“Diario di un pazzo” di Lu Xun 鲁迅 (1881-1936), il primo e più significativo racconto della letteratura del Novecento, delinea una delle figure più importanti e iconiche della modernità cinese, metafora del disagio antitradizionale, dell’iconoclastia, ma anche del ribellismo individuale che segnò il Movimento del Quattro Maggio, il cui centenario cadrà nel maggio del 2019. Contemporaneamente alla demistificazione culturale, è il linguaggio il campo in cui si sperimenta la dissacrazione della civiltà cinese, attaccandone le radici, ossia la longeva ma obsoleta lingua letteraria, il wenyan 文言, e incentrando la nuova letteratura sul vernacolo (utilizzato da secoli per narrativa e teatro ma non per i generi aulici di poesia e saggistica), il baihua 白话, che pur contestandola introietta la lingua letteraria, in una spesso sottile e dialettica osmosi fra tradizione e rinnovamento. Il paradosso, come fa notare Fang Xide, è che lo strumento per contestare e smantellare la tradizione fu spesso attinto dalla tradizione stessa.1)Fang Xide 方锡德, Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong 中国现代小说与文学传统 (La letteratura cinese moderna e la tradizione letteraria) (Beijing: Beijing daxue chubanshe 北京大学出版社, 1992), 96. Ne è un esempio il tema della follia, adottato da numerosi scrittori del periodo in funzione polemica e ironica, come già accadeva nella tradizione della narrativa cinese, dal Sogno della camera rossa ai racconti “strani” di Pu Songling. Per gli intellettuali del passato, l’agire e il parlare folle sono una forma di “manifestazione della propria rabbia”, fafen 发愤, e dissenso sociale.2)Fang Xide 方锡德, Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong, 86-87.
Un gesto di tale resistenza alla storia e alla tradizione che da secoli costituiva non solo la koiné linguistico-culturale dei letterati, ma la loro stessa coscienza e identità, non può che dispiegarsi nei termini della follia e della devianza. Come brillantemente spiega Amina Crisma nel suo saggio in questo numero di Sinosfere, Lu Xun diede impulso alla nuova narrativa cinese con una memorabile figura (solo in parte modellata sull’omonimo racconto di Gogol), intrisa di una volontà nicciana3)L’influsso del pensiero di Nietzsche su Lu Xun è noto, ne parlano diversi saggi, tra cui si consiglia Chiu Yee Cheung, “Tracing the ‘Gentle’ Nietzsche in Early Lu Xun”, in Findeisen and Gassmann (eds.), Autumn Floods: Essays in Honour of Marian Galik, (Bern: Peter Lang, 1997), 571-88. di rottura e rigenerazione, ma anche epitome dell’interpretazione tradizionale della follia come dissenso e disadattamento sociale, espressa spesso in forma più poetica che narrativa, attraverso l’ellissi, il simbolico, la trasposizione lirica di un ragionamento critico radicale.
Esistono diversi studi sull’intreccio tra malattia mentale, follia e letteratura cinese, in particolare si rimanda al saggio di Michelle Yeh sulla poesia e l’archetipo del poeta folle, e agli articoli di Birgit Linder che analizzano la fenomenologia della pazzia in alcune opere della letteratura cinese moderna.4)Rispettivamente, Michelle Yeh, “The Poet as Mad Genius : between Stereotype and Archetype”, Journal of Modern Literature in Chinese 6:2 & 7:1, 2005, 118-144; Birgit Linder, “Trauma and Truth: Representations of Madness in Chinese Literature”, Journal of Medical Humanities, 32:4, 2011, 291-303; e “Metaphors unto Themselves: Mental Illness Poetics and Narratives in Contemporary Chinese Poetry”, in Howard Y. F. Choy (ed.), Discourses of Disease: Writing Illness, the Mind and the Body in Modern China (Leiden and Boston: Brill, 2016), 90-122.
Nel tentativo di dipanare almeno un filone della complessa relazione tra follia ed espressioni artistico-letterarie cinesi, questo contributo si concentra sulle sue manifestazioni nel linguaggio della narrativa e della poesia in alcuni autori del Novecento.
La lingua cinese, tra i vari vocaboli di cui dispone per questa area semantica, distingue fra due termini, quasi-sinonimi: uno più letterario  kuange l’altro più colloquiale – feng 疯. Come spesso accade nella lingua cinese un concetto astratto viene definito attraverso l’accostamento di termini opposti o complementari che ne delimitano i confini etimologici. Così l’unione dei due succitati caratteri forma la parola fengkuang 疯狂 “follia”, utilizzata per definire un complesso di fenomeni sia psichici sia sociali di anormalità, devianza, alterità. Il carattere feng oltre che dall’elemento fonetico (che allude alla parola “vento” 风)5)Nella medicina cinese tradizionale i disturbi di ordine psichico vengono definiti e spiegati come un eccesso dell’elemento del Vento, cfr. Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London and New York: Routledge, 2015), 56. è composto dal radicale significante “malattia”, quindi della follia sottolinea l’aspetto patologico, di disordine mentale che provoca gravi disturbi di alienazione, ai quali, tuttavia, nell’antichità, non si riteneva di dover porre rimedio attraverso cure mediche: piuttosto che malattia mentale, la follia era considerata “a blatant loss of social competence”.6)Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History, 58. Solo con l’avvento della moderna psichiatria in Cina la medicina (e l’isolamento, come leggiamo nel saggio di Chiara Ghidini in questo numero) diviene la soluzione al problema. Se il pazzo di Lu Xun, con la sua denuncia contro la cultura “cannibale”, viene rinchiuso dai famigliari, non è tanto per impedirgli di diffondere la sua scoperta bensì perché il suo comportamento è considerato deviante e antisociale. Come si evince dalla legge sulla malattia mentale in Cina, tradotta e commentata a cura di Tobia Maschio e Laura De Giorgi sempre in questo numero, l’ospedalizzazione del malato mentale consente al potere istituzionale di gestire le devianze ideologico-politiche in chiave socio-sanitaria.
Il secondo carattere della parola fengkuang, kuang è composto da un radicale portatore del significato di “bestiale, animalesco” (letteralmente significa “cane”). Quest’ultimo carattere apre dunque a tutt’altra sfera di accezioni della follia, intendendola come fenomeno di devianza sociale, alienazione, ma anche delirio e perdita di controllo, che nella versione più fosca allude al cane pazzo, rabbioso. Lo stesso termine può essere associato per molti versi al concetto occidentale di dionisiaco. Il pazzo di Lu Xun nel celebre racconto è indicato non come fengren 疯人ma come kuangren 狂人, ossia persona afflitta da comportamenti irragionevoli, asociali, spesso violenti, non tuttavia malata (benché i familiari lo facciano visitare da un medico che il pazzo scambia per il boia). Ciò che maggiormente definisce in questi casi il perimetro della follia è il contesto familiare e sociale dal quale il pazzo si sente o viene ritenuto avulso, la solitudine imposta o ricercata contro quella socialità conformista alla quale invece ciascun cinese sembra dover essere culturalmente portato e che implica l’adozione di comportamenti che Lu Xun non esita a definire “cannibali”, aderenti alle convenzioni identificate allora con le norme morali confuciane, il lijie 礼节 (oggi potremmo dire con le regole nazionalistiche del socialismo “capitalista” con caratteristiche cinesi); è evidente che in Lu Xun il termine “follia” ha un’accezione positiva. E come vedremo più avanti, un analogo ragionamento è condotto da Wang Xiaobo: anch’egli riproporrà la figura del folle in termini di libertà (di linguaggio) e verità.
In un saggio sullo sciovinismo dei cinesi, Lu Xun spiega i termini della follia da lui auspicata:

