa (a cura di), Corpi e saperi. Riflessioni sulla trasmissione della conoscenza (Bologna: Pendragon, 2019), 77-87. Anche in Tibet, fin dai primi anni Dieci del secolo scorso, il ritratto fotografico venne trasformato nella foto-icona del Dalai Lama e di altri clerici eminenti talvolta rimpiazzando e talora affiancando i ritratti rituali della precedente rigorosa tradizione dell’iconometria rituale. Agli occhi dei discepoli, la procedura automatica e mimetica del processo fotografico conferisce santità all’immagine che ne deriva. Una delle serie fotografiche più straordinarie di questo periodo fu commissionata e prodotta presso la corte imperiale. L’imperatrice vedova Cixi 慈禧 (1835–1908) – la monarca che guidò il tardo impero Qing – dimostrò da subito grande interesse per la fotografia e commissionò un’intrigante serie di tableau di chiara ispirazione buddhista dove ella stessa appare nelle vesti del bodhisattva Guanyin 觀音, la divinità femminile del pantheon cinese associata alla virtù della compassione, beneamata dalla popolazione. Patrona entusiasta sia delle arti che del buddhismo, Cixi scelse di incarnare Guanyin e volle che tale atto mimetico fosse immortalato in dipinti e fotografie. Cixi incentivava un esplicito parallelismo tra se stessa e la dea.4)Si veda lo studio di Yuhang Li, “Oneself as a Female Deity: Representations of Empress Dowager Cixi as Guanyin”, NAN NÜ, 14, 2012, 75-118. La sua principale dama di compagnia, la principessa Der Ling 裕德齡 riporta in un testo coevo le riflessioni dell’imperatrice sulla propria performance religiosa-teatrale e sul fatto che intendesse commissionare una fotografia:

I want to have one taken as ‘Kuan Yin’ [Guanyin] (Goddess of Mercy). The two chief eunuchs will be dressed as attendants. The necessary gowns were made some time ago, and I occasionally put them on, whenever I have been angry, or worried over anything, dressing up as the Goddess of Mercy helps me to calm myself, and so play the part I represent. I can assure you that it does help me a great deal, as it makes me remember that I am looked upon as being all-merciful. By having a photograph taken of myself dressed in this costume, I shall be able to see myself as I ought to be at all times.5)Brano citato da Yuhang Li, “Oneself as a Female Deity”, 18. Il commento è citato dalla principessa Der Ling in Two Years in the Forbidden City (New York: Dodd, Mead and Company, 1911), 225.

