Ti prego, lascia che io ti offra una manciata di acqua di ruscello.
Se puoi, metti un fascio di fiori colti per me lungo la riva del fiume.
O lascia che i brandelli del mio corpo si trasformino nei campanellini estivi che ti scortano nel porticato.
(La bottiglia infrantapoesia di un paziente del Taibei Veterans Hospital, Yuli Branch, di Taiwan)

Oggi le nozioni di salute e malattia mentale in contesti “non-occidentali” sono oggetto di attenzione accademica in una varietà di discipline, tra cui la psichiatria culturale, l’antropologia medica e la storia culturale.1)Le fotografie del tempio-asilo Long fa tang sono state scattate dallo psicologo Filippo Benedetti durante il nostro fieldwork a Taiwan. Insieme collaboriamo a un progetto interdisciplinare che prende in esame alcune istituzioni, ospedaliere e semi-religiose, per pazienti con disturbi mentali a Taiwan.
La particolare configurazione della psichiatria a Taiwan, terra di gruppi aborigeni austronesiani, soggetta a secoli di immigrazione cinese, a governi coloniali europei e giapponesi, a quarant’anni di legge marziale (1947–1987) e a un successivo processo di democratizzazione, ha attirato l’attenzione di illustri studiosi. Negli anni Settanta del secolo scorso lo psichiatra culturale Zeng Wenxing (Tseng Wen-Shing) aveva indagato le dinamiche tra modelli terapeutici della psichiatria occidentale e pratiche profondamente radicate nei taiwanesi relative alle credenze locali,2)Tseng Wen-Shing (Zeng Wenxing), Handbook of Cultural Psychiatry (London: Academic Press, 2001). mentre Arthur Kleinman, esperto di psichiatria cross-culturale e di antropologia medica, qualche anno più tardi, scriveva di pazienti e terapeuti inseriti nel contesto della cultura, esplorando i confini tra antropologia, medicina e psichiatria soprattutto grazie al lavoro di ricerca condotto a Taiwan.3)Arthur Kleinman, Patients and Healers in the Context of Culture. An Exploration of the Borderland between Anthropology, Medicine, and Psychiatry, (Berkeley, Los Angeles, and London: University of California Press, 1980). Più di recente, il volume curato da Howard Chiang4)Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto, 2014). inserisce la psichiatria a Taiwan nella prospettiva più ampia della storia della psichiatria in Cina, una scelta che considera Taiwan fondamentalmente han dal punto di vista storico-culturale, sebbene prenda atto della presenza dei gruppi aborigeni austronesiani e dell’influenza europea, giapponese e statunitense sull’isola.
In epoca contemporanea, proprio la complessa storia dell’isola ha contribuito alla costruzione, anche attraverso la letteratura e le arti, di un’identità culturale distintamente taiwanese, certamente dinamica perché soggetta alle transizioni e ai cambiamenti storici, politici e sociali, intesa come dispositivo finalizzato al riconoscimento dell’individualità culturale dell’isola e dei suoi abitanti, soprattutto, ma non solo, vis-à-vis la Repubblica Popolare Cinese.
La diffusione a Taiwan di differenti istituzioni e pratiche terapeutiche, corrispondenti a nozioni eterogenee di malattia e salute mentale, riflette la complessità dei processi storici e dei mutamenti politici e sociali avvenuti nell’isola e ne testimonia la fluidità. La scelta di focalizzare l’attenzione su un luogo in particolare, il Long fa tang, ovvero la “Sala delle metamorfosi del drago”, situato nella contea di Gaoxiong, in un’area rurale del sud di Taiwan, ha una doppia motivazione. L’ascesa e il declino di Long fa tang, in cui si assiste a un problematico intreccio tra malattia mentale, devozione religiosa e imprenditoria, e che per più di trent’anni ha “ospitato” centinaia di persone affette da disordini mentali, costituisce infatti uno degli esempi più eloquenti non solo della resistenza dei cosiddetti folk remedies ma anche delle negoziazioni in atto tra la regolamentazione istituzionale degli standard psichiatrici internazionali e le condizioni sociali locali.