I cinesi sono sempre stati un po’ arroganti. Peccato che non esista l’arroganza “individuale”, si tratta sempre di un’“arroganza patriottica di massa”. Ecco perché, quando soccombono nella competizione culturale, faticano a reagire e migliorarsi. L’arroganza dell’individuo è l’essere eccentrico, è una dichiarazione di guerra all’ordinarietà delle masse. A parte la mania di grandezza di ambito psichiatrico, le persone arroganti di questo tipo hanno in genere una certa genialità, come sostengono Nordau e altri, e in qualche misura anche un po’ di follia. Sono convinte della superiorità delle proprie idee e conoscenze rispetto alla massa e di essere da questa incompresi, perciò detestano la trivialità del mondo e diventano man mano dei cinici o dei “nemici del popolo”. Eppure, tutte le idee innovative provengono da loro, da loro hanno inizio le riforme sul piano politico, religioso e morale. Fortunato il paese che genera molti cittadini afflitti dall’arroganza individuale!7)Lu Xun “Suigan lu sanshiba” 随感录三十八 (Pensieri sparsi, n. 38), Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, [1918] 1981), 311. Tutte le traduzioni sono dell’autrice dell’articolo.

Questo elogio della follia in termini di superiorità spirituale, di eccezionale sensibilità, è tipico del primo Lu Xun: il suo pensiero muterà nel tempo, così come, spinto dall’urgenza della rivoluzione e della salvezza sociale, egli supererà il malcelato disprezzo per la mediocrità delle masse. Tuttavia, manterrà la convinzione che la Cina necessiti di un benefico scarto dal ragionare dei benpensanti, in nome di un razionalismo fondato sull’osservazione del reale e non sull’osservanza della tradizione.
Il vero male che attanaglia il pazzo o i pazzi di Lu Xun,8)Nella medesima raccolta contenente “Il diario”, figura un racconto che pone il dramma del letterato fallito agli esami, un tema tradizionale, trattato però da Lu Xun in termini moderni, come individuo soggetto a paranoia e depressione, in quanto socialmente escluso. Eileen J. Cheng in un recente volume sullo scrittore ricostruisce il legame di queste figure con la classica immagine del letterato frustrato. Cfr. Literary Remains: Death, Trauma, and Lu Xun’s Refusal to Mourn (Honolulu: University of Hawai’i press, 2013), 58-73. così come molti altri personaggi della narrativa del tempo, è la solitudine dell’individuo che osa “parlare”, contestare, rinnegare e quindi contravvenire alle convenzioni sociali e ai parametri di armoniosa convivenza, pratiche comuni che conferiscono identità stabile e collettivo riconoscimento. La contestazione o l’incapacità di aderire al corrente sistema di valori, concepiti e tramandati come “normali” e “positivi”, assume in molte figure della narrativa cinese moderna e contemporanea i contorni di una pazzia vera, simulata o attribuita, che conduce spesso a tragica morte. In “Medicina” (1919), uno dei due giovani vittime della Cina “feudale” e arretrata, il giovane Xia, muore giustiziato per aver articolato le sue idee di rivoltoso:

“Che disgraziato, davvero un disgraziato quel ragazzo, chiuso in gattabuia voleva convincere il secondino a ribellarsi!” […]
“Devi sapere che quando Ah Yi Occhi Rossi è andato per interrogarlo quello si è messo a conversare e gli ha detto ‘Il regno della dinastia Qing appartiene a tutti noi!’ Ah Yi non si immaginava che fosse così povero da non potergli spillare neanche un centesimo. In più, quello lo ha provocato: lui non ci ha visto più dalla rabbia e gli ha mollato due ceffoni!”
[…] “Era certamente un pazzo, sì un pazzo”.9)Lu Xun 鲁迅, “Yao” 药 (Medicina) [1919], Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia) (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, 1981), 446.

Alcuni critici colgono nel realismo dei sintomi paranoici descritti in “Diario di un pazzo” un chiaro riferimento agli studi in medicina di Lu Xun e a un dato autobiografico: un suo parente soffrì di mania di persecuzione e il giovane scrittore fu testimone di alcune scene dolorose.10)Yan Jiayan 严家炎, “Lun Wusi zuojia de wenhua beijing yu zhishi jiegou” 论五四作家的文化背景与知识结构 (Sfondo culturale ed epistemologia degli scrittori del Quattro Maggio), in Zhongguo xiandai, dangdai wenxue yanjiu 中国现代当代文学研究, 2, 2002, 11; e Yang Yi 杨义, Zhongguo xiandai xiaoshuo shi 中国现代小说史 (Storia della narrativa cinese moderna), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. 1, 1987), 157. Dal punto di visto artistico e ideologico, la linea di pensiero deviante del pazzo permette comunque allo scrittore di infrangere i limiti spazio-temporali alludendo a un rapporto complesso tra storia e realtà, individuo e società11)Yang Yi, Zhongguo xiandai, 158. e sintetizza lo spirito innovativo e ribelle del Quattro Maggio. Anche Leo Lee enfatizza l’idea di una pazzia in forma di rivelazione e parola: infatti, quella del pazzo non è che una versione della voce interiore di Lu Xun.12)Leo Ou-fan Lee, Lu Xun and his Legacy (Berkeley: University of California Press, 1985), 7. In un altro suo celebre racconto, Wei Lianshu, un intellettuale emarginato, fallisce nel tentativo di interpretare le istanze di riforma e modernità, asservendosi infine alle “cannibali” pratiche tradizionali. In questa lettera al narratore del racconto, l’uomo esprime la propria disillusione con un eloquio contorto e contraddittorio, quasi patologico:

