Premessa
La scorsa primavera, nel pieno della prima ondata COVID, diversi studenti cercarono il mio consiglio su come analizzare la risposta cinese al coronavirus. Andava emergendo in quella fase un vivace dibattito attorno all’ipotesi che sistemi autoritari come quello cinese potessero rispondere con maggiore efficacia alla crisi. La mia risposta fu inizialmente metodologica: consigliai loro di selezionare un campione di fonti rappresentativo di posizioni diverse, sfruttando la conoscenza della lingua cinese; li spronai all’impiego accurato di categorie come cittadinanza e diritti; insistei sulla necessità di una disamina non affrettata, poiché la distanza temporale aiuta a farsi un’idea più chiara delle cose. Questi suggerimenti sortirono solo in parte i risultati sperati. Gli studenti tendevano infatti a reiterare la polarizzazione di un dibattito pubblico appiattito su posizioni dicotomiche, portando di volta in volta questo o quell’elemento “oggettivo” a loro difesa, senza trovare una sintesi collettiva. Gradualmente, compresi come quell’impasse derivasse dalla mancanza di quadri valoriali condivisi, in grado di fornire un’alternativa alla semplicistica contrapposizione Cina-Occidente. Il problema non era soltanto di natura tecnica – il come fare le cose – ma piuttosto etica e filosofica, relativa al perché le facciamo: quale visione del mondo motiva i nostri tentativi di comprendere la realtà che ci circonda? Quale agenda scientifica e morale può guidare l’analisi di fenomeni al contempo globali e intimamente legati alla realtà cinese? In buona sostanza: che cosa ci facciamo qui? Questi interrogativi – oggi fondamentali per la sinologia – sono il punto di partenza della riflessione1)I tratti salienti di questo articolo sono stati condivisi dall’autore nel corso del seminario “Gli studi sulla Cina. La sfida”, ospitato in remoto il 25 settembre 2020 dall’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Il seminario ha raccolto le voci di sinologhe e sinologi impegnati nel definire approcci critici e responsabili allo studio della Cina. In merito al dibattito sul futuro della sinologia, si veda Marco Fumian, “Sinologi della nuova era”, Sinosfere, Voci, 1 ottobre 2020. che desidero condividere.
Conoscenza, etica e cambiamento
Cercare una risposta a questi interrogativi richiede innanzitutto lasciare da parte per un istante la nostra disciplina di studio. Queste dinamiche infatti non toccano solo chi si occupa di Cina, ma interessano in generale i processi di produzione e trasmissione della conoscenza. Di norma, questi processi vedono una rigida distinzione fra la dimensione tecnica e cognitiva – deputata a capire il funzionamento delle cose – e quella etica. Ciò deriva da un approccio radicato nelle società industrializzate, che privilegia il ruolo strumentale della conoscenza. Il primato attribuito alla dimensione applicativa della conoscenza è accompagnato dal ricorso sempre più diffuso a tecniche quantitative e modelli predittivi, finalizzati a garantire oggettività anche alle scienze sociali e umanistiche. Questi strumenti hanno certamente contribuito alla nostra conoscenza delle dinamiche socio-culturali su scala globale: impiegare metodi standardizzati permette di raccogliere, analizzare e comparare dati e informazioni in maniera efficiente. Ci hanno fatto prendere però anche delle belle cantonate: è il caso dei modelli teorici che hanno spinto generazioni di sinologi a cercare evidenze empiriche del legame fra sviluppo economico e transizioni democratiche. Modelli, come ben sappiamo, rimasti ampiamente disattesi.2)Francis Fukuyama, “Trent’anni dopo, ritorno su La fine della storia?”, Vita e Pensiero, 3, 2018, 10-21.