Missioni cristiane, medicalizzazione e modelli globali

La follia intesa come spazio morale (e sociale) di esclusione non è solo appannaggio della storia europea,5)Per riflettere sulla nascita dell’asilo e sulla storia dell’“alienazione” o dell’“insanità” mentale in contesto europeo, la Histoire de la folle à l’age classiche di Michel Foucault (Paris: Gallimard, 1972) resta a oggi un testo imprescindibile. ma anche di quella cinese e, più in generale, est-asiatica. Nella Cina tardo-imperiale, l’isolamento tendeva a corrispondere a una forma di occultamento domestico, che prevedeva la reclusione del membro della famiglia affetto da disordini mentali, non di rado incatenato, all’interno di una stanza buia della casa, o comunque in un luogo che lo rendesse non solo innocuo, ma funzionalmente invisibile alla società esterna.6)Nel contesto culturale cinese, la follia è stata espressa nel corso della storia premoderna da medici, funzionari e operatori rituali attraverso una serie di termini, tra cui kuang , nell’accezione di stravaganza e mania; feng /, termine colloquiale per indicare la follia (anche nel composto fengkuang 瘋狂), inizialmente collegato al vento cui si attribuiva la causa di disturbi emotivi e somatici; dian //, che faceva riferimento all’eccentricità, alla condizione di essere “sottosopra”, per poi essere utilizzato nel XIX secolo per denotare una forma di apatia estrema, in opposizione alla condizione maniacale espressa dal termine kuang, e infine xian , legato alle crisi convulsive. Per un approfondimento, cfr. Fabien Simonis, “Medicaments and Persuasion: Medical Therapies for Madness in Nineteenth-Century China.” In Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto, 2014,), 56. Alla fine dell’Ottocento, John G. Kerr (1824–1901), medico statunitense e missionario della Chiesa presbiteriana, si impegnò, per ragioni filantropiche e/o di evangelizzazione, affinché fosse istituito un “rifugio” per i malati di mente a Canton, ritenuto il primo ospedale psichiatrico in Cina. Il rifugio-ospedale segnò l’emergere di uno spazio psichiatrico7)Peter Szto,Psychiatric Space and Design Antecedents: The John G. Kerr Refuge for the Insane.” In Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto 2014, 71-90). attraverso cui sfidare, senza però poterlo scalzare, il ruolo della famiglia nel contenimento delle persone affette da (gravi) disordini mentali, fungendo però anche da spazio architettonico terapeutico, in cui operare utilizzando una combinazione di tecnologia medica moderna (occidentale) e compassione cristiana.
Diverse interpretazioni della malattia mentale continuarono a evolversi nella prima metà del Novecento in gran parte come frutto dei progetti di modernizzazione dell’élite politica e intellettuale cinese. In particolare, nei decenni dell’età repubblicana (1911-1949), la raffigurazione e la concezione della malattia mentale (o della salute mentale) furono fortemente condizionate e trasformate dalle aspirazioni verso la razionalità scientifica e dalla diffusione delle psy sciences, ovvero di quelle discipline di matrice euroamericana che avevano trasferito all’interno del tessuto culturale e sociale cinese un nuovo corpus epistemologico, insieme a nuove pratiche e istituzioni. Tale fenomeno, tuttavia, non implicava la perdita di modelli preesistenti, quali la recitazione di sūtra buddhisti o di esorcismi taoisti, che avrebbero continuato a coabitare, in dinamiche complesse di conflitto, negoziazione e adattamento. Se scrittori famosi formatisi in parte in Giappone come Zhou Zuoren (1885-1967) sembrano aver vissuto la nevrastenia e la depressione come condizioni simboliche di chi sperimentava la modernità e dunque come una questione legata all’individuo, gran parte delle famiglie non appartenenti alla élite intellettuale guardava al disordine mentale con orrore, come causa di disastri finanziari e della perdita di credibilità sociale, dunque come questione pubblica.8)Emily Lauren Baum, Spit, Chains, and Hospital Beds: A History of Madness in Republican Beijing, 1912-1938, Ph.D. Dissertation (San Diego: University of California, 2013), 20.
Nel corso della prima metà del Novecento, il rapporto complesso tra “psichiatria missionaria” e lo sviluppo delle tecniche mediche occidentali non religiose coinvolgeva anche le dinamiche della psichiatria coloniale. Ampio spazio è stato dato, soprattutto di recente, nell’accademia internazionale alla questione relativa alle difficoltà dei colonizzatori nelle zone tropicali dell’Asia orientale e sud-orientale, in particolare ai casi di nevrastenia tropicale riscontrati tra i “bianchi” nella nervosa Shanghai, ma anche tra giapponesi trapiantati nell’isola di Taiwan, a quell’epoca governata dall’impero nipponico (1895-1945), in genere diagnosticati come conseguenza di una forte nostalgia verso il paese natio.
