Questo dossier è dedicato a una riflessione sul Movimento del Quattro Maggio 1919. Ci siamo chiesti, in effetti, se, nel moltiplicarsi di iniziative accademiche e pubblicistiche sul tema in questi giorni, dovessimo fare anche noi la nostra parte o se non potessimo, invece, lasciare passare in silenzio l’anniversario. Abbiamo scelto di non ignorarlo. A cento anni esatti di distanza, infatti, il Movimento del 1919 non cessa di interrogare chi si occupa di Cina contemporanea. Assunto per lungo tempo come punto di non ritorno nella storia cinese del Novecento, tanto da essere stato considerato il momento di inizio della storia contemporanea nelle cronologie ufficiali, attorno al Quattro Maggio si sono nel tempo stratificati significati e interpretazioni diversi e anche contraddittori, in un gioco di rimandi fra memorie generazionali e letture politico-ideologiche di vario tipo. La distanza del tempo potrebbe permettere di guardarlo in una prospettiva di lungo periodo, come una tappa della complessa ricerca della Cina moderna, ridimensionandone il significato come evento in sé. Eppure, la sensazione che, nonostante lo scorrere del tempo, ancora qualcosa di irrisolto, di incompiuto aleggi attorno a quel passaggio, come un’aspettativa non realizzata o comunque non realizzata abbastanza, quasi un presagio di altre speranze perse lungo la strada, spinge a continuare a ricordarlo, pur nella consapevolezza che ogni specifica lettura retrospettiva dipenda alla fine – come suggerisce Fabio Lanza nel suo contributo – dallo sguardo dell’osservatore.
Certo il 1919 non fu un anno qualsiasi, e non solo in Cina. La guerra mondiale aveva lasciato l’Europa in rovina e al tempo stesso risvegliato le rivendicazioni patriottiche nelle periferie dei suoi imperi. In India, in Corea, in Cina, come in tante regioni dell’Europa pacificata, i costi umani e materiali e soprattutto le disillusioni e le speranze tradite dal conflitto portarono a tumulti, scioperi e proteste di piazza: la guerra aveva aperto, definitivamente e a livello globale, la strada per la pratica della “politica di massa”.  Nella fragile Repubblica cinese la brutale scoperta della distanza fra la retorica politica e una realtà di rapporti di forza che rendeva impossibile il riconoscimento dei propri diritti come Stato sovrano a Versailles aprì la strada alla contestazione di massa del governo e delle istituzioni rappresentative – dominate di fatto dal potere militare – da parte inizialmente dei giovani intellettuali, degli studenti medi e universitari e poi di più ampi strati sociali. Per una generazione – e proprio per la generazione che avrebbe fatto e scritto la storia della rivoluzione cinese – le proteste del 1919 furono il passaggio all’età adulta, la chiamata all’impegno politico, la rivendicazione di un ruolo pubblico prima nelle strade delle città, poi per molti all’interno dei partiti, nelle istituzioni culturali, nelle fabbriche o nelle campagne. A rendere emblematico il Quattro Maggio, d’altra parte, fu anche il fatto che la protesta politica si saldò con – o meglio si alimentò di – le riflessioni, le speranze e i programmi di rinnovamento del Movimento di Nuova Cultura nato nelle università negli anni della guerra. La ricerca, densa di dubbi e sofferenza, di coloro che volevano promuovere una radicale trasformazione sociale e culturale, ritenuta inevitabile e necessaria per la Cina, affermando al tempo stesso il proprio posto nel mondo come “individui”, sembrò aver trovato una bussola non solo nell’appropriazione di nuovi modelli di interpretazione della realtà di matrice occidentale ma anche nella pratica e nell’appello alla politica di massa: d’altra parte – sembrò a tanti – si poteva essere veramente uomini e donne liberi da soli, se la propria comunità, la propria famiglia/patria non lo erano ma erano invece preda degli interessi di pochi, di credenze e superstizioni opprimenti, di egoismi e localismi di ogni tipo?
Ad oggi l’interesse del Movimento del Quattro Maggio sembra continuare a risiedere nel suo essere stato “totalizzante”, nella convergenza fra rinnovamento della società e della cultura da un lato e discorso e pratica politica dall’altro, a livello individuale e collettivo, nel suo racchiudere in sé le tante domande – e le variegate e contraddittorie risposte – che hanno attraversato la Cina del secolo scorso, e che forse innervano tuttora il suo corpo politico-istituzionale, sociale e culturale.
