Da quando, il 1 ottobre 1949, Mao Zedong proclamò con fierezza dalla tribuna di piazza Tian’anmen la vittoria della rivoluzione comunista e la nascita di un nuovo Stato unitario, la RPC (Repubblica Popolare Cinese) ha realizzato in settant’anni uno sviluppo straordinario, che non ha precedenti nella storia mondiale: da Paese povero e isolato sulla scena internazionale, nell’arco di sette decenni si è trasformata in una potenza emergente, in rapida ascesa in ambito regionale e globale.
Ma i grandi progressi raggiunti non relegano in secondo piano il glorioso passato rivoluzionario, con cui si sottolinea tuttora la continuità: infatti, in modo simbolico, il Presidente Xi Jinping ha indossato un’uniforme di foggia maoista nel corso della grande celebrazione del 1 ottobre di quest’anno, la più imponente tra tutte le parate sinora allestite per la festa nazionale. In un massiccio spiegamento di uomini e di armamenti, l’EPL (Esercito Popolare di Liberazione), il più numeroso esercito al mondo, con circa due milioni di unità attive, avrebbe così mostrato la sua grandezza a livello globale. A impressionare la scena sono stati i missili balistici intercontinentali della serie Dongfeng (Vento dell’Est), fiore all’occhiello del “made in China” in campo militare, alcuni dei quali capaci di raggiungere rapidamente anche gli Stati Uniti, trasportando testate nucleari. Tuttavia, piuttosto che a scopo intimidatorio, questa ostentazione di forza militare dovrebbe essere interpretata essenzialmente in un’ottica di deterrenza, come è stato sottolineato dai media ufficiali e da commentatori vicini al Partito.1)Li Qingqing, “China’s military strength guarantees world peace, stability”, Global Times, 29/9/2019; “Military parade seeks to show country’s ability to maintain peace”, ibid., 28/9/2019.
Inoltre, nella sfilata sono stati inseriti anche dei carri recanti gigantografie dei maggiori leader del Pcc, tra cui quella di Xi Jinping, in un ormai manifesto culto della personalità, tanto avversato invece dai riformatori degli anni ’80, ben consci dei rischi a esso connessi. Ma Xi è ormai Presidente a vita, uomo solo al comando, senza più vincoli di mandato, dopo l’emendamento alla costituzione vigente approvato a marzo 2018, che ha rovesciato di fatto il modello della leadership collettiva (jiti lingdao zhi), lo strumento di condivisione del potere realizzato da Deng Xiaoping per impedirne abusi da parte di un solo componente dell’élite a danno degli altri.
La svolta attuata sembra essere uno dei tratti caratteristici della “nuova era”, che il Presidente ritiene di aver inaugurato: è questo il concetto fondamentale del cosiddetto pensiero di Xi Jinping, ufficializzato al XIX Congresso del PCC a ottobre 2017 e poi inserito nello Statuto del Partito. In tal modo la figura dell’attuale Segretario generale può essere sempre più accostata a quella di Mao: infatti, allo stesso modo di quest’ultimo, Xi è l’unico altro dirigente il cui nominativo e il cui contributo dottrinale sono presenti nello Statuto del PCC mentre egli è ancora in vita, dal momento che la teoria attribuita a Deng Xiaoping fu incorporata nella stessa Carta solo dopo la morte dell’anziano leader.
Nel pensiero di Xi Jinping è racchiusa la grandiosa visione che egli ha del futuro del Paese: in un’ottica inequivocabilmente nazionalista, la “nuova era” costituirebbe un ulteriore stadio di rilancio per la Cina e una condizione di maggiore assertività a livello globale, una posizione che le sarebbe spettata di diritto da tempo sulla scena internazionale, prima dello scontro con le potenze occidentali, in continuità con il glorioso passato imperiale. Tra le affermazioni più forti contenute nel discorso di Xi del 1 ottobre vi è quella secondo cui d’ora in poi nessuna forza straniera potrà mai mettere in discussione lo status attuale della Cina o impedirle di compiere ulteriori progressi.2)“Qingzhu Zhonghua Renmin Gongheguo chengli 70 zhounian dahui zaijing longzhong juxing – Xi Jinping fabiao zhongyao jianghua bing jianyue shou yue budui” (Le celebrazioni del 70° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese si sono svolte in modo solenne nella capitale – Xi Jinping ha pronunciato un importante discorso e ha passato in rivista le truppe), Xinhua wang, 1/10/2019.