Ed è proprio sotto lo sguardo coloniale del Giappone che le scienze psicologiche iniziarono a svilupparsi a Taiwan, anche per effettuare sugli aborigeni dell’isola esperimenti di psicologia etnica di matrice tedesca, o Völkerpsychologie, allora in voga nell’arcipelago nipponico. Durante il periodo coloniale giapponese, la maggior parte delle istituzioni era fondata grazie al contributo finanziario di filantropi locali e comprendeva strutture di contenimento e detenzione. Solo con Nakamura Jō, psichiatra forense, fu inaugurato il primo ospedale specializzato a Taibei (allora Taihoku, secondo la lettura giapponese). Negli anni Trenta, il successore di Nakamura, Naka Shūzō, iniziò a formare un gruppo di ricerca che includeva psichiatri locali e, nel 1936, il governo coloniale a Taiwan promulgò due leggi create in Giappone tra il 1900 e il 1919: la Legge per la custodia del paziente affetto da malattia mentale (Seishinbyōsha kango hō) e la Legge per gli ospedali psichiatrici (Seishinbyōin hō).9)Wu Harry Yi-Jui (Yirui) e Cheng Andrew Tai-Ann, “A History of Mental Healthcare in Taiwan.” In Minas Harry, Lewis Milton (eds.), Mental Health in Asia and the Pacific: Historical and Cultural Perspectives (New York: Springer,2017), 109.
Malgrado i discorsi pubblici, i provvedimenti e le istituzioni, a Taiwan continuava a essere consuetudine, soprattutto da parte delle famiglie indigenti, chiudere il malato mentale in stanze simili a celle o in capanne, o ancora abbandonarlo nelle campagne. D’altronde, il governo giapponese aveva poco a cuore il benessere mentale (e fisico) dei colonizzati e non sorprende che nel contesto sociale taiwanese le politiche dall’alto non trovassero un riscontro pratico significativo, né che non si fosse sviluppata nell’isola una forma di cultura pubblica relativa alla salute mentale.
Fu solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, negli anni Cinquanta, con l’instaurazione del governo nazionalista cinese, che principi e pratiche della psichiatria moderna iniziarono a essere più concretamente diffusi a Taiwan10)Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19.  con l’incremento di ospedali e scuole. Tuttavia, la mancanza di una Legge per la sanità pubblica nazionale e di una assicurazione sanitaria nazionale, insieme alla scarsità di terapeuti professionisti, costringeva ancora le famiglie, soprattutto quelle che abitavano nel sud dell’isola, a prendersi carico dei malati o ad affidarsi a strutture di mero contenimento.11)Tseng Wen-Shing (Zeng Wenxing), Handbook of Cultural Psychiatry (London: Academic Press, 2001). Negli anni in cui nella Cina di Mao le scienze psicologiche erano criticate come discipline coloniali borghesi e scartate in favore del materialismo dialettico sovietico, Taiwan subiva l’influenza della psichiatria americana, conseguenza degli effetti della Guerra fredda e delle strategie statunitensi nel Pacifico.12)Wang Frank T. Y. e Lu Yu-Hui, “Chinese Cultural Variation on the Clubhouse Model in Taiwan”, International Journal of Self Help and Self Care 7, 2013, 167–192, 186.
Negli anni Settanta, con l’istituzione del Dipartimento della Sanità (Weisheng shu), furono promosse nuove politiche sulla salute mentale. Nel 1990, dopo la fine della legge marziale, sotto il Presidente Li Denghui, con la promulgazione della Legge sulla salute mentale (Jingshen weisheng fa), ha avuto luogo una parziale alfabetizzazione sociale nei confronti della malattia mentale, ulteriormente sollecitata nel 1995 dall’Assicurazione sanitaria nazionale (Quanmin jiankang baoxian) e dalla Legge sui cittadini fisicamente e mentalmente disabili (Shenxin zhang’ai zhe baohu fa),13)Wang Jinyong, “Who cares for people with long-term mental illness? Mental health services in Taiwan.” 4th East Asian Social Policy Research Network (EASP) Conference, University of Tokyo, 2007. che hanno contribuito alla trasformazione della malattia mentale da questione familiare a questione statale.
Nel 2007 sono stati aggiunti emendamenti alla Legge per la Salute mentale con l’obiettivo di incoraggiare i trattamenti domiciliari, la riabilitazione nelle comunità e la partecipazione attiva di associazioni non governative. Tali emendamenti hanno agevolato le famiglie, anche se non in modo soddisfacente,14)Ibid. e sono alla base di una politica governativa con aspirazioni globali, almeno teoricamente tesa a fare propria la missione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero quella di realizzare una “Sanità per tutti”.
Oggi gli interessi politici, professionali e accademici nei confronti dello sviluppo della psichiatria e della cura della salute mentale a Taiwan, insieme alla volontà di mettere in primo piano servizi e pratiche più all’avanguardia, si riflettono in una serie di iniziative internazionali e nella reticenza a parlare di realtà locali basate su modelli diversi. A torto accomunate in senso negativo, le due realtà alternative più importanti sono l’Ospedale dei veterani di Yuli (ora Taibei Veterans General Hospital, Yuli Branch), nella contea di Hualian, fondato alla fine degli anni Cinquanta per il trattamento dei veterani di guerra che soffrivano di disordini psicotici, alcolismo e depressione,15)Lin Chih-Yuan (Lin Zhiyuan), Huang Ailing, Harry Minas e Alex Cohen, “Mental Hospital Reform in Asia: The Case of Yuli Veteran Hospital, Taiwan”, International Journal of Mental Health System, 3,1, 2009. ma trasformatosi negli anni in un modello interessante e al passo con l’attuale legislazione in materia di salute mentale, e Long fa tang, il tempio-asilo oggi sotto i riflettori mediatici nazionali.