La raccolta di saggi inclusa in questo dossier analizza alcuni aspetti di questo passaggio, interrogandosi sulla sua memoria sedimentata – e manipolata – nella Cina di oggi e sulla sua eredità sul secolo che lo ha seguito.  Fabio Lanza ci ricorda giustamente il rischio delle distorsioni della comprensione storica, nel momento in cui non si colga, nello stesso Movimento ma in generale nell’attivismo studentesco in Cina, l’ambizione e la speranza di rappresentare e coagulare gruppi sociali – anche culturalmente marginali – e identità culturali collettive ben più ampie – e forse eterogenee – di quelle sbrigativamente riportabili agli “studenti” e ai “giovani intellettuali”. Se la storia della Cina conobbe una svolta allora non fu solo perché coloro che vennero definiti  quasi in modo paternalistico “studenti” si mostrarono decisi a prendere in mano le redini del suo futuro, ma soprattutto perché lo fecero, in primo luogo, come – e assieme a – cittadini di quella giovane Repubblica. Anche Gaia Perini, nel suo saggio, guarda al Quattro Maggio come a un momento in cui la stessa definizione di comunità nazionale e di relazione fra nazione e cittadini – tanto sul piano politico-valoriale quanto per quello linguistico-culturale – viene ridisegnata con una mobilitazione dal basso e ideologicamente trasversale, pensando e praticando con la lotta l’“amore di patria” come forza creativa in termini politici, ma anche sociali e culturali, e non come mero fattore identitario, imposto e trasmesso nel processo di costruzione di uno Stato moderno. Se poi il “patriottismo”, ci racconta la ricerca di Stefania Stafutti, rimane l’elemento distintivo della percezione del Quattro Maggio fra i giovani cinesi di oggi, la memoria del Movimento si è nel tempo sovrapposta con la storia delle origini del Partito Comunista Cinese (PCC), attraverso un lento ma inesorabile processo di appropriazione che ha finito con il mettere in ombra la complessità culturale e ideologica di quegli anni e il ruolo giocato – in positivo e in negativo – dai riferimenti alla cultura occidentale. Ricostruendo questo processo di appropriazione del Movimento da parte del PCC fin dagli anni Trenta, il saggio di Stafutti – come in altri termini ci ricorda anche quello di Lanza – sottolinea la strumentalizzazione della memoria del Quattro Maggio nell’attuale discorso di Xi sul ruolo della gioventù per la rinascita nazionale.
Si è infine deciso di arricchire il dossier con le voci di due intellettuali cinesi. Filosofo e storico delle idee, Li Zehou, nel suo breve saggio degli anni Ottanta del Novecento, riflette sul destino del Quattro Maggio nella prospettiva di un confronto irrisolto, forse irrisolvibile ma certo destinato a riproporsi, fra emancipazione individuale e salvezza nazionale, richiamando quelle categorie di “illuminismo” e “feudalesimo”, su cui si è tante volte strutturato il discorso intellettuale cinese nel Ventesimo secolo: una lettura che certo riflette il senso di disillusione che, alla fine del trentennio maoista, albergava in tanti intellettuali cinesi rispetto agli esiti di quella trasformazione culturale, ancor prima che politica, nata dal Quattro Maggio, di cui si sentivano figli. Nel suo saggio inedito, invece, Gao Yuabao, noto studioso di letteratura cinese dell’Università Fudan, analizza con accuratezza, attraverso il percorso e le riflessioni dello scrittore emblema del Movimento di Nuova Cultura, Lu Xun, la dialettica complessa che, attraverso il binomio “creazione” e “critica”, ha definito il ruolo della nuova letteratura nel panorama culturale del Novecento cinese.

Immagine: Porta Tian’anmen

De Giorgi, Once upon a tima… (CIna 2019) PDF

Laura De Giorgi insegna Storia della Cina all’Università Ca’ Foscari Venezia. I suoi interessi vertono sulla storia moderna e contemporanea, e in particolare sulla storia sociale e culturale, i media e la propaganda, le interazioni fra la Cina e il mondo esterno nel Ventesimo secolo, non disdegnando però qualche incursione nel Ventunesimo.