Forse desideri avere mie notizie, te le dò subito: sono diventato un perdente. Ora capisco che quando un tempo credevo di essere un perdente, non lo ero affatto, mentre ora sì che sono un vero perdente. Un tempo, quando c’era ancora qualcuno che sperava io potessi vivere qualche giorno in più e quando io stesso speravo di vivere qualche giorno in più, non ce la facevo più a vivere. Ora, che non ce n’è più nessun bisogno, invece, voglio continuare a vivere…13)Lu Xun 鲁迅, “Guduzhe”  孤独者 (Il solitario) [1923], Lu Xun xiaoshuo quanbian 鲁迅小说全编, (Hangzhou: Zhejiang chubanshe 浙江出版社, 2005), 231.

Se leggiamo nella figura di Wei Lianshu (come fa Qian Liqun)14)Qian Liqun 钱理群 (2007), Yu Lu Xun xiangyu 与鲁迅相遇 (Incontro con Lu Xun), (Beijing: Sanlian jiangtan 三联讲坛, 2007), 135. un’eco del drammatico isolamento e del conflitto interiore dello stesso Lu Xun, viene confermata la teoria di Lee, sulla plurivocità e sui tormenti interiori dell’autore, la prova che lo scrittore moderno come il letterato tradizionale percepisce il proprio status in termini di conflitto ed (auto)esclusione dalla società, fino ai confini della pazzia.
E infatti il tema ebbe fortuna negli anni Venti del Novecento (anche per una forma di “emulazione” del maestro): esiste un vero e proprio filone narrativo dedicato alla figura del folle.15)Cfr. Fang Xide Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong, 87-96. Da “Il pazzo” (Fengren, 1924) di Rou Shi 柔石e “Annotazioni di un pazzo” (Fengren biji 疯人笔记, 1922) di Bing Xin 冰心, a “La pazza” (Fengfu 疯妇, 1926) di Xu Qinwen许钦文. Persino Zhou Zuoren 周作人imitò il fratello in “Il vero diario di un pazzo” (Zhen de fengren riji 真的疯人日记, 1922).
L’attenzione vira spesso su figure di “jingshenbing” 精神病, variante che indica la persona psichicamente disturbata (oggi il termine è comunemente utilizzato per apostrofare chi abbia comportamenti ingiustificati e palesemente irragionevoli), benché, si noti, la parola sia composta da “spirito”, “psiche” e “malattia”: la ricerca letteraria – che attingeva in quel periodo anche dalle teorie freudiane diffuse attraverso una precoce traduzione – dimostrò un notevole interesse per la psiche e le sue deviazioni rappresentate come metafora dell’intellettuale apolide ed errante, come nella prima narrativa romantica di Guo Moruo 郭沫若 e Yu Dafu 郁达夫.
Insomma la follia nel testo letterario del primo Novecento si configura come espressione di una crisi identitaria – dall’inattingibilità dei desideri più intimi e personali al (non) riconoscimento sociale, una risposta allo scarto tra ideale e reale – fondata sul linguaggio.
In mezzo a queste conclamate figure di anormalità, la letteratura del Quattro Maggio presenta anche una galleria articolata di frustrati, alienati, inetti, maniaci (biantai 变态). Anche sul piano narratologico le scelte degli autori riflettono una visione più individualistica e soggettiva oppure un interesse sociologico e più oggettivo per il tema. La scoperta di un io narrante rivolto verso se stesso, che annulla l’oggettività simulata del cantastorie trasformandola in una soggettività privata, nella letteratura moderna comporta l’irruzione dell’Es – per usare un termine delle teorie freudiane che erano appunto appena entrate a far parte della coscienza culturale degli intellettuali più avanzati – nella scrittura.
Che si trattasse di critica alla società “cannibale” o di sfogo di un’interiorità a lungo repressa e inespressa (o solo metaforicamente e obliquamente rappresentata), in ambo i casi la figura del pazzo tende a incarnare i timori o gli auspici più inquietanti della nuova modernità cinese. D’altronde non va sottovalutato il fatto che l’enfasi sulla scienza e l’introduzione del sapere occidentale in Cina produssero un grande interesse per lo studio e la rappresentazione delle patologie psichiche. Nella medicina tradizionale, infatti, la categoria della follia si esplicava in termini di “dislocazioni comportamentali”,16)Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History, 58. e quindi, spesso, solo in termini di disagio sociale.
Fin qui, si ricava una lettura della follia di tipo emotivo-sociale (trasgressione della norma collettiva), ma anche cognitivo, e, come fa notare Gang Zhou in un interessante confronto tra Lu Xun e Yu Dafu, linguistico:

What deserves special attention here is that both Lu Xun and Yu Dafu chose to explore a deeply disturbed psyche in their literary debuts in the modern vernacular. While Lu Xun’s text pictures a schizophrenic who is constantly reading, interpreting, and reasoning, despite extreme fear and anxiety, Yu Dafu’s hypochondriac hero staged his multilingual performances by reading, translating, crying, and daydreaming. […]