Il termine “nuova era” vuole intenzionalmente marcare la differenza rispetto alle precedenti amministrazioni e inaugurare quasi una nuova fase nella periodizzazione della storia della RPC. Infatti, nella concezione di Xi, la ‘sua’ epoca si collocherebbe a coronamento e superamento delle altre due principali, quella maoista, che vittoriosamente ha fondato il nuovo Stato unitario, e quella di Deng Xiaoping, che con le riforme economiche ha fornito prosperità e ricchezza alla maggior parte della popolazione.
In tale ottica, non altrettanto significativi sembrerebbero i periodi di governo degli altri due predecessori dell’attuale Segretario generale, Jiang Zemin e Hu Jintao, i quali erano però visibilmente schierati al suo fianco sulla Tribuna d’onore di Tian’anmen. Tra le altre personalità ‘esibite’ simbolicamente alla parata, vi era anche la Governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, unitamente a un gruppo di poliziotti dell’ex-colonia britannica, distintisi nell’attività di repressione delle manifestazioni in atto da circa quattro mesi.
Quanto è accaduto in contemporanea a Hong Kong il 1 ottobre non può non essere preso in considerazione, in una giornata di contrasti stridenti: da una parte il sensazionalismo delle celebrazioni a Pechino, dall’altra la durezza delle proteste nell’isola, in una inaspettata escalation di violenza, che proprio quel giorno hanno trasformato gran parte del territorio in un campo di battaglia, con il chiaro intento di creare un forte imbarazzo politico in occasione della festività nazionale. Infatti le iniziali marce pacifiche si sono trasformate progressivamente in questi mesi in scontri molto duri, con azioni di guerriglia urbana ad opera di alcuni gruppi di manifestanti e una repressione sempre più brutale da parte delle forze dell’ordine, che proprio il 1 ottobre sono arrivate a sparare ad altezza d’uomo, con il grave ferimento di un giovane dimostrante.
Le proteste attestano senza ombra di dubbio, dopo 22 anni dal 1997, la profonda crisi del modello “Un paese due sistemi” (Yiguo liangzhi), la soluzione politica proposta da Deng Xiaoping nell’ambito delle trattative con la Gran Bretagna, che condussero al ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese. Tale formula asserisce la complementarietà di due concezioni e di due sistemi politico-istituzionali differenti, nell’ambito di uno Stato unitario: da una parte, l’affermazione della sovranità cinese e della sua unicità in quanto soggetto politico principale, dall’altra la concessione di un’area amministrativa contraddistinta da un differente ordinamento giuridico-istituzionale, basato sulla Common Law, e da un diverso sistema economico rispetto alle altre province cinesi (la Hong Kong Special Administrative Region – HKSAR). In tal modo, sebbene abbia ceduto all’amministrazione di Pechino le decisioni in materia di politica estera e di difesa militare, divenendo a tutti gli effetti un’area sottoposta all’autorità del governo centrale, Hong Kong gode di uno status di provincia “speciale”, garantito alla luce di ragioni storiche e culturali che sono alla base del suo cosiddetto “stile di vita”, ispirato a valori e consuetudini occidentali.
A tutela di ciò, in una specifica impalcatura costituzionale, il 1 luglio 1997 è entrata in vigore la cosiddetta “Legge Fondamentale di Hong Kong” (“Hong Kong Basic Law” –“Xianggang Tebie Xingzhengqu Jibenfa”),3)La natura giuridica della Basic Law, che comprende un Preambolo, 9 capitoli, 160 articoli e tre allegati, è ritenuta di livello costituzionale ed è collocata al di sopra delle altre fonti normative primarie: in tal modo su essa può intervenire con modifiche soltanto l’Assemblea Nazionale del Popolo. Per il testo in inglese, vedi: https://www.basiclaw.gov.hk/en/basiclawtext/images/basiclaw_full_text_en.pdf
Per quello in cinese: http://www.basiclaw.gov.hk/tc/basiclawtext/images/basiclaw_full_text_tc.pdf in base alla quale la HKSAR gode di un alto grado di autonomia nell’esercizio dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, secondo un principio di non interferenza della madrepatria nei propri affari interni, garantito dall’impegno da parte del governo di Pechino a far sì che per 50 anni, fino al 2047, Hong Kong non sia amministrata secondo la legislazione vigente sul resto del territorio cinese.
