In un futuro molto vicino, la vita biologica sulle terre emerse non esiste più (il Sole ne ha bruciato ogni possibilità) e l’umanità si è rifugiata sui fondali marini. Queste le premesse narrative su cui Chi Ta-wei costruisce Membrana, opera cult della fiction speculativa taiwanese, di recente tradotta in italiano da Alessandra Pezza per add editore.

Membrana è un romanzo a strati. Procedendo nella lettura ne tiriamo via uno dopo l’altro, come si fa quando si sbuccia un frutto, credendo ogni volta di essere arrivati finalmente al nocciolo della questione, ma invece no, c’è un altro strato – un’altra membrana – da sfogliare.

A proposito di frutta, la protagonista della storia è Momo, che in giapponese significa pesca, un’estetista della pelle che vive nella città sottomarina di T, Nuova Taiwan. La sua specialità è il trattamento con la M-Skin, una sostanza che ha aspetto e consistenza di una crema per il corpo, con garantite proprietà benefiche. Quello che i clienti di Momo non sanno, però, è che la M-Skin è in realtà un sensore sofisticatissimo in grado di registrare e archiviare ogni stimolo percepito dal corpo che lo indossa: sbalzi di temperatura, contatti con altre persone o cose, variazioni nel battito cardiaco, eccetera. Grazie alle informazioni archiviate dalla M-Skin (che in realtà sta per “memory skin”), Momo ha accesso alle vite sensoriali dei suoi clienti, sa leggere i loro corpi, e questo le permette di adattare i suoi trattamenti a seconda del bisogno.

Già venticinque anni fa (Membrana è stato pubblicato a Taiwan nel 1995), Chi Ta-wei immaginava un futuro dominato da una versione di capitalismo della sorveglianza ante litteram, in cui i desideri degli esseri umani vengono intercettati da tecnologie avanzate e dati in pasto ad algoritmi che imparano a fornire agli umani servizi sempre più targetizzati. Da una parte, Momo è perfettamente integrata in questo sistema, in quanto consumatrice e in quanto consumata. E tuttavia, ci viene descritta come una persona alienata dal mondo in cui vive e che non riesce davvero a penetrare, come se fosse avvolto da una membrana (“A trent’anni continuava a pensare che ci fosse una specie di pellicola tra lei e tutto il resto”).

Alla vigilia del suo trentesimo compleanno, la donna riceve un messaggio da sua madre, con cui non ha contatti da molto tempo, che le chiede di poterla rivedere. A questo punto la storia prende una svolta analettica, e torniamo indietro all’infanzia di Momo, trascorsa per la maggior parte in una sterile stanza d’ospedale (era una bambina molto malata), con la sola compagnia di un robot androide di nome Andy, “l’amica perfetta”. Tra bambina e androide si instaura una relazione simbiotica, fino a che le due diventano letteralmente inseparabili: durante l’ennesima operazione chirurgica a cui Momo viene sottoposta, il suo corpo viene unito a quello di Andy. In parte androide, in parte umana, né a chi legge né a Momo è chiaro dove sia il confine tra i due corpi, e se “fosse stata Andy a entrare in lei, o lei stessa a diventare parte di Andy”. Ma il romanzo di Chi Ta-wei non solo confonde e scombina il confine tra umano e non umano, ma anche tra maschile e femminile. A un certo punto del racconto scopriamo infatti che Momo in realtà era nata con un pene, che viene rimosso durante l’operazione (“tanto non le piaceva, era di troppo”). Quella di Momo è quindi una fenomenologia androide-queer (e qui è impossibile non pensare al femminismo cyborg di Donna Haraway), che ci invita a pensare oltre alle classificazioni basate su appartenenza di specie o genere.

Il contesto culturale da cui è emerso Membrana è quello di una Taiwan post-autoritaria (il partito di stato Kuomintang ha tenuto la popolazione sotto legge marziale per quasi quarant’anni, fino al 1987) che deve inventarsi nuovi miti fondativi e costruirsi una nuova identità nazionale, cercando di tenere insieme tutti i fili del delicato e complesso ordito sociale, politico ed etnico taiwanese – oltre che confrontarsi con l’ingombrante colosso al di là dello stretto, cioè la Cina. La produzione letteraria dell’epoca riflette quell’entropia culturale, che risponde a una diffusa crisi della rappresentazione con i modi del postmoderno, e cioè sperimentando con forme ibride e contenuti iconoclasti. La scrittura di Chi è un prodotto di quella voracità culturale, che a sua volta si palesa nel complesso impianto intertestuale di cui si compone il mondo di Momo, che legge Calvino, Murakami e Shakespeare, conosce Lacan e guarda i film di Bergman e Almodóvar.