Nel complesso, l’enfasi sul ruolo strumentale della conoscenza e l’idea meccanicistica del funzionamento delle società hanno ristretto lo spazio del dibattito sul cambiamento. Nell’immaginare il nostro futuro, tendiamo non a caso a focalizzarci sul ruolo della tecnologia. I risultati sono deludenti: nonostante la nostra sia un’epoca di progresso tecnologico straordinario, l’umanità è alle prese con crisi sociali e ambientali multiple e interconnesse, che già ne minacciano la sopravvivenza su vaste aree del pianeta. Trovare una via d’uscita non richiede soltanto soluzioni tecnologiche, ma anche un’evoluzione della cultura, dei paradigmi di pensiero e dei comportamenti individuali e collettivi.3)Kathleen Dean Moore, Great Tide Rising: Towards Clarity and Moral Courage in a Time of Planetary Change (Berkeley: Counterpoint, 2016). Da questa consapevolezza, oggi sempre più diffusa nella comunità scientifica e nella società, deriva la necessità di integrare la dimensione etica nei processi di produzione e trasmissione della conoscenza, studi sulla Cina inclusi.
La sinologia oggi
La sinologia è una materia complessa, poiché assomma elementi di natura tecnica – l’apprendimento della lingua, le cui gioie e dolori sono il collante della nostra comunità – e altri di natura culturale e filosofica. Negli ultimi decenni è stata privilegiata la natura tecnica e strumentale della disciplina. Oltre alle tendenze generali delineate nel paragrafo precedente, ciò è dovuto all’apertura della Cina popolare e alla conseguente domanda di personale qualificato per (a) facilitare gli scambi industriali e commerciali (sinologi-mediatori) e (b) produrre analisi accurate della situazione economica, politica e sociale del paese (sinologi-analisti). Questa congiuntura si è creata negli anni ’90 ed è perdurata sino ai giorni nostri, complici i tempi lunghi della ricerca e dell’evoluzione didattica. La stagione delle crisi iniziata nel 2008, di cui l’attuale pandemia rappresenta una nuova e dolorosa manifestazione, ha innescato però mutamenti destinati a incidere sulla funzione scientifica e sociale della sinologia. Da un lato, sono emerse nelle società occidentali richieste di cambiamento politico radicale, in parte ispirate a una visione più olistica e interconnessa della realtà sociale ed ecologica. Dall’altro, si è conclusa la transizione della Cina da paese periferico ad attore destinato a (co-) definire il futuro dell’umanità, per di più in un’epoca, l’Antropocene, dove la posta in gioco è altissima.4)Daniele Brombal, “L’Antropocene cinese”, Sinosfere, 8, 2019, 20-28. In questo contesto, la sinologia è chiamata a esplorare la molteplice realtà cinese non più solo attraverso l’erudizione specialistica o la lente degli interessi industriali o politici, ma adottando la logica di un cambiamento sistemico, finalizzato a riorientare la civilizzazione umana verso il benessere sociale ed ecologico.
Risorse per il cambiamento
Questa sfida può trovarci impreparati come singoli individui e studiosi. Tuttavia, la tradizione sinologica offre risorse importanti per sostenere la nostra resilienza e capacità di adattamento. La prima è la grande familiarità con la complessità. La pratica degli studi di area è fatta di contaminazione culturale, teorica e metodologica. La storia della sinologia in particolare è costellata di esempi luminosi di approccio olistico alla conoscenza: da Matteo Ricci a Joseph Needham, da Mary Evelyn Tucker a Susan Greenhalgh.5)Daniele Brombal, “Chinese Studies in Venice: A Timeline of Change”, in Laura De Giorgi e Federico Greselin, 150 Years of Oriental Studies at Ca’ Foscari (Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2018, 155-162). Una seconda risorsa è quella relazionale. Gli studiosi di area maturano un rapporto profondo con i luoghi – fisici, sociali e culturali – che ne ospitano il lavoro.6)Sulle dinamiche relazionali negli studi di area e il legame con il luogo, vedi Daniele Brombal, “Area Studies for Urban Sustainability Research. Current Practice and Untapped Potential”, International Quarterly for Asian Studies, 50, 11-30. Sovente, questa relazione sfocia nella ricerca di equilibrio fra la propria cultura di partenza e quella di destinazione. Al contempo, genera sentimenti di responsabilità, sia verso l’oggetto del proprio lavoro (nel nostro caso i diversi luoghi, popoli ed espressioni della sinosfera) che nei confronti dei suoi fruitori, inclusa quella parte di società che di Cina si interessa solo saltuariamente.7)Sul nesso fra relazione, investimento emotivo e responsabilità etica, vedi: Angela Moriggi, Katriina Soini, Alex Franklin, Dirk Roep, “A Care-based Approach to Transformative Change: Ethically-informed Practices, Relational Response-ability & Emotional Awareness”, Ethics, Policy & Environment [in corso di stampa]. Questo retaggio, fatto di complessità e relazione, alimenta la riflessività, vale a dire la consapevolezza di come la comprensione di qualsiasi fenomeno sociale e naturale sia influenzata dagli innumerevoli fattori – storici, socio-culturali ed economici – che definiscono la nostra realtà di cittadini, ricercatori e studenti. La capacità riflessiva permette di rigettare le pretese di universalità e immutabilità del sapere e della pratica sociale, economica e politica. Emanciparsi dall’idea che esistano vie “naturali” alla conoscenza e alla pratica è di grande importanza, poiché costituisce la precondizione fondamentale per il cambiamento.