In tale ottica si può ben comprendere il grande allarme destato dalla legge sull’estradizione4)La giustificazione formale per l’introduzione di tale legge è stato il caso di un giovane residente di Hong Kong, che, accusato di aver ucciso la sua fidanzata a Taiwan, è poi rientrato nell’ex-colonia, dove poteva essere al sicuro da qualsiasi azione giudiziaria. Si veda, “Hong Kong-China extradition plans explained”, BBC News, 22/8/2019. presentata dalla Governatrice Lam, in seguito però ritirata, che ha innescato le proteste di questi mesi: in base a tale provvedimento, particolarmente preoccupante se applicato a dissidenti politici e attivisti dei diritti umani, i cittadini di Hong Kong sarebbero potuti essere istradati in altri paesi, tra i quali la RPC, la cui legislazione non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali degli indagati nell’ambito dei procedimenti giudiziari. Nel corso delle settimane, il movimento di contestazione, abbastanza trasversale, cui prendono parte gruppi e componenti sociali molto diversi, ha allargato man mano le proprie rivendicazioni,5)Dai manifestanti sono state ribadite in questi mesi cinque richieste irrinunciabili: ritiro della legge sull’estradizione; un’inchiesta indipendente sul comportamento della polizia locale; amnistia per i manifestanti arrestati; fine della definizione delle proteste quali “rivolte”; avvio di una riforma elettorale, che includa l’elezione diretta del Governatore della città. A ciò si aggiunge la diffusa richiesta di dimissioni da parte della Lam. fino a diventare una sfida più ampia al controllo di Pechino sulla città.
A tal proposito è utile ricordare un altro importante fenomeno di opposizione attraverso cui cinque anni fa, da settembre a dicembre 2014, la popolazione dell’ex-colonia cercava di attirare l’attenzione internazionale sulla propria particolare condizione: il Movimento Occupy (Zhanlin yundong), i cui promotori, molti dei quali studenti e docenti universitari, organizzarono sit-in pacifici e azioni di disobbedienza civile, occupando i distretti Central e Admiralty, i più importanti centri finanziari e amministrativi dell’isola; in seguito al loro ampliarsi e alla dura repressione da parte delle forze dell’ordine, tali agitazioni diedero poi vita a quello che è stato denominato il Movimento degli Ombrelli (Yusan yundong), dall’utilizzo di questi ultimi da parte dei manifestanti per proteggersi dallo spray urticante usato dalla polizia.6)Samson Yuen, “Hong Kong after the Umbrella Movement. An uncertain future for ‘One Country Two Systems’”, China Perspectives, 1, 2015, 49-53; Stephan Ortmann, “The Umbrella Movement and Hong Kong’s Protracted Democratization Process”, Asian Affairs, 46, 1, 2015, 32-50. Le proteste del 2014 scoppiarono in risposta alla riforma per le elezioni del Governatore generale, previste per il 2017, avanzata da Pechino per pilotarle con candidati controllabili: infatti si richiedeva l’istituzione di un comitato che avrebbe dovuto approvare preliminarmente la nomina di un massimo di tre candidati alle elezioni, prima di procedere alle votazioni con suffragio universale, invece precedentemente negato; in ogni caso, il capo dell’esecutivo eletto sarebbe poi dovuto essere formalmente nominato dal governo della RPC, prima di assumere ufficialmente la carica. Tale prevalere degli interessi cinesi veniva sostanzialmente sancito da un Libro bianco intitolato “Sulla messa in pratica della [politica] ‘Un Paese due sistemi’ nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong”, emanato a giugno 2014.7)“Full text: The practice of the ‘One Country, Two Systems’ policy in the Hong Kong Special Administrative Region”, Xinhua News Agency, 10/6/2014; “‘Yiguo liangzhi’ zai Xianggang Tebie Xingzhengqu de Shijian – Baipi shu”, Xinhua wang, 10/6/2014.