Moving between languages and books, our hero is invited into a multiplicity of worlds, making these familiar and unfamiliar worlds his newly found playground. Suddenly, the signifiers multiplied, while the signified being challenged and redefined. Playing with languages and playing with identities underpins Yu Dafu’s idea of hypochondria and his linguistic madness, which brings to mind what could be considered yet another foreign kin of May Fourth writers: Ludovico Ariosto (1474–1533).17)Gang Zhou, Placing the Modern Chinese Vernacular in Transnational Literature (New York: Palgrave Macmilian, 2011), 101-102.
Al di là del lirismo simbolico dei “pazzi” del Quattro Maggio, negli anni Quaranta Lu Ling 路翎 (1921-1994) e i suoi personaggi sono un chiaro esempio dell’importanza che il tema della follia riveste nei tesi rapporti tra politica, società e arte in Cina. Accusato di essere un controrivoluzionario per aver applicato nelle sue opere le teorie del “realismo soggettivo” di Hu Feng 胡风, fu imprigionato nel 1955, e trascorse vent’anni in carcere, dove sviluppò una grave forma di psicosi: lo stigma politico si fuse ben presto con una forma di schizofrenia reale. Il concetto di realismo soggettivo di Hu Feng (critico letterario anch’egli coinvolto e incarcerato come controrivoluzionario dopo una feroce campagna ideologica nei primi anni Cinquanta) può meglio chiarire la fusione tra realtà e interiorità che spesso è alla base del fenomeno della pazzia nella produzione artistico-culturale cinese. Hu infatti parla di un “io espanso” che tende a inglobare la realtà:

l’espansione dell’io diventa un tutt’uno con l’ambito del pensiero, l’esistenza del sé si fonde con l’esistenza del tutto, perciò nell’atto del sacrificio del proprio io si prova una forma di consolazione spirituale, nel sacrificio del sé per il bene altrui si dimentica il privato per il bene pubblico.18)Hu Feng 胡风, “Jinian Lu Xun xiansheng shishi qizhounian ji wenxue huodong sishi zhounian” 纪念鲁迅先生逝世七周年及文学活动四十周年 (In memoria del settimo anniversario della morte di Lu Xun e del quarantesimo anniversario del movimento letterario), Hu Feng quanji (Wuhan: Hubei renmin chubanshe 湖北人民出版社, 1999), 58.

Questa forma di realismo fu percepita come pericolosa perché lasciava troppo spazio alla soggettività creativa. Quanto ai personaggi della narrativa di Lu Ling, essi sono spesso divorati da una delirante, dostoevskijana follia, “their minds are in a state of unceased agitation”,19)Kirk A. Denton, The Problematic of the Self in Modern Chinese Literature (Stanford: Stanford UP, 1998), 19. un’incompatibilità con il mondo e con la storia che si manifesta attraverso il linguaggio, contorto e vaneggiante – l’ultimo convulso anelito di individualismo in una società che precipita verso la catastrofe della guerra e imporrà ben presto, come unica forma di salvezza nazionale, l’adesione all’ideologia di massa e alla lingua maoista (il Mao wenti), costringendo al silenzio ogni “arroganza individuale”.
Folle e ribelle è la sessualità trasgressiva di Guo Su’e,20)Ji’e de Guo Su’e 饥饿的郭素娥 (Fame, 1943). la controversa eroina che Lu Ling colloca al centro di una realtà sconvolta da impulsi brutali, dai lasciti della morale tradizionale ma anche dai sussulti di una società proto-operaia. Accostata da alcuni critici ai personaggi devianti di Lawrence, è in realtà carica di quel potenziale femminino (auto)distruttivo che la coeva letteratura europea conosce, per esempio, in D’Annunzio, incarnando una fame di libertà spirituale di cui la ricerca di libertà sessuale è spesso indice.
In un altro tormentato romanzo di Lu Ling, Figli di ricchi,21)Caizhu di ernümen 财主底儿女们 (Figli di ricchi, 1944-48). saga dai toni epici sul declino di una ricca famiglia a Nanchino, il maggiore dei tre fratelli sprofonda gradualmente nella pazzia. Il più giovane, Jiang Chunzu, a sua volta, sperimenta nelle desolate campagne devastate dalla guerra gli abissi mentali e fisici di una sorta di azzeramento della civiltà. Scossi da nevrosi, divorati da un senso di impotenza e alienazione, la vera prigione dei personaggi di Lu Ling è, prima ancora che il drammatico contesto economico e storico, la loro stessa soggettività distorta espressa dalla sintassi ipertrofica ed esasperatamente europeizzata dell’autore.
L’esplorazione dell’inconscio e le teorie occidentali moderne sulla pazzia,22)“As the idea of madness and the irrational offered Western moderns a source of spiritual regeneration to combat the debilitating oppression of bourgeois, industrialized civilization, for Lu Ling the unconscious seems also to be the anarchic fountainhead for rebellious assaults against tradition, authority, and social convention”, Kirk A. Denton, The Problematic of the Self, 21, nota 29. fornirono allo scrittore gli strumenti per dare voce a una forma di bio o psico-resistenza alla società dominante; l’adesione al marxismo, venata di soggettivismo, di Lu Ling, non lo salvò dallo stigma ideologico che lo spinse nel baratro delle sue stesse contraddizioni. Non stupisce perciò che la pazzia come soggetto narrativo sia pressoché bandita nella cosiddetta “letteratura dei 17 anni” (dal 1949 al 1966, anno d’inizio della Rivoluzione Culturale che ridusse comunque al minimo la produzione artistico-letteraria); tuttavia questo genere di rappresentazione del linguaggio dissenziente si ripresenta con rinnovata forza metaforica nella letteratura contemporanea; qui, in particolare, il pazzo è portavoce del malessere che gli scrittori dell’avanguardia narrativa tradussero ancora una volta in sperimentazione linguistica: l’anomalia sintattica, la de-umanizzazione della funzione narrante, l’astrattismo che cancella il significato nelle loro opere, l’incoerenza espressiva dei dialoghi di personaggi ridotti spesso a puri segni. Corre in realtà un sottile filo rosso tre queste sperimentazioni – sorte in un periodo non a caso ribattezzato “febbre” culturale (wenhua re 文化热) – e l’ultima fase della letteratura moderna: Lu Ling aveva identificato nella follia sia tematicamente sia linguisticamente il segno distintivo della nuova epoca,

[w]hile his novels were altogether unknown to the general reader, the language revolution he quietly launched did inspire a new generation of writers in the 1980s, modernists such as Ge Fei, Bei Cun, and Yu Hua. Responding to a new kind of self-indulgent hunger that spread across post-Maoist China, these young writers scandalize orthodox Chinese readers with a literature that threatens to devour all certainties and to encourage feasting on possibility: They took up where Lu Ling left off.23)David Der-Wei Wang, “Three Hungry Women”, Boundary, 2, 1998, 60.

