Mi permetto di iniziare con una riflessione indotta da un fatto accidentale: la mia presenza al Far East Film Festival, appuntamento udinese iniziato il 26 aprile e che si chiuderà quest’anno proprio il 4 maggio. I film cinesi visti fin qui, e in particolare il notevolissimo Pegasus (飞驰人生,Feichi rensheng, 2019) di Han Han (韩寒), pur se da punti di partenza molto diversi, sembrano convergere su un dato comune, culturalmente e antropologicamente interessante. Mi pare che la cultura cinese contemporanea abbia un insopprimibile bisogno di eroi e mantenga nel profondo una sorta di “primordiale ingenuità”, e uso il termine nel suo senso più alto e “pulito”, che fu anche la cifra di fenomeni letterari importanti come la cosiddetta “letteratura delle radici”. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un elemento indotto e nutrito ad arte; ciò è in parte vero, ma non sono sicura che spieghi completamente il fenomeno. Si tratta di un elemento che certo la espone pericolosamente al fascino della retorica, anche di quella del potere, e che interferisce con il “sentire generale” anche nei confronti di fatti della storia, recente e meno recente. In questo senso, il “quattro maggio”, che non ha prodotto “direttamente” degli eroi utilizzabili nel discorso retorico (anche se uno studente morì a Shanghai in seguito alle ferite riportate negli scontri con le forze dell’ordine), non sembra essere centrale nella “narrativa” della storia recente così come percepita a livello generale, al di fuori dell’ambito accademico. Ricavo questa sensazione anche da colloqui e interviste con giovani cinesi studenti in Italia, dei quali dirò più tardi.
Certo, almeno dal punto di vista di un sinologo occidentale, l’anno in corso è un anno “impegnativo” per la Cina dal punto di  vista della riflessione sulla storia e quindi della “costruzione della memoria”: 100 anni dal Movimento del 4 maggio 1919, ma anche 70 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese e 30 anni dalla repressione dei moti di Tian’anmen del 4 giugno 1989. Difficile evocare una data senza che le altre vengano scomodate e forse l’imbarazzo – se non la reticenza – che pare di avvertire da parte delle voci ufficiali all’avvicinarsi del primo tra questi anniversari dipende anche da questo. FORSE. Perché non sono certa che i cinesi stabiliscano un nesso diretto tra queste ricorrenze, e non solo per ragioni di opportunità politica.
Ai sinologi della mia generazione – e credo anche di almeno alcune delle generazioni successive – è stato insegnato che il 4 maggio 1919  èstata una data cruciale nello sviluppo della storia della Cina moderna. A ben riflettere, non so quanto questo dipendesse dalla narrativa cinese intorno a quel periodo o piuttosto dalle posizioni ideali e ideologiche di molti storici occidentali ed europei; a scanso di equivoci, chiarisco che ritengo di assoluta importanza i fatti sviluppatisi intorno a quella data, assurta comunque a simbolo di un momento fondamentale di presa di coscienza “nazionale” delle élites culturali cinesi, che avrebbe poi contagiato ampi strati della popolazione. Temo sia tuttavia difficile negare che tale importanza ha soprattutto a che vedere con lo sviluppo delle élites intellettuali di quel periodo e con il dibattito intorno ad alcuni valori politici cardine dello sviluppo delle democrazie occidentali, solo in parte ancora presenti in Cina. In altre parole, il “set” di valori e di parole d’ordine elaborati in quella fase hanno avuto un ruolo marginale nello sviluppo della Cina post-1949 e nel dibattito politico del PCC anche prima della definitiva presa del potere. Inoltre, l’atteggiamento complessivo delle potenze occidentali nei confronti della Cina certamente contribuì non poco a smorzare gli entusiasmi di molti tra gli intellettuali cinesi che avevano guardato con interesse, se non con entusiasmo, all’Occidente, all’Europa e agli Stati Uniti di  Woodrow Wilson, che qualcuno considerava come ‘l’uomo di stato più qualificato per assumere il ruolo di campione dei diritti umani in generale e dei diritti della Cina in particolare”.1)Xu Guoqi, China and the Great War: China’s Pursuit of a New National Identity and Internationalization (Cambridge: Cambridge University Press, 2005), 244. Liang Qichao  (梁啟超, 1873 – 1929), uno dei grandi intellettuali riformisti dell’inizio del XX secolo fu scioccato dall’atteggiamento dell’Occidente e lo stesso accadde per Li Dazhao ( 李大钊, 1888-1927), non a caso uno dei primi marxisti della Cina moderna:

“Alla fine della guerra, avevamo dei sogni sulla vittoria dell’umanitarismo e sulla pace, sul fatto che il mondo non sarebbe più stato un mondo di predatori o che, almeno, sarebbe esistita nel mondo un po’ di umanità. Chi avrebbe mai potuto immaginare che quelle parole  erano semplicemente portabandiera di governi di predatori? Abbiamo visto che cosa è stato deciso alla Conferenza di Versailles: esiste ancora un briciolo di umanità, di giustizia, di pace, di luce? È forse avvenuto che la libertà e i diritti dei paesi più piccoli e deboli non siano stati sacrificati a pochi e più grossi paesi di predatori?”2)Maurice Meisner, Li Ta-Chao and the Origins of Chinese Marxism (Cambridge: Harvard University Press, 1967), 96-97.