Nuovi riferimenti per la teoria e l’azione
Per quanto fondamentale, la sola riflessività non basta. Rigenerare una disciplina ricca come la sinologia richiede un paradigma transdisciplinare, che accolga il contributo di forme di conoscenza diverse e sia teso alla trasformazione della società.8)Florin Popa, Mathieu Guillermin e Tom Dedeurwaerdere, “A Pragmatist Approach to Transdisciplinarity in Sustainability Research: From Complex Systems Theory to Reflexive Science”, Futures, 65, 2014 45–56.9)Marina Knickel, Karlheinz Knickel, Francesca Galli, Damian Maye e Johannes S.C. Wiskerke, “Towads a Reflexive Framework for Fostering Co-Learning and Improvement of Transdisciplinary Collaboration”, Sustainability, 11, 6602, 2019, 1–22. È un processo che prevede un certo grado di normatività, rigettando visioni del mondo obsolete. Fra queste, la compulsiva ricerca della crescita materiale, alla base dell’attuale profonda crisi socio-ecologica; l’ossessione per le categorie del potere, della competizione e dell’interesse come ultima ratio dell’agire umano e unica logica delle relazioni ecologiche;10)Per un’introduzione al tema, vedi: Telmo Pievani, “Biologia dell’altruismo”, Micromega, Almanacco della Scienza, ottobre 2010, 45-63. Per una trattazione più agile, vedi dello stesso autore: “L’evoluzione della morale”, Le Scienze, giugno 2012, 66-71. infine, l’adozione acritica di una visione standardizzata di modernità e modernizzazione, causa della irreparabile perdita di diversità culturale e biologica iniziata nel secolo XIX.11)J.R. McNeill e Peter Engelke, La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945 (Torino, Einaudi, 2018). Queste visioni fanno parte tanto della cultura europea che di quella cinese contemporanea. Continuano a influenzare le nostre scelte individuali e collettive, vuoi per effetto di un’inerzia cognitiva, morale ed emotiva, o a causa di interessi particolari.
In questo contesto, non sorprende che anche la sinologia abbia fatto da cassa di risonanza a visioni del mondo che oramai mostrano tutti i loro limiti. L’esempio più evidente è rappresentato dal fiorire di simposi, pubblicazioni e programmi didattici centrati sul ruolo della Cina come motore della crescita globale. Paradossalmente, sul fronte opposto sono espressione della stessa visione sviluppista anche quanti identificano nella Cina il primo (talvolta l’unico) colpevole dei malanni del pianeta. Così facendo, omettono gli effetti della produzione industriale globalizzata – dove il ‘lavoro sporco’ viene svolto da paesi di recente industrializzazione – e propagandano il mito di una crescita materiale infinita, buona e pulita. In tempi recenti, entrambe le posizioni sono esemplificate dal proliferare di iniziative mirate a salire sul treno delle Nuove Vie della Seta, dinamica questa da cui nemmeno il sottoscritto può dichiararsi completamente esente.