Il soggettivismo teorizzato da Hu Feng agli inizi del periodo maoista fu rielaborato da un altro grande critico marxista al termine del maoismo, trent’anni dopo: Liu Zaifu 刘再复 riprese e sviluppò l’indagine sulla soggettività (dello scrittore), legittimando nel corso del decennio “perduto”24)La definizione è di Gregory Lee, China’s Lost Decade (Brookline: Zephyr Press 2012). degli anni Ottanta una nuova consapevolezza e addirittura esaltazione dell’io.
La prima frontiera della ritrovata e inconciliabile necessità di affermare la propria soggettività fu la poesia. Definendosi con l’espressione Menglong shi 朦胧诗 (Poesia oscura) un gruppo di poeti instaurò clandestinamente, prima, e quindi, dopo la morte di Mao, pubblicamente, un nuovo rapporto tra linguaggio e io autoriale. Nel decennio che seguì la fine dei disordini della Rivoluzione Culturale e l’alterazione drammatica che essa aveva causato nella vita e nell’opera di molti scrittori e artisti, lo iato tra io e realtà si manifestò ancora una volta in un fafen – una “valvola della pazzia” per usare un’espressione pirandelliana. Uno dei pionieri dei poeti oscuri fu Shizhi 食指 (pseudonimo di Guo Lusheng郭路生, n. 1948) definito “a (mentally ill) poet in a changing society”.25)Birgit Linder, “Metaphors unto Themselves: Mental Illness Poetics and Narratives in Contemporary Chinese Poetry”, 95. Un’ulteriore conferma deriva dall’opera (e vita) di altri due poeti: Gu Cheng 顾城 (1956-1993), che si tolse la vita dopo aver ucciso la moglie in una sperduta isoletta del Pacifico e Haizi 海子 (pseudonimo di Zha Haisheng查海生, 1964-1989), ex studente prodigio, affetto negli ultimi anni della sua esistenza da schizofrenia, che alla vigilia del massacro di Tian’anmen si stese sui binari di Shanhaiguan stringendo tra le mani la Bibbia e un romanzo di Thoreau. Entrambi assurti al culto dei poeti maledetti, per la tragica e prematura scomparsa, la loro ricerca di parole di verità non sfugge alla contraddizione molto (ma non solo) cinese tra io e mondo, xiaowo 小我 e dawo 大我 (letteralmente “piccolo e grande io”). In Haizi la frammentazione dell’io è totale, il poeta smarrisce il senso della realtà non cogliendo più la distinzione tra oscurità e luce, come il pazzo di Lu Xun, nel cui diario leggiamo: “Buio pesto, chissà se è giorno o notte. Il cane dei Zhao ha ripreso ad abbaiare. La ferocia del leone, la codardia del coniglio, l’astuzia della volpe…”.26)Lu Xun 鲁迅, “Kuangren riji” 狂人日记 (Diario di un pazzo) [1918], Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia) (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, 1981), 427. Nella poesia “Primavera, dieci Haizi”,27)Haizi 海子, “Chuntian, shige Haizi” 春天十个海子 (Primavera, dieci Haizi), in Haizi zuopin jingxuan 海子作品精选 (Opere scelte) (Wuhan: Changjiang wenyi chubanshe, 2009), 30. l’ultima composta prima del suicidio, la sua immagine si decompone in una dolorosa proiezione multipla delle personalità:

Primavera, dieci Haizi ruggiscono piano
Ballano e cantano attorno a te e a me
Ti scompigliano i capelli neri, a cavalcioni su di te, volano via, in un nugolo di polvere
Il tuo dilaniato dolore invade la Terra

In primavera, degli Haizi selvaggi e vendicativi
Ne resta solo uno, l’ultimo
è il figlio della notte, immerso nell’inverno, innamorato della morte
[…]
Il vento soffia da est a ovest, da nord a sud, ignora la notte e l’alba
Ma che cos’è la luce di cui parli?28)Haizi 海子, “Chuntian, shige Haizi”, 30.

Le parole di Gu Cheng, nel romanzo pubblicato postumo sul suo amore folle per l’amante, Ying’er, – che dà titolo al libro e che fu in parte origine del tragico suicidio-omicidio – descrivono una lucida consapevolezza della propria follia:

So che a un certo livello sono ormai completamente pazzo, posso mostrare alla gente solo la parte di me che non lo è. Ma basta che tu ti allontani per un minuto e ricado nella mia pazzia, che mi fa correre dappertutto a guardare ogni singola via, ogni finestra, ogni albero. Mi è già successo due volte, eri uscita soltanto un attimo. Ormai non sono più un essere umano, non ho alcuna razionalità, ne ho solo un sottile guscio, un sorriso, poche parole, quando parlo con la gente è come se vendessi i biglietti allo sportello e per il resto sono completamente pazzo.
Guardo fissamente la mia isola, e mi sembra che su quest’isola non vi siano più foglie sugli alberi, sono coperti solo da una polvere nera. Così è nei miei sogni, la polvere nera si accumula per terra, calpestata da uomini con un’enorme lingua che mostrano solo il bianco sconfinato degli occhi. Hanno i piedi rotondi e distruggono a poco a poco la mia casa calpestandola.
Le due volte che ho lasciato Ying’er ero del tutto folle, lontano diecimila chilometri. Non ho rimpianti, ma se qualcuno me lo chiedesse, direi: Rimpiango di averlo fatto. Ho lasciato la mia isola, la mia casa, il mio rifugio. Devo morire lì, non devo credere più a nulla e non desiderare nulla. Come un albero impazzito immobile nel vento. Resta lì finché si spezza. Non può vagare galleggiando nel mare, nella palude. Lo sai, Lei? è come se scavassi dentro la mia mente con un badile. Per tanti anni ho fatto l’impossibile, ma adesso non mi rimane più nulla.
Sono diventato un uomo peggiore della morte, un normale pazzo.29)Gu Cheng 顾城, Ying’er 英儿 (Beijing: Zuojia chubanshe 作家出版社, 1993), 114-115.

Il testo a un tratto si fa decisamente simile alle incoerenti riflessioni di Wei Lianshu, il Solitario di Lu Xun:

Non posso continuare a vivere così, è troppo dura, meglio piuttosto morire tre volte su quest’isola. Ogni giorno, ogni notte devo assumere del veleno per evitare la decomposizione.
Sono un morto che non trova riposo, e devo fare cose da vivo, devo vivere come se fossi vivo, perché quel badile ha scavato troppo in profondità. Non solo mi ha rovinato la vita, ma ne ha rovinato anche le radici più profonde: i miei sogni.30)Ibid.