 

 

 

 

 

Yuli Hospital oggi

 

 

 

 

 

 

Vocational training a Yuli: la panetteria dell’ospedale16)Ibid.

 

Le metamorfosi di Long fa tang

In un articolo recente, Chen Xinyu, giovane medico di Gaoxiong e attivista politico del Jilin ceyi (“Flanc radical”), collegato al Movimento del Girasole, riporta una frase minacciosa ricorrente ai tempi della sua infanzia, “Ti mando a Long fa tang”, utilizzata dagli adulti per rimproverare i bambini indisciplinati. Evidentemente, Long fa tang, “l’ultima fermata”, era identificato come luogo punitivo piuttosto che come edificio religioso buddhista dedito alla cura compassionevole delle persone affette da disordini mentali. Eppure, a giudicare dal sito web, per quasi mezzo secolo Long fa tang, senza mai ricevere aiuti finanziari dal governo, avrebbe accolto i bisognosi e i malati dando loro rifugio, cibo e vestiti, e accudendoli con loving kindness.
Oggi Long fa tang, che ospita più di seicento “pazienti”, chiude i battenti, o perlomeno sembra che il governo sia intenzionato a preservarlo solo come edificio religioso, a causa della recente esplosione di un’epidemia di dissenteria amebica che ha coinvolto i residenti e ha dato origine a un’inchiesta ancora in corso. L’evento tragico, e le conseguenze legali a esso legato, hanno spinto l’amministrazione di Long fa tang ad aggiungere una nota sul sito web, che termina con una domanda per ora senza risposta sulla possibilità che il tempio-asilo abbia un futuro. Questo non è il primo scandalo per Long fa tang, la cui storia, con le contraddizioni che la caratterizzano, inizia negli anni Settanta, cioè proprio nel periodo in cui andava prendendo forma una strategia politica per promuovere la salute mentale sul territorio nazionale. Wen Rongguang (Wen Jung-Kwang), psichiatra e antropologo medico di Gaoxiong, è forse la figura accademica che più di altre ha monitorato e diffuso in lingua inglese la complessa realtà di Long fa tang e la controversa popolarità del suo fondatore, Shi Kaifeng.
Nato col nome di Li Kuntai, Shi Kaifeng (1930-2004) fu ordinato monaco buddhista nel 1971. L’Associazione buddhista della Repubblica di Cina (BAROC, Zhongguo fojiao hui), l’organo principale di rappresentanza dei buddhisti sull’isola fino alla fine della legge marziale, rifiutò però di riconoscerlo come monaco ortodosso, dal momento che allevava galline e maiali per poi venderli al mercato, contravvenendo così al precetto buddhista che vieta l’uccisione di esseri senzienti. Nel corso di dieci anni, il numero di devoti e discepoli crebbe. Verso la fine degli anni Settanta, Long fa tang, costruito su un terreno abusivo, iniziò a configurarsi come residenza per persone afflitte da disordini mentali, trattate attraverso pratiche locali di healing, senza cioè ricorrere ai sistemi di cura mentale professionali, e coinvolte in attività lavorative e artistiche (in particolare musica e canto), in linea, si legge nel sito del tempio, con le teorie di William Glasser (1925-2013), psichiatra statunitense contrario alla classificazione delle sindromi psichiatriche come patologie. Al copioso finanziamentoda parte di un uomo di affari di Taibei, si aggiunsero le donazioni da parte delle famiglie dei malati. Dapprima libere, negli anni Ottanta le donazioni, corrispondenti a una somma in genere pari a circa diecimila dollari americani per una “residenza” a vita, erano negoziate dal Maestro Shi Kaifeng.17)Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19, 6. Nel 1983, i residenti di Long fa tang superavano il centinaio, ma le loro durissime condizioni divennero oggetto di una prima, intensa documentazione fotografica, a opera dell’artista taiwanese Hou Conghui (Hou Tsung-Hui; Lung Hwa Tang).