Il romanzo è, in un senso, un’esplorazione fantastica delle zone di contatto tra percezione, realtà, e autocoscienza, in una cornice socio-culturale postmoderna, postcoloniale, e neocapitalista. L’umanità (non così) distopica di Chi Ta-wei è ancora legata a una visione antropocentrica dell’ecosistema globale: non essendo stata in grado di contrastare in maniera efficace il cambiamento climatico, si è meramente adattata a vivere tra le rovine del mondo che essa stessa ha distrutto. Ma le nazioni, spostandosi dalla superficie terreste al fondo del mare, replicano pedissequamente gli stessi schemi di potere predatori e ancorati a concetti terrestri di “possesso” (per cui ognuna cerca di accaparrarsi quanto più “terreno” sottomarino possibile). In questo nuovo ordine sommerso, Nuova Taiwan, anche se di dimensioni ridotte, in virtù della sua posizione strategica, può esercitare “un certo controllo sul Sudest asiatico e un ruolo di prestigio come centro finanziario”.

Se l’umanità si è trasferita in blocco negli abissi sottomarini, le terre emerse sono popolate dagli “MM”, macchine a metà tra androidi e robot prodotte in serie, a cui sono affidati i lavori essenziali per il sostentamento dello status quo politico: mezzi di trasporto, macchine da guerra, donatori di organi (o altri pezzi di corpo che servono agli umani). Anche se fisicamente somigliano a esseri umani, gli MM non hanno cittadinanza né godono di alcun diritto, e sono essenzialmente considerati degli strumenti iper-produttivi (ma che, ironicamente, non possono ri-prodursi), da utilizzare a beneficio esclusivo del genere umano.

Nel mondo di Membrana, anche l’espressione letteraria è andata incontro a un processo di mercificazione. I testi non esistono più sotto forma di libri, ma vengono commerciati da grandi corporazioni e consumati sotto forma di agevoli e compatti “discolibri”. Momo è un piccolo ingranaggio in questo sistema di (ri)produzione, anche se non saprà mai fino a che punto il suo ruolo è funzionale alla sopravvivenza dello stesso.

Con lo svolgersi dell’intreccio, gli strati di cui si compone la storia di Momo vengono via uno dopo l’altro, e infine scopriamo che quello che la nostra protagonista percepisce come realtà, la sua memoria, quello che sa di sé stessa e del mondo in cui vive è solo una parte di un sistema più ampio e oscuro. La nostra protagonista si ritroverà intrappolata in una realtà che replica sé stessa in un gioco di specchi, una mise en abyme in cui presente, passato e futuro collassano su loro stessi, e in cui Momo – e tutte le membrane che la costituiscono – si perde.

Con Membrana, Chi Ta-wei ci dice che la vita è tra gli strati, tra le membrane che determinano i confini del nostro mondo ma che non sono affatto ermeticamente chiuse, al contrario vengono continuamente attraversate. Tra questi strati, visibili e invisibili, umani e cyborg, senzienti e non, si dispiega la storia di Momo, e insieme a lei anche noi che leggiamo ci troviamo a tastare e a interrogare i confini delle nostre percezioni e dei nostri desideri.

Immagine: particolare della copertina del libro.

Serena De Marchi ha conseguito il dottorato presso Stockholm University con una tesi sulla letteratura del carcere in Cina. Nel 2021 ha ottenuto la Taiwan Fellowship ed è stata visiting researcher presso la National Taiwan Normal University. Dal 2022 è tornata a Stockholm University con un progetto di ricerca postdoc sulla memoria del Terrore bianco (1949-1987) nella narrativa taiwanese contemporanea.

(Il testo è una rielaborazione della recensione pubblicata in inglese sulla rivista Cha: An Asian Literary Journal)