Anziché amplificare visioni la cui obsolescenza è certificata dalle evidenze scientifiche e dalla riflessione filosofica, la rigenerazione della sinologia dovrebbe muovere da paradigmi quali l’interconnessione fra benessere umano ed eco-sistemico; la pratica della coesistenza, della collaborazione e della giustizia sociale ed ecologica; il valore intrinseco della diversità culturale e biologica.Questi paradigmi, che oggi ispirano un dialogo sempre più intimo fra scienze dure e discipline umanistiche, sono di chiara rilevanza per gli studi di area. Ci parlano infatti di quella dimensione relazionale, di quella complessità e di quell’importanza del contesto che costituiscono il sale del nostro lavoro.12)Cfr. Daniele Brombal,“Area Studies […]”. È chiaro che rinnovare la sinologia ispirandosi a questi principi richiede un impianto teorico robusto, pena il ridursi a enunciazione normativa. Tre filoni di ricerca e azione hanno un potenziale evidente da questo punto di vista. Il primo risiede nel pensiero sistemico. Nato per comprendere le interconnessioni fra società, risorse, economia e ambiente,13)Nørgård, Jørgen Stig, John Peet, and Kristín Vala Ragnarsdóttir. n.d. “The History of The Limits to Growth”, The Donella Meadows Project. Academy for Systems Change. nella sua formulazione più evoluta il pensiero sistemico individua nella sfera culturale ed etica la maggiore leva di cambiamento a nostra disposizione.14)Meadows, Donella H. n.d. “Leverage Points: Places to Intervene in a System.” The Donella Meadows Project. Academy for Systems Change. Così facendo, restituisce alla riflessione umanistica una centralità a lungo perduta nel definire visioni di futuro condivise.15)Vedi l’ispirato discorso reso dalla stessa Donella Meadows, Down to Earth. Il secondo filone risiede nell’(eco)femminismo e nell’etica della cura.16)Elena Pulcini, La cura del mondo (Torino, Bollati Boronghieri, 2009). Entrambi pongono al centro il tema della relazione, tanto fra gli esseri umani che fra questi e l’ambiente naturale. Offrono una critica puntuale e alternative pratiche a relazioni individuali, sociali e socio-ecologiche estrattive, proponendo visioni rigenerative. Infine, la terza tradizione cui attingere sono gli studi post-coloniali, peraltro già ampiamente frequentati dai sinologi più accorti. In questo filone riveste particolare rilievo la critica al concetto di modernizzazione quale univoco e universale, definito una volta e per tutte dall’esperienza avviata in Occidente con la rivoluzione industriale e replicata poi in larghe parti del mondo, Cina compresa.17)Dipesh Chakrabarty, Provincializing Europe: Postcolonial Thought and Historical Difference (Princeton: Princeton University Press, 2013).
Implicazioni concrete
Sposare questi approcci di teoria e azione ha implicazioni concrete su motivi, metodi e pratica quotidiana della sinologia. Riguardo ai motivi, comporta scegliere in modo responsabile le tematiche oggetto di studio e il loro inquadramento.Questo processo non è mai neutro né oggettivo. Al contrario, è intrinsecamente politico, poiché con le nostre scelte contribuiamo a normalizzare – o viceversa decostruire – determinate narrazioni del mondo in cui viviamo. Essere responsabili non significa stabilire a priori quali tematiche o approcci siano o meno accettabili sul piano morale e scientifico. Significa interrogarsi sulla dimensione etica e sulle implicazioni sistemiche della nostra scelta: a quale visione ideale del mondo ispiriamo il nostro lavoro di ricerca, studio o insegnamento? Come integrarla nelle nostre decisioni in modo esplicito e trasparente? Scegliere responsabilmente richiede anche coscienza della complessità e delle interconnessioni di un dato fenomeno. Ancora una volta, le tanto dibattute Nuove Vie della Seta offrono un esempio calzante: inquadrarne lo studio soltanto nella cornice dell’analisi geopolitica ed economica, tralasciandone le implicazioni culturali ed ecologiche transnazionali, rischia di normalizzare un approccio obsoleto ed eticamente criticabile alla modernizzazione.18)Per familiarizzare con la geografia globale dell’(in)giustizia ambientale è utile consultare l’Environmental Justice Atlas, prodotto attraverso un progetto collaborativo di ricercatori e attivisti. Parimenti, focalizzarsi sulla sola componente bioculturale e socio-ecologica, senza comprendere nel dettaglio gli interessi e le strutture che plasmano l’iniziativa, equivale a perdere un dato necessario per svolgere un’analisi solida del fenomeno.