Anche se il suo mecenatismo assunse caratteristiche assai specifiche, Cixi fu solo l’ultima di una lunga serie di regnanti che vestirono i panni di divinità buddhiste, fra cui l’imperatore Qianlong 乾隆帝, che mantenne un potere assoluto fino alla sua morte nel 1799. Come Cixi, anche Qianlong aveva ben chiara – anche grazie ai suggerimenti dei suoi consiglieri tibetani – l’importanza di evocare, a fronte delle incessanti guerre e violenze dell’impero, un’ era di pace e armonia sociale presieduta da una benevola divinità buddhista. Come ha evidenziato la studiosa Marsha Weidner, nel periodo tardo imperiale esisteva una vera e propria sinergia tra l’immaginario visivo del buddhismo e quello della corte imperiale.6)Marsha Weidner, “Imperial Engagement with Buddhist Art and Architecture: Ming Variations on an Old Theme”, in Marsha Weidner (a cura di), Cultural Intersections in Later Chinese Buddhism (Honolulu, HI: University of Hawai’i Press, 2001), 129. Per Cixi il fatto che l’immagine fotografica possedesse una verosimiglianza irrefutabile rappresentava un ulteriore vantaggio rispetto ai dipinti. Ella comprese che la fotografia come forma di rappresentazione generava un inequivocabile senso di realtà e verità – due termini spesso intercambiabili nel linguaggio della dottrina buddhista. Tra i termini usati in cinese per la ritrattistica e la fotografia vi sono “scrivere la verità” (xiezhen ) e “catturare un’ombra” (sheying 摄影), entrambi dalle forti risonanze religiose e buddhiste. Le fotografie, come anche i ritratti pittorici prima di esse, contenevano qualche cosa di magico e talismanico, ed erano in grado di “trasmettere lo spirito riproducendo l’apparenza” (chuan shen xie zhao 傳神寫照).7)Audrey Spiro, “Seeing through Words: Shishuo Xinyu and the Visual Arts, A Case Study”, Early Medieval China, 13–14, 2007, 143–83. Le fotografie eliminano, o quantomeno complicano, la perenne dicotomia tra l’originale e la replica. Quell’ombra impressa sulla carta, pensò forse Cixi, era pur sempre quella del suo proprio corpo/spirito – e poteva essere moltiplicata infinite volte. Infatti, non solo ordinò che 103 copie delle sue fotografie preferite fossero esposte in luoghi pubblici ma dispose anche che le immagini fossero accessibili al pubblico. Nel 1904, il giornale Shibao pubblicò un annuncio che incoraggiava l’acquisto delle fotografie create a corte.8)Shibao (時報) del12 giugno 1904. I poteri miracolosi di Cixi/Guanyin avrebbero potuto in tal modo essere invocati direttamente dagli altari domestici dei suoi sudditi. Di conseguenza la sintesi tra la pratica religiosa e la cultura visiva buddhiste da una parte e la tecnologia mimetica della fotografia dall’altra ebbero un ruolo importante nella naturalizzazione e legittimazione del potere.
A seguito della caduta della dinastia Qing, il clero buddhista continuò a usare la fotografia per i suoi sforzi di rivitalizzazione religiosa, come forma di resistenza alla sopraggiunta iconoclastia delle classi dirigenti. In questo contesto, le fotografie scattate sul letto di morte di monaci e monache eminenti, una tradizione che continua fino ai nostri giorni, giocarono un ruolo importante. Una tra le più note fotografie di questo genere è quella dell’intellettuale, artista e maestro buddhista Hongyi 弘一 (nato Li Shutong 李叔同, 1880–1942). Avendo predetto con esattezza il giorno e l’ora della propria morte – segno inequivocabile di realizzazione tra i praticanti buddhisti – il monaco assunse la posizione esemplare del Buddha che si abbandona al nirvana finale ed è rappresentato disteso sul fianco destro, rivolto ad ovest, nell’atto di appoggiare la testa alla mano destra. Un discepolo scattò la foto nel momento della morte di Hongyi. Nel fare questo presupponeva dunque che l’immagine fotografica potesse venire interpretata e usata alla stregua di una reliquia corporale. Le fonti canoniche buddhiste stabiliscono infatti che anche le immagini possano avere poteri salvifici e miracolosi simili a quelli delle reliquie.9)Brown, R. L., “Expected Miracles: the Unsurprisingly Miraculous Nature of Buddhist Images and Relics”, in R. H. Davis (a cura di), Images, Miracles, and Authority in Asian Religious Traditions (Boulder, CO: Westview, 1998, 23–36). Per secoli, inoltre, il possesso di un ritratto di un maestro Chan era stata la prova della connessione karmica tra il soggetto del dipinto e colui o colei che lo possedevano. Lo stesso principio si diffuse per le immagine fotografica.L’immagine del nirvana di Hongyi, come dice l’iscrizione, divenne un “immagine miracolosa” (ruixiang 瑞相) e al pari di una reliquia venne ritualmente aggiudicata e distribuita tra i discepoli.

Fotografia di Hongyi sul letto di morte, 1942.
Fotografia di Cihang 慈航 (1895-1954) che impersona Maitreya.