Se noi studiosi occidentali siamo certamente tutti debitori al fondamentale testo di Chow Tse-Tsung The May Fourth Movement: Intellectual Revolution in Modern China,3)Chow Tse-Tsung, The May Fourth Movement: Intellectual Revolution in Modern China  (Cambridge: Harvard University Press, 1960). che ci ha insegnato a vedere il Movimento del Quattro Maggio come un momento di rottura con i valori della tradizione e, in questo senso, ci pare sospetto e irritante il fatto che l’attuale leadership cinese minimizzi se non sottaccia il ruolo di valori e di idee provenienti dall’Occidente liberale, non possiamo tuttavia ignorare che, dopo gli esiti della Conferenza di Versailles molti intellettuali progressisti cinesi ritennero che insieme all’America, l’Europa, attore principale sulla scena del primo conflitto mondiale e crogiuolo di elaborazione delle moderne idee di democrazia e di progresso, li aveva miserabilmente traditi.
Né possiamo ignorare quanto giustamente evidenziato da Joseph T. Chen,4)Joseph T. Chen,The May Fourth Movement in Shanghai: the Making of a Social Movement in Modern China (Leiden: Brill, 1971). il quale ci ricorda come lo stesso Sun Yat-sen fosse scettico nei confronti dell’assunzione troppo frettolosa di valori “occidentali” che avrebbero potuto corrompere le coscienze dei giovani. D’altra parte, se, come vedremo, nella seconda metà degli anni Trenta Mao Zedong portò a termine l’operazione di “inclusione critica” del Quattro Maggio all’interno di un più ampio processo rivoluzionario che, superando la fase della “rivoluzione democratica borghese/con caratteristiche borghesi” (资产阶级[性的]民主主义[的]革命, zichan jieji [xing de] minzhuzhuyi [degemini), traghettasse la società cinese verso una rivoluzione socialista guidata dal PCC, è pur vero che, muovendo da presupposti diversi, all’inizio dello stesso decennio il Partito Nazionalista e Chiang Kai-shek promuovevano il “Movimento di nuova vita” (Xin shenghuo yundong 新生活运动), che opponeva apertamente a una serie di valori “estranei” mutuati dall’Occidente un quadro morale di riferimento radicato nella tradizione confuciana, seppur rivisitata.
Non ho compiuto ricerche approfondite in materia, ma le pur parziali letture di questi anni mi hanno indotta a ritenere che uno studio più dettagliato degli effetti del Quattro Maggio fuori da Pechino e Shanghai, da sempre luoghi privilegiati di osservazione, sia ancora oggi necessario e possa portare elementi nuovi all’analisi storica e culturale dell’importanza del Movimento.  Sappiamo che il moto di indignazione e di protesta prese avvio a Pechino tra i giovani universitari e si estese a Shanghai – che ne divenne in breve il centro propulsore di maggiore significato anche in virtù della sua forza economica e della sua maturità sociale, con una classe operaia assai estesa e un mondo imprenditoriale e mercantile potente, moderno ed essenziale tanto per lo sviluppo industriale del paese  quanto per il gettito fiscale che era in grado di assicurare. Un elemento assolutamente distintivo di quei fatti fu la capacità dei protagonisti del movimento di coagulare intorno a sé il sostegno e l’approvazione di strati assai diversi della popolazione: non solo studenti, professori universitari, intellettuali (vale la pena di ricordare che il Rettore dell’Università di Pechino, Cai Yuanpei – 蔡元培, 1868-1940 – lasciò il suo incarico per protestare contro l’arresto dei leader studenteschi che avevano organizzato le manifestazioni), ma anche imprenditori, commercianti, stampa e giornalisti, società, organizzazioni e associazioni della società civile, gente comune. Lo sciopero e le manifestazioni si estesero a tutto il paese e rischiarono di metterne in ginocchio l’economia, mentre il boicottaggio delle merci giapponesi fu praticato con convinzione in tutto il paese.