Rispondendo a un questionario sulla poesia cinese, Gu Cheng aveva dato una sua definizione della lingua cinese “al limite della psicosi”:31)Claudia Pozzana, “Suggerimenti lacaniani per tradurre poesia cinese contemporanea”, Tradurre, 10, 2016. https://rivistatradurre.it/2016/05/suggerimenti-lacaniani-per-tradurre-poesia-cinese-contemporanea/ Ultima consultazione 3/11/2108.

[…] nell’utilizzare la scrittura ho rinunciato ad ogni obiettivo aprioristico. Ho così scoperto un fenomeno strano: i caratteri scritti si muovono da sé, schizzano come mercurio, possono spostarsi in qualsiasi direzione o trasformarsi in aria; molti caratteri non rappresentano più la definizione data nei classici; i rapporti sintagmatici, come fossero persone, si dimettono dalle loro funzioni, ripristinano la fisionomia e l’amore originali; sono caratteri che sprigionano magia, si imbattono in altri caratteri, e nel vibrare intrecciano una storia, scivolano su un carattere omofono, su uno dallo stesso tono, sulla componente di un carattere, a volte sono tutti suoni indefiniti, solo dopo molto tempo si riesce a trovare la parola possibile; i mutamenti arbitrari di questi caratteri sono pericolosi, presentano anche intonazioni ed effetti ingiustificati.32)Gu Cheng, “Risposte a un questionario”, in Claudia Pozzana e Alessandro Russo (a cura di), Nuovi poeti cinesi (Torino: Einaudi, 1996), 217.

Come commenta Claudia Pozzana, la poetica di Gu Cheng esplose in follia per il legame sin troppo stretto che egli intravedeva tra poesia e Natura, la sua ricerca verso un’innaturale naturalità della lingua.33)Claudia Pozzana, “Suggerimenti lacaniani per tradurre poesia cinese contemporanea”. Lo stesso possiamo forse dire per Haizi, che canta nelle sue opere un attaccamento quasi morboso alla Terra. Van Crevel osserva come non sia una coincidenza che i tre poeti, Shizhi, Gu Cheng e Haizi, tutti afflitti da disturbi psichici, siano spesso associati nelle antologie e negli studi sulla poesia d’avanguardia.34)Maghiel van Crevel, Chinese Poetry in Times of Mind, Mayhem and Money (Leiden and Boston: Brill, 2008), 101.
Nella novella  I miei due mondi yin e yang, (Wo de yinyang liangjie 我的阴阳两界1997), Wang Er, personaggio alter ego dello scrittore Wang Xiaobo 王小波 (1952-1997), viene considerato psicotico per eccesso di elemento yin 阴 (femminile). L’impotenza sessuale, che gli attira lo stigma della comunità, è un pretesto per fingersi demente, o, come scrive ironicamente l’autore, xiao shenjing 小神经 “mezzo matto”. L’uomo, un ingegnere che vive “auto-internandosi” nello scantinato dell’ospedale, fa decantare attraverso atteggiamenti e discorsi (giudicati dalla comunità) devianti le gerarchie perverse annidate nelle definizioni dei rapporti sociali e di genere.

Questo è il posto dove abito. L’ingegnere Wang scritto sulla porta sono io. E sono io anche il mezzo matto. Mi chiamano mezzo matto perché sono un po’ tonto, un 25035)L’espressione popolare pare derivi da un antico aneddoto, in cui alcune persone vengono punite per la loro dabbenaggine. Per scoprire chi ha ucciso un suo stratega il re di Qi, fingendo che l’uomo fosse un traditore, promette un premio di 1000 liang di oro all’autore dell’omicidio. Attirate dal denaro quattro persone si fanno avanti, pronte a spartirsi il ricco premio con 250 liang a testa: il re, irato per la loro avidità, le fa giustiziare apostrofandole per la loro stupidità “i quattro 250”. Tra cent’anni forse la gente non capirà cosa significa “250”. Il significato dell’espressione è che essendo rimasto solo 250 giorni nel ventre di mia madre, mi comporto in modo un po’ strano. In realtà nella pancia di mia madre ci sono stato per ben trecento giorni, ma siccome mi comporto in modo strano sostengono che ci sono stato solo 250 giorni. Questa inversione del rapporto causa-effetto deriva dal nostro senso dell’umorismo. In realtà io mi comporto in modo strano perché soffro di impotenza. Siccome soffro di impotenza, ho divorziato dalla mia prima moglie. Ho più di quarant’anni e sono ancora single, inoltre vivo in solitudine e parlo poco.
Non posso fare a meno di vivere in solitudine e parlare poco, perché dovunque vada c’è sempre qualcuno che mormora alle mie spalle, e dice che sono impotente. Perciò mi sento in imbarazzo a stare con le persone. Sebbene soffra di impotenza da oltre dieci anni e non mi vergogni più della cosa, non mi va che la gente dica questo di me. Non voglio che mi vedano come una specie di eunuco, anche se in effetti ci assomiglio molto a un eunuco.36)Wang Xiaobo 王小波, “Wo de yinyang liangjie” 我的阴阳两界(I miei due mondi yin e yang), in Huangjin shidai (Guangzhou: Huacheng chubanshe, 1997), 322-323.

Ispirandosi all’approccio di Foucault verso sessualità e follia, Wang Xiaobo disvela e distrugge con lo stratagemma del finto pazzo l’ipocrisia e la repressione esistenti in questi due ambiti. Il suo personaggio ci fa ricordare Ciampa, il tragico protagonista di una celebre commedia di Pirandello, per il quale è la sete di verità che spinge gli uomini alla follia:

[Potessi] cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia, e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità […] Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze che ci tocca d’ingozzare, che c’infràcidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora, il non poter aprire la valvola della pazzia!37)Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli (Milano: Treves, 1920), 161.