L’anno seguente, Shi Kaifeng fu arrestato e condannato a sei mesi di prigione per aver venduto a prezzi esorbitanti alcune statuette buddhiste. L’episodio increscioso non minò però la sua fama: al suo rilascio, infatti, una folla di seguaci lo accolse davanti al cancello della prigione, a dimostrazione del culto che si era ormai creato intorno alla figura carismatica, quasi miracolosa, del controverso fondatore. Il numero dei residenti (o “clienti”) aumentò ulteriormente, non solo per via della popolarità del Maestro, che li riteneva tutti suoi figli, ma anche perché Long fa tang costituiva una soluzione accessibile a un problema serio, ovvero la gestione da parte delle famiglie, non più estese come un tempo, dei malati cronici.
Alla fine degli anni Ottanta, la fuga di quattro “pazienti” rese il tempio-asilo oggetto di un nuovo scandalo mediatico riportato anche da giornali esteri. E da allora l’alienazione dei residenti di Long fa tang è stata denunciata non solo dalla stampa, ma anche, e forse in modo ancora più efficace, dall’arte. Nel 2001, Zhang Qianqi (Chang Chien-Chi), membro della famosa agenzia fotografica mondiale Magnum Photos, ha prodotto una serie di ritratti dal titolo emblematico The Chain (2001), che fa riferimento alle cosiddette catene dell’amore, o catene emotive (ganqing lian), utilizzate da Shi Kaifeng come “metodo terapeutico”. Il reportage di Zhang ha contribuito all’ulteriore sviluppo della medicalizzazione del sistema della salute mentale a Taiwan, che nel 1990 promulgherà la Legge sulla salute mentale.
Nel 2004, la morte di Shi Kaifeng diviene evento mediatico. I giornalisti riportano la “mummificazione” del fondatore, descrivendo la cerimonia in cui la salma, refrigerata, novantasette giorni dopo la sua morte è posta in un’urna sigillata, insieme a incenso di aloe, a un piedistallo dorato a forma di fiore di loto, a legno di sandalo, carbone, calce in polvere e tessuto giallo.18)Douglas Matthew Gildow, “Flesh Bodies, Stiff Corpses, and Gathered Gold: Mummy Worship, Corpse Processing, and Mortuary Ritual in Contemporary Taiwan”, Journal of Chinese Religions, 33, 1, 2005,1-37, 10.
A succedere a Shi Kaifeng sarà la monaca Shi Xinxian, sua discepola. Nel 2015, in occasione della mia visita a Long fa tang, accompagnata dal Dott. Wen, che intanto era tornato in contatto col tempio-asilo come consulente psichiatrico, è stata lei ad accoglierci in pompa magna: non aveva i capelli rasati e più che una monaca sembrava un’imprenditrice “filantropa”, con progetti di espansione nella Cina popolare. Con lei c’erano alcuni volontari e un giornalista televisivo locale che tesseva le lodi del luogo e ne evidenziava i meriti, sottolineando il grande aiuto che Longfa aveva fornito a centinaia di famiglie taiwanesi nel corso degli anni. Shi Xinxian aveva organizzato una sorta di festa, coinvolgendo alcuni residenti, vestiti di tute colorate, in un concerto e in balli moderni – al suono, tra gli altri, del famoso brano sudcoreano Gangnam Style. Malgrado i colori, le maschere e le canzoni, la sensazione prevalente era tutt’altro che positiva e gioiosa. Trattenuti all’interno di uno spazio segnato da un cancello di ingresso rigorosamente chiuso, i residenti “visibili” apparivano come infantilizzati e le loro performance poco rinviavano alle forme di terapia occupazionale e ricreativa organizzate a Yuli, l’istituzione a torto associata a Longfa nell’immaginario taiwanese e nei circoli psichiatrici nazionali.
Il tour del tempio comprendeva la visita alle cucine, agli uffici e a un’area su cui Shi Xinxian intendeva costruire altri edifici per trasformare Longfa in una halfway house, ma non includeva l’interno delle palazzine-dormitorio (alcune nuove) destinate ai pazienti residenti, compreso, verosimilmente, quelli meno “presentabili”.