Questa la testimonianza di Deng Yingchao (邓颖超), futura moglie di Zhou Enlai, e all’epoca del Quattro Maggio studentessa presso l’Istituto Normale Femminile di Tianjin:

“…quando la notizia raggiunse Tianjin, essa suscitò l’indignazione degli studenti che scesero in piazza il giorno 7. Iniziarono a organizzare società patriottiche… All’epoca non avevamo alcuna guida politica, ma solo il nostro forte entusiasmo patriottico. Oltre alle richieste che venivano dagli studenti di Pechino, a nostra volta chiedevamo: “Abolite le 21 domande!”, “Acquistate prodotti cinesi!”, “Boicottate i prodotti giapponesi!”. Rifiutavamo con enfasi di essere schiavi delle potenze straniere”.5)Patricia Buckley Ebrey, Chinese Civilization: A Sourcebook  (New York: Free Press, 1993), 360.

Nel suo The Rise of Political Intellectuals in Modern China: May Fourth Societies and the Roots of Mass-party Politics,6)Shakhar Rahav, The Rise of Political Intellectuals in Modern China: May Fourth Societies and the Roots of Mass-party Politics (Oxford: Oxford University Press, 2015). in cui analizza le caratteristiche del Quattro Maggio a Wuhan, Shakhar Rahav ci induce a riflettere sul ruolo dell’“hinterland” dimostrando come le parole d’ordine “occidentali” si stemperino e trasformino in un processo di “localizzazione” che andrebbe ulteriormente indagato, mentre, ancora, la ricerca di una dimensione “cinese” viene fortemente evidenziata.
Mi paiono interessanti, a questo proposito, gli esiti di un sondaggio realizzato tra una trentina di studenti (33 in tutto) del contingente “Marco Polo-Turandot”, giunti quest’anno all’Università di Torino; si tratta di ragazzi e ragazze (18 in tutto le femmine), nati nella maggioranza tra il 1995 e il 2000 (24 su 33), venuti a studiare nel nostro paese nell’ambito di un programma governativo di accoglienza dei giovani universitari cinesi orientati soprattutto verso le discipline artistiche, che non ha criteri di merito fortemente cogenti. In quest’ottica, essi costituiscono un’ottima rappresentanza dei giovani mediamente benestanti del loro paese. Obiettivo del questionario era di comprendere se e quale eredità abbia lasciato in loro il Movimento del Quattro Maggio, di certo presente in tutti i programmi scolastici (poco meno dell’80% del campione ne ha sentito parlare già alle medie inferiori, ma quasi il 20% ne ha sentito parlare in casa, indipendentemente dalla formazione scolastica). Due dati mi paiono particolarmente significativi: il numero degli intervistati che ritengono che il PCC abbia avuto un ruolo cruciale nel Movimento del Quattro Maggio sfiora il 50% ed è esattamente identico a quello di coloro che ritengono che esso non abbia avuto ruolo alcuno. Il PCC nasce poco più di due anni più tardi – formalmente il primo luglio 1921 – e lo studio del Marxismo subisce una accelerazione proprio IN SEGUITO agli esiti della Conferenza di Versailles. Non interessava qui testare le conoscenze storiche del campione in esame, ma piuttosto avere un’idea di come funzioni una eventuale, più o meno latente “appropriazione” del Movimento da parte del PCC. Il dato mi pare interessante: il “set” di valori positivi che il Quattro Maggio esprime, per coloro meno dotati di conoscenze storiche precise, pare non potere prescindere dall’azione positiva del partito, e qui indubbiamente gioca una più o meno consapevole acquiescenza alla propaganda, che probabilmente ha un ruolo anche nel determinare l’idea secondo cui l’eredità più significativa del  Quattro Maggio sta nella consapevolezza della “importanza della lotta di classe”, espressa dal 30% degli intervistati; nel contempo, tuttavia, l’assoluta maggioranza del campione ritiene che sia proprio il “patriottismo” il valore fondamentale trasmesso dal Quattro Maggio (51%) e “patriottismo” è il primo concetto che il Quattro Maggio evoca (99% degli intervistati). “Democrazia” è un altro termine che il campione preso in esame mette in relazione con il Quattro Maggio, ma esso non pare sostanziarsi di un significato preciso.