A metà tra malattia reale e disagio culturale, incubo modernista e simbolica rappresentazione dei tesi rapporti tra società e individuo, il celebre racconto di Lu Xun fu il precursore di una proliferazione di folli che abitano i romanzi e la poesia cinese per tutto il secolo scorso, con una lunga interruzione nell’era maoista, il cui grande paradosso consiste appunto nell’aver espulso la follia dal testo letterario, solo per far posto a pazzia, paranoia e alienazione come parte integrante dell’esperienza quotidiana, specie nelle fasi più parossistiche della Rivoluzione Culturale e nel suo linguaggio delirante. Nel racconto 1986,38)Yu Hua, “1986”, in Torture, (Torino: Einaudi, 1997), 55-99. Yu Hua ne riprende i contorni, con la figura del professore, autore, su se stesso e sugli altri, di torture di antica memoria: la mutilazione fisica praticata per le strade è estrema sintesi della mutilazione dell’io e della sua voce negli anni bui della rivoluzione.
Un’altra interprete della follia nel linguaggio e nel quotidiano è la scrittrice Can Xue 残雪 (n. 1958), membro dell’avanguardia, che con le vuote conversazioni tra le sue fragili figure kafkiane, denudate di ogni significato, insinua l’avvenuta frattura tra io e realtà, ma testimonia anche, di sbieco, in forma metaforica, la violenza e l’orrore della storia cinese recente. Nel racconto qui pubblicato “Shanshang de xiaowu” 山上的小屋 (La capanna sulla montagna, 1985), il narratore in prima persona descrive le proprie azioni e i dialoghi con i componenti della famiglia in un’astratta quotidianità che ci appare irragionevole e assurda, fatta di “relazioni familiari degradate, una sensorialità abnorme e spesso grottesca, non priva di ripercussioni psicanalitiche”, un “senso di mancanza di spazio e privatezza che mortifica il singolo nel collettivismo”.39)Nicoletta Pesaro, “L’Italo Calvino di Can Xue: l’appropriazione di un modello intellettuale”, Sulla via del Catai, X:17, 2018, 130. Lo scandalo, ancora una volta, nasce nel linguaggio all’interno del contesto familiare, in un crescente senso di disagio, la cui funzione ci è spiegata nella illuminante definizione del perturbante (Unheimlich) freudiano:

“La parola tedesca unheimlich è chiaramente l’antitesi di heimlich, di heimisch”. è l’antitesi cioè di tutto ciò che appartiene alla casa, alla dimora (Heim), alla patria (Heimat). Dunque sarebbe ovvio “dedurre che se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è noto e familiare”. In realtà invece, Freud anticipa subito fin dall’inizio del saggio, che “il perturbante è quella sorta di spaventoso [jene Art des Schreckhaften] che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che è familiare”.40)Franco Rella, Il silenzio e le parole. Il pensiero nel tempo della crisi, (Milano: Feltrinelli 2001), 104.

Nel testo la narrazione ansiosa e il clima di cospirazione famigliare ricordano il “Diario di un pazzo”, ma il disagio è qui potenziato rispetto al manifesto luxuniano della modernità, in quanto la crisi e il pericolo percepiti dal narratore, a differenza del pazzo di Lu Xun, non sono definibili; se nel primo testo come bersaglio del monologo interiore scandito dagli appelli al recupero della ragione vi è, riconoscibile, il “cannibalismo” della civiltà tradizionale, nel drammatico crescendo paranoico di “La capanna sulla montagna” non si intravede alcun elemento scatenante le allucinazioni disturbate dei personaggi. Se il messaggio “salvate i bambini” restituisce senso alle parole sconclusionate e alla nevrosi del pazzo di Lu Xun, ciò che resta nel racconto di Can Xue è invece un’aporia totale e la destituzione di ogni valore e funzione del linguaggio, una lettura pienamente postmoderna41)Si veda l’analisi di Yang Xiaobing, The Chinese Postmodern: Trauma and Irony in Chinese Avant-garde Fiction (Ann Arbor: University of Michigan Press, 2002). della follia che scaturisce da ciò che più vi è di famigliare e quotidiano.

Pesaro, Follia e linguaggio PDF

Immagine: Illustrazione da Diario di un pazzo

Nicoletta Pesaro insegna lingua, letteratura e traduzione cinese all’Università Ca’ Foscari Venezia. Si occupa di letteratura cinese moderna e teoria della traduzione. Interpreta la letteratura come potenzialità espressiva, immaginativa e cognitiva, straordinariamente capace di adattarsi alle trasformazioni storiche, locali e globali. E’ interessata ai fenomeni linguistici, narratologici e traduttivi e al riflesso che l’estetica letteraria riesce a produrre in relazione alla società e cultura cinese, non disdegnando un approccio comparatistico. Traduttrice di diversi romanzi cinesi moderni, dirige la collana Translating Wor(l)ds (Edizioni Ca’ Foscari).

 