Le fotografie buddhiste degli anni Venti e Trenta mostrano i corpi emaciati dei monaci asceti, i loro abiti sobri e rappezzati. Tale immagine di frugalità del clero veniva diffusa anche dai pamphlet e dalla stampa buddhista dell’epoca, nel tentativo di contrastare la propaganda antireligiosa e anticlericale di tanta ideologia nazionalista e rivoluzionaria. Ma i buddhisti esplorarono anche altri motivi religiosi legati alla tradizione buddhista, quale ad esempio quello della predestinazione. I segni della buddhità – testimoni le fotografie – potevano essere letti sui visi dei bambini piccoli grazie alla fisiognomica rituale e la tonsura e l’ordinazione monastica potevano avvenire anche a quattro o cinque anni. Altri, come il monaco Cihang 慈航, usarono la fotografia per incarnare ed evocare Maitreya (Milefo勒佛), il buddha della futura epoca cosmica che riaffiora con cadenza regolare nella storia cinese grazie ai suoi espliciti richiami millenaristici.10)Francesca Tarocco, “Miraculous Bodies”. Mentre alcuni intellettuali cinesi provavano a ricontestualizzare le idee di energia vitale (qi ) e di coltivazione del corpo (xiushen 修身) che erano state alla base della cosmologiae della cultura cinesi per secoli, i praticanti buddhisti, a loro volta, guardarono con rinnovato interesse alle tecniche corporali della loro tradizione monastica. Molti clerici mostrarono uno spiccato interesse per le pratiche ascetiche e per una rigorosa disciplina corporale.
In questi decenni assistiamo dunque a un fiorire di immagini fotografiche che rappresentano il corpo monastico – un corpo particolare nella tradizione religiosa e visiva cinese che ne celebra, tra le altre cose, la purezza e l’astinenza ascetica. Nelle fotografie dell’epoca, i clerici buddhisti, i loro corpi, possono essere vivi, morenti, e anche morti – di una morte ovviamente trasformativa e speciale. Innegabilmente, la soteriologia buddhista giocò un ruolo cruciale in questo periodo di grandi incertezze durante il quale germogliarono idee nuove sui concetti di tempo, spazio, luce e mortalità degli esseri – idee accompagnate da altrettante nuove e spettacolari macchine quali i treni, i telescopi, i microscopi, e i dispositivi fotografici. La tecnologia fotografica – ancora usatissima e in continua evoluzione – consentì ai buddhisti di contemplare possibilità nuove all’ interno della propria tradizione visiva e soteriologica laddove idee e pratiche rituali più antiche vennero infuse dai significati e dalle prassi culturali della modernità.

Immagine: Hongyi sul letto di morte (1942).

Tarocco, corpi di carta PDF

Francesca Tarocco è una storica del buddhismo e delle religioni cinesi a Ca’ Foscari e NYU Shanghai. I suoi interessi vertono sulla storia intellettuale e culturale, la religione urbana, la cultura visiva e materiale, i media e la religione, e i testi buddhisti apocrifi.

References
1 Per una storia della fotografia in Cina si veda Claire Roberts, Photography and China (Londra: Reaktion Books, 2013).
2 Roberta Wue, “The Mandarin at Home and Abroad: Picturing Li Hongzhang (1823-1901),” Ars Orientalis, XLIII, 2013, 140-156. Per i ritratti di Li opera di Liang Shitai si veda il sito https://loewentheilcollection.com/artist_t/liang-shitai-see-tay/. Per la famosa foto di Li assieme al generale americano Ulysses Grant si veda il sito della Library of Congress https://www.loc.gov/item/2016647812/.
3 Francesca Tarocco, “Miraculous Bodies: Buddhist Encounters with the Camera”, in Sabrina Crippa (a cura di), Corpi e saperi. Riflessioni sulla trasmissione della conoscenza (Bologna: Pendragon, 2019), 77-87.
4 Si veda lo studio di Yuhang Li, “Oneself as a Female Deity: Representations of Empress Dowager Cixi as Guanyin”, NAN NÜ, 14, 2012, 75-118.
5 Brano citato da Yuhang Li, “Oneself as a Female Deity”, 18. Il commento è citato dalla principessa Der Ling in Two Years in the Forbidden City (New York: Dodd, Mead and Company, 1911), 225.
6 Marsha Weidner, “Imperial Engagement with Buddhist Art and Architecture: Ming Variations on an Old Theme”, in Marsha Weidner (a cura di), Cultural Intersections in Later Chinese Buddhism (Honolulu, HI: University of Hawai’i Press, 2001), 129.
7 Audrey Spiro, “Seeing through Words: Shishuo Xinyu and the Visual Arts, A Case Study”, Early Medieval China, 13–14, 2007, 143–83.
8 Shibao (時報) del12 giugno 1904.
9 Brown, R. L., “Expected Miracles: the Unsurprisingly Miraculous Nature of Buddhist Images and Relics”, in R. H. Davis (a cura di), Images, Miracles, and Authority in Asian Religious Traditions (Boulder, CO: Westview, 1998, 23–36).
10 Francesca Tarocco, “Miraculous Bodies”.