Non si può fare a meno di notare come questa operazione finalizzata a una reinterpretazione restrittiva dell’autonomia configurata dalla “Basic Law” sia stata condotta a opera di Xi Jinping, il quale, sin dall’inizio del proprio mandato, ha posto le basi per una progressiva svolta autoritaria, effettuando una centralizzazione del potere senza precedenti nelle sue mani e nell’apparato del PCC, unitamente a una stretta repressiva sulla stampa e sul mondo accademico.8)Marina Miranda, “La re-ideologizzazione del Partito e degli ambienti intellettuali da parte di Xi Jinping”, in Politica, società e cultura di una Cina in ascesa – L’amministrazione Xi Jinping al suo primo mandato, Cina Report 2016, a cura di M. Miranda (Roma: Carocci, 2016) 49-68.
Nella prospettiva di una progressiva erosione della formula “Un Paese due sistemi”, è interessante considerare il severo giudizio che la stampa ufficiale della RPC ha fornito delle recenti manifestazioni a Hong Kong, stigmatizzate come dongluan, tumulti, agitazioni: la stessa terminologia adoperata per condannare le proteste del 1989 a piazza Tian’anmen. Enfatizzandone la componente violenta e tralasciandone completamente l’iniziale natura pacifica e disciplinata, le dimostrazioni nell’ex-colonia britannica sono state addirittura presentate come una sorta di “rivoluzione colorata” (yanse geming): è un’espressione questa che, riferendosi ai movimenti contestatari sviluppatesi negli anni Duemila nelle ex-repubbliche sovietiche, allude al presunto ruolo svolto nel fomentare le insurrezioni da parte di forze straniere ostili – in primis gli Stati Uniti – le quali starebbero cospirando con elementi sovversivi della HKSAR per mettere in crisi il modello “Un Paese due sistemi”, attentare all’unità nazionale e insidiare il potere del PCC nella Cina continentale.9)“Renmin ribao: xiu li shijian yi bianzhi – dai you mingxian ‘yanse geming’ tezheng” (Il Quotidiano del Popolo: gli incidenti per l’emendamento legislativo sono degenerati – possiedono una inequivocabile caratteristica di “rivoluzione colorata”), Sikao Xianggang, 8/8/2019. Sebbene non vi siano prove a riguardo, in tali affermazioni è interessante cogliere l’elemento di “vittimizzazione”, presente nella retorica nazionalista contemporanea, che dà vita a una specifica narrazione in cui l’Occidente è incolpato per i problemi della Cina.
La criminalizzazione delle manifestazioni non lascia quindi dubbi rispetto al livello di pericolosità e di minaccia alla sicurezza nazionale con cui vengono percepite le proteste dal governo di Pechino, ai cui occhi è evidente la necessità di riportare al più presto l’ordine nella ex-colonia. Proprio le modalità di una auspicata normalizzazione costituiscono un punto cruciale: fino a questo momento, il compito è stato lasciato alle forze interne di polizia di Hong Kong, che in questi mesi sono state rafforzate con equipaggiamenti e unità provenienti soprattutto dal Guangdong, in virtù della comunanza linguistica cantonese. Il governo centrale ha assunto allo stesso tempo un atteggiamento attendista, nell’ottica che l’opinione pubblica locale e soprattutto la comunità finanziaria potessero ritirare alla fine il proprio sostegno alle dimostrazioni, soprattutto in seguito all’escalation di violenza in crescita – un aspetto che alimenta quindi i sospetti circa la possibile manipolazione delle frange più violente. L’intervento sinora è stato indiretto, dal momento che la polizia della ex-colonia, sebbene formalmente sottoposta all’amministrazione della città, in realtà riceve ordini dai vertici del PCC attraverso l’Ufficio di collegamento del Comitato Centrale.10)“A preliminary survey of CCP influence efforts in Hong Kong”, China Brief online, 19, 14, 31/7/2019.
Se la situazione dovesse malauguratamente precipitare, non sarebbe purtroppo completamente da escludere un’azione diretta dell’esercito cinese, possibile solo dopo una dichiarazione di stato di emergenza da parte dell’Assemblea nazionale del Popolo. In base alla “Legge Fondamentale”, la richiesta ufficiale di ingerenza negli affari interni di Hong Kong dovrebbe essere formalizzata dalla Governatrice, la quale proprio in una recente intervista ha dichiarato che al momento nessuna opzione può essere esclusa.11)“Hong Kong leader Lam does not rule out Beijing help, as economy suffers”, Reuters online, 8/10/2019. Allo stesso tempo, da una parte Pechino sembrerebbe voler evitare l’uso diretto della forza soprattutto per le ripercussioni negative che esso avrebbe sull’attrattività economica e finanziaria di Hong Kong; dall’altra potrebbero invece prevalere le preoccupazioni relative alla stabilità interna, data la scarsa tolleranza del PCC per le sfide palesi alla propria autorità.