In sostanza, quindi, il Movimento del Quattro Maggio viene innanzitutto connesso all’idea di amore per la patria, anche se non è privo di significato il fatto che circa il 20% degli intervistati ritenga che il Movimento contenesse un moto di rivolta verso i valori tradizionali. In questo senso, è significativo il fatto che circa l’80% degli studenti consideri Diario di un pazzo di Lu Xun come il testo più direttamente connesso con il Quattro Maggio, anche se fu scritto e pubblicato un anno prima, mentre solo 3 di loro sono consapevoli che Famiglia di Ba Jin fa diretto riferimento al Movimento. Qui funziona certamente l’idea generale che al Movimento si colleghino istanze di critica alla società nel suo complesso – significativo, in questo senso, anche il già rilevato collegamento del Quattro Maggio con la parola “democrazia”, che si accompagna, tuttavia, alla pressoché eguale rilevanza attribuita alla parola “operai”, a dimostrare che la narrativa costruita fin dalle origini dal partito interferisce fortemente.
Quello della rivolta contro i “valori tradizionali” è un elemento cruciale all’interno del dibattito intorno al Movimento; come già accennato, da molte parti si sostiene che l’attuale leadership, impegnata a promuovere la centralità dei valori “cinesi”, guardi con riluttanza ai fatti del Quattro Maggio proprio perché i valori da esso sostenuti farebbero riferimento all’Occidente. Credo sia una posizione discutibile: non si può ignorare che l’Occidente fu il responsabile di una grossa delusione, che molti tra gli intellettuali più consapevoli, come abbiamo visto, sperimentarono in maniera dolorosa e cocente.  Se una serie di valori occidentali  non furono estranei alla formazione della coscienza politica dei giovani che scelsero di scendere in piazza un secolo fa per difendere l’onore della nazione, certamente la questione della permanenza di quei valori nel dibattito e nell’azione politica successivi va affrontata senza preconcetti non solo dai cinesi, ma anche dagli analisti e studiosi occidentali. Pure se suona provocatoria, non può essere banalmente liquidata la posizione di Guo Ruoping (郭若萍), membro della Scuola di Scienze dell’Amministrazione del Partito della provincia del Fujian e della Scuola di Partito del Comitato provinciale della provincia del Fujian nonché storico del PCC, che nel 2014, per i tipi della Casa Editrice per la Letteratura delle Scienze Sociali (Shehui kexue wenxian chubanshe 社会科学文献出版社) pubblica a Pechino un testo destinato a suscitare un’ampia eco: Modellare ed essere modellati. L’interpretazione del Movimento del Quattro Maggio e la costruzione di un modello di coscienza rivoluzionaria (塑造与被塑造 –  “五四” 阐释与革命意识形态建构). Lo studioso, in un testo certamente discutibile, ma estremamente solido e ben documentato, sostiene a ragione che, alla fine della Lunga Marcia, il PCC si trovasse in un momento di estrema difficoltà. Quando le truppe determinate ma male addestrate e male equipaggiate dalle quali sarebbe nato l’Esercito Popolare di Liberazione giunsero a Yan’an, nello Shaanxi, il partito si trovava nella necessità di elaborare anche dal punto di vista teorico una visione del marxismo che fosse “cinese”, e la costruzione di una narrativa del Quattro Maggio che collegasse questo movimento con la formazione di una nuova coscienza rivoluzionaria fu uno dei risultati dell’elaborazione della nuova liturgia simbolica della rivoluzione elaborata a Yan’an.
D’altra parte, come accennavo, quando Mao Zedong,  nei primi giorni del 1939, per ricordare il Movimento del Quattro Maggio di 20 anni prima, pronuncia il suo famoso discorso sulla “Direzione [da intraprendere da parte] dei movimenti giovanili” (Qingnian yundong de fangxiang 青年运动的方向), mentre indica chiaramente anche i limiti del movimento, sottolinea come esso abbia costituito una “rivoluzione” popolare e democratica attraverso la quale la Cina si è opposta all’imperialismo e al feudalesimo (“Zhongguo fandui diguozhuyi he fengjianzhuyi de renmin minzhu geming” 中国反对帝国主义和封建主义的人民民主革命), mostrando chiaramente come il riferimento al “feudalesimo” sia una sorta di “clausola di stile” propria della retorica politica di allora, che fa comunque riferimento NON alla cultura tradizionale ma a una tradizione di sudditanza, tanto più insopportabile quanto dovuta alla prevalenza degli stranieri.  Lo “smarcamento” da eventuali valori occidentali, onestamente, non può essere considerata una novità della leadership di Xi Jinping.