References
1 Fang Xide 方锡德, Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong 中国现代小说与文学传统 (La letteratura cinese moderna e la tradizione letteraria) (Beijing: Beijing daxue chubanshe 北京大学出版社, 1992), 96.
2 Fang Xide 方锡德, Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong, 86-87.
3 L’influsso del pensiero di Nietzsche su Lu Xun è noto, ne parlano diversi saggi, tra cui si consiglia Chiu Yee Cheung, “Tracing the ‘Gentle’ Nietzsche in Early Lu Xun”, in Findeisen and Gassmann (eds.), Autumn Floods: Essays in Honour of Marian Galik, (Bern: Peter Lang, 1997), 571-88.
4 Rispettivamente, Michelle Yeh, “The Poet as Mad Genius : between Stereotype and Archetype”, Journal of Modern Literature in Chinese 6:2 & 7:1, 2005, 118-144; Birgit Linder, “Trauma and Truth: Representations of Madness in Chinese Literature”, Journal of Medical Humanities, 32:4, 2011, 291-303; e “Metaphors unto Themselves: Mental Illness Poetics and Narratives in Contemporary Chinese Poetry”, in Howard Y. F. Choy (ed.), Discourses of Disease: Writing Illness, the Mind and the Body in Modern China (Leiden and Boston: Brill, 2016), 90-122.
5 Nella medicina cinese tradizionale i disturbi di ordine psichico vengono definiti e spiegati come un eccesso dell’elemento del Vento, cfr. Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London and New York: Routledge, 2015), 56.
6 Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History, 58.
7 Lu Xun “Suigan lu sanshiba” 随感录三十八 (Pensieri sparsi, n. 38), Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, [1918] 1981), 311. Tutte le traduzioni sono dell’autrice dell’articolo.
8 Nella medesima raccolta contenente “Il diario”, figura un racconto che pone il dramma del letterato fallito agli esami, un tema tradizionale, trattato però da Lu Xun in termini moderni, come individuo soggetto a paranoia e depressione, in quanto socialmente escluso. Eileen J. Cheng in un recente volume sullo scrittore ricostruisce il legame di queste figure con la classica immagine del letterato frustrato. Cfr. Literary Remains: Death, Trauma, and Lu Xun’s Refusal to Mourn (Honolulu: University of Hawai’i press, 2013), 58-73.
9 Lu Xun 鲁迅, “Yao” 药 (Medicina) [1919], Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia) (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, 1981), 446.
10 Yan Jiayan 严家炎, “Lun Wusi zuojia de wenhua beijing yu zhishi jiegou” 论五四作家的文化背景与知识结构 (Sfondo culturale ed epistemologia degli scrittori del Quattro Maggio), in Zhongguo xiandai, dangdai wenxue yanjiu 中国现代当代文学研究, 2, 2002, 11; e Yang Yi 杨义, Zhongguo xiandai xiaoshuo shi 中国现代小说史 (Storia della narrativa cinese moderna), (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. 1, 1987), 157.
11 Yang Yi, Zhongguo xiandai, 158.
12 Leo Ou-fan Lee, Lu Xun and his Legacy (Berkeley: University of California Press, 1985), 7.
13 Lu Xun 鲁迅, “Guduzhe”  孤独者 (Il solitario) [1923], Lu Xun xiaoshuo quanbian 鲁迅小说全编, (Hangzhou: Zhejiang chubanshe 浙江出版社, 2005), 231.
14 Qian Liqun 钱理群 (2007), Yu Lu Xun xiangyu 与鲁迅相遇 (Incontro con Lu Xun), (Beijing: Sanlian jiangtan 三联讲坛, 2007), 135.
15 Cfr. Fang Xide Zhongguo xiandai xiaoshuo yu wenxue chuantong, 87-96.
16 Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History, 58.
17 Gang Zhou, Placing the Modern Chinese Vernacular in Transnational Literature (New York: Palgrave Macmilian, 2011), 101-102.
18 Hu Feng 胡风, “Jinian Lu Xun xiansheng shishi qizhounian ji wenxue huodong sishi zhounian” 纪念鲁迅先生逝世七周年及文学活动四十周年 (In memoria del settimo anniversario della morte di Lu Xun e del quarantesimo anniversario del movimento letterario), Hu Feng quanji (Wuhan: Hubei renmin chubanshe 湖北人民出版社, 1999), 58.
19 Kirk A. Denton, The Problematic of the Self in Modern Chinese Literature (Stanford: Stanford UP, 1998), 19.
20 Ji’e de Guo Su’e 饥饿的郭素娥 (Fame, 1943).
21 Caizhu di ernümen 财主底儿女们 (Figli di ricchi, 1944-48).
22 “As the idea of madness and the irrational offered Western moderns a source of spiritual regeneration to combat the debilitating oppression of bourgeois, industrialized civilization, for Lu Ling the unconscious seems also to be the anarchic fountainhead for rebellious assaults against tradition, authority, and social convention”, Kirk A. Denton, The Problematic of the Self, 21, nota 29.
23 David Der-Wei Wang, “Three Hungry Women”, Boundary, 2, 1998, 60.
24 La definizione è di Gregory Lee, China’s Lost Decade (Brookline: Zephyr Press 2012).
25 Birgit Linder, “Metaphors unto Themselves: Mental Illness Poetics and Narratives in Contemporary Chinese Poetry”, 95.
26 Lu Xun 鲁迅, “Kuangren riji” 狂人日记 (Diario di un pazzo) [1918], Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opera omnia) (Beijing: Renmin wenxue chubanshe 人民文学出版社, vol. I, 1981), 427.
27 Haizi 海子, “Chuntian, shige Haizi” 春天十个海子 (Primavera, dieci Haizi), in Haizi zuopin jingxuan 海子作品精选 (Opere scelte) (Wuhan: Changjiang wenyi chubanshe, 2009), 30.
28 Haizi 海子, “Chuntian, shige Haizi”, 30.
29 Gu Cheng 顾城, Ying’er 英儿 (Beijing: Zuojia chubanshe 作家出版社, 1993), 114-115.
30 Ibid.
31 Claudia Pozzana, “Suggerimenti lacaniani per tradurre poesia cinese contemporanea”, Tradurre, 10, 2016. https://rivistatradurre.it/2016/05/suggerimenti-lacaniani-per-tradurre-poesia-cinese-contemporanea/ Ultima consultazione 3/11/2108.
32 Gu Cheng, “Risposte a un questionario”, in Claudia Pozzana e Alessandro Russo (a cura di), Nuovi poeti cinesi (Torino: Einaudi, 1996), 217.
33 Claudia Pozzana, “Suggerimenti lacaniani per tradurre poesia cinese contemporanea”.
34 Maghiel van Crevel, Chinese Poetry in Times of Mind, Mayhem and Money (Leiden and Boston: Brill, 2008), 101.
35 L’espressione popolare pare derivi da un antico aneddoto, in cui alcune persone vengono punite per la loro dabbenaggine. Per scoprire chi ha ucciso un suo stratega il re di Qi, fingendo che l’uomo fosse un traditore, promette un premio di 1000 liang di oro all’autore dell’omicidio. Attirate dal denaro quattro persone si fanno avanti, pronte a spartirsi il ricco premio con 250 liang a testa: il re, irato per la loro avidità, le fa giustiziare apostrofandole per la loro stupidità “i quattro 250”.
36 Wang Xiaobo 王小波, “Wo de yinyang liangjie” 我的阴阳两界(I miei due mondi yin e yang), in Huangjin shidai (Guangzhou: Huacheng chubanshe, 1997), 322-323.
37 Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli (Milano: Treves, 1920), 161.
38 Yu Hua, “1986”, in Torture, (Torino: Einaudi, 1997), 55-99.
39 Nicoletta Pesaro, “L’Italo Calvino di Can Xue: l’appropriazione di un modello intellettuale”, Sulla via del Catai, X:17, 2018, 130.
40 Franco Rella, Il silenzio e le parole. Il pensiero nel tempo della crisi, (Milano: Feltrinelli 2001), 104.
41 Si veda l’analisi di Yang Xiaobing, The Chinese Postmodern: Trauma and Irony in Chinese Avant-garde Fiction (Ann Arbor: University of Michigan Press, 2002).