In questa difficile partita la posta in gioco è molto alta: un’opzione di repressione militare diretta metterebbe seriamente a rischio la soft diplomacy e l’immagine che la Cina ha costruito a livello internazionale in questi ultimi anni; rispetto a trent’anni fa, nell’era attuale di internet e della comunicazione globale, un intervento dei carri armati avrebbe un impatto assai più devastante.
Inoltre, conoscendo le dinamiche delle elite politics a Zhongnanhai, sono portata a supporre che rispetto alle modalità con cui ristabilire l’ordine a Hong Kong esistano all’interno del Partito e dell’esercito posizioni molto diverse, che creano possibili contrasti a diversi livelli, nonostante l’apparente assenza di segnali in tal senso, allo stesso modo in cui la risposta alla guerra dei dazi americani ha generato frizioni all’interno della leadership.12)Willy Lam, “Xi Reasserts control over PRC politics as trade war deepens”, China Brief online, 18, 15, 17/9/2018. In ogni caso, un certo equilibrio è comunque assicurato dallo stretto controllo che Xi mantiene sull’apparato dell’EPL, in maniera molto più salda rispetto ai suoi predecessori.
Oltre che per il futuro di Hong Kong, la crisi in atto del modello “Un Paese due sistemi” ha ripercussioni dirette anche sulle relazioni tra la RPC e Taiwan, in quanto le autorità di Pechino avevano proposto tale formula come applicabile anche a quest’ultima, in vista di una futura, eventuale riunificazione. Forti preoccupazioni sono state espresse da molti politici della RoC (Republic of China), dove si sono moltiplicate le dimostrazioni a sostegno delle proteste nella ex-colonia britannica. Una dura critica al modello che, in virtù della sua crisi acclamata, avrebbe gettato Hong Kong nel caos è stata formulata dalla presidentessa Tsai Ing-wen, nel discorso ufficiale tenuto in occasione della festa nazionale dell’isola, il 10 ottobre.13)Lawrence Chung “Taiwan’s President Tsai Ing-wen urges rejection of ‘one country, two systems’ model she says fails Hong Kong”, South China Morning Post, 10/10/2019; Id., “Taiwan stands firm against ‘one country, two systems’ as Xi Jinping renews calls for unification”, Ibid., 1/10/2019.
Con la profonda messa in discussione del modello proposto da Deng per Hong Kong sembra così sgretolarsi un altro importante tassello dell’assetto concepito dai riformisti degli anni ’80; un impianto che, come accennato all’inizio, in altri ambiti è stato già sostanzialmente alterato, in linea con il progetto della “nuova era” di Xi Jinping.14)Marina Miranda, “La ‘nuova era’ di Xi Jinping e la fine dell’assetto post-Tian’anmen, Mondo Cinese, anno XLVI, 165-166, novembre 2018 (in fase di stampa).
Immagine: Settantesimo anniversario della Repubblica.
Miranda, Grandi celebrazioni e violente proteste PDF
Marina Miranda insegna Storia della Cina contemporanea presso l’Università di Roma “Sapienza” ed è responsabile scientifico della sezione Asia Orientale del Dottorato in Civiltà dell’Asia e dell’Africa presso lo stesso Ateneo, di cui è stata Coordinatore per due mandati. È Direttore scientifico della collana “Cina Report”, edita da Carocci e della collana “Studi Orientali”, edita da LibreriaUniversitaria.it. È membro del Direttivo dell’Associazione Italiana per gli Studi Cinesi (AISC), membro del Comitato Scientifico delle riviste Mondo Cinese, Sulla Via dei Catai e di quello di redazione della Rivista di Studi Orientali. Negli anni della sua formazione ha a lungo soggiornato all’estero, svolgendo ricerche presso le principali biblioteche e archivi storici di Taiwan e della Repubblica popolare, dove si è recata anche in qualità di Visiting professor presso l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali di Pechino.