La scelta consapevole di argomenti e inquadramento è intimamente legata al tema del metodo. Si è già detto di come la sinologia sia un campo fecondo per la contaminazione disciplinare. Solo raramente però questa contaminazione è finalizzata a esplorare e sostenere visioni di cambiamento sistemico. Questo rappresenta un grande limite, poiché mina la funzione sociale della nostra disciplina. Vi sono d’altro canto grandi potenzialità cui dare espressione. La componente più prettamente umanistica della sinologia ha moltissimo da offrire nell’esplorare e ridefinire visioni e narrative di futuro alternative a quelle correnti. Parimenti, l’espressione più tecnica della disciplina, la linguistica, ha campi di applicazione rilevanti per l’analisi dei modelli cognitivi e relazionali alla base di comportamenti individuali e sociali, la cui conoscenza è fondamentale in un’ottica di comprensione sistemica della realtà.
Questo rinnovamento di metodi e motivi ha la sua precondizione nella pratica del lavoro collaborativo, ad oggi molto rara nella comunità sinologica italiana. Abbandonare la norma del lavoro individuale per abbracciare la collaborazione ha effetti straordinari: permette di recepire più rapidamente e compiutamente stimoli, idee e metodi innovativi; riduce il livello di frustrazione e il senso di inadeguatezza generati dal lavoro individuale, specie in periodi di forzato isolamento come quello in cui viviamo; favorisce la sintesi di sensibilità e valori in visioni comuni. Infine, rende porose le barriere disciplinari e gerarchiche, poiché privilegia la complementarietà di competenze sulla base di interessi e obiettivi condivisi. Rendere il lavoro di ricerca, insegnamento e studio più collaborativo richiede alcuni ingredienti di base, in particolare una maggiore propensione all’ascolto attivo, all’empatia e all’apprezzamento per il lavoro altrui. Esige però anche competenze specifiche per strutturare il lavoro in modo ordinato, avendo cura che sia produttivo e rispettoso del tempo e delle aspettative di coinvolgimento di ciascuno.19)Per un compendio di approcci e metodi collaborativi creativi applicabili (anche) in ambito sinologico, vedi: Kelly R. Pearson, Malin Backman, Sara Grenni, Angela Moriggi, Siri Pisters e Anke de Vrieze, Arts-based Methods for Transformative Engagement: A Toolkit (Wageningen, SUSPLACE Project, 2018).
Considerazioni conclusive: impegno individuale e condizioni strutturali
Quella descritta sin qui è una via possibile per riposizionare consapevolmente il ruolo scientifico e sociale della sinologia. Il singolo individuo può dare un grande contributo in questo senso: molte e molti di noi già si adoperano come agenti di cambiamento, ciascuno nei limiti delle proprie capacità. Sarebbe però naive – oltre che poco onesto intellettualmente – offrire una narrazione del cambiamento come dipendente solo dalla coscienza e dall’azione individuali. Vi sono condizioni strutturali che ostacolano la rigenerazione della sinologia verso un modello transdisciplinare e responsabile. In ambito accademico, questi colli di bottiglia includono la carenza cronica di tempo, che genera fra docenti e ricercatori un diffuso senso di frustrazione per l’impossibilità di lavorare con attenzione, profondità e visione; i meccanismi di allocazione dei fondi, che non di rado favoriscono attività ridondanti e obsolete; la miopia dei processi di valutazione della ricerca, che nella nostra disciplina costituiscono un formidabile disincentivo al lavoro collaborativo e inter- o trans-disciplinare; la precarietà diffusa, che colpisce le fasce più giovani, intellettualmente vivaci e socialmente impegnate, minandone la capacità di contribuire in modo significativo al dibattito scientifico. La rigenerazione della sinologia passa inevitabilmente anche da questi nodi strutturali. Solo essendone coscienti e provando a scioglierli è possibile avviare la transizione verso una comunità di studiosi (e studenti) capaci di interpretare secondo responsabilità e cura il proprio ruolo, trovando risposta alla domanda: “che ci faccio qui?”