Il progetto infranto

Il progetto di trasformare il tempio-asilo mentale in una halfway house non si è avverato. Le condizioni igieniche e una serie di decessi sospetti hanno posto fine (per ora) a Long fa tang. Ma che questo luogo chiuda o meno, non si può trascurare il fatto che per quasi mezzo secolo, in una serie oscillante di alti e bassi, di encomi e indignazione, esso abbia rappresentato un’opzione plausibile per moltissime famiglie, non solo provenienti dall’area di Gaoxiong. Malgrado le controversie e le contraddizioni, Long fa tang è (anche) un’istituzione buddhista. Nella storia taiwanese, pratiche e credenze religiose hanno esercitato, e continuano a farlo, un ruolo importante per quanto riguarda le negoziazioni tra diverse concezioni relative alla malattia mentale e il rapporto tra la legislazione nazionale in materia psichiatrica, che ambisce a conformarsi agli standard globali più elevati, e le condizioni sociali a livello locale. Soprattutto con la fine della Legge marziale e della “struttura corporativista di controllo sulla religione”,19)André Laliberté, “The Pluralization of the Religious Field in Taiwan and Its Impact on China.” In Steve Tsang (ed.), Taiwan’s Impact on China: Why Soft Power Matters More than Economic or Political Inputs (Cham, Switzerland: Palgrave Macmillan, 2017, 203-232), 207. nell’isola sono fioriti movimenti buddhisti socialmente impegnati che hanno incluso la salute e il disagio mentale nelle loro riflessioni teoriche e in alcune pratiche. Se, tradizionalmente, il buddhismo ha interpretato le disabilità fisiche e mentali come il risultato delle azioni passate di un individuo, secondo le dinamiche della legge del karma, stabilendo così una connessione tra moralità e salute mentale e fisica, è anche vero che la letteratura buddhista mostra un ampio lessico terapeutico o taumaturgico. Buddha stesso, per citare un esempio, è paragonato a un medico che offre il rimedio (il farmaco) per curare i mali fisici e mentali degli esseri senzienti e un sūtra è dedicato al compassionevole “Buddha della Medicina” (Bhaiṣajyaguru; in cinese: Yaoshi Fo), che fece voto di prendersi cura delle affezioni fisiche e mentali (shenxin ji)20)Il termine cinese che traduce “mentali” è xin. Tale termine, reso in italiano come “cuore”, “cuore-mente”, “mentale” e “spirituale”, evidentemente ha un campo semantico ampio, la cui complessità è stata oggetto di studio. di tutti gli esseri senzienti.
La metafora del Buddha come medico e il sūtra del Buddha della Medicina sono di frequente utilizzati da una delle figure più influenti del buddhismo umanistico (renjian fojiao) taiwanese, il Maestro Xingyun (1927–), fondatore del Fo guang shan, ordine monastico internazionale di Gaoxiong.
Nel promuovere un buddhismo del “veicolo umano”, che accolga in sé le virtù confuciane e sia al contempo conforme alla prospettiva scientifica, Xingyun da tempo insiste sulla necessità di “uscire dalle foreste ed entrare nel mondo”, affrontando, tra le altre, le questioni relative ai pazienti psichiatrici e alla loro stigmatizzazione sociale. Il Maestro ritiene la malattia mentale una “patologia moderna”,21)Xingyun, Humanistic Buddhism: A Blueprint for Life, (Hacienda Heights, CA: Buddha’s Light Publishing, 2005), 54. ma evidenzia come avidità (tan), ira (chen) e ignoranza (chi), le tre afflizioni velenose nella dottrina buddhista, rappresentino disturbi psicologici da curare anche attraverso la recitazione dei mantra, la meditazione e la penitenza.22)Xingyun, Humanistic Buddhism: A Blueprint for Life, (Hacienda Heights, CA: Buddha’s Light Publishing, 2005), 57. Considerando l’attiva partecipazione alla vita politica taiwanese del suo fondatore, non sorprende che proprio il Fo guang shan sia stato scelto nel 2016 come venue per il 17esimo incontro scientifico degli psichiatri del Pacific Rim (Pacific Rim College), inaugurato con una discussione tematica su “Cultura, religione e salute mentale”.
La nozione di salute e malattia mentale in ambito buddhista, quindi, non è necessariamente in conflitto con quella della psichiatria moderna: le due possono risultare complementari, talvolta anche per ragioni strategicamente politiche. Non è questo, però, il caso di Shi Kaifeng e, malgrado alcuni tentativi, di Shi Xinxian. Nel suo studio del 1990, Wen ha giustamente sottolineato l’importanza di un luogo come Long fa tang per quelle famiglie, la maggior parte di estrazione contadina e dunque legalmente non a basso reddito e senza il diritto al sussidio statale,23)Negli anni Ottanta una famiglia che possedeva una casa o un lotto di terra non poteva essere considerata a basso reddito e, di conseguenza, non aveva diritto a un sussidio mensile da parte del governo (Wen 1990, 12). tormentate dal timore dello stigma sociale e persuase di dover isolare i propri malati, in particolare gli schizofrenici cronici, per garantire la sicurezza della comunità. La soluzione di affidare i malati mentali a una “istituzione totale” (e per il sociologo Erwin Goffman tale era il sanatorio, l’ospedale psichiatrico, ma anche il monastero)24)Erwin Goffman, Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates (New York: Doubleday & Company, Inc.,1961). da un lato liberava le famiglie da una pesante zavorra materiale e psicologica, dall’altro consentiva loro di auspicare per i propri malati senza più speranza una metamorfosi salvifica e miracolosa.25)Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19,7.
Rispetto agli anni Novanta, molti passi avanti sono stati compiuti a Taiwan in materia di politica sanitaria e Wen è ormai persuaso che la deistituzionalizzazione e la de-infantilizzazione dei pazienti psichiatrici siano l’unica via possibile da percorrere, una via che però deve essere accessibile a tutti, non solo alle classi più abbienti, e ovunque sull’isola. Il punto nevralgico non riguarda l’esclusione a priori dell’elemento religioso o del folk remedy, ma la garanzia di poter scegliere una cura competente dal punto di vista medico e farmacologico per chiunque ne abbia bisogno e la certezza perlomeno di un trattamento umano e di condizioni igienico-sanitarie dignitose nel caso in cui i malati cronici debbano necessariamente ricorrere a periodi di ospedalizzazione. Istituzioni “totali” come Long fa tang, dove le “identità” umane dei pazienti-residenti non si “reinventano”, piuttosto, di fatto, evaporano e proiettano spettri carnevalizzati e spettacolarizzati in occasione delle visite dagli abitanti del mondo esterno, sono anche il frutto di una accelerata corsa alla modernizzazione che ha lasciato indietro non poche persone, cui era impedito per motivi soprattutto economici l’accesso ai farmaci e a una terapia continuativa. Wen Rongguang, come psichiatra, ha assunto la posizione più condivisibile, perché, invece di gridare allo scandalo e alla vergona, o di nascondersi dietro un silenzio imbarazzato e imbarazzante, ha messo a nudo le lacune legislative e le dinamiche socio-economiche che hanno prodotto e alimentato realtà come Long fa tang. Se è vero, infatti, che esistono o sono esistiti meccanismi “culturali” locali e forme, genuine o mistificate, di fede e fiducia nei confronti del tocco calmante di Shi Kaifeng, tali aspetti non possono bastare da soli a spiegare mezzo secolo di vita del tempio-asilo.