↑1 | Li Qingqing, “China’s military strength guarantees world peace, stability”, Global Times, 29/9/2019; “Military parade seeks to show country’s ability to maintain peace”, ibid., 28/9/2019. |
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↑2 | “Qingzhu Zhonghua Renmin Gongheguo chengli 70 zhounian dahui zaijing longzhong juxing – Xi Jinping fabiao zhongyao jianghua bing jianyue shou yue budui” (Le celebrazioni del 70° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese si sono svolte in modo solenne nella capitale – Xi Jinping ha pronunciato un importante discorso e ha passato in rivista le truppe), Xinhua wang, 1/10/2019. |
↑3 | La natura giuridica della Basic Law, che comprende un Preambolo, 9 capitoli, 160 articoli e tre allegati, è ritenuta di livello costituzionale ed è collocata al di sopra delle altre fonti normative primarie: in tal modo su essa può intervenire con modifiche soltanto l’Assemblea Nazionale del Popolo. Per il testo in inglese, vedi: https://www.basiclaw.gov.hk/en/basiclawtext/images/basiclaw_full_text_en.pdf Per quello in cinese: http://www.basiclaw.gov.hk/tc/basiclawtext/images/basiclaw_full_text_tc.pdf |
↑4 | La giustificazione formale per l’introduzione di tale legge è stato il caso di un giovane residente di Hong Kong, che, accusato di aver ucciso la sua fidanzata a Taiwan, è poi rientrato nell’ex-colonia, dove poteva essere al sicuro da qualsiasi azione giudiziaria. Si veda, “Hong Kong-China extradition plans explained”, BBC News, 22/8/2019. |
↑5 | Dai manifestanti sono state ribadite in questi mesi cinque richieste irrinunciabili: ritiro della legge sull’estradizione; un’inchiesta indipendente sul comportamento della polizia locale; amnistia per i manifestanti arrestati; fine della definizione delle proteste quali “rivolte”; avvio di una riforma elettorale, che includa l’elezione diretta del Governatore della città. A ciò si aggiunge la diffusa richiesta di dimissioni da parte della Lam. |
↑6 | Samson Yuen, “Hong Kong after the Umbrella Movement. An uncertain future for ‘One Country Two Systems’”, China Perspectives, 1, 2015, 49-53; Stephan Ortmann, “The Umbrella Movement and Hong Kong’s Protracted Democratization Process”, Asian Affairs, 46, 1, 2015, 32-50. |
↑7 | “Full text: The practice of the ‘One Country, Two Systems’ policy in the Hong Kong Special Administrative Region”, Xinhua News Agency, 10/6/2014; “‘Yiguo liangzhi’ zai Xianggang Tebie Xingzhengqu de Shijian – Baipi shu”, Xinhua wang, 10/6/2014. |
↑8 | Marina Miranda, “La re-ideologizzazione del Partito e degli ambienti intellettuali da parte di Xi Jinping”, in Politica, società e cultura di una Cina in ascesa – L’amministrazione Xi Jinping al suo primo mandato, Cina Report 2016, a cura di M. Miranda (Roma: Carocci, 2016) 49-68. |
↑9 | “Renmin ribao: xiu li shijian yi bianzhi – dai you mingxian ‘yanse geming’ tezheng” (Il Quotidiano del Popolo: gli incidenti per l’emendamento legislativo sono degenerati – possiedono una inequivocabile caratteristica di “rivoluzione colorata”), Sikao Xianggang, 8/8/2019. |
↑10 | “A preliminary survey of CCP influence efforts in Hong Kong”, China Brief online, 19, 14, 31/7/2019. |
↑11 | “Hong Kong leader Lam does not rule out Beijing help, as economy suffers”, Reuters online, 8/10/2019. |
↑12 | Willy Lam, “Xi Reasserts control over PRC politics as trade war deepens”, China Brief online, 18, 15, 17/9/2018. |
↑13 | Lawrence Chung “Taiwan’s President Tsai Ing-wen urges rejection of ‘one country, two systems’ model she says fails Hong Kong”, South China Morning Post, 10/10/2019; Id., “Taiwan stands firm against ‘one country, two systems’ as Xi Jinping renews calls for unification”, Ibid., 1/10/2019. |
↑14 | Marina Miranda, “La ‘nuova era’ di Xi Jinping e la fine dell’assetto post-Tian’anmen, Mondo Cinese, anno XLVI, 165-166, novembre 2018 (in fase di stampa). |