↑1 | I tratti salienti di questo articolo sono stati condivisi dall’autore nel corso del seminario “Gli studi sulla Cina. La sfida”, ospitato in remoto il 25 settembre 2020 dall’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Il seminario ha raccolto le voci di sinologhe e sinologi impegnati nel definire approcci critici e responsabili allo studio della Cina. In merito al dibattito sul futuro della sinologia, si veda Marco Fumian, “Sinologi della nuova era”, Sinosfere, Voci, 1 ottobre 2020. |
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↑2 | Francis Fukuyama, “Trent’anni dopo, ritorno su La fine della storia?”, Vita e Pensiero, 3, 2018, 10-21. |
↑3 | Kathleen Dean Moore, Great Tide Rising: Towards Clarity and Moral Courage in a Time of Planetary Change (Berkeley: Counterpoint, 2016). |
↑4 | Daniele Brombal, “L’Antropocene cinese”, Sinosfere, 8, 2019, 20-28. |
↑5 | Daniele Brombal, “Chinese Studies in Venice: A Timeline of Change”, in Laura De Giorgi e Federico Greselin, 150 Years of Oriental Studies at Ca’ Foscari (Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2018, 155-162). |
↑6 | Sulle dinamiche relazionali negli studi di area e il legame con il luogo, vedi Daniele Brombal, “Area Studies for Urban Sustainability Research. Current Practice and Untapped Potential”, International Quarterly for Asian Studies, 50, 11-30. |
↑7 | Sul nesso fra relazione, investimento emotivo e responsabilità etica, vedi: Angela Moriggi, Katriina Soini, Alex Franklin, Dirk Roep, “A Care-based Approach to Transformative Change: Ethically-informed Practices, Relational Response-ability & Emotional Awareness”, Ethics, Policy & Environment [in corso di stampa]. |
↑8 | Florin Popa, Mathieu Guillermin e Tom Dedeurwaerdere, “A Pragmatist Approach to Transdisciplinarity in Sustainability Research: From Complex Systems Theory to Reflexive Science”, Futures, 65, 2014 45–56. |
↑9 | Marina Knickel, Karlheinz Knickel, Francesca Galli, Damian Maye e Johannes S.C. Wiskerke, “Towads a Reflexive Framework for Fostering Co-Learning and Improvement of Transdisciplinary Collaboration”, Sustainability, 11, 6602, 2019, 1–22. |
↑10 | Per un’introduzione al tema, vedi: Telmo Pievani, “Biologia dell’altruismo”, Micromega, Almanacco della Scienza, ottobre 2010, 45-63. Per una trattazione più agile, vedi dello stesso autore: “L’evoluzione della morale”, Le Scienze, giugno 2012, 66-71. |
↑11 | J.R. McNeill e Peter Engelke, La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945 (Torino, Einaudi, 2018). |
↑12 | Cfr. Daniele Brombal,“Area Studies […]”. |
↑13 | Nørgård, Jørgen Stig, John Peet, and Kristín Vala Ragnarsdóttir. n.d. “The History of The Limits to Growth”, The Donella Meadows Project. Academy for Systems Change. |
↑14 | Meadows, Donella H. n.d. “Leverage Points: Places to Intervene in a System.” The Donella Meadows Project. Academy for Systems Change. |
↑15 | Vedi l’ispirato discorso reso dalla stessa Donella Meadows, Down to Earth. |
↑16 | Elena Pulcini, La cura del mondo (Torino, Bollati Boronghieri, 2009). |
↑17 | Dipesh Chakrabarty, Provincializing Europe: Postcolonial Thought and Historical Difference (Princeton: Princeton University Press, 2013). |
↑18 | Per familiarizzare con la geografia globale dell’(in)giustizia ambientale è utile consultare l’Environmental Justice Atlas, prodotto attraverso un progetto collaborativo di ricercatori e attivisti. |
↑19 | Per un compendio di approcci e metodi collaborativi creativi applicabili (anche) in ambito sinologico, vedi: Kelly R. Pearson, Malin Backman, Sara Grenni, Angela Moriggi, Siri Pisters e Anke de Vrieze, Arts-based Methods for Transformative Engagement: A Toolkit (Wageningen, SUSPLACE Project, 2018). |