TAPPE CRUCIALI DI LONG FA TANG

1971 Li Kuntai prende gli ordini monastici col nome di Shi Kaifeng e inizia ad avere pazienti psichiatrici legati l’un l’altro con una corda.
1983 Wen Rongguang del Dipartimento d Psichiatria dell’Università di Medicina di Gaoxiong guida un team di ricerca a Long fa tang.
1984 Arrestato per aver accumulato denaro attraverso la vendita di statue del Buddha, Shi Kaifeng è condannato a sei mesi di carcere.
1986 Avvio di un dibattito in seguito alla gita di tre giorni intorno all’isola organizzata da Shi Kaifeng per duecento “ospiti” di Long fa tang.
1990 Entra in vigore la Legge sulla Salute mentale: i malati devono ricevere cure psichiatriche.
2000 Compromesso col settore pubblico: un medico visiterà i residenti di Long fa tang una volta a settimana.
2004 Muore Shi Kaifeng. Gli succede la discepola Shi Xinxian.
2016 Il Ministero della Sanità pone fine al processo di legalizzazione di Long fa tang.
2017 Esplosione di una epidemia di dissenteria amebica. Metà dei residenti è portata via da Long fa tang.
2018 Investigazione sulle cause di morte di alcuni residenti di Long fa tang. L’amministrazione di Long fa tang è sotto inchiesta.

Ghidini, Sottosopra PDF

Immagine: Long fa tang, foto di Filippo Benedetti

Chiara Ghidini è  docente di Religioni e Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Napoli “L’Orientale”. Ha conseguito il PhD all’Università di Cambridge, con una tesi sul Libro dei Morti di Orikuchi Shinobu. Ha scritto due monografie e diversi articoli sulla Storia culturale dell’Asia orientale in italiano, inglese e giapponese.