Credo valga la pena di notare come sia di quello stesso maggio 1939 la decisione del Partito (formalmente della Lega Giovanile per la Salvezza della Nazione delle regioni del Nord Ovest) di fare del Quattro Maggio la Festa della Gioventù Cinese – meglio sarebbe dire della gioventù comunista cinese – e, a mio avviso, in questa decisione convergono tanto la determinazione ad ‘’appropriarsi” in modo definitivo del Movimento quanto una sorta di “tolleranza” verso eventuali posizioni non perfettamente ortodosse. Da questo punto di vista la leadership della Cina contemporanea fa dei passi ulteriori, ma questa volta sì in senso restrittivo. Nel materiale messo a disposizione sulla rete per tutti gli organismi che vogliano predisporsi a ricordare il Movimento del Quattro Maggio, si ricordano ai giovani 4 punti essenziali per conservare, mantenere e sviluppare lo spirito del Quattro Maggio: essi dovranno essere fermi nelle aspirazioni ed elevati  negli ideali, diligenti nello studio e riflessivi nel pensiero, non disgiungere la conoscenza dall’azione, e, innanzitutto, amare il Partito e il paese, indicati in quest’ordine di importanza.
Nel contempo, il Quattro Maggio è definito come un movimento caratterizzato da una serie di elementi fondamentali: 1) la lotta contro l’imperialismo e il feudalesimo – già abbiamo accennato all’“indeterminatezza” di questo termine nella narrativa del PCC intorno al Quattro Maggio, e forse il discorso varrebbe un approfondimento; 2) la dimensione di massa, che costituisce un fatto nuovo; 3) la diffusione del marxismo, la cui dottrina si salda con le istanze operaie; 4) il fatto di essere un  movimento originato tra gli studenti, consolidato in direzione anti-imperialistica dagli operai, e nel contempo una “rivoluzione di nuova democrazia” (xin minzhuzhuyi geming 新民主主义革命) guidata dal proletariato. Ma, questa definitiva e perentoria appropriazione si stempera in alcuni elementi interessanti: l’inclusione, tra i cinque leader principali del Movimento, accanto a Chen Duxiu (陈独秀), Li Dazhao (李大钊) e Cai Yuanpei (蔡元培), anche di Lin Zhangmin (林长民, insigne personalità di costituzionalista, di orientamento liberale, senatore della Repubblica Cinese a capo del potere giudiziario nonché padre di Lin Weiyin 林微因, ingiustamente più nota per il suo supposto affaire con il poeta Xu Zhimo (徐志摩) che per essere stata una brillante intellettuale, prima donna architetto in Cina) e di Hu Shi (胡适), entrambi radicalmente estranei alla ideologia marxista. Questo continuo, straniante e contraddittorio “gioco” di appropriazioni e dismissioni costituisce uno degli elementi più interessanti che chiunque voglia occuparsi di Cina è chiamato ogni giorno, senza preconcetti, ad affrontare.

Immagine: francobollo commemorativo del centenario

Stafutti, Quanto occidente nel Quattro Maggio PDF

Stefania Stafutti insegna lingua e letteratura cinese presso l’Università di Torino. Autrice di numerosi saggi, fra le sue pubblicazioni si segnalano Hu Shi e la “questione della lingua”. Le origini della letteratura in baihua nel Baihua wenxue shi (Storia della letteratura in volgare) (Firenze, Le Lettere, 1990); Gu Cheng, Occhi neri. Poesie Giovanili, a cura di Stefania Stafutti (Venezia, Cafoscarina, 1998); Colpirne uno per educarne cento (Torino, Einaudi, 2008).

References
1 Xu Guoqi, China and the Great War: China’s Pursuit of a New National Identity and Internationalization (Cambridge: Cambridge University Press, 2005), 244.
2 Maurice Meisner, Li Ta-Chao and the Origins of Chinese Marxism (Cambridge: Harvard University Press, 1967), 96-97.
3 Chow Tse-Tsung, The May Fourth Movement: Intellectual Revolution in Modern China  (Cambridge: Harvard University Press, 1960).
4 Joseph T. Chen,The May Fourth Movement in Shanghai: the Making of a Social Movement in Modern China (Leiden: Brill, 1971).
5 Patricia Buckley Ebrey, Chinese Civilization: A Sourcebook  (New York: Free Press, 1993), 360.
6 Shakhar Rahav, The Rise of Political Intellectuals in Modern China: May Fourth Societies and the Roots of Mass-party Politics (Oxford: Oxford University Press, 2015).