References
1 Le fotografie del tempio-asilo Long fa tang sono state scattate dallo psicologo Filippo Benedetti durante il nostro fieldwork a Taiwan. Insieme collaboriamo a un progetto interdisciplinare che prende in esame alcune istituzioni, ospedaliere e semi-religiose, per pazienti con disturbi mentali a Taiwan.
2 Tseng Wen-Shing (Zeng Wenxing), Handbook of Cultural Psychiatry (London: Academic Press, 2001).
3 Arthur Kleinman, Patients and Healers in the Context of Culture. An Exploration of the Borderland between Anthropology, Medicine, and Psychiatry, (Berkeley, Los Angeles, and London: University of California Press, 1980).
4 Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto, 2014).
5 Per riflettere sulla nascita dell’asilo e sulla storia dell’“alienazione” o dell’“insanità” mentale in contesto europeo, la Histoire de la folle à l’age classiche di Michel Foucault (Paris: Gallimard, 1972) resta a oggi un testo imprescindibile.
6 Nel contesto culturale cinese, la follia è stata espressa nel corso della storia premoderna da medici, funzionari e operatori rituali attraverso una serie di termini, tra cui kuang , nell’accezione di stravaganza e mania; feng /, termine colloquiale per indicare la follia (anche nel composto fengkuang 瘋狂), inizialmente collegato al vento cui si attribuiva la causa di disturbi emotivi e somatici; dian //, che faceva riferimento all’eccentricità, alla condizione di essere “sottosopra”, per poi essere utilizzato nel XIX secolo per denotare una forma di apatia estrema, in opposizione alla condizione maniacale espressa dal termine kuang, e infine xian , legato alle crisi convulsive. Per un approfondimento, cfr. Fabien Simonis, “Medicaments and Persuasion: Medical Therapies for Madness in Nineteenth-Century China.” In Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto, 2014,), 56.
7 Peter Szto,Psychiatric Space and Design Antecedents: The John G. Kerr Refuge for the Insane.” In Howard Chiang (ed.), Psychiatry and Chinese History (London: Pickering & Chatto 2014, 71-90).
8 Emily Lauren Baum, Spit, Chains, and Hospital Beds: A History of Madness in Republican Beijing, 1912-1938, Ph.D. Dissertation (San Diego: University of California, 2013), 20.
9 Wu Harry Yi-Jui (Yirui) e Cheng Andrew Tai-Ann, “A History of Mental Healthcare in Taiwan.” In Minas Harry, Lewis Milton (eds.), Mental Health in Asia and the Pacific: Historical and Cultural Perspectives (New York: Springer,2017), 109.
10 Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19. 
11 Tseng Wen-Shing (Zeng Wenxing), Handbook of Cultural Psychiatry (London: Academic Press, 2001).
12 Wang Frank T. Y. e Lu Yu-Hui, “Chinese Cultural Variation on the Clubhouse Model in Taiwan”, International Journal of Self Help and Self Care 7, 2013, 167–192, 186.
13 Wang Jinyong, “Who cares for people with long-term mental illness? Mental health services in Taiwan.” 4th East Asian Social Policy Research Network (EASP) Conference, University of Tokyo, 2007.
14 Ibid.
15 Lin Chih-Yuan (Lin Zhiyuan), Huang Ailing, Harry Minas e Alex Cohen, “Mental Hospital Reform in Asia: The Case of Yuli Veteran Hospital, Taiwan”, International Journal of Mental Health System, 3,1, 2009.
16 Ibid.
17 Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19, 6.
18 Douglas Matthew Gildow, “Flesh Bodies, Stiff Corpses, and Gathered Gold: Mummy Worship, Corpse Processing, and Mortuary Ritual in Contemporary Taiwan”, Journal of Chinese Religions, 33, 1, 2005,1-37, 10.
19 André Laliberté, “The Pluralization of the Religious Field in Taiwan and Its Impact on China.” In Steve Tsang (ed.), Taiwan’s Impact on China: Why Soft Power Matters More than Economic or Political Inputs (Cham, Switzerland: Palgrave Macmillan, 2017, 203-232), 207.
20 Il termine cinese che traduce “mentali” è xin. Tale termine, reso in italiano come “cuore”, “cuore-mente”, “mentale” e “spirituale”, evidentemente ha un campo semantico ampio, la cui complessità è stata oggetto di studio.
21 Xingyun, Humanistic Buddhism: A Blueprint for Life, (Hacienda Heights, CA: Buddha’s Light Publishing, 2005), 54.
22 Xingyun, Humanistic Buddhism: A Blueprint for Life, (Hacienda Heights, CA: Buddha’s Light Publishing, 2005), 57.
23 Negli anni Ottanta una famiglia che possedeva una casa o un lotto di terra non poteva essere considerata a basso reddito e, di conseguenza, non aveva diritto a un sussidio mensile da parte del governo (Wen 1990, 12).
24 Erwin Goffman, Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates (New York: Doubleday & Company, Inc.,1961).
25 Wen Jung-Kwang (Wen Rongguang), “The Hall of Dragon Metamorphoses: A Unique, Indigenous Asylum for Chronic Mental Patients in Taiwan Cult”, Culture, Medicine and Psychiatry 14, 1, 1990, 1–19,7.